COMMISSIONE D'INDAGINE

Seduta 05 - 29 Agosto 2001

Seguito dell'audizione del prefetto Ansoino Andreassi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, il seguito dell'audizione del prefetto Ansoino Andreassi.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto di parlare.
CESARE MARINI. Grazie, presidente. Premetto che ho ricavato, fra gli argomenti esposti dal dottor Andreassi, l'impressione di un'opinione non esatta, in base alla quale una parte del Parlamento sarebbe propensa a demonizzare la


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Polizia e le forze dell'ordine. Mi è parso che la ricostruzione dei fatti tracciata dal prefetto sia stata una specie di difesa corporativa della Polizia: vorrei far rilevare che ci troviamo d'accordo con le parole pronunciate più di una volta dal presidente Violante, quando ha affermato che la Polizia è un patrimonio dello Stato; per tale motivo, al di là delle varie posizioni politiche che i gruppi esprimono, gli episodi negativi che possono accadere devono essere perseguiti proprio perché nel suo insieme, nella quasi totalità, la Polizia svolge funzioni pubbliche che sono a carico dello Stato, che riteniamo essenziali e che apprezziamo.
Tutto il ragionamento del prefetto, però, prescinde da alcuni dati: il primo riguarda il fatto che è indiscutibile che vi sia stata una frangia minoritaria del popolo anti-global che è arrivata a Genova per esprimere comportamenti violenti e per devastare la città; si tratta di un dato incontrovertibile e siamo tutti d'accordo nel ritenere che, allorquando avvengono fatti di tal genere, espressioni di violenza pura, vi deve essere una ferma risposta da parte dello Stato, sia in termini di prevenzione che di punizione per quanti si rendano responsabili. Per la verità, nutrivamo perplessità circa il sistema di prevenzione, perché avevamo assistito alla ripetizione di alcuni episodi (che il prefetto ha citato ed è quindi inutile ripetere): ci è parso che quel sistema di prevenzione non abbia funzionato pienamente, salvo l'organizzazione dell'ordine pubblico per quanto riguarda la zona rossa, senza dubbio encomiabile: su ciò non abbiamo nulla da aggiungere. Il movimento anti-global è complesso, comprende ampie frange pacifiste: in merito alle forme in cui si sta realizzando la globalizzazione, forze sane della società esprimono le proprie opinioni (basti pensare alla funzione della Chiesa e dei cattolici). Ho l'impressione che, soprattutto da parte dei vertici (quindi anche da


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parte sua, signor prefetto), non ci sia una consapevolezza piena della differenza tra i violenti, che devono essere isolati e repressi, e la massa che deve essere tutelata: ci è apparso che non lo sia stata.
La terza questione riguarda il dato indiscutibile che nella perquisizione della scuola Pertini ed all'interno della caserma Bolzaneto siano avvenuti fatti fuori dalle garanzie di legalità: lei, signor prefetto, non può sottacerli perché, in questo modo, non rende un buon servizio alla Polizia ed alla democrazia. Ho apprezzato, pur essendo stato critico, le parole del dottor De Gennaro, che ha affermato che ci sono stati degli eccessi che saranno perseguiti. Vorremmo una risposta precisa perché lei, signor prefetto, nella sua veste di vicecapo della Polizia, non può tacere su tale punto: quando i poliziotti nascondono il viso mentre operano una perquisizione, significa che vi è l'intenzione di comportamenti illeciti. La Polizia deve dare una risposta ferma e chiara: questi comportamenti sono fuori dalle regole democratiche, non sono ammessi e saranno perseguiti. Vorrei conoscere il punto di vista del signor prefetto su tali questioni.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Senatore Marini, credo di avere troppo rispetto per il Parlamento, per i partiti politici e per i movimenti, per accusarli di aver demonizzato un'istituzione quale la Polizia. Non ho detto ciò, ma ho denunciato che esiste questo rischio: so bene quale sia la considerazione che il Parlamento nutre per le forze di Polizia, che sono una risorsa per il paese, e credo di aver messo bene in luce questa mia convinzione. Ho parlato di tale rischio in relazione a fatti che sono avvenuti in altri paesi dove non mi sembra che, nonostante comportamenti altrettanto criticabili tenuti dalle forze di polizia, si siano verificati attacchi all'operato delle forze dell'ordine, così da ingenerare l'idea che non si volesse


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attaccare soltanto chi aveva sbagliato, ma la Polizia nel suo complesso.
Ho voluto soltanto precisare questo punto, convinto, assolutamente convinto, che in questo Comitato si trovino i massimi difensori delle istituzioni e tra le istituzioni, o gli organismi che le rappresentano, c'è anche la Polizia.
Altrettanto devo dire per quanto riguarda la nostra idea su come fosse composto il Genoa social forum. Mi sembra di essere stato abbastanza preciso. Siamo ben consapevoli, siamo stati sempre ben consapevoli che il Genoa social forum era costituito, è costituito, da una maggioranza non violenta che ha il diritto di manifestare il proprio dissenso sui temi della globalizzazione, così come siamo stati sempre abbastanza coscienti che all'interno di questo complesso di associazioni si è mosso, si muoveva, all'estero ed in Italia, anche una minoranza violenta. Su tale aspetto non ci sono mai stati dubbi da parte nostra, tant'è vero che nell'esordio della mia relazione si parla addirittura di infiltrazione parassitaria di gruppi violenti e di formazioni eversive in quel movimento. Mi sembra di essere abbastanza incisivo sotto questo profilo. Credo poi di aver dato contezza di che cosa siano composte queste minoranze violente dicendo che, almeno a Genova, esse non sono state costituite soltanto dai black bloc, ma anche da spezzoni dell'autonomia di classe.
Arrivo all'ultimo punto, quello più dolente: la perquisizione alla scuola Diaz. Lei ha ragione, occorre fare assolutamente chiarezza su questa vicenda. Cerco allora di puntualizzare meglio quali sono state le tappe di questo processo che hanno portato poi agli eccessi da lei ricordati e che io stesso sono il primo a condannare. Mi auguro che la magistratura faccia luce quanto prima e mi auguro che le inchieste amministrative facciano altrettanto. Non a caso ho dato atto di essere stato


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quanto mai sensibile sotto questi profili e lei troverà allegata alla mia relazione anche questa famosa carta, questo famoso decalogo, che è stato un po' il mio pallino fisso e cioè le indicazioni che bisognava dare al personale per evitare che ci fossero brutalità ed eccessi. Quel vademecum distribuito al personale contiene alcuni consigli che sono tratti da questo mio decalogo. Il vademecum è stato fatto in quella forma - e posso esibire anche le prove perché ci sono delle carte in proposito - perché l'ho sollecitato io, costituendo al dipartimento un gruppo di lavoro con il compito di elaborarlo. Ritornando alla vicenda, si manifestò l'esigenza di intervenire all'interno della scuola Diaz perché c'era stato quel precedente, cioè quel passaggio di nostre pattuglie e i lanci di oggetti contro di esse. Allora, assumendomi forse responsabilità che vanno ben al di là del mio mandato - perché per me il mandato era concluso, le manifestazioni erano finite, il mio compito, a volerlo dilatare, era quello dell'ordine pubblico, non quello delle perquisizioni, né quello degli arresti -, convenni sulla impossibilità di dilazionare questa operazione, perché, o si faceva subito, oppure era inutile aspettare l'indomani mattina, dopo quello che era successo: se ne sarebbero andati tutti. E, se era vero che all'interno della Diaz c'erano dei violenti, bisognava intervenire. Si trattava, però, non di una semplice perquisizione di polizia giudiziaria, perché non si può sostenere che fosse come andare a recuperare delle autoradio rubate; si trattava, piuttosto, di un'operazione oggettivamente delicata e complessa perché prima di tutto si inseriva nel clima di una giornata di scontri e poi perché era oggettivamente rischiosa, anche per i riflessi che poteva avere sull'ordine pubblico. Per questo suggerii al questore di consultarsi con il capo della polizia. Seguirono delle telefonate tra il questore e il capo della polizia; seguirono probabilmente, ma bisognerà


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poi chiederlo agli interessati, telefonate anche fra La Barbera e il capo della polizia. A quel punto il mio compito era finito e, ancora, ho dato atto già di essere intervenuto soltanto, e mi assumo anche le responsabilità di questo - l'ho detto ieri -, per suggerire di ricorrere all'unità speciale del reparto mobile di Roma, perché dal punto di vista dei metodi di selezione usati nel reclutare e nel formare questa squadra e per il tipo di addestramento ricevuto, era questa la squadra che mi dava maggiori garanzie rispetto ai riflessi che l'operazione poteva avere sull'ordine pubblico. Non ho mandato l'unità speciale per fare l'irruzione; questo non l'ho detto, ma mi sembrava scontato. L'irruzione la potevano fare altre componenti presenti sul posto e in particolare i reparti prevenzione e crimine che hanno un addestramento specifico sotto questo profilo. Non ho partecipato alla riunione operativa perché, come ho detto, per me la situazione era ormai altrimenti gestita e, quindi, non so quali siano state le decisioni assunte sul posto.
GRAZIELLA MASCIA. Anch'io volevo tornare alla vicenda della scuola Diaz. Il prefetto ha già fornito ulteriori spiegazioni con la risposta che ha dato al collega, ma volevo insistere su un aspetto: il bilancio di questa perquisizione è stato di 93 persone arrestate, peraltro tutte con l'accusa infondata di associazione per delinquere, e su questo vi è notoriamente già una discussione, una polemica sull'opportunità e sulla legittimità. Inoltre, vi è stato il 70 per cento di persone refertate tra coloro che sono stati fermati. Alla luce di ciò, delle perplessità che lei ci conferma ora di avere espresso per le ragioni qui ribadite, suggerendo appunto che fosse il nucleo antisommossa ad intervenire per le motivazioni che ha detto, ripeterebbe il suo suggerimento in considerazione? Perché ieri ci è stato anche riferito che il dottor Canterini è stato colui che ha suggerito addirittura l'uso del lacrimogeni. Non riesco


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a comprendere come si sia potuto pensare di impiegare un nucleo operativo dotato di quelle caratteristiche in una perquisizione estremamente delicata (non si trattava di recuperare autoradio) dopo riunioni di cui ci è stato dato un resoconto abbastanza soddisfacente ed articolato.
La seconda questione riguarda il nucleo speciale antisommossa, istituito recentemente, che è stato addestrato a Ponte Galeria per l'uso dei manganelli Tonfa da tre istruttori di Los Angeles. Come certamente saprà, l'articolo 30 della legge n. 121 del 1981, che ha riformato la pubblica sicurezza, prevede che per disciplinare l'uso delle armi in dotazione alla polizia, compresi gli sfollagente, si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri; in ogni caso, anche nella fase di sperimentazione, è necessario un decreto ministeriale. Vorrei sapere se è stato emanato e se eventualmente sia possibile averne una copia. Nel dossier fornito dal capo della Polizia si fa riferimento solo alle pallottole di gomma, che non sono state impiegate, essendo necessaria una procedura dai tempi tecnici molto lunghi. In questo caso, è stato possibile provvedere, sebbene non si fornisca copia del documento.
Vorrei conoscere il ruolo di Valerio Donnini nella selezione e nell'addestramento del nucleo speciale antisommossa e il suo incarico a Genova durante il vertice.
Ritengo che la preparazione, la modalità e la selezione degli interventi in piazza per garantire l'ordine pubblico, di cui ieri lei ha parlato, siano assolutamente apprezzabili per l'articolazione, il ragionamento e l'efficacia mirata; lei ha altresì parlato del decalogo che è stato predisposto e dell'opportunità di accerchiare senza caricare, anche se poi, alla luce dei fatti, tutto quello che era stato previsto non è stato realizzato.


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Bisogna dare una risposta, non essendoci, a suo avviso, soltanto ragioni tecniche, per comprendere quale possa essere comunque la causa tecnica che non ha funzionato.
Ha espresso, inoltre, considerazioni sulle situazioni precedenti, da Seattle a Praga e da Nizza: a Genova, però, le dinamiche ed i contesti sono stati diversi. È vero che le forze dell'ordine hanno picchiato dovunque - tutti se ne lamentano - ma a Genova, in particolare il giorno 21, hanno avuto luogo dinamiche inedite. In questo caso la causa non può essere stata la zona gialla, la cosiddetta fascia «cuscinetto»? Certo, come è stato ribadito da tutti, avete difeso la zona rossa, ma è avvenuto perché per la prima volta è stata introdotta una zona «cuscinetto». E allora, probabilmente, quanto predisposto non aveva la possibilità tecnica di funzionare. Ma per quale ragione, per la prima volta (sono ventidue anni che faccio manifestazioni), la polizia non ha aperto il corteo del giorno 21 luglio? Il questore è stato molto confuso, confermando che la manifestazione è avvenuta fino ad un certo punto, ma in seguito le disposizioni sono cambiate: vorrei capirne le ragioni tecniche.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Credo di non dover ritornare sull'argomento della scuola Diaz, essendo stati già affrontati tutti punti che lei stessa avrebbe voluto riproporre. È giusto questo? O esisteva ancora qualcosa da chiarire?
GRAZIELLA MASCIA. L'utilizzazione del nucleo antisommossa.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Penso di essere stato abbastanza chiaro. Consideravo scontato, infatti, che il reparto mobile non fosse usato per compiere una perquisizione, essendo una regola di comportamento e di utilizzo delle nostre


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unità. Ma, non essendo andato sul posto, non conosco quali condizioni abbiano indotto ad usarlo per compiere l'irruzione.
Valerio Donnini ricopriva l'incarico di direttore di un comando logistico che avevamo dislocato, fin dai primi di luglio, a Genova, per sgravare il questore della gestione riguardante i problemi di ordine logistico sia attinenti all'acquartieramento del personale sia alla gestione pratica dei servizi; era inoltre esperto di problemi di ordine pubblico e nell'impiego di unità specializzate - i reparti mobili - avendo per anni maturato una lunga esperienza in questo settore. Donnini è inserito nella direzione degli affari generali, deputata ad occuparsi propriamente di tali problemi, con una duplice veste: oltre ad essere investito di questo compito particolare, rimaneva e rimane un utile consigliere per l'impiego dei reparti mobili nell'ordine pubblico.
GRAZIELLA MASCIA. Anche per quanto riguarda l'addestramento?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Donnini ha vigilato anche sull'addestramento.
E ora veniamo alla domanda sui manganelli Tonfa. Effettivamente, come ha già ricordato, sono arrivati gli istruttori della polizia di Los Angeles per insegnare l'uso di questo sfollagente un po' particolare, che non solo serve per offendere ma anche per difendersi e che, se non se ne conosce l'uso, si rivela uno strumento inutile.
Sono stato io a scrivere una lettera al capo della Polizia di Los Angeles, lo sceriffo, dopo aver fatto svolgere un sondaggio negli Stati Uniti d'America al nostro ufficiale di collegamento. È stato deciso di usare tale armamento, almeno in via sperimentale, per una unità particolarmente selezionata, perché i carabinieri già lo adottavano e perché è uno


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strumento abbastanza diffuso tra altre forze di polizia.
Dopo aver compiuto questo sondaggio, abbiamo trovato disponibile, nei tempi ristretti a nostra disposizione, la polizia di Los Angeles; sono così venuti tre istruttori americani che, in circa una settimana, hanno insegnato l'utilizzo di questo strumento.
LUCIANO VIOLANTE. In che cosa consiste la differenza tra il normale manganello ed il Tonfa?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il manganello Tonfa, come ho detto prima, non è solo uno strumento di attacco, ma anche di difesa, perché facendolo ruotare sul manico di cui è dotato - il Tonfa ha la forma di una elle, con una gamba molto corta, quella dell'impugnatura, ed una molto lunga che avanza sia alla testa sia alla coda dell'impugnatura stessa - può essere steso sul braccio ed essere utilizzato per ripararsi dai colpi. Può inoltre essere utilizzato per immobilizzare chi oppone resistenza, perché agendo in una certa maniera esso si può inserire, dalla schiena, tra le braccia della persona da fermare ed immobilizzarla; essendo rigido, lo strumento non consente al soggetto fermato di liberarsi facilmente.
GRAZIELLA MASCIA. Per quanto riguarda il decreto relativo all'acquisto dei manganelli Tonfa?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Mi riservo di produrre il decreto, perché si tratta di un atto emanato dalla direzione centrale degli affari generali alla quale facevo prima riferimento. Mi riservo di produrlo perché ovviamente esiste. Quanto agli altri quesiti de lei posti, ho ammesso che, nonostante tutti i nostri buoni propositi e le ripetute pianificazioni, i servizi non hanno poi prodotto i risultati desiderati


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o meglio sperati. Di ciò mi sono rammaricato molto per una serie di ovvi motivi. L'elemento che ha determinato maggiormente tale mancanza è stata la mobilità dei reparti, o meglio la lentezza - devo ammetterlo - dei movimenti dei reparti rispetto all'estrema mobilità dei gruppi che stavano devastando la città. Devo però ricordare - anche questa volta senza voler criminalizzare in maniera semplicistica ed approssimativa tutto un intero movimento - anche la facilità con cui questi gruppi - chiamiamoli brevemente black bloc - si sono potuti muovere all'interno delle manifestazioni ufficiali, al punto che molto spesso l'intervento non è stato reso possibile perché c'era il rischio di travolgere anche chi manifestava in maniera pacifica.
Questi motivi, in aggiunta alla tortuosità delle strade di Genova e alla difficoltà legata al fatto di impiegare su un teatro particolarmente complesso e sotto lo stimolo di certi eventi, reparti convenuti là da tutta Italia, credo che abbiano costituito la premessa per quelle défaillance che, purtroppo - devo ammettere - si sono verificate e delle quali mi sembra di essermi assunto la responsabilità come vicecapo della Polizia.
GRAZIELLA MASCIA. Perché non c'era la Polizia in capo al corteo?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Abbiamo privilegiato una precisa linea di condotta, quella cioè di camminare per linee interne rispetto al corteo, perché in questo modo la sicurezza dello stesso veniva ugualmente garantita (e forse lo era ancor di più nei confronti degli attacchi che potevano venire da monte).
GRAZIELLA MASCIA. Per la prima volta nella storia...!


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Onorevole, non sono nemmeno sicuro se questa forza di testa fosse a 30 metri, a 50 metri o a 100 metri, perché questo non l'ho visto.
GRAZIELLA MASCIA. Neanche io!
FABRIZIO CICCHITTO. Nella sua relazione non ho trovato una difesa corporativa della Polizia; anzi, da questo punto di vista la ringrazio perché ci ha fornito una visione complessiva e generale sia del GSF sia della vostra linea di condotta il che ci consente di compiere un passo in avanti rispetto alla valutazione degli avvenimenti. Questa è anche la ragione per cui, pur riconoscendo l'esistenza di alcuni punti critici nella gestione dei fatti verificatisi a Genova, ci mostriamo solidali con il comportamento complessivo delle forze dell'ordine.
La discussione che ora stiamo svolgendo sui manganelli Tonfa pone, a mio avviso, i problemi in termini troppo generali e spiccioli: le forze dell'ordine, infatti, si sono dovute confrontare non con normali manifestanti, che magari gridano slogan molto forti ma che comunque non picchiano, ma con gente armata di spranghe di ferro; credo che dalle vostre analisi sia emerso come il manganello tradizionale rispetto alla spranga di ferro, diciamo così, abbia alcuni problemi sia in termini difensivi che offensivi. Ecco la questione da considerare!
Ricordo inoltre una sua relazione presentata alla Commissione stragi tre o quattro anni fa, proprio in relazione ai primi elementi di questa nuova tipologia di contestazione. Il rilievo critico eventualmente da sollevare consiste allora nel constatare come l'analisi da lei svolta, non solo come studioso ma anche come dirigente delle forze dell'ordine, non abbia trovato una piena traduzione sul piano della ristrutturazione rispetto ai nuovi problemi che si presentavano.


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Le domande che intendo rivolgerle sono le seguenti: innanzitutto, è emerso da tutte le audizioni di ieri una gestione complessa del corteo, finanche una gestione politica, in quanto parlamentari ed esponenti politici hanno preso parte al corteo stesso. Qualche eco di ciò la troviamo anche nelle parole dell'onorevole Mascia: alcuni vi hanno chiesto di posizionare le forze dell'ordine in testa al corteo, altri di spostarle e così via. Ricordo che sono state sollevate altissime contestazioni in riferimento alla presenza dell'onorevole Fini, che era andato in visita alle forze dell'ordine impiegate a Genova: emerge invece che vi è stata una presenza molto più preponderante, significativa, incisiva di un numero imprecisato di parlamentari - di cui vorremmo sapere nomi e funzioni - che davano input alle forze dell'ordine su come gestire il corteo. Questo ci sembra un elemento straordinario, e vorremmo quindi sapere chi sono questi parlamentari che chiedevano che le forze dell'ordine stessero in testa al corteo, a metà corteo e così via, in quanto anche da un testo che ci è stato consegnato dal dottor La Barbera abbiamo appreso come gli stessi si trovassero nel cuore di un corteo, diciamo così, abbastanza armato.
MARCO BOATO. Non è una domanda!
FABRIZIO CICCHITTO. Scusa Boato, io non ti interrompo mai: sei quindi pregato di fare altrettanto.
Seconda domanda: emerge - mi sembra - che il processo decisionale fosse stato più complesso di come ce lo ha rappresentato, qualche tempo fa, il dottor De Gennaro.
Il dottor De Gennaro ci ha spiegato che tutto era delegato alle autorità locali, cioè al prefetto e al questore. D'altra parte, la presenza di due dirigenti di alto livello come lei e come La


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Barbera mette in evidenza che il processo decisionale è stato più complesso e ciò, forse, ha provocato anche alcune complicazioni; alcune di queste ho l'impressione si siano verificate anche nel caso della Diaz. In quest'ultimo caso mi sembra non sia stato chiaro il processo decisionale perché due dirigenti di alto livello come lei e come il dottor La Barbera, ad un certo punto, hanno espresso alcuni dubbi sulla realizzazione, ma la cosa è andata avanti lo stesso.
Capisco, pertanto, che lei dica di non aver avuto questo compito fino alla fine. Il dottor La Barbera ce lo ha detto in modo più incisivo, ma questo problema si pone.
Terza domanda, che si ricollega alla prima: Napoli e ciò che è accaduto (l'onorevole Bassanini lo sa bene perché, se non sbaglio, era un convegno organizzato da lui) è stata, in piccolo, Genova, sia per il numero dei manifestanti sia per il numero delle forze dell'ordine. Se non erro, il rapporto era di 20-30 mila a 7 mila. Tuttavia, se leggiamo nuovamente i giornali di Napoli ricorderemo che ci fu un attacco alle forze dell'ordine, ci fu una risposta da parte di queste ultime e polemiche violentissime di un settore politico sul modo in cui era stato gestito l'evento. Non fu istituita una Commissione di indagine perché l'opposizione di allora non la chiese, anche se le componenti erano simili.
Napoli, quindi, non ha rappresentato per voi un campanello d'allarme che vi doveva porre dei problemi ulteriori rispetto a quelli che vi siete posti?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Per quanto riguarda l'intervento dei politici nella grande manifestazione del 21 luglio, ce ne erano molti, come credo sia normale in circostanze del genere. Non ho avuto alcun particolare contatto con i politici intervenuti in quei giorni alle manifestazioni. Ho avuto, invece, un incontro in questura con una delegazione, di cui mi sembra


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facesse parte anche l'onorevole Mascia, la sera in cui morì Giuliani.
GRAZIELLA MASCIA. Io non c'ero.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Erano presenti altri parlamentari di Rifondazione e credo anche esponenti dei Verdi. La delegazione era condotta da Paolo Cento.
MARCO BOATO. Dall'onorevole Cento.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Vennero perché si erano verificati quegli eventi drammatici. Vollero avere un incontro con me e con il questore; commentammo un po', sulla base delle prime notizie, ciò che era accaduto a piazza Alimonda. Ricordo che successivamente mi esibirono alcuni bossoli per chiedermi a quali armi appartenessero; accertammo poi che si trattava di bossoli dei lanciagranate, dei lancialacrimogeni dei carabinieri (Commenti del deputato Ascierto).
PRESIDENTE. Colleghi, abbiate pazienza......!
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Quindi, i miei contatti con i politici, intervenuti in quei giorni nelle manifestazioni di Genova, si limitano a ciò; ricevetti poi anche in questura, insieme al questore, la visita dell'onorevole Fini che durò un quarto d'ora.
Per quanto riguarda Napoli, riconosco che ha costituito un campanello di allarme; lo doveva essere ancora di più anche per le smagliature che vi sono state in sede di intervento dei reparti. Ricorderete tutti che anche a Napoli sono state lamentati eccessi da parte della Polizia e che tra questi eccessi, disguidi o inadeguatezze dei servizi di ordine pubblico si disse anche che la Polizia aveva caricato in piazza Municipio, senza


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lasciare possibilità di fuga ai dimostranti. In quella circostanza, soprattutto, si sarebbero verificati alcuni eccessi assolutamente deprecabili. Certamente abbiamo tenuto tutto ciò presente.
Tuttavia, a Genova, non si sono riprodotte esattamente le stesse situazioni di Napoli; ogni situazione di ordine pubblico è, infatti, diversa dall'altra poiché sulla gestione dell'ordine pubblico incide molto anche la conformazione e l'assetto della città. Un conto è gestire l'ordine pubblico a Quebec City o a Washington, dove le strade sono larghe e diritte; un conto è gestirlo a Genova o a Napoli.
Per quanto riguarda il processo decisionale sulla perquisizione alla scuola Diaz, voi mi scuserete se torno a ribadire quanto affermato precedentemente. Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro: dopo avere espresso alcuni timori su quella operazione che, comunque, andava fatta, ho ritenuto di non aver più alcun ruolo nella vicenda e non lo ho avuto, se non nei termini che ho precisato prima e cioè nel suggerire l'uso di quel reparto per i riflessi che la situazione poteva avere sull'ordine pubblico: a Brignole, infatti, vi erano migliaia di persone in procinto di partire, che avrebbero potuto rifluire lì per tornare a creare incidenti.
Ho ricordato anche che il giorno dopo - mi sembra - rilasciai alcune dichiarazioni alla televisione, al TG1 e al TG2, per spiegare soltanto che quella non era stata una perquisizione illegale perché ricorrevano gli estremi di applicazione dell'articolo 41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; le rilasciai evidentemente per spirito di disciplina, non certamente per esibirmi in un momento così difficile e drammatico davanti ai telespettatori.
MARCO BOATO. Vorrei fare una precisazione, chiedendo inoltre scusa all'onorevole Cicchitto per averlo interrotto, cosa


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che generalmente non faccio. Dal momento che più volte è stato indicato da qualche collega - in particolare, da ultimo, dall'onorevole Cicchitto, ma anche l'onorevole Ascierto lo fa regolarmente - il problema della presenza dei parlamentari alla manifestazione del 21 luglio, come del resto anche a quella del 19 luglio, credo che questo sia un fatto acclarato, pubblico, legittimo, preannunciato e che non ha nessun riflesso con l'attività che noi stiamo svolgendo.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, questa è però una sua idea; non conta assolutamente nulla. Se qualcuno di noi ritiene di sapere quale funzione abbia avuto quel parlamentare e ritiene di porre la domanda a chi è audito.... Non censuriamo nessuno. Lei faccia le domande.
MARCO BOATO. Signor presidente, io non ho censurato alcuno. Sto facendo un'affermazione su questo punto. Del resto, devo dire che il prefetto ha risposto con assoluta correttezza.
PRESIDENTE. Che si conoscano i nomi di coloro che hanno partecipato alla manifestazione sembra noto. La domanda è quale funzione abbiano avuto all'interno di questa manifestazione e se il prefetto Andreassi ne sia a conoscenza. Mi sembra che egli abbia risposto. Pertanto, passi alle sue domande.
MARCO BOATO. Signor presidente, fa bene a precisare. Tuttavia, io non ho censurato alcuno.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, le sarei grato se formulasse le sue domande.
MARCO BOATO. Signor presidente, formulo certamente le mie domande; tuttavia, come hanno fatto alcuni colleghi, faccio anche delle affermazioni preventive.


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Per esempio, insieme all'onorevole Cicchitto, nell'autunno 1973, partecipai ad una manifestazione pubblica contro il colpo di stato in Cile.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, questo non interessa i lavori del Comitato.
MARCO BOATO. Sicuramente, ma non vedo perché ci si stupisca di questo.
FABRIZIO CICCHITTO. Non ho domandato questo. Ho chiesto se c'era stato un intervento sulla gestione del corteo.
MARCO BOATO. Sicuramente, quando ai cortei sono presenti dei politici, non solo parlamentari, e si tratta di manifestazioni pacifiche, pubbliche e preavvisate, vi sono rapporti: ad esempio, all'epoca, con gli uffici politici della Polizia, dei quali ha fatto parte anche il prefetto Andreassi, credo a Padova.
I rapporti fra i politici e la DIGOS oggi - all'epoca si trattava degli uffici politici - sono assolutamente normali e finalizzati alla migliore gestione delle manifestazioni. Questa è una precisazione che formulo una volta per tutte, tanto più che, non essendo stato presente a Genova, non mi riguarda personalmente.
Per quanto concerne le questioni che riguardano il prefetto Andreassi, lo ringrazio per la relazione che ho ascoltato ieri e riletto stanotte con molta attenzione, dal momento che la complessità dell'analisi, anche sul piano storico-comparativo, mi sembra, nei limiti di una relazione di venti pagine, corretta ed anche utile, non solo per i lavori di questo Comitato, ma anche in una prospettiva futura riguardante l'Italia, l'Europa ed altri paesi. Da questo punto di vista, salvo approfondimenti, non avrei alcun rilievo da formulare, se non ringraziarla per la serietà con la quale ha svolto il lavoro.


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Le domande che le rivolgo riguardano una richiesta di chiarimento in riferimento al suo ruolo iniziale come coordinatore generale dell'attività di sicurezza e, successivamente, al compito di sovrintendere all'intero dispositivo di ordine pubblico. Cito testualmente le frasi riportate nella sua relazione e gli appunti al ministro con i quali vengono definiti i suoi compiti, da lei allegati.
La prego di chiarire al Comitato di indagine, per quello che può fare, come si sia svolta l'attività di coordinamento tra le varie forze di Polizia, non per aprire una polemica, ma, perché il problema del coordinamento, con le difficoltà ad esso connesse, è emerso diverse volte; nel mio primo mandato parlamentare sono stato tra coloro che hanno lavorato all'approvazione della legge n. 121 del 1981: so pertanto bene quanto ciò sia stato faticoso all'epoca e quanto sia stata faticosa l'approvazione della recente legge che ha riproposto la questione del coordinamento. So che vi sono problemi istituzionali delicati nei rapporti fra le varie forze di Polizia: fra il capo della Polizia ed altri soggetti, quali il prefetto, che hanno evidenziato i problemi che si pongono, e il questore, che ha affermato che il coordinamento tra le varie forze di Polizia è stato semplicemente perfetto, vi è, non dico un baratro, ma un certo divario.
Pertanto, la pregherei, senza polemizzare con alcuno, di procedere all'illustrazione del compito affidatole, per spiegarci quali siano stati gli eventuali problemi emersi sotto il profilo del coordinamento: ciò infatti può essere utile anche in futuro.
Le rivolgo la stessa domanda sotto il profilo delle sue responsabilità, ma anche sotto quello conoscitivo - siamo infatti qui per conoscere -, in ordine ai rapporti fra il dipartimento della pubblica sicurezza e le autorità locali di


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pubblica sicurezza. Si tratta di un tema che in qualche modo ha attraversato tutta la giornata di ieri, non soltanto nella relazione.
Un secondo ordine di questioni riguarda un'affermazione da lei fatta, e che condivido (le mie non sono contestazioni, bensì richieste di chiarimento; successivamente formulerò anche un rilievo). A pagina 17 della relazione si legge: «A Genova è successo qualcosa che trascende le responsabilità tecniche della gestione dell'ordine pubblico e che non può essere giudicato solo alla luce di questi parametri.» Personalmente sono d'accordo; le chiedo tuttavia di spiegare meglio questo aspetto: sino a che punto, secondo lei, arrivano le responsabilità tecniche e quali sono, dal suo punto di vista, le responsabilità di altra natura, che immagino essere di carattere politico?
A pagina 7 della relazione lei dice - e al riguardo non ho nulla da obiettare, dal momento che la sua previsione si è dimostrata fondata - di avere espresso sin dall'inizio la convinzione che la contestazione al summit di Genova avrebbe assunto toni ben più aspri che in altri paesi. Obiettivamente è ciò che è successo.
Le chiedo pertanto di darci una risposta maggiormente approfondita, legata non soltanto al fatto obiettivo che Genova è una città complessa dal punto di vista orografico e della topografia, ma che rappresenti qualcosa di più, in un'ottica futura, sulla discrasia fra le analisi, le previsioni e le strategie operative predisposte, compreso il decalogo - in particolare l'ultimo punto, ma non solo quello: ad esempio, il rapporto fra lo spirito di corpo e lo spirito interforze - che ci appaiono adeguate pur non essendo esperti di ordine pubblico, e la concreta attuazione, che invece non è apparsa adeguata, come da lei ripetuto più volte.


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Da ultimo, ciò che lascia perplessi - ed è l'unico punto - come sottolineato dal collega Marini e da altri, pur comprendendo che vi sia un ruolo istituzionale di autotutela, non suo personale, ma del Corpo cui appartiene e degli altri Corpi di polizia, è la vastità di tale discrasia, nel contrasto fra l'attività violenta e i molti episodi di repressione violenta nei confronti di dimostranti pacifici - e ve ne sono stati molti - ; mi sembra che, sotto questo profilo, la parte conclusiva della sua relazione mostri qualche lacuna, fino al punto riguardante la caserma Diaz, quando lei afferma che ha suggerito l'intervento del reparto mobile per le doti di equilibrio emotivo e di capacità di controllo della propria impulsività. Ebbene, 67 persone delle 93 portate via sono finite in ospedale. Figurarsi se interveniva qualcuno che non aveva doti di equilibrio emotivo e capacità di controllo della propria impulsività! Su quest'aspetto mi permetta di esternare una certa amarezza: trovo la conclusione riduttiva rispetto alla serena analisi che lei ha fatto nella complessità della sua relazione. Se lei mi consente, e lo faccio con spirito costruttivo, le fornisco la documentazione delle lettere ai giornali, comparse su tutti i giornali dal Secolo d'Italia a Liberazione, che i nostri uffici hanno predisposto. Pur non trattandosi di verità evangelica rivelata, si è in presenza però di numerose testimonianze comparse su tanti quotidiani e settimanali italiani, su cui mi pare opportuno che vi sia, al di là degli accertamenti dell'autorità giudiziaria, vi sia una riflessione ulteriore.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Forse dovevo ancora una risposta all'onorevole Cicchitto, che mi aveva chiesto cosa si è fatto per adeguare l'azione di difesa dell'ordine pubblico, tenuto conto dei segnali che io stesso avevo indicato due o tre anni fa, in Commissione stragi. Ci siamo posti subito il problema di riadeguare i nostri reparti mobili alle nuove


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esigenze, il che non è opera facile. Abbiamo poi, in prossimità del vertice, accentuato al massimo questo nuovo tipo di formazione. Seguiteranno - o seguiteremo, mi auguro - a farlo, ma certamente è un problema che ci siamo posti e che dobbiamo risolvere nell'interesse del paese.
Onorevole Boato, inizio con una battuta: io a Padova non facevo parte dell'ufficio politico. Io ero a Padova, ma lo dico anche qui con spirito di corpo. Nell'investigazione politica sono entrato attraverso i nuclei SDS di Santillo e devo dire che non c'era poi tutta questa grande simpatia con gli uffici politici, semplicemente perché questi ultimi erano gli eredi di una tradizione evidentemente informativa, mentre invece i nuclei del servizio SDS avevano un'impronta più aggressiva e più investigativa rispetto agli uffici politici, tant'è vero che furono sciolti, ma vennero sostituiti dall'UCIGOS con la riforma dei servizi.
LUCIANO VIOLANTE. Prima ci furono i NAT.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Prima ci furono i nuclei antiterrorismo, che poi vennero ribattezzati SDS da Santillo. Anche quelli di prima erano di Santillo; vennero poi cambiate solo le sigle.
Il coordinamento è un tema effettivamente molto complesso che si va agitando dalla legge n. 121 del 1981 in poi. Credo che anche qui si siano fatti molti passi in avanti: basti dire che al vertice dell'ufficio di coordinamento del dipartimento della pubblica sicurezza c'è l'ex capo di stato maggiore dei carabinieri, il generale Nunzella, ora prefetto: quindi, credo che questo sia effettivamente un segnale di grande progresso. Come ha funzionato, in concreto, il coordinamento per il G8? Direi che è partito per tempo anche attraverso quei seminari e quegli addestramenti in comune, principalmente tra noi e i


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carabinieri, che avevano lo scopo di uniformare gli standard di intervento e anche le dotazioni. Sul campo - credo che ne sia stato dato atto da parte del questore - nella sala operativa della questura di Genova era presente un ufficiale dell'Arma dei carabinieri, che era ufficiale di collegamento con la sala operativa dell'Arma stessa. Non siamo ancora pienamente in un meccanismo di sale operative interconnesse o di sale operative uniche (ma questo forse è di là da venire): certamente anche qui grossi passi avanti sono stati fatti. Quindi, credo che se non tutto è stato perfetto, ce l'abbiamo messa tutta perché i soliti disguidi derivanti dalla diversità di impostazione dei rispettivi Corpi non si traducessero poi in un danno nella gestione dell'ordine pubblico. Devo dire di aver trovato estremamente disponibili e ragionevoli sia i Carabinieri, sia la Guardia di finanza e poi - è bene forse accennarlo - anche gli ufficiali delle Forze armate presenti a Genova in numero consistente: anche questo aspetto è stato oggetto di interpretazioni diverse, spesso errate. Ci sono volute delle riunioni per mettere a punto questo dispositivo, per chiarire bene in quali casi l'intervento delle Forze armate fosse necessario e tutto è stato ricondotto alle autorità locali di pubblica sicurezza perché questo è l'organigramma. Tuttavia, ciò non vuol dire che il dipartimento volesse sottrarsi ai propri oneri, tant'è vero che io ero lì.
Non condivido le perplessità e i distinguo che sono stati fatti nei giorni scorsi, e soprattutto ieri, sulla scala gerarchica, perché il capo della Polizia è il capo della Polizia: tradizionalmente, egli è stato ed è personaggio centrale ed autorevole in fatto di sicurezza e di ordine pubblico. Su questo c'è una storia che va - se la vogliamo retrodatare fino a periodi non perfettamente assimilabili a quelli odierni - da Bocchini in poi, dall'unità d'Italia in poi, come indicato in quel quadro in


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cui i nomi dei capi della Polizia si susseguono dal primo, dopo che venne raggiunta l'unità d'Italia, a Gianni De Gennaro. Scorrendo quei nomi si vede quale è l'importanza e la centralità della figura del capo della polizia, direttore generale della pubblica sicurezza, in tema di ordine e sicurezza pubblica in questo paese.
Laddove dico che a Genova è successo qualcosa che trascende le responsabilità dell'ordine pubblico effettivamente sono un po' vago. Voglio però dire, e forse qualcosa aggiungo per rendere comprensibile il mio pensiero, che bisogna prendere atto della nascita di questo movimento transnazionale, che è - non voglio tirare fuori parole troppo grosse - fenomeno epocale. Non mi sembra che sia un fatto che vada ad esaurirsi, ma è destinato a pesare anche in futuro, e non solo sui problemi dell'ordine pubblico; questo volevo dire. Esso pone tutta una serie di problemi che sono di ordine, prima di tutto, politico, e spesso non di politica nazionale ma anzi, soprattutto, di politica internazionale. Questo aspetto bisogna tenere ben presente per non ridurre tutto ad un problema di repressione o di contenimento di violenze nell'ordine pubblico.
Credo che sia interesse anche del Genoa social forum fare completa chiarezza su tutte le spinte che si agitano al suo interno, perché certe realtà non hanno nulla a che fare - e mi riferisco soprattutto ai black bloc - con i temi dell'antiglobalizzazione. Per questa gente i temi dell'antiglobalizzazione sono strumentali; lo scopo del movimento antiglobalizzazione è ben altro ed esso sostiene altri valori rispetto a quelli di cui sono portatori i black bloc.
Quanto alla discrasia tra adeguatezza delle analisi e concreta attuazione, si tratta di un argomento che giustamente mi perseguita, perché la stessa domanda, sia pure su un terreno diverso, mi è stata rivolta in Commissione stragi a proposito


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dell'omicidio D'Antona, che è un altro caso che non sono riuscito a risolvere e che mi pesa molto. Anche in quella circostanza ci è stata rivolta la seguente domanda: come mai, nonostante le vostre analisi approfondite ed assolutamente esatte, non riuscite ad ottenere risultati concreti?
MARCO BOATO. Sono due cose incomparabili.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Sono due cose incomparabili. Lì il discorso della difesa è più facile perché - come risposi - non basta svolgere un'analisi, occorre cercare le prove. Qui la risposta mi imbarazza perché in effetti - lo ripeto - devo ammettere che le cose non sono andate nel senso sperato e, anzi, mi sono rammaricato, anche nella relazione, nel vedere che la città era in balia di gruppi violenti che non riuscivamo a bloccare. Valgono, però, gli argomenti che ho indicato anche nelle precedenti risposte.
Certamente, mi dolgo altrettanto per il coinvolgimento dei manifestanti pacifici in eccessi che - lo ripeto - ho tentato in tutti i modi di scongiurare. Ribadisco, comunque, le considerazioni che ho svolto, perché questo è un neo non solo nostro, ma, purtroppo, anche di altre polizie: su decine di migliaia di appartenenti alle forze dell'ordine è fisiologico che qualcuno non sappia tenere i nervi a posto; tutto sta nel selezionare sempre di più i contingenti. Il tema centrale dei prossimi mesi e forse dei prossimi anni riguarderà la tenuta dell'ordine pubblico così come si conviene ad un paese civile. Allora, bisogna costruire molto per arrivare a tale risultato e il primo passo è quello di procedere ad una selezione sempre più accurata di chi va a fronteggiare l'ordine pubblico. Questo è, infatti, il segno della democrazia del paese: il modo in cui


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viene fronteggiata una situazione anche grave di ordine pubblico. Riconosco che dobbiamo impegnarci molto e rapidamente in ciò per conseguire risultati di questo tipo.
LUCIANO MAGNALBÒ. Signor prefetto, desidero ringraziarla anch'io per la chiarezza, l'assunzione di responsabilità e le indicazioni che ci ha fornito senza riserve anche in relazione al ruolo del capo della Polizia che dall'unità d'Italia - come lei ha affermato - è la figura centrale per quanto concerne la sicurezza e l'ordine pubblico; ciò significa molto. La domanda che volevo rivolgerle, la più importante, era quella cui lei ha già risposto e cioè quale sarà il futuro per le forze dell'ordine e per l'ordine pubblico, attesa la differenza che esiste e che sta emergendo in questi lavori fra ordine pubblico e guerriglia urbana. Lei ci ha fornito alcune indicazioni e per ciò la ringrazio.
Innanzitutto, vorrei chiederle come mai lei fu inserito nella struttura di missione e poi non venne invitato alle riunioni del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica tenutesi proprio in merito al G8.
In secondo luogo, vorrei sapere se nel suo ruolo ebbe mai contatti con i rappresentanti delle tute bianche e, in caso affermativo, con chi.
In terzo luogo, vorrei conoscere il suo pensiero sui black bloc - un'associazione per delinquere o, quanto meno, un'associazione sovversiva (secondo quanto riportato a pagina 11 del suo elaborato) - e sulle tute bianche che «hanno sferrato un massiccio attacco con strumenti di ogni tipo agli sbarramenti di via XX Settembre con l'inserimento di gruppi dei black bloc e di altri componenti dell'ultrasinistra», nonché sul collegamento tra tute bianche, secondo ciò che è emerso, e il rapporto dei servizi segreti che già ne avevano parlato, delineandone la figura.


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Per quanto riguarda la questione concernente l'ordine pubblico e la guerriglia urbana, vorrei ricordare rapidamente che anche la guerriglia urbana è ordine pubblico. Non farei distinzioni in proposito. I reparti preposti all'ordine pubblico devono essere in grado di affrontare anche la guerriglia urbana perché così è stato in passato. La guerriglia urbana non è nata a Genova; l'avevamo dimenticata, ma aveva imperversato in Italia e in diverse città. Tutti ricorderemo il primo caso che scosse l'opinione pubblica relativo alla morte dell'agente Annarumma a Milano, nonché il famoso rapporto del prefetto di Milano Mazza che verteva proprio su questi temi. Purtroppo, o per fortuna, il paese non pensava che la guerriglia urbana potesse ritornare sulle piazze così come non pensava che il terrorismo delle Brigate rosse potesse tornare ad imperversare in Italia. Tutti, infatti, eravamo convinti di essere usciti dagli anni di piombo e che sul terrorismo avessimo riportato una vittoria, non solo sotto il profilo della repressione e del perseguimento penale, ma anche sotto il profilo politico; eravamo, cioè, convinti che il discorso della politica delle armi fosse stato cancellato per sempre dalla nostra storia. Purtroppo, due anni fa o più, ci siamo risvegliati nuovamente con il simbolo delle Brigate rosse e con alcune ritualità che credevamo fossero state eliminate per sempre.
Per quanto riguarda le modalità con cui sono stato inserito nella struttura di missione, bisogna considerare le date. Sono stato inserito nella struttura di missione con decorrenza dal 1o luglio; le riunioni del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica alle quali non ho partecipato, perché non convocato, risalgono al 16 novembre 2000, al 28 marzo 2001, al 16 maggio 2001, al 24 maggio e al 6 giugno; l'ultima riunione, quindi, si è tenuta il 6 giugno.


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Non era quella l'investitura che poteva legittimarmi a partecipare ai comitati. Avrei potuto essere egualmente convocato: non lo sono stato, di fatto. Questa è la realtà delle cose.
Per quanto riguarda i contatti con le tute bianche, ricevevo una serie di informazioni dall'UCIGOS e, mediate attraverso l'UCIGOS, anche dai Servizi sulle intenzioni delle tute bianche. Personalmente non ho avuto con loro alcun contatto, a nessun livello. Non so come il SISDE e l'UCIGOS riuscissero ad avere notizie dall'interno delle tute bianche: devo presumere attraverso infiltrazioni dentro questa compagine. Ovviamente, però, si tratta di argomenti che meritano il massimo della riservatezza perché attengono a metodi di intelligence che non rappresentano nulla di illegale, ma che, comunque, vanno tutelati.
Per quanto riguarda l'applicazione dell'ipotesi di associazione sovversiva anche per le tute bianche, ci sono stati molti problemi ad applicarla anche ai gruppi anarco-insurrezionalisti perché l'associazione sovversiva non è un'ipotesi facilmente controllabile sul piano giudiziario. Tenga conto, senatore, che vi è stato un processo a Roma, non troppo tempo fa, nei confronti di un gruppo di stampo anarco-insurrezionalista (poi si è rivelato un misto, al suo interno vi era anche della criminalità bella e buona, tant'è che tale gruppo si rese responsabile di un sequestro di persona, il sequestro Silocchi). Ebbene, molti degli imputati sono stati condannati per alcuni reati specifici, ma la Corte non ha ritenuto che sussistessero gli estremi dell'associazione sovversiva. Francamente, quindi, ritengo che proporre l'associazione sovversiva anche per le tute bianche si rivelerebbe un insuccesso totale. Bisogna, infatti, tenere presente la realtà del movimento antagonista nel quale si agitano due anime: le tute bianche, i centri sociali del nord-est rappresenterebbero quella che viene definita l'anima


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dialogante, quella della carta di Milano; dall'altra parte, invece, ci sarebbe l'autonomia di classe con punte di irriducibilità ben maggiori.
FRANCO BASSANINI. Ci ha dato una visione generale di tutta la problematica molto interessante. Vorrei farle innanzitutto qualche domanda generale. La prima è questa: lei conviene con me che gli obiettivi da perseguire in questa vicenda fossero sostanzialmente quattro? Si trattava di proteggere il G8; garantire la libertà di manifestazione, purché pacifica; evitare violenze a persone e cose; evitare violenze, anche isolate, nei confronti di persone inermi e/o arrestate. Se lei conviene che questi quattro fossero gli obiettivi, qual è la sua valutazione sul modo in cui sono stati raggiunti? Condivide che è stato raggiunto il primo in maniera assolutamente adeguata, ma gli altri tre sono stati raggiunti solo parzialmente? Forse, il termine défaillance è perfino eufemistico.
Le pongo una seconda domanda. Lei ha identificato, mi sembra molto esattamente, nel rischio di infiltrazione parassitaria di gruppi violenti il vero nodo della questione. Le chiedo: è stato fatto tutto il possibile per tenere separati i gruppi violenti dai gruppi pacifici? So che vi è, probabilmente, una zona grigia, però mi pare di capire - me lo confermi se è vero - che si fosse di fronte a qualche migliaio di violenti, a qualche migliaio di disposti a tollerare e coprire la violenza, ed a centinaia di migliaia di appartenenti a organizzazioni (penso a Pax Christi, alla Caritas, a Legambiente, ai boy scout, all'ARCI e così via) che con la violenza hanno un rapporto storico di rifiuto. È stato fatto tutto il possibile?
Ulteriore domanda. Fino ad un certo punto il Governo Amato discuteva con le organizzazioni non governative riconosciute. Da un certo punto in poi si è ritenuto - forse con una scelta giusta, non la sto criticando - di trattare con il


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Genoa social forum. In quel momento, si è tenuto conto di questa realtà complessa e si è chiesta agli interlocutori una precisa garanzia in ordine al rapporto tra gruppi e organizzazioni pacifiche - la grande maggioranza - e gruppi violenti? Il questore Colucci ci ha detto che ad un certo punto si è deciso di trattare con Casarini. Ci ha detto anche che, nel frattempo, arrivavano intercettazioni che dicevano - non so se è vero, ce l'ha detto Colucci - che Casarini prometteva pace per il 19 e guerriglia per il 20 ed il 21. Risulta anche a lei di tali intercettazioni? Sono vere? Ma, se lo sono, perché si è deciso di trattare con Casarini legittimando chi nelle intercettazioni avrebbe detto - se è vero - cose di questo genere? È importante per noi sapere se è vero. Se queste intercettazioni ci sono state, è possibile che le conoscesse il questore di Genova e non il vicecapo della Polizia che è stato delegato, ad un certo punto, dell'unità di missione?
Due ultime domande. Lei dice ad un certo punto della sua relazione: valeva la pena di creare una situazione di grave rischio per l'incolumità dei manifestanti in genere e anche degli appartenenti alle forze dell'ordine per salvare dei beni materiali? Vorrei essere chiaro, dottor Andreassi, so bene quale differenza ci sia tra l'incolumità delle persone, e, quindi, la violenza alle persone, e la violenza sulle cose. Però mi chiedo: tollerare devastazioni alle cose, in una situazione di questo genere, non costituisce l'inizio di un processo di degrado che, poi, finisce col mettere a rischio anche l'incolumità delle persone? La tolleranza che vi è stata (e che sembra emergere anche dalla sua relazione come una scelta) nei confronti delle devastazioni urbane dei black blok e forse di altri, è stata proprio una scelta giusta, col senno di poi? O non sarebbe stato meglio avere maggiore determinazione fin dall'inizio anche nei confronti della violenza sulle cose?


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Infine, Napoli. Io ero presente a Napoli. Quando è iniziata l'azione dura i manifestanti si trovavano a meno di cento metri dal teatro San Carlo, dove 1.200 delegati di 122 governi stavano svolgendo il terzo Global forum. In quel momento, vi è stata la necessità di evitare quello che era l'obiettivo evidente e quasi raggiunto da alcuni manifestanti (la zona di protezione lì era piccolissima: avevamo deciso con il prefetto ed il questore di Napoli di farla più piccola possibile per evitare disagi). Quindi, vi era una situazione che in quel momento, come dissi poi il giorno dopo in un'intervista a la Repubblica, legittimava una reazione anche abbastanza dura. Infatti, anche il primo degli obiettivi, quello che a Genova è stato assolutamente garantito (mi riferisco alla regolarità della conferenza internazionale) rischiava di essere compromesso. Questa differenza con Napoli, forse, andrebbe sottolineata.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Gli obiettivi che si dovevano raggiungere e che lei ha sintetizzato sono effettivamente quelli che si volevano e si dovevano perseguire. Indubbiamente, come è stato più volte affermato, il primo è stato egregiamente raggiunto; qualche volta, si è detto, a scapito degli altri.
FRANCO BASSANINI. Io non l'ho detto.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. No, lei non l'ha detto, ma è stato asserito in altre occasioni. Credo si sia raggiunto, nonostante tutto, tenuto conto anche delle proporzioni dell'evento, l'obiettivo di garantire la libertà di manifestazione nelle forme più varie scelte dalle diverse componenti del Genoa social forum, dalle piazze tematiche e dai luoghi di riunione del 20...
FRANCO BASSANINI. Vi sono manifestanti pacifici che sono stati picchiati, magari da altri manifestanti o dalle forze dell'ordine...


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Infatti, poi, sarei addivenuto alla trattazione degli altri due obiettivi da lei elencati, obiettivi per i quali vale l'argomento che si è fatto tutto il possibile nonostante il mancato conseguimento - da me ammesso più volte - di un pieno successo nel loro perseguimento.
Per quanto riguarda la libertà di manifestazione, torno a ribadire che, anche attraverso intese con i rappresentanti locali di alcune delle componenti del Genoa social forum, sono stati fatti grandi sforzi per dare ad ognuno il suo spazio; abbiamo, addirittura, «fatto violenza» alle nostre stesse regole di sicurezza, per consentire alla CUB di manifestare a Ponente; al corteo dei migranti del 19 luglio di poter partire dall'interno della zona gialla e di poter, poi, andare a Levante. Infine, abbiamo consentito ad ognuno, nella giornata del 20 luglio, tra i gravi momenti di tensione verificatisi, culminati nella morte di Giuliani, di esprimersi lì dove aveva chiesto di poter manifestare. Il grande corteo del 21 luglio ha avuto momenti di grande difficoltà, ad un certo punto, si è spezzato; però, la manifestazione ha avuto un suo epilogo. Credo che dobbiamo rimproverarci per diversi motivi, ma credo altresì che i principi generali di un assetto civile e democratico del paese siano stati da noi garantiti. Infatti, abbiamo consentito ai Capi di Stato di riunirsi senza subire aggressioni; abbiamo apprestato analoga garanzia di incolumità, come ha ripetuto opportunamente il questore, ad una parte notevole della città, composta, in quel momento, non solo da 15 mila ospiti più o meno autorevoli ma anche da 35 mila abitanti della città medesima residenti nella zona rossa. Abbiamo, quindi, garantito come meglio potevamo la libertà di manifestare.
Quanto alle violenze gratuite, non posso che ribadire il mio rammarico ed aspettare gli esiti delle inchieste in corso; mi


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auguro che, se si riuscirà a portare avanti quella selezione e quell'addestramento del personale assolutamente essenziali, non accadano più simili fatti, che certamente non dovevano succedere.
Quanto alla possibilità, spesso da noi tradotta in realtà in altre circostanze - la sua è una giusta osservazione -, di tenerli separati, se si è mancato l'obiettivo è perché non si sono verificate le condizioni per esempio inveratesi a Milano (caso da lei ricordato); colà, la componente era locale e facilmente individuabile. Infatti, è stato facile, in quella occasione, con la capacità di collaborazione del resto della manifestazione, individuare ed isolare quella autonomia di classe che voleva infiltrarsi. Parlo di capacità, di possibilità di collaborazione; non di volontà. Molto probabilmente... anzi, sono sicuro che il Genoa social forum, se avesse potuto, avrebbe circoscritto i violenti ma neppure questa organizzazione vi è riuscita. Noi, d'altronde, non siamo riusciti ad intervenire come volevamo per accerchiarli e cercare di interrompere le devastazioni. Qualche volta, per la verità, vi siamo riusciti ma altre volte no, del che mi dolgo.
Non mi risulta che si sia trattato con Casarini; certamente, non l'ho fatto io. Quanto, inoltre, alla scelta degli interlocutori - lei, infatti, ha fatto riferimento alle organizzazioni non governative ed al Genoa social forum, il discorso retrodata, se non vado errato, al 5 aprile, quando si è verificato tra il capo di gabinetto del ministro dell'interno ed il prefetto di Genova un primo contatto con quanti si proponevano quali rappresentanti del Genoa social forum. Ebbene, non sono stato io a scegliere tali interlocutori e non ho, almeno significativamente, partecipato alle trattative; ho accompagnato una volta, ma


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senza prendere la parola, il capo della Polizia nel primo incontro, mi sembra, da questi avuto a Genova con i rappresentanti del Genoa social forum, guidati da Agnoletto.
FRANCO BASSANINI. In quale data?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Mi sembra che fosse a giugno ma, francamente, non ricordo la data che, tuttavia, posso verificare. Inoltre, la data - mi scusi, senatore - è desumibile anche dalle agenzie e dalla stampa che l'hanno ampiamente commentata.
Certamente, non volevo assimilare, in una esemplificazione ridicola o banale, i rischi di danni alle persone ai danni alle cose, né, tuttavia, ciò ha costituito una scelta inesorabile dei nostri criteri di intervento; piuttosto, abbiamo cercato di impedire anche le devastazioni alle cose perché, francamente, ripugnava a tutti vedere i teppisti divertirsi a distruggere la città. Adesso, però, torno a pormi quel quesito, ma non per giustificare una mancanza di determinazione nell'intervento; abbiamo, infatti, cercato in tutti i modi di intervenire, a volte con l'esito sperato, altre volte riuscendo, ma non come avremmo voluto e altre volte ancora, infine, invano. Ricordo benissimo che, in un paio di occasioni, assembramenti, divenuti teatro delle peggiori nefandezze per quanto riguarda le azioni violente contro le cose, sono stati poi risolti con interventi decisi, approntati con mezzi che noi tenevamo ormai nei garage delle nostre caserme e che pensavamo di non utilizzare mai più. Mi riferisco, ad esempio, ai blindati gommati; quindi, abbiamo usato anche tali mezzi, abbiamo nuovamente utilizzato gli idranti che non si vedevano più da decenni sulle piazze; abbiamo previsto, inoltre, l'uso dei cavalli. Infatti, per quanto delicato quest'ultimo strumento possa essere, erano pronti anche squadroni a cavallo. Sono


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mancate - torno a dirlo - le condizioni per le quali tutti questi strumenti avrebbero potuto raggiungere l'effetto sperato.
Quanto a Napoli, certamente le condizioni sono state molto diverse; prendo atto della distinzione da lei fatta per cui lì, certamente, essendo i contestatori - situazione non verificatisi a Genova - arrivati a ridosso del summit, bisognava intervenire.
Non ho voluto muovere alcuna critica sull'intervento, ma rispondere alle accuse - formulate allora da più parti - che sostenevano che lo stesso era stato eseguito senza lasciare ai manifestanti la possibilità di fuga, cosa di cui ci siamo, invece, premurati - memori di questo precedente - il giorno in cui c'è stato il tentativo di sfondamento della zona rossa a piazza Verdi.
FILIPPO ASCIERTO. Presidente, devo segnalare una questione. Lei è persona molto garbata e sta conducendo nel modo ottimale i lavori di questa Commissione.
Nel resoconto stenografico di ieri, a pagina 226, e mi dispiace che questa mattina non ci sia l'onorevole Boato, si fa riferimento al mio status di «maresciallo» con una certa ironia.
Mi dispiace perché per me è motivo di orgoglio essere stato per 21 anni al servizio dei cittadini in strada come scelta di vita e di essere tuttora maresciallo dell'Arma dei carabinieri: sostengo tutto ciò con l'orgoglio di un servitore dello Stato, che ho rivisto nel prefetto Andreassi e nel questore di Genova.
Pertanto, se l'ironia da me ravvisata dovesse essere tale, ciò certamente non farebbe piacere a me e neanche a quei 27 mila marescialli dell'Arma dei carabinieri che, modestamente, potrei rappresentare e a tutti quei marescialli che, con il loro spirito di sacrificio, e soprattutto con il contributo di sangue,


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hanno difeso i cittadini e anche l'onorevole Boato (Commenti del senatore Turroni).
Io non ritengo che la sua difesa nei confronti della Polizia sia corporativa e gliene va dato atto perché è giusto rimettere a posto le cose in modo chiaro, aggressori e aggrediti. Fa male a chi sostiene che vi sia una difesa corporativa o a coloro che vogliono difendere la Polizia ascoltare quel grido di «assassini, assassini», quel grido che si è levato dalle piazze e che ha offeso le forze dell'ordine.
In rapida successione vorrei formularle alcune domande.
Il 12 giugno il capo della Polizia aveva formato uno staff di cinque persone: oltre a lei, chi altro c'era in questo staff? In relazione alla sua assegnazione di missione ha avuto il tempo necessario, sotto il profilo personale, per prendere possesso dell'organizzazione ?
Si sono svolti dei comitati nazionali per l'ordine e la sicurezza pubblica, quanti se ne sono tenuti di questi comitati e a quanti lei ha partecipato ?
ANTONIO SODA. È agli atti.
FILIPPO ASCIERTO. Lo so che sono agli atti, vorrei farlo ripetere. A pagina 8 della sua relazione ha parlato di tardivo alloggiamento dei Capi di Stato: in che misura tutto ciò ha influito sull'ordine pubblico ?
Quali sono i movimenti antagonisti che lei ha indicato (secondo una sua affermazione riportata a pagina 18 della relazione)? Qual era il numero dei violenti? Se a questi uniamo le tute bianche, a quanto ammonta il totale complessivo? Chi ha sollecitato e promosso le iniziative che hanno portato alla perquisizione alla scuola Diaz?
Chi ha impartito le direttive e chi materialmente dirigeva - perché ci sono state due riunioni - la seconda riunione,


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quella organizzativa? Qual è il ruolo dei reparti mobili e a chi è subordinato durante l'ordine pubblico, oppure è autonomo nel servizio e nell'applicazione dello stesso servizio? Se non era autonomo, chi era il responsabile sul posto alla Diaz, da cui dipendeva funzionalmente ?
Qual era il ruolo di Gratteri ? Nell'episodio della Diaz, c'era sul posto il prefetto Gratteri ?
A Brignole il 20, giorno in cui era proibito qualsiasi tipo di corteo, se ne era formato uno con manifestanti che indossavano caschi e scudi in plexiglass. La DIGOS relaziona che c'erano dei parlamentari alla testa di questi manifestanti, lei è stato informato di ciò ? C'è qualche parlamentare che ha chiamato il 113 e ha denunciato la presenza di violenti a Brignole ?
Il questore l'ha informata che parlamentari telefonavano a lui o ad altre persone presenti in sala operativa e chiedevano prima la presenza della Polizia davanti al corteo e, poi, altri che telefonavano dicendo che bisognava eliminarla perché provocava ?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Scusatemi se dirò una battuta analoga a quella che ho fatto all'onorevole Boato: beato lei, onorevole Ascierto, che è ancora maresciallo, perché io invece, in questo momento, non appartengo più neanche al dipartimento di pubblica sicurezza. Dopo trent'anni di servizio, non solo non appartengo più alla Polizia di Stato perché mi è stato concesso l'onore di essere nominato prefetto, ma non appartengo più neanche al dipartimento, essendo stato collocato all'ispettorato di amministrazione.
MARCO BOATO. Sarà per un breve periodo...


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Me lo auguro di cuore, per una questione di dignità e di orgoglio, ma anche per la voglia di fare ancora.
MARCO BOATO. Glielo auguriamo anche noi.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Sono contento che la mia difesa della Polizia sia stata percepita e valorizzata, perché, come lei ha detto, non si è trattato di una difesa corporativa. Non ne ricorrono i presupposti, perché la Polizia di Stato e l'Arma dei carabinieri sono così speculari rispetto alla società che non credo si possa vedere in essi una corporazione che può entrare in contrasto con altre componenti della comunità nazionale.
Veniamo agli argomenti più specifici. Il 12 giugno venne costituito lo staff, composto oltre che da me - come si può rilevare dall'appunto che allegherò alla relazione - dal prefetto Manganelli, che aveva il compito di sovrintendere all'attività di controllo della zona rossa e dei carrugi, dal prefetto Longo, dal prefetto La Barbera e dal prefetto Pansa.
Ho cominciato a interessarmi dei problemi del G8 - sia pure in un'ottica diversa da quella dell'ordine pubblico - dal mese di aprile, da quando cioè il capo della Polizia, con quella circolare interna, fece carico alle altre direzioni centrali di informare me di tutto quello che si stava realizzando non solo sotto il profilo dell'ordine pubblico, ma soprattutto sotto l'aspetto organizzativo: come affrontare il G8?
Ho indicato poc'anzi i comitati nazionali e non ho partecipato ad alcuno di essi. Sono cinque e vanno dal 16 novembre fino al 6 giugno. Non ho partecipato ad alcun comitato; ho partecipato, invece, quando poi sono andato Genova, a conferenze, riunioni di servizio (non so quale sia il termine esatto), convocate dal prefetto, qualche volta su mia indicazione,


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con i rappresentanti delle altre forze dell'ordine e con ufficiali delle Forze armate, per mettere a punto i nostri dispositivi. Allo stesso modo, partecipai ad una conferenza regionale che il prefetto convocò e che è stata ricordata anche nelle precedenti audizioni.
Il problema della collocazione delle delegazioni, e in particolare di quella degli Stati Uniti, è stato dibattuto fino all'ultimo momento. Potrò poi indicare con esattezza la data in cui la delegazione degli Stati Uniti ha sciolto la riserva relativa alla scelta di alloggiare - presidente Bush compreso - a Rapallo o, invece, accogliendo il suggerimento dato dal MAE, sulla European Vision. Abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili per supportare l'azione del Ministero degli affari esteri al fine di convincere le delegazioni dei capi di Stato e di Governo ad andare ad alloggiare sulla European Vision perché, tra l'altro, la nave è stata messa a nostra disposizione con uno strettissimo margine rispetto all'arrivo delle delegazioni. Sarebbe stato opportuno che questo margine fosse stato maggiore perché, dovendo collocare alcuni capi di Stato all'interno di una nave, sarebbe stata necessaria una bonifica assolutamente seria e meticolosa, per evitare quantomeno situazioni ridicole, quali la presenza di un petardo in una cabina. Abbiamo dovuto fare quindi sforzi inimmaginabili per rassicurare le delegazioni che avremmo garantito comunque, con i nostri artificieri, la bonifica del natante, che ci è stato messo a disposizione solamente negli ultimi giorni. Antecedente di pochi giorni è stata la scelta definitiva della delegazione americana di andare ad alloggiare al Jolly Hotel Marina. Ovviamente, tutto questo ha comportato gravi problemi perché solo all'ultimo il questore ha potuto calibrare bene i servizi. Infatti, se la delegazione americana fosse andata ad alloggiare a Rapallo, tutto si sarebbe enormemente complicato.


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Quali sono le componenti del movimento antagonista? Credo di essere stato abbastanza puntuale, anche se non preciso, quando ho detto che questa vasta area -che in quella riunione del 13 giugno indicai come area a rischio, contro cui non c'era altro metodo che la contrapposizione e lo scontro - era composta, oltre che dalla componente anarco-insurrezionalista, dai cosiddetti «spezzoni dell'autonomia di classe», cioè da alcuni di quei centri sociali non dialoganti a cui ho fatto riferimento prima. Quanti erano costoro? Il nocciolo duro era composto all'incirca di 2.500 persone, ma se ricomprendiamo anche le tute bianche, che pure hanno esercitato una loro violenza, arriviamo a circa 10 mila persone, se non oltre.
Per quanto riguarda la scuola Diaz, francamente, onorevole Ascierto, non voglio ritornarvi, perché mi sembra di aver dato elementi abbastanza chiari per dire che io ne sono fuori. Non voglio assumermi un onere aggiuntivo, non ne ho bisogno. Non so che cosa sia successo sul posto perché, a dimostrazione del fatto che io con la vicenda non c'entro, se non nel senso che ho indicato prima, vi è il fatto di non aver partecipato alla riunione definitiva, quella di carattere operativo, ammesso che vi sia stata una riunione prima, dal momento che, forse, poc'anzi si è enfatizzato un po' sul senso della riunione.
Non dico che ci dovessero essere i commessi fuori dalla porta e il maggiordomo che annunciasse gli ingressi, ma stavamo tutti nell'ufficio del questore e c'era chi entrava e chi usciva; quindi, forse è un po' enfatico parlare di riunione. Comunque, non ho partecipato alla riunione -tale era - in cui fu deciso chi e come dovesse intervenire.
FILIPPO ASCIERTO. È vero che la dirigeva La Barbera?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Nella sala riunioni c'erano La Barbera ed il questore, oltre al dottor Gratteri: lei ha


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ricordato che c'era anche il dottor Gratteri ed a quanto mi risulta questi era sul posto; ma io non vi ero.
Qual è il ruolo dei reparti mobili? L'ho indicato prima. Il reparto mobile non ha una sua autonomia di intervento: ha un comandante che addestra, organizza, gestisce il reparto, lo impiega secondo le indicazioni che gli vengono date dal dirigente del servizio di ordine pubblico; questo è il reparto mobile. Sul ruolo di Gratteri mi sembra di avere già accennato qualcosa; comunque, Gratteri era lì e quella mattina si era anche occupato dei primi arresti, che erano stati operati in occasione dell'individuazione, in quell'area famosa di Levante, di quel furgone dal quale venivano distribuite mazze e quant'altro ai manifestanti; proprio il dottor Gratteri ha coordinato la perquisizione e gli arresti che ne sono conseguiti. Alla domanda se ci fossero alcuni parlamentari alla testa del corteo delle «tute bianche» francamente non so rispondere; non lo so, non lo so.
Lei ha fatto altre due domande, ma forse ho perso l'appunto.
FILIPPO ASCIERTO. Gliele ripeto. Anzitutto, ho chiesto di sapere se siano state fatte segnalazioni (per mezzo del 113 o di persona), da parte di parlamentari, concernenti la presenza di violenti a Brignole, dove stavano.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Non mi consta, non mi risulta, ma potrebbero essere state fatte. Non so rispondere.
FILIPPO ASCIERTO. Ho chiesto, inoltre, se siano intervenute pressioni per spostare gli uomini della Polizia da dove erano stati disposti e per posizionarli dapprima davanti al corteo e poi per toglierli, come ci ha detto il dottor Colucci ieri.


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Sì, credo che quello che ha riferito Colucci corrisponda a quanto risulta anche a me.
LUCIANO VIOLANTE. Mi pare che le cinque cose che non sono andate bene, i cinque fenomeni patologici verificatisi a Genova, siano stati: la morte di Giuliani, le violenze di gruppi di manifestanti contro la Polizia, le violenze di gruppi di manifestanti contro le cose, le violenze di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine contro manifestanti inermi e le violenze di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine contro i fermati e gli arrestati. Queste sono le cinque cose patologiche che sono accadute; se non si fossero verificate queste, non staremmo qui.
Poiché, giustamente, si parla di violenze in termini generali, si può distinguere tra quel tipo di violenza esplicatasi nei confronti delle forze di polizia - per sfondare il blocco, e così via - e le altre forme di violenza, quelle contro le cose? In altre parole, voi avete notato una diversificazione degli obiettivi? Pongo questa domanda perché a pagina 21 della relazione da lei depositata è scritto: a Genova l'aspirazione dei black bloc era quella di risucchiare reparti di polizia per indebolire la difesa della «zona rossa» e consentire ad altre componenti del movimento di penetrarvi. Se così fosse, ci sarebbe stata una sorta di sinergia tra le varie operazioni - molto più programmata che accidentale - e in questo modo si comprenderebbero anche le ragioni che hanno indotto ad una certa prudenza nell'intervenire nei confronti delle violenze alle cose: lo scopo sarebbe stato quello di evitare di sguarnire zone che dovevano essere tutelate e in cui si poteva realizzare quel tipo di obiettivo che non doveva realizzarsi, cioè lo sfondamento della «zona rossa». Le chiedo questo perché uno dei punti di fondo che non si è ancora riusciti a definire bene - vi ha accennato anche il senatore Bassanini - è lo scarto


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avutosi tra la qualità della preparazione e, come dire, la criticabilità della gestione; a questo proposito, volevo sapere, in sostanza, se avevate messo in conto alcuni elementi, alcuni dati da guerriglia ritenendoli un costo meno rilevante rispetto al rischio che si sguarnisse la zona che doveva essere difesa, con risultati che sarebbero stati, a quel punto, veramente disastrosi. Volevo capire questo. E che la guerriglia ci sarebbe stata lo si sapeva, perché c'era già stata a Seattle ed a Göteborg. Quindi, tutto questo era già chiaro.
Seconda questione. Il ministro dell'interno è l'autorità nazionale per la sicurezza - è così? - e il questore è l'autorità locale: sono questi i due soggetti della sicurezza? A me interessa capire come si svolge il rapporto tra l'autorità nazionale e l'autorità locale: non tanto e non solo come esso si sia svolto nel caso concreto, ma proprio quale sia il rapporto, diciamo così, teorico, da manuale, tra un soggetto e l'altro sulla base delle leggi, delle prassi e delle relazioni.
Terza questione. Ho l'impressione, signor prefetto, che praticamente siamo andati a Genova con l'idea dell'ordine pubblico contrattato, cioè il vecchio ordine pubblico, quello in cui ci si rivolgeva al servizio d'ordine della manifestazione e si stabiliva come si dovessero sviluppare le cose: lo sappiamo perché tutti lo abbiamo fatto in occasione di manifestazioni; però, una tale idea esige due cose: in primo luogo, che la manifestazione sia organizzata da un soggetto egemone e, in secondo luogo, che tale soggetto sia attendibile. Ebbene, ho l'impressione che, nel caso di specie, non ricorresse alcuna di queste due condizioni, per ragioni anche indipendenti dai soggetti coinvolti. Voi, però, sapevate che era così: le intercettazioni e tutto il resto avevano consentito di stabilire, anzitutto, che le organizzazioni erano 700 o 800 e, inoltre, che otto decimi di esse erano organizzazioni, come dire, assolutamente


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in regola, e due decimi, forse, un po' meno; però, si tratta di quei due decimi che hanno generato i disordini. Mi chiedo per quale motivo si sia seguita ancora l'idea della possibile negoziazione dell'ordine pubblico quando non c'erano quelle caratteristiche. Non c'era altro da fare? Può darsi. O, comunque, era opportuno, per ragioni di «tenuta», mantenere un filo, un dialogo o altro? Serve per capire.
L'ultima questione che desidero affrontare concerne la visita dell'onorevole Fini (di cui ha parlato), il quale era - credo - la più alta autorità politica presente a Genova, poiché il Presidente del Consiglio era impegnato in altre cose e il ministro dell'interno non è mai stato a Genova in quei giorni, mi pare.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. No.
LUCIANO VIOLANTE. Quindi, l'autorità politica più alta era il Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Qual è stato il senso della visita del Vicepresidente del Consiglio, autorità politica di livello più alto in quel momento a Genova, presso - se non ho inteso male l'accenno da lei fatto - gli uffici della questura?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il ministro è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Quali sono - lei chiede, presidente - i rapporti, come si snodano, come si atteggiano i rapporti tra il ministro, autorità nazionale, e le autorità locali di pubblica sicurezza? Per quanto attiene alle scelte - forse vado al di là del tenore della norma, che adesso non ricordo neppure perfettamente, ma quello che dirò corrisponde un po' al mio modo di intendere il rapporto tra queste componenti di vertice -, il ministro, ovviamente, dialoga, può dialogare con il prefetto per quanto concerne, appunto, le scelte politiche di


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massima relative all'ordine pubblico, ma, se il tema diventa eminentemente tecnico, a quel punto, al di là della previsione normativa, che parla di autorità nazionale di pubblica sicurezza in capo al ministro, c'è una autorità nazionale tecnica di pubblica sicurezza che si identifica con il capo della Polizia, il quale interviene, a seconda del taglio e delle necessità, sia sul prefetto sia sul questore, oppure interviene con altri accorgimenti, quali quello della creazione di uno staff, così come ha fatto incaricando me di andare a Genova.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Sulla logica della contrattazione, effettivamente, l'atteggiamento mentale che può aver condizionato certe scelte di dialogo può essere di stampo un po' antico, più adatto ad altre circostanze: in questo caso avevamo di fronte una componente con la quale, comunque, non era possibile avere alcun tipo di dialogo (mi riferisco alla componente che ha creato problemi in tutto il mondo e che continuerà a crearne). Quanto alla scelta degli interlocutori, direi che l'operazione è stata inversa e cioè sono stati alcuni soggetti che si sono presentati alle autorità come interlocutori validi per tutto il Genoa social forum, sollecitando un colloquio, eminentemente spinti da esigenze di carattere organizzativo legate alla necessità di far convenire a Genova decine e decine di migliaia di manifestanti, di trovare, per loro, luoghi di accoglienza, di convincere i manifestanti a venire a Genova, non solo sulla base degli spazi che sarebbero stati loro assicurati, ma anche sulla base delle manifestazioni che sarebbero state, poi, effettivamente, svolte, poiché questo è il motivo che, alla fine, spinge un manifestante ad intervenire o meno. C'è stata dunque una sorta di inversione dei ruoli. In ogni caso su questo punto io non sono intervenuto molto, o meglio, sono intervenuto soltanto nel momento in cui tutto si era ridotto agli spiccioli, a cioè dover contrattare o, per meglio


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dire, indicare alle componenti del Genoa social forum dove e come poter svolgere le manifestazioni in maniera che una componente non andasse ad interferire con le altre e non si venissero a creare situazioni rischiose.
Per quanto riguarda la visita del Vicepresidente del Consiglio Fini, si è trattato eminentemente di un saluto breve fatto al questore. Io mi trovavo lì ed ho quindi ritenuto di presentarmi anch'io all'onorevole Fini: lo abbiamo accompagnato nella sala operativa per fargli vedere come eravamo organizzati.
LUCIANO VIOLANTE. Che giorno era?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Era il 21 luglio mattina.
Dopo di che l'onorevole Fini - lo ripeto, la visita sarà durata un quarto d'ora - si è recato probabilmente, per quanto ho capito, a fare analoga visita ai carabinieri.
LUCIANO VIOLANTE. Sulla prima questione, quella relativa alla guerriglia - non so se le sia sfuggito - vorrei sapere perché non c'è stato il contrasto alla guerriglia, anche perché, un domani (speriamo mai) potremmo trovarci nuovamente di fronte a problemi del genere.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il rischio che l'azione del black bloc, programmata o meno - non è detto che debba esservi un disegno organico però non dobbiamo dimenticare che tutte le componenti, anche quelle più pacifiche, avevano, quanto meno, l'obiettivo di boicottare o interrompere il vertice, con diverse gradazioni di violenza potesse tendere anche all'invasione della zona rossa era plausibile, ed è proprio per questo motivo che abbiamo concentrato gli sforzi proprio su tale zona. È chiaro che, alla luce di questa esperienza, dovremo aggiustare, di molto, i nostri dispositivi per le future occasioni.


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Certamente sarà anche necessario - questo è forse il nodo centrale, ma è una questione che richiederà tempi non brevi - formare dei funzionari per la gestione dell'ordine pubblico, perché situazioni di notevole impegno non possono più essere affrontate prendendo funzionari a caso o cercando di regolarsi sulle pregresse esperienze dei singoli, anche perché ogni esperienza è una storia a sé: Genova non è come Bologna, Bologna non è come Trieste. Credo bisognerà concentrare molto gli sforzi per creare una equipe di funzionari che si occupino di ordine pubblico, che siano reclutati non perché, di volta in volta, disponibili ma perché formati a tal fine; devono poi essere stabiliti tra i vari funzionari incaricati di tutelare l'ordine pubblico - gli ufficiali dell'Arma dei carabinieri che comandano i battaglioni ed i comandanti della Polizia di Stato dei reparti mobili - quei rapporti che ho cercato di indicare. Ciò ha sempre costituito, presidente Violante, un nodo importante della gestione dell'ordine pubblico anche quando, e forse ancora di più, la Polizia non era disciplinata dalla legge n. 121, ma vi erano un corpo delle guardie di pubblica sicurezza e dei comandanti dei reparti mobili. In quella situazione il distacco di vedute tra il dirigente del servizio e il comandante poteva essere ancora più accentuato di quanto non sia ora.
PRESIDENTE. Sino ad ora sono intervenuti otto colleghi, ne mancano ancora dieci.
Ricordo che ieri, nel corso della riunione dell'ufficio di presidenza avevamo convenuto che sia le domande sia gli interventi avrebbero dovuto essere veramente sintetici per consentire un ordinato andamento dei lavori, altrimenti saremo costretti a modificare continuamente il calendario dei lavori e delle audizioni.


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Non so se, a questo punto, sia il caso di avvisare il dottor Sabella per dirgli di non venire perché, procedendo con questo ritmo, non riusciremo a concludere l'audizione del prefetto Andreassi prima delle 14 o delle 15. Al termine di tale audizione mi riservo di convocare l'ufficio di presidenza per rivedere eventualmente il calendario dei lavori. Ho rispettato la richiesta di procedere alternando domande e risposte, ma credo che non sarà possibile continuare in questo modo, in primo luogo perché questo andamento è più vicino al modello inquisitorio che non al fine che questo Comitato paritetico si propone e, in secondo luogo, perché credo non sia nemmeno utile in quanto le domande vengono comunque ripetute.
A questo punto direi di avvisare il dottor Sabella, se non è già giunto alla Camera dei deputati, di attendere una nostra nuova convocazione.
Possiamo procedere. Rimetto alla vostra sensibilità il problema.
GABRIELE BOSCETTO. Quanto tempo ho a disposizione?
PRESIDENTE. Non posso risponderle perché devono ancora intervenire, dopo di lei, gli onorevoli Mancuso, Saponara e Palma ed eventualmente altri che lo chiedessero. A meno che gli altri non rinunzino.
GABRIELE BOSCETTO. Uno dei problemi che sono emersi dalle precedenti audizioni verte attorno a ciò che è accaduto la sera della incursione nella scuola Diaz con riferimento a voi che rappresentate i vertici.
Il questore ha avuto una partecipazione, ma poi non è andato oltre; il dottor La Barbera è andato via non appena ha visto arrivare i giornalisti e lei stesso, se ben ricordo, ha avuto una partecipazione alla fase di decisione e poi non ha partecipato alle fasi successive.


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Sembra molto strano, direi inverosimile, che, comunque, posizioni di vertice come queste tre, non siano state raggiunte, almeno telefonicamente, da chi era rimasto in loco e aveva operato e non siano state informate dettagliatamente su quanto era accaduto.
Vorrei sapere se ha ricevuto - pur avendo lasciato quei luoghi - un'informazione congrua e precisa su quanto era accaduto. In caso di risposta affermativa, chi le ha dato questa informazione? Le fu detto cosa era avvenuto? Venne informato che una parte di quegli edifici era già stata adibita ad ospedale di fortuna per i manifestanti che erano stati colpiti? Sapeva che vi erano delle persone ferite in precedenza ed altre che erano state ferite la sera della perquisizione effettuata dalla Polizia? Chi ha chiamato le ambulanze? C'erano ambulanze di pertinenza del servizio d'ordine? A che ora queste furono chiamate? Da chi? Chi le mandò?
Poiché stiamo trattando il lato più oscuro dell'intera vicenda, sul quale si verificano tutte le speculazioni, noi riteniamo che fino ad oggi non si sia voluto o potuto fare chiarezza sugli accadimenti di quelle ore. Se, come risulta, non c'è stata una partecipazione diretta, diventa del tutto inverosimile - lo ribadisco - pensare che non ci sia stata informazione e quindi una conoscenza precisa de relato.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FRANCO BASSANINI
GABRIELE BOSCETTO. Uomini della vostra abilità e del vostro spessore non possono essersi estraniati da quei fatti senza conoscere ciò che stava accadendo, soprattutto perché di lì a poco, o contestualmente, le televisioni e le radio «sparavano» notizie a tutto andare.


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Le vorrei anche chiedere come mai sul piano dell'informazione la Polizia, le forze dell'ordine sono state così carenti da non reagire immediatamente, evidenziando tutti i danni subiti dai propri agenti, anche e soprattutto sotto il profilo fisico, lasciando che gran parte dell'informazione andasse a senso unico facendo rendendo noti soltanto i danni, anche fisici, subiti dai manifestanti. Credo che una delle cose più importanti sia la corretta informazione; la fase dell'informazione circa un'operazione di polizia così importante ritengo dovesse essere attuata tempestivamente.
Le sedi che erano state concesse al GSF da parte degli enti locali attraverso verbali di consegna erano per caso soggette ad extraterritorialità? Non credo! Può spiegarmi come mai non si è fatto un controllo quotidiano - mattina, pomeriggio e sera - inviando agenti all'interno di queste sedi per verificare da chi sarebbero potuti occupate e cosa stava succedendo? Se si fossero fatti questi controlli ci si sarebbe potuti rendere conto - logicamente - di quali tipi di attrezzature girassero per le aule della scuola; a mio parere, sarebbe stato corretto anche vedere chi fossero coloro che erano stati colpiti, percossi o feriti. Infatti, nonostante il giudizio - che non condivido - dato dal tribunale del riesame, in un ambito di manifestazioni di per sé illegittime, l'essersi scontrato con la Polizia, l'aver riportato delle lesioni è sintomo, è prova, è indizio gravissimo di partecipazione a quelle manifestazioni illegittime. Quindi, tale comportamento illegittimo poteva portare a qualche tipo di riferimento - quanto meno alla magistratura - in termini soggettivi e nominativi.
Ancora due cose. Qualche mese prima a Genova si era tenuta la conferenza Tebio sulle biologie tecniche, che aveva visto anche la partecipazione attiva di politici locali insieme, in prima linea a Casarini. Per quanto lei ricorda, in prima


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linea c'era anche Agnoletto? L'aggressione di sfondamento era - seppure in piccolo - simile a quella che è poi stata tentata nei confronti delle reti della zona rossa? L'attenzione di Tebio su questi fatti violenti è stata tenuta viva nel tempo oppure è stata dimenticata? Le collaborazioni fra violenza, globalizzazione e politica sono state tenute nel giusto conto, oppure no? Come vicecapo della Polizia lei aveva già avuto modo di interessarsi dei fatti relativi alla Tebio?
Al di fuori dei 3 miliardi stanziati dal Parlamento, le risulta ci siano stati finanziamenti alle organizzazioni di Casarini e di Agnoletto? Si suol dire «C'est l'argent qui fait la guerre». Che black bloc, blocchi blu, blocchi rosa e blocchi bianchi possano prescindere da finanziamenti sembra strano. Se questi finanziamenti ci sono, sembrerebbe logico che la polizia ed i Servizi di tutti i tipi e di tutti i generi indagassero per conoscerli. Non dimentichiamo che recentemente sui giornali è stata avanzata addirittura un'ipotesi di interessi collegati per rendere viva la protesta contro la globalizzazione e gli interessi forti di tipo economico.
PRESIDENTE. Senatore Boscetto, le faccio presente che sta esaurendo tutto il tempo del suo gruppo.
GABRIELE BOSCETTO. Un'ultima domanda e concludo. Come mai quella sera Gratteri dello SCO si trovava alla scuola Diaz, mentre la sua funzione era quella di proteggere la zona rossa?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Per quanto riguarda la scuola Diaz, seguii - ovviamente anche per mio interesse e curiosità professionale - l'evolversi della situazione che mi preoccupava per i motivi che ho segnalato prima. Ancora una volta voglio essere meticoloso; per l'esattezza, non ho concorso


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alla decisione. Ripeto: quando si è manifestata l'esigenza di intervenire alla scuola Diaz convenni sulla possibilità di dilazionare l'operazione. È leggermente diverso.
Venni informato, subito dopo l'irruzione, dal collega che avevo mandato sul posto perché curasse gli aspetti relativi all'ordine pubblico, nel timore che potessero esservi ripercussioni riguardo tali aspetti. Egli mi disse che la perquisizione era stata eseguita; che aveva trovato resistenza, anche forte, che erano stati lanciati oggetti; che un agente (che poi incontrai durante la notte) aveva subito un tentativo di accoltellamento; seppi che c'erano stati numerosi feriti, alcuni dei quali - mi si disse - non all'atto di quella perquisizione ma negli scontri delle ore precedenti. Questa notizia, che io acquisii, emerse subito. In un primo momento non si delineava completamente il quadro esatto dell'intervento, del numero dei feriti e della resistenza che c'era stata. Gli avvenimenti hanno cominciato a complicarsi la mattina successiva a causa di un fattore che il senatore Boscetto ha indicato, e cioè un errato tipo di informazione dell'opinione pubblica: in effetti, diramammo uno scarno comunicato sull'operazione che, credo, destò irritazione nei giornalisti, tanto che in serata fui costretto ad intervenire con due interviste che rilasciai con « il fiato in gola».
Mi viene chiesto come mai non si era proceduto ad un controllo quotidiano: controlli sono stati svolti nei luoghi di accoglienza concessi alle componenti del Genoa social forum. Alcune volte questi interventi sono stati possibili, altre volte non abbiamo potuto compierli fino in fondo, perché avremmo rischiato di creare incidenti difficilmente gestibili; abbiamo messo in atto - il questore Colucci lo ha riconosciuto - perquisizioni ai centri sociali più radicali ed intransigenti di Genova.


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Durante l'appuntamento di Tebio non ero ancora capo della Polizia quindi, per così dire, eludo la domanda, anche se in quell'occasione si ebbe un segnale di quanto in Italia il clima intorno all'argomento connesso con quell'avvenimento, argomento confluito nelle tematiche della globalizzazione, si stesse arroventando.
Non so dire nulla circa finanziamenti ed interessi; questo è un aspetto su cui, credo, si sia appuntata anche l'attenzione dei servizi: non so quali elementi siano riusciti ad acquisire, ma non è un argomento del quale mi sono occupato.
Come mai Gratteri era alla Diaz? Perché ad incappare nel primo contatto con gli occupanti della scuola era stata una pattuglia mista che aveva anche componenti di squadra mobile e di servizio centrale operativo; quel pomeriggio vennero organizzati «pattuglioni» misti di quel tipo.
SAURO TURRONI. Signor prefetto, lei ha svolto una relazione che, per la sua profondità e per gli spunti interessanti che contiene, meriterebbe riflessioni più ampie di quelle che proporrò, essendo costretto a restringere molto il mio intervento. Le domande sono quattro, della cui schematicità mi scuso in anticipo.
La prima riguarda ciò che il prefetto ha scritto in maniera molto precisa a pagina 15 e a pagina 21 della sua relazione. A pagina 15 si legge che si doveva prevedere, oltre alla scontata difesa della zona rossa, la dislocazione nei punti strategici di reparti mobili della Polizia di Stato e di battaglioni dei carabinieri in grado di «accorrere», questo è il verbo che si utilizza, ovunque i black bloc avessero tentato le temute scorribande.
A pagina 21 (già altri colleghi hanno citato questo passaggio) si legge che «A Genova l'aspirazione dei black bloc era quella di risucchiare i reparti di polizia per indebolire la difesa


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della zona rossa e consentire ad altre componenti del movimento di penetrarvi. Nell'impossibilità di conseguire questo risultato, è stata ritenuta appagante la devastazione della città». Leggo - signor prefetto, mi corregga se sbaglio - un cambiamento di rotta tra ciò che è indicato a pagina 15 e ciò che è indicato a pagina 21: lì c'è un riferimento preciso ad accerchiare (signor prefetto, lei ha usato anche questo termine in alcune occasioni) questi manifestanti violenti per impedire loro di compiere misfatti; i comportamenti violenti si sono avuti non nella manifestazione del 19, che si svolge tranquillamente, ma all'inizio della giornata del 20, prima (ed in concomitanza) del tentato assalto alla zona rossa. Quando avviene - ammesso che vi sia stato - questo cambiamento di strategia e a che cosa è dovuto? Non ci sono stati accerchiamenti e non abbiamo visto persone arrestate durante azioni di guerriglia. La documentazione che ci è stata presentata non indica casi di questo tipo; si è operata una diversa scelta di priorità rispetto a ciò che doveva essere difeso: nessuna opinione in conflitto rispetto alle decisioni che sono state prese, però appare, molto significativamente, una discrasia. Vorremmo capire, ammesso che vi sia stato, cosa abbia provocato questo cambiamento di rotta, nell'intervallo di tempo fra le prime segnalazioni che troviamo a pagina 15 della relazione (che abbiamo visto negli atti del prefetto e del questore) e quello che poi è successo nei fatti.
La seconda domanda verte sull'affermazione del prefetto di non aver partecipato alla riunione che ha discusso e deciso le modalità con cui si sarebbe svolto l'intervento alla Diaz. Prendo atto di questa affermazione, ma il prefetto ha anche detto che risulta che il questore si sia consultato con il capo della Polizia e che vi sia stata anche una telefonata tra quest'ultimo e La Barbera. Chi abbiamo ascoltato in precedenza


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ci ha riferito che uno degli argomenti di queste telefonate era l'impiego dei carabinieri (che si era deciso di non utilizzare), che il 21 luglio non sarebbero dovuti intervenire in piazza al fine di evitare l'esplodere di contestazioni ancora più gravi. Se l'oggetto di queste telefonate, di cui il prefetto è a conoscenza, è stato anche l'impiego dei carabinieri, è possibile che durante quelle discussioni prioritarie, in cui si è valutata positivamente l'opportunità di compiere tale operazione, si sia anche stabilito in quale modo dovessero essere dislocati i Corpi impiegati? Se i carabinieri si dovevano occupare dell'ordine pubblico e della difesa della scuola, a cosa serviva la squadra mobile che, come il prefetto ha appena detto, non doveva essere utilizzata per l'irruzione? E si è trattato proprio di irruzione, non certo di perquisizione, atteso che qualcuno ha detto che dovevano essere impiegati addirittura i lacrimogeni: non si compiono perquisizioni con i lacrimogeni, ci è stato spiegato ieri dal prefetto La Barbera, a proposito dell'indicazione data da un alto funzionario. Evidentemente, si tratta di questioni delicate inerenti i Corpi da impiegare.
La terza domanda è relativa al fatto che abbiamo visto che in numerosi casi, non solo alla Diaz, nei casi di violenze, inseguimenti e così via, compiute nei confronti di singoli manifestanti inermi - e ciò ci risulta anche dai documenti che ci sono stati consegnati - vi erano poliziotti, carabinieri ed altri con viso coperto. Visto che al punto 5 del suo decalogo ci risulta che debbono essere fatte delle valutazioni anche su come si è gestito l'ordine pubblico in piazza, ebbene vorrei sapere in primo luogo se ci sono state indicazioni sul travisarsi, anche da parte delle forze dell'ordine, e in secondo


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luogo se vi sono state delle relazioni da parte di coloro che dovevano fare questi debriefing a proposito del comportamento dei loro uomini durante le azioni di polizia.
L'ultima domanda, e concludo, è relativa al fatto che abbiamo visto che questi nuovi strumenti, questi manganelli, non servono soltanto per sfollare la gente, perché non si era mai verificato in precedenza di vedere tante persone ferite. Quindi, probabilmente si tratterà anche di riflettere un po' meglio sull'utilizzo di questo strumento. È un'indicazione che un parlamentare credo debba poter dare agli organi tecnici perché queste sono armi che feriscono; abbiamo infatti visto moltissime persone che sono state colpite e abbiamo visto sangue scorrere.
Non credo che questo sia uno degli obiettivi che deve avere chi si occupa della pubblica sicurezza, perché ne va dell'incolumità fisica delle persone. Abbiamo visto gente che è dovuta ricorrere a suture. Pertanto, si tratta forse di un'arma inopportuna in un paese democratico e se è un'arma un bastone, lo è anche probabilmente uno di questi manganelli di nuova concezione, perché questo è atto a ferire, piuttosto che a difendere.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Credo che non ci sia una contraddizione tra quanto indicato a pagina 15 e quanto scritto a pagina 21 della mia relazione. La ringrazio per aver posto il problema, perché effettivamente è necessario un chiarimento. Ho molto insistito durante le riunioni di servizio che ho fatto insieme al questore con i colleghi che erano responsabili dei settori più delicati dell'ordine pubblico, accogliendo i suggerimenti di tutti ed invitando poi a trarre delle conclusioni di carattere operativo per il giorno dopo. La raccomandazione che ho fatto costantemente era quella di prevedere, oltre ai servizi ordinari e robustissimi a difesa della


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zona rossa, dei nuclei di pronto intervento sufficientemente robusti per intervenire senza sguarnire quelle difese, che comunque rimanevano intangibili, lì dove ce ne fosse la necessità. Ciò alcune volte è riuscito, altre volte no, ma questa era la logica e non vi è stato un capovolgimento di strategie, perché una scelta non andava a danno dell'altra. Questi nuclei, ai quali ho fatto riferimento prima, venivano dislocati quasi tutti ovviamente a levante perché lì si svolgevano le manifestazioni, quindi in una zona sufficientemente ristretta della città. Genova già non è grande di per sé, se poi se ne taglia fuori la metà, ancora meno. Credo che sei nuclei, sei contingenti di reparti per l'ordine pubblico possano raggiungere, o dovrebbero raggiungere, in poco tempo qualsiasi punto della città ove è necessario intervenire: questa è stata la logica.
Quali corpi, quali settori, quale specialità impiegare nell'irruzione alla scuola Diaz? Confermo il fatto di non aver partecipato alla riunione di carattere operativo dove questi aspetti sono stati decisi, o dovevano essere decisi.
SAURO TURRONI. E per quanto riguarda le telefonate ai carabinieri?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Per quanto riguarda le telefonate, ho detto nel mio precedente intervento che la perquisizione non era certamente una cosa da poco, perché non era una normale perquisizione, bensì, ripeto, si inseriva nel clima di una giornata di scontri e poteva suscitare altre azioni. Suggerii al questore di consultarsi, in proposito, con il capo della Polizia. In che termini, poi, lui e La Barbera si siano rapportati al capo della Polizia, questo non lo so.
Per quanto riguarda il discorso del viso coperto, devo ricordare che gran parte degli agenti dei reparti mobili hanno in dotazione, e l'hanno indossata credo per molte ore, anche


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una maschera antigas che copre ovviamente quasi tutto il volto, anzi lo copre tutto. Così come fanno i manifestanti, chi non è dotato di queste maschere antigas può coprirsi il volto anche con un fazzoletto allo scopo di non respirare i gas lacrimogeni. Mi dispiace molto che questi mezzi possano essere stati utilizzati anche in modo pretestuoso per coprire delle intemperanze e vorrei che non fosse successo.
Sul manganello Tonfa, prendiamo atto di tutte le osservazioni che sono state formulate perché certamente abbiamo l'interesse ad usare strumenti che siano compatibili con una gestione democratica dell'ordine pubblico. Il Tonfa, però, è uno strumento usato da molte forze di polizia e non mi risulta che produca ferite, nel senso di lacerazioni della cute. Si è detto, infatti, e l'ho letto sui giornali, che questo manganello avrebbe spigoli taglienti, ma ciò non è vero. Si tratta di uno strumento che deve essere usato in una certa maniera: questo è motivo per il quale siamo ricorsi ad istruttori statunitensi. Bisogna vedere, quindi, se attraverso un'ulteriore sperimentazione dello strumento, che mi auguro non avvenga in condizioni simili a quelle lamentate, esso possa ritenersi adottabile o meno; allo stesso modo si è posto in questa sede il problema dei proiettili di gomma, strumenti su cui certamente occorre molto meditare prima di effettuare delle scelte.
IDA DENTAMARO. Signor prefetto, lei ha avuto incarichi importanti nell'ambito dell'organizzazione per il G8, attribuitigli sia dal ministro sia dal capo della Polizia. Dalla relazione che lei ha qui svolto emerge una sua partecipazione molto incisiva alla preparazione di quell'evento, dal punto di vista dell'ordine pubblico. Eppure, ci ha detto di non essere mai stato convocato alle riunioni del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica e ci ha detto che molte sue indicazioni o consigli - perché lei ha usato quasi sempre questa terminologia:


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indicazioni, consigli, suggerimenti - sarebbero stati molto frequentemente disattesi. Per il primo aspetto, ha dato anche delle spiegazioni che riguardano le date di riunione di questo comitato, ma è evidente che si tratta di spiegazioni formali perché probabilmente sarebbe stata opportuna un'ulteriore convocazione del comitato nazionale, successivamente alla nomina di un funzionario incaricato di sovrintendere a tutto il dispositivo dell'ordine pubblico per il G8.
Aggiungo che ha parlato di conferenze e di riunioni locali, ma mai di riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica: voglio sapere allora se ce ne sono state con la sua partecipazione. Abbiamo ascoltato doglianze del sindaco di Genova e della presidente della provincia di Genova per non essere stati coinvolti sufficientemente nella preparazione e nella prevenzione, anche se le autorità locali costituiscono quel comitato.
Tale premessa mi serve per chiederle se non ritiene che possano essersi verificate disfunzioni nel rapporto tra organismi straordinari (lei come sovrintendente, lo staff nominato dal capo della Polizia, e così via) ed ordinari, preposti all'ordine e alla sicurezza pubblica. In particolare, nella fase operativa, quale era il suo ruolo all'interno di una ipotetica linea di comando, ed in generale, come erano articolati i suoi rapporti con il capo della Polizia, con il questore ed eventualmente con il ministro? Desidero riallacciarmi anche alla domanda posta dal presidente Violante, alla quale ha risposto in maniera astratta, evidenziando però come concretamente tali rapporti si siano svolti. Infatti, è risultato chiarissimo dalla sua relazione che il suo decalogo non solo è stato sistematicamente violato, ma che le sue indicazioni sulle modalità di intervento sono state anche disattese in misura notevole. Che cosa non ha funzionato? Come ha detto nella relazione


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iniziale, la risposta non sta solo nell'organizzazione e nell'azione del black bloc e delle altre frange del movimento (se non altro perché i loro metodi erano noti con largo anticipo e con ampi dettagli, come pure si sapeva dell'indisponibilità del Genoa social forum a collaborare per l'ordine pubblico), ma è contenuta nel piano di gestione dell'ordine pubblico e delle modalità di reazione alle azioni violente.
Francamente, rilevo una contraddizione stridente tra l'affermare che i suoi consigli non sono stati seguiti (tranne malauguratamente sull'uso del reparto mobile nella perquisizione della scuola Diaz) e che il decalogo non è stato applicato, e invece poi dire che è stato il movimento antagonista a non funzionare secondo le sue modalità. Non a caso, molti colleghi le hanno domandato non tanto l'analisi sociologica e tecnica del movimento, ma le strategie, le tattiche, le decisioni ed i comportamenti seguiti, per il mantenimento dell'ordine pubblico e più in generale per il controllo della città. Le sue risposte hanno dato una serie di elementi, che devono essere sistemati più organicamente. Il questore di Genova ha esposto una sua tesi: la Polizia non era attrezzata per la guerriglia urbana. Ma non c'è stato modo (perlomeno non l'ho avuto) di comprendere o di chiarire se si riferisse alla Polizia in senso stretto o in generale a tutte le forze dell'ordine. Desidererei quindi conoscere la sua opinione sulla preparazione del Corpo dell'Arma dei carabinieri, anche se, comunque, dalla sua relazione iniziale, sembra di condividere l'impostazione del questore Colucci.
Ad una precisa domanda del presidente Violante, ha risposto però un po' diversamente, parlando di una scelta di tipo strategico o tattico (non so quale sia l'aggettivo più esatto) per il mancato contrasto alla guerriglia. Forse, le due posizioni non sono così incompatibili, ma comunque ci dica con


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chiarezza - se ha una opinione precisa - perché non eravate attrezzati a contrastare la guerriglia; se è vero che non lo eravate; se non ritiene comunque essere questa una mancanza molto grave; ed infine se la questione sia più strutturale o tattico-strategica legata ai fatti di Genova. È certo che siamo qui anche per comprendere che cosa sia possibile migliorare per il futuro, sebbene sia più forte la necessità di comprendere l'accaduto di Genova.
La guerriglia, infatti, era prevista, ed anche dalla pagina 21 della sua relazione, più volte citata da vari colleghi, emerge una sorta di resa consapevole verso gli atteggiamenti delle frange più violente del movimento (Commenti).
PRESIDENTE. L'intervento è nei tempi ed è l'unico del gruppo. Ha ancora a disposizione un minuto.
IDA DENTAMARO. Emerge una sorta di resa precisa e consapevole alle azioni di guerriglia e, se conferma quello che ha scritto, gradirei che fornisse riflessioni più complete sull'argomento.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Francamente, non ho parlato insistentemente di consigli, disattesi: anzi, alcuni di essi sono stati non disattesi e sono state illustrati sufficientemente anche attraverso l'intervento del questore. Con il mio intervento, mi sono sforzato di non ripetere le cose già dette da altri. Ho tenuto conto delle audizioni dei colleghi che mi hanno preceduto ed ho cercato nel mio intervento di dare un taglio complementare a quello degli altri.
Non credo che mi debba fare una colpa per non essere stato invitato ai comitati nazionali per l'ordine e la sicurezza pubblica...
IDA DENTAMARO. Infatti, ho detto altro.


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. In effetti, ho indicato tale cosa con un po' di malignità, come fosse un dato oggettivo di quale era, o quale avrebbe dovuto essere, la mia responsabilità per il G8. Mi sembra che, tutto sommato, si vaghi da una sovrintendenza dell'aspetto organizzativo di polizia ad una, a tutto tondo, sull'ordine pubblico.
Ho detto anche che non voglio e che non ho mai pensato di utilizzare questi argomenti per alleggerire le mie responsabilità, perché in quel momento ero sempre il vicecapo della Polizia, ed i vicecapi della Polizia per tradizione si devono interessare di questi fatti. Certamente credo di costituire il primo caso nella storia d'Italia in cui uno di questi si sia trovato in particolari condizioni: ho accompagnato infatti alcuni capi della Polizia in passate edizioni del vertice a Venezia e a Napoli, e certamente le condizioni in cui i miei predecessori si sono trovati erano diverse, per tutta una serie di dati che ovviamente prescindono dalle persone.
Per quanto riguarda i comitati provinciali, non mi è mai capitato di partecipare ad alcuno di essi, ma ho comunque partecipato a riunioni che equivalevano a comitati provinciali, anche se non ne avevano la veste, con il prefetto, il questore, i comandanti provinciali delle altre forze di Polizia, il sindaco, il presidente della regione ed il presidente della provincia. Con tutti abbiamo tentato di risolvere soprattutto i problemi relativi all'accoglienza, tanto che ho accompagnato personalmente il questore ed i colleghi - dopo aver parlato con il sindaco - a verificare certe soluzioni che il sindaco stesso proponeva.
Circa la mia collocazione all'interno della catena di comando, durante una di queste riunioni di servizio svolte assieme alle altre forze di polizia alla presenza del prefetto, ho tenuto a ribadire che il mio ruolo era quello, banalizzando


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molto la funzione di ufficiale di collegamento con il dipartimento della pubblica sicurezza. Sono tenuto, per una questione di catena di comando, a rapportarmi al capo della Polizia, che è il mio capo. Non ho avuto rapporti con il ministro in quanto non li dovevo avere: ciò non è infatti previsto nella catena di comando.
IDA DENTAMARO. Ed i rapporti con il questore?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Con il questore sono stato costantemente in contatto nei giorni precedenti il vertice, fin dai primi di luglio. Ancora di più lo sono stato nei giorni in cui si sono svolte le manifestazioni. Il primo giorno sono stato anche presente in sala operativa, preferendo poi che rimanesse lì il questore mentre io andavo a sistemarmi nel suo ufficio per poter fare da tramite, in situazione di maggiore tranquillità, tra lui ed il capo della Polizia (tra l'altro, nell'ufficio del questore vi è un filo diretto con tale soggetto).
FILIPPO MANCUSO. A che fine?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Onorevole Mancuso, forse lei ha perso la prima parte dell'audizione nella quale, fornendo una risposta forse semplicistica ma che credo corrisponda alla realtà dei fatti, ho detto che (al di là dei distinguo che sono stati fatti ieri sulla figura del capo della Polizia, sui suoi rapporti con il prefetto ed il questore, non nel caso specifico ma in generale) il capo della Polizia è tale ed è il direttore generale della pubblica sicurezza, quindi il massimo vertice tecnico per tutto ciò che riguarda l'ordine e la sicurezza pubblica.
Circa quanto affermato in relazione alla mancanza di attrezzature idonee nella Polizia per affrontare la guerriglia


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urbana, ebbene noi abbiamo fatto di tutto per attrezzarla. Credo di aver fornito tutta una serie di elementi in proposito, ai quali rinvio. Non faccio distinzione tra ordine pubblico puro e semplice e guerriglia urbana: la Polizia deve essere in grado di fronteggiare l'ordine pubblico in tutte le sue possibili manifestazioni, che vanno dalla processione sino alla guerriglia urbana, perché così è sempre stato, anche in passato. Seguito però a dire che a Genova - e tengo a rimarcarlo, non per eludere responsabilità, ma perché si tratta di un dato di fatto - non si è verificata una normale manifestazione, non si è espresso un normale dissenso o una violenza fisiologica legata a certi presupposti: si è verificato qualcosa di molto più grave, che si è ripetuto rispetto ad edizioni precedenti che hanno trovato impreparate, consentitemi di dirlo, anche le polizie di altri paesi che vantano tradizioni quanto meno pari alla nostra in tema di difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica (non ritengo di dover ricordare quali fossero questi precedenti).
Non c'è stata una resa consapevole. Nessuno ha mai pensato di arrendersi. Il personale ha rischiato perché la logica non è mai stata quella della resa. Anzi, è stato molto il rammarico per non essere riusciti ad intervenire con la tempestività che era necessaria. Credo di aver fornito, come anche i colleghi che mi hanno preceduto, tutta una serie di elementi affinché questo Comitato possa trarre alcune conclusioni. Non so quanti altri comitati, non è per farvi un complimento, abbiano potuto agire con tanta tempestività potendo contare sulla ricchezza di notizie che sono proprie di quello attualmente riunito. Credo di aver così esaurito le risposte alle domande poste dalla senatrice Dentamaro.
ERMINIA MAZZONI. Innanzitutto rivolgo il mio ringraziamento al dottor Andreassi per la sua collaborazione molto attenta e soprattutto per la compostezza delle risposte e dei


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suoi atteggiamenti nei confronti di questo Comitato che, a volte, considerando anche la lunghezza dei tempi, risulta forse petulante e il più delle volte ripetitivo. Il dottor Andreassi ha comunque compreso lo spirito che anima tutti all'interno di questo Comitato, quello cioè di voler accertare i fatti in modo che si possa arrivare non solo a ridimensionare eventuali carenze, lacune o mancanze dell'apparato Stato, cioè della struttura istituzionale, ma, come giustamente faceva notare anche l'onorevole Violante, ad organizzarci in modo più adeguato per le future aggressioni e rappresaglie che si preannunciano (Commenti del deputato Soda). L'indagine conoscitiva dovrebbe quindi anche consentire di per migliorare le prestazioni dello Stato, dato che tutti abbiamo riconosciuto, e riconosciamo, la valenza dei percorsi istituzionali e quindi il fatto di dover affermare le nostre idee attraverso gli strumenti che il soggetto Stato mette a disposizione.
Al di là di questo, sul mandato e sull'ampiezza dei poteri, lei ha già risposto ampiamente sia nella relazione sia a seguito di domande poste da altri colleghi. C'è solo un dato sul quale desidero una precisazione. Lei parla, a più riprese, di incarico di coordinamento e di sovraintendenza; successivamente ripete che è stato sempre presente e che per ogni iniziativa fungeva da tramite tra il questore e il capo della Polizia; il che vuol dire che ogni decisione è stata assunta dal questore di comune accordo con il capo della Polizia. Il vertice, la struttura centrale, quindi, ha lavorato e cooperato. In altre parole, in che modo sono state concretamente adottate le decisioni operative e da chi sono state assunte? In che modo questa sua funzione di tramite si è esplicitata momento per momento.
Dalle varie audizioni che si sono susseguite, dalle dichiarazioni che abbiamo ottenuto emerge il quadro di una impalcatura complessiva del piano di sicurezza che sicuramente


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non ha avuto una fase di gestazione molto lineare. Infatti, sin dall'inizio, da quando è stata scelta la città di Genova come luogo di svolgimento del vertice - anzi, le chiedo un ulteriore commento sulle ragioni per cui lei, se ha valutazioni da fare, ritiene sia stata scelta questa città, nonostante le negatività strutturali evidenziate a più riprese da tutte le parti - fino al giugno 2001 non si è parlato che di interventi strutturali, estetici e architettonici, mentre gli aspetti connessi alla sicurezza sono stati affrontati dai mesi di aprile, maggio e giugno 2001. Ciò, a mio avviso, è un po' anomalo.
Come mai ci sono stati vari provvedimenti? Come mai si lamenta lo scarso numero delle forze dell'ordine? Si parlava di 18 mila unità, poi siamo scesi a 11 mila, poi di nuovo siamo saliti a 14 mila. Quando, come e perché sono state assunte tali decisioni? Sono state decisioni che hanno riguardato il livello centrale?
In sintesi, quale era lo stato di attuazione del piano di sicurezza quando lei è subentrato, assumendo il ruolo apicale che ha conservato fino alla fine del vertice di Genova? Inoltre, secondo il suo giudizio, in base a quali criteri è stata operata la scelta degli interlocutori ed attribuita tanta centralità ad alcuni personaggi che sono diventati successivamente protagonisti, insieme ai capi di Stato, del vertice di Genova? Quali sono le ragioni per le quali questi soggetti sono diventati i rappresentanti dei movimenti no global?
Lei parla addirittura di infiltrazioni parassitarie eversive individuate all'interno delle strutture di manifestanti con i quali però, nonostante ciò, si è continuato a dialogare. Alle associazioni dei manifestanti si sono offerte strutture, apparecchiature informatiche; si sono dotate di infrastrutture alcune residenze e strutture pubbliche, con servizi, appalti e quant'altro. Parliamo di miliardi che sono stati spesi per tali


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soggetti. Alla fine, gli amministratori, come i sindaci e i presidenti di provincia, si sono ritrovati a non conoscere volti, nomi, provenienza dei soggetti ai quali sono state offerte tali strutture. Nonostante tutto questo impegno dello Stato, si discute di violazione del diritto a manifestare. Nelle altre manifestazioni c'è stato tutto ciò? Sono stati investiti tutti questi sforzi concreti, nei confronti dei manifestanti, per consentire al cittadino di esprimere le proprie idee, il proprio pensiero in dissenso? Quanto ha inciso, secondo lei, sui fatti che si sono verificati questa gestione del rapporto con i manifestanti da parte delle autorità locali e da parte anche delle autorità centrali che, ad un certo punto, hanno deciso di individuare in Agnoletto, Casarini ed altri i soggetti interlocutori di tutti i manifestanti, soggetti che oggi non riconoscono la responsabilità di determinati eventi? Quanto ha inciso la mancata collaborazione dei soggetti che sono stati individuati come destinatari di attenzione da parte dello Stato, che successivamente non hanno ritenuto di dover ricambiare con una doverosa collaborazione per la individuazione di quelle fronde violente presenti tra i manifestanti?
Un'ultima considerazione: non le chiedo ulteriori dati sulla vicenda Diaz né una ricostruzione dei fatti, che possiamo acquisire dalle carte, dalla documentazione copiosa a nostra disposizione, ma valutazioni che forse non ci è dato acquisire altrove. Si è trattato di una vicenda tanto singolare? È stata una perquisizione tanto anomala? Nella sua lunga carriera, con la sua esperienza, in episodi o in vicende anche non di organizzazione di vertice ma di altro, si sono verificati fatti analoghi in cui una situazione emergenziale ha richiesto una decisione estemporanea, immediata e un intervento altrettanto urgente per risolvere una situazione di difficoltà? All'estemporaneità dell'intervento, inoltre, come collega la mancanza di


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strutture come il pullman per trasportare i fermati, l'ambulanza? Tutto ciò può essere giustificato dall'immediatezza della decisione ma, al contempo, non si chiariscono i motivi per cui di una decisione di quel tipo siano stati informati primariamente la stampa, alcuni politici. Come mai erano presenti loro, prima ancora di altri organi e strutture che avrebbero dovuto essere informati per primi? Cosa c'è di particolare in questa vicenda che alla fine - e di ciò mi rammarico - rappresenta quasi la sintesi, l'emblema di quattro giorni di manifestazioni, di incontri, a discapito non solo dei vertici e del Governo, ma soprattutto di quanti avrebbero voluto manifestare un'idea in dissenso da ciò che si discuteva nel vertice nella zona rossa e che non hanno potuto manifestare; oggi nessuno sa cosa volessero manifestare in dissenso i no global ed i vari altri protagonisti di tutta questa vicenda.
Per quanto riguarda la scuola Diaz, ricordo che c'è un processo in corso: non è quindi questa la sede per svolgerne un altro; c'è una parte, una controparte e non credo che sia questo il problema. Vorrei che lei ci aiutasse a stemperare questa attenzione, per restituire l'attenzione sui fatti essenziali che possono servire come strumento a favore di questa istituzione per migliorarsi nelle prossime vicende e nei prossimi appuntamenti.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Per quanto riguarda il mio ruolo, quando il capo della Polizia ha creato lo staff di cui io ero il capo, non credo che intendesse abdicare alle proprie funzioni; credo, conoscendo bene l'uomo, che secondo la tradizione che ha sempre regolato le funzioni del capo della Polizia, egli si volesse dotare di uno strumento ulteriore per gestire meglio una situazione difficile. In questo senso ho


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sempre interpretato in quei giorni il mio ruolo, fungendo da tramite, nei casi di maggiore complessità, tra il questore ed il capo della Polizia; e ciò non per allungare la catena di comando o per ritardare le decisioni, ma perché, nel fungere da tramite, portavo il mio contributo ad una decisione che successivamente il questore avrebbe dovuto tradurre sul campo, facendola propria, qualora non avesse avuto argomenti per dire la sua o per sposare una linea diversa di intervento.
È stato detto che vi erano pochi uomini a Genova. Direi, invece, che ce ne erano anche troppi, anche se può sembrare paradossale.
Il numero superiore che era stato previsto, e cioè 18 mila unità (una città, un paese), non so quanto sarebbe stato governabile. In ogni caso, era stato previsto perché non si sapeva ancora dove si sarebbero collocate le delegazioni.
Se per caso la delegazione americana fosse andata a Rapallo e quella francese ad Imperia, allora certamente sarebbe stato necessario un numero maggiore di uomini di quelli ritenuti sufficienti a gestire la situazione.
In ordine alla scelta degli interlocutori del Genoa social forum, ho già espresso il mio pensiero. Quanto poi alle scelte di supportarli nei modi in cui è stato fatto, questo è problema che non mi riguarda e che non ha inciso più di tanto sull'intenzione di chi voleva scatenare la violenza. Comunque, essi lo avrebbero fatto, certamente non in virtù dello spazio di accoglienza che il comune e la provincia avrebbero loro destinato.
Anche in ordine alla questione della scuola Diaz, mi consenta, onorevole, di distinguere - probabilmente si tratta di una distinzione che abbiamo tralasciato, ragionando su tale questione - fra legittimità, opportunità e necessità di procedere d'urgenza ad una perquisizione ai sensi dell'articolo 41,


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sulla quale credo non si possa non convenire, date le premesse e le modalità dell'intervento. Si tratta di due questioni ben distinte e che probabilmente conviene ricondurre ognuna nel proprio ambito.
ANTONIO SODA. Signor prefetto, oggi il Secolo X IX, in un articolo firmato dal giornalista Marco Menduni, a pagina tre, riferisce di un impiego del battaglione Tuscania in una di quelle operazioni di contrasto della guerriglia urbana. Ne riferisce in termini di disastro, nel senso che, secondo la ricostruzione di tale giornalista, sarebbe stato guidato male dalla centrale e sarebbe giunto in ritardo nel posto ove agivano in azioni di devastazione e di saccheggio gruppi di black blockers.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO
ANTONIO SODA. Altra sarebbe stata la storia se fossero intervenuti tempestivamente e se avessero quindi proceduto a quegli arresti in flagranza di cui si è parlato anche nelle precedenti audizioni. In questa sede, nella seduta dell'8 agosto, fu chiesto al generale dell'Arma dei carabinieri, Siracusa, dell'impiego dei reparti mobili antisommossa, in particolare del battaglione Tuscania.
Il generale Siracusa ha risposto nel seguente modo: «Per quanto riguarda il battaglione Tuscania, si tratta di un reparto di carabinieri paracadutisti inviati a Genova in un forte contingente. Poc'anzi però io mi riferivo, quando ho citato il battaglione, a quelli Lombardia, Sicilia e Toscana. L'impiego dei paracadutisti - quindi del battaglione Tuscania - non vi è stato in concreto. Erano presenti a Genova, ma fungevano da riserva». Allora, o il generale dell'Arma dei carabinieri


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ignorava tale episodio, o esso non si è verificato, ed è inattendibile, se non falsa, la notizia riportata da tale organo di stampa.
La domanda in ordine a questo punto è la seguente: lei era a conoscenza dell'esistenza di questi reparti mobili attrezzati per la lotta antiguerriglia? Lei è a conoscenza che, oltre al battaglione Tuscania, vi erano altri reparti appositamente attrezzati?
La lettura del giornale le darebbe contezza della capacità di movimento che avrebbe questo tipo di militari addestrati ad interventi velocissimi, quelli a cui lei faceva riferimento, ovvero di accerchiamento, di isolamento e di impedimento delle azioni di saccheggio dei black bloc che si erano infiltrati nei cortei.
Le domande pertanto riguardano sia il numero sia l'identità dei corpi mobili che dovevano esercitare tale funzione di isolamento, in quali circostanze essi furono impiegati e con quali risultati. I risultati credo siano quelli che abbiamo visto: nessun arresto in occasione delle azioni di devastazione, bensì in azioni di oltraggio e resistenza.
Ho compreso un'altra cosa, e concludo, nelle audizioni di ieri. Vorrei però una conferma o una smentita, unitamente ad alcuni chiarimenti. A seguito delle informazioni fornite dal centro di prevenzione, diretto dal prefetto La Barbera, il questore elaborò l'ordinanza del 12 luglio, prevedendo una serie di presidi fissi, la tutela blindata dell'area rossa e corpi mobili di 40 uomini. Vi sono circa 20 pagine di quell'ordinanza che elencano analiticamente e dettagliatamente i dirigenti di tali reparti mobili.
Il questore di Genova ci ha detto ieri che, a seguito delle informazioni, provenienti non dal centro di prevenzione crimine bensì dai servizi di sicurezza, relative alla possibilità di


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rapimenti e di sequestri, ha dovuto aumentare la consistenza numerica di tali corpi. Oggi lei ci ha detto che tale appesantimento ha in pratica determinato la lentezza e l'incapacità di movimento.
Nella relazione lei attribuisce il fallimento dell'azione di contrasto della guerriglia urbana, per un verso alla natura cieca ed indiscriminata della violenza e per altro verso, alla permeabilità alla violenza dello stesso movimento. Oggi invece, in sede di replica, soprattutto nella risposta all'onorevole Boato, ma anche in quelle al senatore Bassanini, ha fatto riferimento alla lentezza dei reparti mobili.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, le consento di concludere il suo intervento perché è arrivato alle domande. Tuttavia, lei ha esaurito già da un minuto il tempo a disposizione del suo gruppo, in tal modo creando difficoltà in merito alla richiesta del senatore Villone.
ANTONIO SODA. Mettendo insieme i fatti, ho capito che ad un certo punto l'ordinanza del 12 luglio subisce una modifica di sostanza: il contrasto nei confronti della guerriglia urbana si fa con i reparti mobili. Questa è la risposta alle informazioni del servizio di prevenzione crimine, la risposta del questore alla sollecitazione del prefetto La Barbera.
Tali reparti mobili scompaiono, diventano pesanti e lenti. Si modifica così sostanzialmente la strategia di contrasto. La domanda pertanto è la seguente: avete deciso questo cambiamento tutti insieme? Ho posto questa domanda al prefetto La Barbera ed egli mi ha risposto che il questore non gli aveva chiesto nulla. Pertanto, se ha fatto delle modifiche, le ha fatte di propria iniziativa.
PRESIDENTE. Onorevole Soda, abbiamo convenuto che il tempo a disposizione è contingentato. Per questo ieri ho tolto


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la parola all'onorevole Mascia ed all'onorevole Palma. La prego di concludere.
ANTONIO SODA. Fu informato il ministro, e in generale, il Governo di questo mutamento di strategia? Fu informato il Comitato di sicurezza di tale mutamento? Infatti, tale mutamento di strategia certamente ha contribuito al fallimento dell'azione di contrasto.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Riguardo al battaglione Tuscania, nella sala operativa della questura c'era un ufficiale dei carabinieri con il compito di fare da tramite, non solo con la sala operativa del comando provinciale dell'Arma, ma, attraverso questa, anche con il contingente a disposizione, nel quale, mi pare - ma qui bisognerebbe chiedere meglio al comandante generale dell'Arma o a chi per lui - fosse presente il battaglione Tuscania e a un certo punto fu rilevata la necessità dell'impiego. Tuttavia l'intervento fu tardivo perché in effetti ci fu un errore: sbagliarono strada.
ANTONIO SODA. Il generale Siracusa ha detto che l'impiego ...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, la sua domanda è precisa: diamo la possibilità di rispondere.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il generale Siracusa preciserà, se ritiene. A me risulta che chiedemmo all'ufficiale di collegamento presente nella sala operativa di fare intervenire un contingente, individuato nel battaglione Tuscania, che, però, sbagliò strada.
Quanto all'asserito cambiamento di strategie, onorevole Soda, questo non c'è stato: c'è invece un rafforzamento dei contingenti che erano stati previsti sul territorio.


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ANTONIO SODA. Rendere lenti i reparti mobili.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Un momento, onorevole Soda. Io in quel momento avevo presente la morte di Giuliani: per me un contingente debole significava riproporre...
ANTONIO SODA. Ma già la mattina del 20 luglio era accaduto!
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Onorevole Soda, ho affermato nella relazione di aver tenuto sempre presente questo rischio e credo che il paese me ne debba gratitudine, perché ci potevano essere più casi Giuliani a Genova, se volete sapere quale è la mia idea, e questo noi lo abbiamo evitato.
PIERLUIGI PETRINI. Su come fu deciso non ha detto niente!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Saponara.
Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor presidente, come capogruppo di Forza Italia ieri nell'ufficio di presidenza mi sono impegnato a collaborare affinché le domande non fossero tante e quindi si accelerasse il corso dell'indagine. I tempi sono stati contingentati, ma in base al regolamento il contingentamento deve tener presente anche la complessità degli argomenti. Orbene, atteso che la presenza del prefetto Andreassi è importante e quindi può richiedere domande anche oltre il tempo previsto, noi chiediamo che lei conceda al gruppo di Forza Italia e, se formuleranno analoga richiesta anche ad altri gruppi, qualche minuto in più, impegnandoci a rinunciare a fare domande al dottor Sabella.


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PRESIDENTE. Onorevole Saponara, la compensazione non può avvenire: non possiamo assolutamente usare una politica dei vasi comunicanti, poiché abbiamo deliberato all'unanimità il contingentamento dei tempi. Mi rendo conto tuttavia che l'audizione del prefetto Andreassi può meritare un approfondimento maggiore; pertanto, giacché vi è questa richiesta da parte del gruppo di Forza Italia, nel far presente che il gruppo di Alleanza nazionale che ha a disposizione ancora solo 3 minuti, mentre il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ha esaurito il tempo a sua disposizione, ritengo di poter concedere un tempo ulteriore di 5 minuti a ciascun gruppo.
Prima di dare la parola all'onorevole Palma, avverto che il gruppo di Forza Italia ha a disposizione 9 minuti, Alleanza nazionale 8 minuti, mentre il gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ha a disposizione 5 minuti, così come gli altri gruppi.
Onorevole Palma, le ricordo che, oltre a lei, hanno chiesto di intervenire, tre parlamentari di Forza Italia e che avete a disposizione in totale 9 minuti.
FRANCESCO NITTO PALMA. Signor presidente, sarò telegrafico anche perché mi gioverò di una vecchia collaborazione con il prefetto Andreassi. Prima domanda: conferma che il rapporto tra il Ministero dell'interno e il Genoa social forum ebbe inizio il 14 aprile, quando era ministro l'onorevole Bianco? Seconda domanda: è vero che l'ordinanza del prefetto - faccio riferimento all'ordinanza del prefetto di Genova del 2 giugno 2001 - è il provvedimento cardine per la gestione dell'ordine pubblico? In caso positivo, riferendomi alla domanda fatta dall'onorevole Violante, quali direttive vennero impartite dal ministro Bianco all'epoca, considerando che il 2 giugno, data dell'ordinanza del prefetto, il Governo in carica non era il Governo Berlusconi? Quarta domanda: alla luce di


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quanto da lei dichiarato nella parte finale della relazione - e, specificatamente, che i tentativi di violare la zona rossa sono stati tutt'altro che virtuali e simbolici e su questo intento vi è stata la convergenza di tutte o di gran parte delle anime del Genoa social forum, non solo l'imponente massa delle tute bianche - ritiene di poter modificare la valutazione che emerge dagli atti della Polizia circa una non particolare violenza del cosiddetto blocco giallo? Infine, l'ultima domanda, che a me interessa in maniera particolare: nell'intervento del capo della Polizia nel comitato nazionale per la sicurezza e l'ordine pubblico del 16 maggio si legge che in una recente riunione fra esponenti dei centri sociali del nord-est era emersa comunque la primarietà dell'obiettivo di impedire lo svolgimento del vertice e, ove le prossime elezioni politiche avessero fatto registrare una vittoria del centrodestra, la protesta avrebbe potuto caratterizzarsi anche nel senso dell'attuazione di azioni violente. Mi pare che lei facesse riferimento all'inserimento in uno dei blocchi di queste frange dei centri sociali del nord-est, la Carta di Milano e via dicendo. Vorrei sapere che tipo di indagini sono state svolte su questa notizia, quale è l'esito e se non trova, alla luce della sua esperienza, questa notazione particolarmente drammatica, anche alla luce degli episodi dinamitardi che sono avvenuti negli ultimi tempi nel nord-est.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il primo contatto a livello centrale tra il Genoa social forum e il capo di gabinetto del ministro in effetti c'è stato il 5 aprile, quando era ancora ministro dell'interno l'onorevole Enzo Bianco. Il provvedimento del prefetto è stato effettivamente il presupposto per orientare i servizi di ordine e sicurezza pubblica e per garantire la sicurezza del vertice, con la previsione delle zone e con i divieti in esso contenuti. Sulla non particolare violenza


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del blocco giallo e delle tute bianche, in effetti l'uso del termine violenza è un po' specioso, perché abbiamo visto in questa ed in altre circostanze che l'uso della forza c'è: ora, si può chiamare violenza o no, ma l'uso della forza per vincere la resistenza della Polizia o per abbattere le difese predisposte per proteggere sicurezza dei luoghi. C'è quindi, l'uso della violenza indubbiamente ricorre: si tratta di vedere come questa viene espressa. Si dice che non viene espressa solo attraverso l'uso di mazze date in testa alla polizia o del lancio di bottiglie molotov, ma anche attraverso arieti, come, per esempio, è accaduto a piazza dell'Esedra a Roma, un paio di anni fa, quando con un ariete sfondarono le serrande della sede delle linee aeree turche.
L'uso degli arieti, delle catapulte e di quant'altro serva ad esercitare questo tipo di pressione sulle forze dell'ordine è un fatto ricorrente. Il discorso sul nord est è...
FRANCESCO NITTO PALMA. Volevo soltanto una risposta con riferimento all'ordinanza del prefetto del 2 giugno. Allora era in carica il precedente Governo; chiedevo quali fossero state le direttive e se ne fossero state impartite di tipo generale o con riferimento al G8 dal precedente ministro, che credo fosse l'onorevole Enzo Bianco.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto.Non ho avuto contezza diretta di ciò, perché non ho partecipato ai comitati; sono subentrato ben dopo che tali direttive sono state impartite e dopo che questi orientamenti sono stati decisi.
Ritornando al nord-est, l'argomento è molto delicato perché abbiamo constatato che, accanto a questa realtà - che vede sostanzialmente contrapposti due orientamenti dell'antagonismo, l'uno irriducibile e radicale e l'altro meno - sono fiorite altre iniziative che integrano una vera e propria strategia


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eversiva. Mi riferisco, ad esempio, ai nuclei territoriali antimperialisti che, durante la guerra nella ex Iugoslavia, si sono manifestati o sono tornati a manifestarsi, preannunciando, poco prima dell'attentato a D'Antona, l'innalzamento del livello di scontro e l'attacco al cuore dello Stato. Ciò avveniva ad opera di una organizzazione, i nuclei territoriali antimperialisti, incardinata nel nord-est...
MARCO BOATO. Non si tratta di un centro sociale: è un gruppo terroristico.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Certamente. Si tratta di un gruppo clandestino incardinato nel nord-est che, fino a quel momento, aveva compiuto attentati di bassissimo profilo, bruciando macchine dei militari americani durante la guerra nei Balcani; poi però, nonostante questo basso profilo operativo, poche settimane prima dell'attentato a D'Antona, il gruppo clandestino preannunciò un innalzamento del livello di scontro. Ricompare più volte a Trieste e, da ultimo a Venezia con una rivendicazione, che non so quanto sia attendibile (ma non è più materia che mi compete) dell'attentato al tribunale di Venezia.
Dico ciò per fornire maggiori indicazioni sul pullulare di sigle e di azioni, spesso anche di modesto spessore, cui però fa riscontro una documentazione molto elaborata sui temi classici della lotta armata che si sta ripresentando da qualche anno a questa parte.
FRANCESCO NITTO PALMA. Il capo della Polizia, nel suo intervento del 16 maggio faceva riferimento al blocco giallo: stavamo parlando di G8, dei centri sociali, del nord-est e si diceva che le azioni sarebbero state violente in caso di vittoria del centrodestra. Mi sembra che ciò abbia una proiezione


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politica interna più che una proiezione politica internazionale alla quale lei prima faceva riferimento. Questo dato mi preoccupava alla luce di un episodio avvenuto nel nord-est, in quel di Padova, nei confronti di una delle strutture politicamente portanti del centrodestra. Chiedevo una sua riflessione al riguardo.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Credo che spunti per questa riflessione vi siano anche nella mia relazione, laddove si afferma che l'innesto di componenti radicali dell'antiglobalizzazione su una realtà italiana - che si era politicamente modificata nel senso che lei ha detto - può aver formato anche le condizioni di deflagrazione di una violenza che si è manifestata come abbiamo visto.
MASSIMO VILLONE. Vorrei dire, senza polemica, che se qui qualcuno vuole lasciare intendere che lo svolgimento della dialettica democratica può essere occasione per l'innesco, ad opera di qualcuno, di una spirale di violenza, dev'essere ben chiaro che io considero ciò una provocazione da respingere in tutti i sensi. È ovvio, infatti, che in nessun modo si può accettare o suggerire che dalla dialettica democratica nasca l'occasione della violenza. Se qualcuno provoca la violenza, se ne assume la responsabilità e nei confronti di tale violenza tutti noi dobbiamo avere unicamente l'atteggiamento della più ferma condanna. Non so se, al riguardo, vi siano altri suggerimenti, ma li respingo in maniera nettissima.
Dalla relazione del prefetto Andreassi emergono elementi precisi, nel senso che prima dei fatti di Genova vi era stata un'ampia valutazione delle circostanze e dei possibili scenari. Vi era piena consapevolezza del rischio che si manifestassero forme di violenza e si è ragionato su come fronteggiarle, pensando ad indirizzi chiari. In particolare, lei ha fatto


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riferimento alla necessità di non disperdere ma di accerchiare e circoscrivere: le premesse, quindi, sono state quelle di una valutazione approfondita. Ci ha detto, poi, di aver fatto tutto il possibile, di avere utilizzato tutti i mezzi e addirittura gli idranti, cosa che da anni non si faceva più. Rispondendo al collega Soda, ci ha detto adesso che non vi è stato alcun cambio di strategia: quindi, la strategia c'era, era definita e chiara, è stata portata avanti, però è fallita. Lei stesso ha ammesso che, almeno in parte, non ha avuto successo. I motivi del fallimento, che rimangono sul tappeto sono sostanzialmente due. Il primo riguarda le strade strette; mi permetta, però, di dire che questo era un dato di cui si era a conoscenza. Non credo che quando è stata compiuta l'analisi sulle modalità e sull'efficacia dell'impiego delle forze dell'ordine ciò non sia stato valutato. Inoltre, secondo quello che lei afferma a pagina 21 della sua relazione, vi è stata la sostanziale incapacità o l'insufficiente determinazione da parte dei promotori della manifestazione di massa di precludere spazi a minoranze criminali. Devo manifestarle la mia insoddisfazione da questo punto di vista perché, stando a ciò, soprattutto per il futuro, abbiamo poche prospettive.
Vorrei che lei fosse chiaro su un punto: ritiene che i suoi indirizzi e le direttive da lei impartiti sulle modalità di impiego (riguardanti il non disperdere ma circoscrivere e così via) siano stati pienamente realizzati? Crede che le sue indicazioni siano state pienamente seguite - per quanto possibile - e fatte proprie da tutte le forze dell'ordine? Ritiene che queste le abbiano accettate e comunicate agli uomini sul campo nella maniera più opportuna? Lei, al riguardo, ci assicura che tutto è andato per il meglio? Cosa intende fare per il futuro?
Non possiamo delegare ai promotori di una manifestazione il fatto che questa si svolga in condizioni di sicurezza o meno.


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Chi certifica che ci sia la capacità e la sufficiente determinazione di negare gli spazi? Questa è una strada che, se percorsa con determinazione fino in fondo, porta solo alla compressione del diritto di manifestare: quindi la considero una strada estremamente pericolosa. È un punto assai debole della sua relazione pur pregevole nell'analisi ed esemplificativa di come il problema doveva affrontarsi correttamente, ma non soddisfacente per quanto riguarda il futuro su questo aspetto in particolare.
Un'ultima considerazione a proposito della scuola Diaz: deve perdonarci se torniamo su un punto che, peraltro, è stato cruciale, come anche lei ha detto. Nella relazione lei afferma che non ha né sollecitato né promosso l'iniziativa. Ha detto che non si è trattato di una normale perquisizione, perché potevano verificarsi riflessi sull'ordine pubblico, e che non avrebbe dovuto essere utilizzato quel reparto specifico - se ho ben compreso -, segnalando che a Brignole migliaia di persone stavano per partire. Però lei precisa: l'ho ritenuta doverosa. Mi permetta una domanda: perché era doverosa in quel momento? La doverosità non è tale in astratto; la doverosità è sempre in rapporto alle circostanze. Come ci ha detto ieri La Barbera i cancelli erano chiusi e quindi, se era difficile entrare, si può presumere che non fosse facile nemmeno uscire. Perché non si poteva aspettare che partissero quelle migliaia di persone da Brignole? Sarebbe bastato aspettare qualche ora, non di più.
Dal momento che non era presente alla riunione operativa, come ci ha spiegato, vorrei anzitutto che ci dicesse se ritiene normale e giusto che così fosse. Ha deciso lei di non esserci? Oppure, chi ha deciso di non convocarla? Vorrei, inoltre, che lei ci dicesse - se lo sa - se nella riunione specifica siano state valutate le sue perplessità. Lei, infatti, ha detto di averle segnalate al questore, se non ricordo male. Nella riunione in


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cui si è deciso, si è tenuto conto delle sue perplessità? Chi ha sollecitato e promosso questa iniziativa in modo specifico e perché non si è tenuto presente quanto lei suggeriva? Ci troviamo di fronte, infatti, ad una situazione un po' curiosa. Lei ci sta dicendo palesemente che se fosse dipeso da lei non sarebbe intervenuto o l'avrebbe fatto in modo diverso. La Barbera dice invece che sul momento ha sconsigliato l'operazione per la situazione concreta nella quale essa andava a svolgersi. Quindi, due dei nostri funzionari indiscutibilmente più capaci avevano opinioni diverse. Eppure la perquisizione è stata fatta. Ma per decisione e volontà ultima di chi? Chi teneva tanto a questa perquisizione? Come sono andate di fatto le cose in quel comitato?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Convengo sulla considerazione che isolare i violenti non può essere posta come condizione al diritto di manifestare. L'isolamento dei violenti non può essere delegato a chi intende manifestare il dissenso in forma pacifica, ma deve essere in concreto esercitato dalle forze di Polizia, prima di tutto mediante un'adeguata individuazione, attraverso l'attività investigativa, delle componenti violente, e poi, sul campo, tentando di isolarle. Come ripeto, su questo non posso che convenire, ma devo pure ricordare - anche se è stato rievocato come un precedente ormai superato - la logica di negoziare con gli organizzatori delle manifestazioni pacifiche di massa i termini della manifestazione ed anche l'isolamento dei violenti. Ciò, infatti, è nell'interesse non solo della Polizia, ma anche di chi intende manifestare pacificamente. Tutto questo non è riuscito a Genova perché le realtà ricomprese sotto l'etichetta Genoa social forum erano così diverse e così numerose che nessuno, credo, potesse parlare a nome di tutti. Quello della negoziazione con gli organizzatori della manifestazione di massa è, comunque, un


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principio che io credo nonostante tutto debba essere ancora praticato, ove possibile. Certamente - ripeto - con il black bloc negoziazioni non sono possibili e gli strumenti da utilizzare sono diversi.
L'intervento alla scuola Diaz non poteva essere dilazionato perché farlo l'indomani mattina avrebbe significato, dopo quell'episodio che c'era stato, non trovare più nessuno o non trovare più le prove necessarie per procedere agli arresti. Su questo ho convenuto. Non ricordo se ho espresso le mie perplessità al questore, certamente le ho espresse, a parte, al prefetto La Barbera, dicendogli che l'operazione mi suscitava dei timori e che, quindi, occorreva condurla con molto equilibrio e con molta serenità. Il ripensamento sull'esecuzione sopravviene in La Barbera quando è già sul posto: mi sembra che i tempi delle perplessità siano sfalsati. Ritenni di non interessarmi oltre di questa vicenda perché oltre ai timori che mi ispirava essa non rientrava più strettamente nella mia competenza; inoltre non era ulteriormente necessaria la mia presenza poiché La Barbera decise di presiedere quella riunione operativa.
MASSIMO VILLONE. Lo sa chi ha sollecitato o promosso la perquisizione?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Ripropongo le indicazioni che ho fornito prima: dati quei presupposti, consigliai al questore di consultarsi con il capo della Polizia. La perquisizione avvenne fuori dall'episodio che ho ricordato: una pattuglia viene aggredita, riesce a sottrarsi all'aggressione e ritorna in ufficio, indicando la presenza di un centinaio (duecento mi sembra che dicessero inizialmente) di black bloc. Emergeva oggettivamente la necessità, forse il dovere di intervenire.


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PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Luigi Bobbio, avverto che l'audizione del dottor Sabella posticipata alle 18; avverto altresì che il dottor La Barbera ha provveduto ad inviare la stessa documentazione di ieri senza omissis.È riservata, ma se qualcuno del Comitato vuole prenderne visione può farlo. Usiamo lo stesso criterio utilizzato già le altre volte.
ANTONIO SODA. Vorrei intervenire sull'ordine dei lavori, signor presidente.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. A proposito della dichiarazione di riservatezza, ho visto i cinque faldoni inviati dal nuovo questore di Genova; alcuni contengono processi verbali di cui avevo già avuto notizia attraverso la stampa; altri sono ordini di servizio che richiamano l'ordinanza del 12 luglio, le stesse indicazioni ed altro. Mancano, seppure esistano - ne ho fatto richiesta ieri, formalmente, alla presidenza - le relazioni di servizio di tutti i dirigenti assegnati ai reparti cosiddetti mobili, relazioni con le quali questi ultimi, tornati in questura o ritornati al comando, dichiarano quanto è successo. Ne ho trovate solo alcune, in casi di fermo o di arresto. Allora, le chiedo, e rivolgo la domanda anche al Comitato, se il carattere di riservatezza o di pubblicità lo possiamo, mi consenta, decidere anche noi.
PRESIDENTE. Certo, ha ragione, onorevole Soda, è chiara la sua domanda...
ANTONIO SODA. Sulla stampa sono state pubblicate, già da tempo, tali notizie sui Servizi ed il ministro della funzione pubblica, incaricato del coordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza, oggi ci viene a dire che le relazioni inviate


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dai Servizi al centro di prevenzione crimine contenevano i nominativi. Quindi, mentre abbiamo il prefetto La Barbera che definisce inutili le informative dei servizi sicurezza, il ministro fa presente la circostanza per cui, avendo ricevuto i nominativi, si poteva intervenire efficacemente. Se tutto ciò si svolge sulle pagine dei giornali, allora che senso ha conservare la riservatezza di atti dei quali tutti possono conoscere? Il Comitato dica chiaramente...
PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei ha perfettamente ragione ed io rispetto...
ANTONIO SODA. Allora eliminiamo il carattere di riservatezza e ci dia gli atti, per cortesia. Con i ritmi con i quali lavoriamo nessuno può assentarsi di qui per studiare quei faldoni ed io li voglio leggere
PRESIDENTE. Ci mancherebbe! Però, vedo che lei ha letto, perché ha rilevato...
ANTONIO SODA. No, li ho sfogliati.
PRESIDENTE. No, io volevo darle atto di...
ANTONIO SODA. Io li voglio leggere (Commenti).
PRESIDENTE. Se l'ente che ci invia la documentazione ritiene, fornendo precise indicazioni al riguardo, che il materiale sia riservato, noi dobbiamo tenerne conto. Credo che la stragrande maggioranza della documentazione che sta pervenendo sia costituita da documenti comunque inviati anche alla magistratura. Io non credo che possiamo compiere valutazioni diverse, ma, visto che domani sera è convocato l'ufficio di


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presidenza, se lei ha la bontà di dire su quali documenti ritiene che il Comitato si debba soffermare per valutare ed eventualmente togliere la riservatezza e la segretezza, ne terremo conto. Allo stato, credo che se una amministrazione o un ente ci inviano una documentazione apponendo l'indicazione della sua riservatezza - come scritto testé dal prefetto La Barbera - ebbene, io credo che dovremmo conservare lo stesso regime.
ANTONIO SODA. Le rispondo subito...
PRESIDENTE. No, lei ha parlato sull'ordine dei lavori e le ho detto che la sua richiesta sarà oggetto delle decisioni dell'ufficio di presidenza. Ne parleremo domani sera; grazie, onorevole Soda.
FILIPPO MANCUSO. Chiedo di parlare, signor presidente.
PRESIDENTE. Sempre su questo argomento?
FILIPPO MANCUSO. Sì.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Mancuso.
FILIPPO MANCUSO. Signor presidente, dobbiamo intenderci anche sulle definizioni formali cui soggiacciono i documenti circa i quali sorge questione. Riservatezza è un termine generico: se si vuole intendere qualcosa che non è ostensibile bisogna distinguere la fonte della non ostensibilità, la possibilità di superare la fonte contraria e quale poi sia, in ogni caso, la ragione che possa opporsi anche al Comitato, cioè al Parlamento. Quindi, non basta porre il problema se non si hanno chiare le limitazioni al principio della riservatezza che in apicibus è una limitazione, diciamo, a sua volta limitativa


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di un potere illimitato, quello del Parlamento. Dunque, quando l'ufficio di presidenza si riunirà non ci faccia trovare di fronte ad una definizione tassativa quanto inconcludente. Abbiamo bisogno di essere liberi. È vero che sta all'autore dell'atto imprimere o non imprimere un concetto generale di riservatezza, ma non sta agli atti dei terzi. Perciò, il prefetto non può dire che un atto che non proviene dal suo potere è riservato o non lo è. È l'autore dell'atto che ha questa legittimazione ed allora chiariamo non solo i nostri poteri e doveri, ma anche i condizionamenti possibili, anche per ragione di scrupolo (non dico che sia in malafede), davanti ai quali noi potremmo trovarci di fronte non dico a dinieghi ma a difficoltà che, in tempi così costipati, per così dire, quali sono quelli da lei impressi ai lavori, signor presidente, finiscono con l'essere anche in qualche modo limitativi della nostra autonomia e chiarezza reciproca.
PRESIDENTE. Però, lei faceva riferimento, per esempio, agli ultimi documenti. Noi li abbiamo ricevuti...
FILIPPO MANCUSO. No, no...
PRESIDENTE. ... mi scusi ma noi li abbiamo ricevuti senza riservatezza. Dato che gli stessi sono dati «sensibili», si è ritenuto di riservarli, per cui chiunque può chiedere copia dei documenti con gli omissis, fermo restando che è a sua disposizione presso gli uffici il documento riservato. Questo è il criterio che abbiamo usato, ma domani sera ne discuteremo.
ANTONIO SODA. Per quanto riguarda la documentazione del questore di Genova, cosa chiediamo? È tutto riservato!
PRESIDENTE. Non ho parlato con il questore e non ho visto ancora i documenti, ma ritengo che il fatto che sia


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riservato, al di là del contenuto degli atti, là dove vi sia l'apposizione «riservato»...
ANTONIO SODA. Non vi è, non vi è...
PRESIDENTE. ... è perché gli stessi sono stati inviati alla procura di Genova. Comunque, ripeto, lo valuteremo domani sera, onorevole Soda. Abbiamo preso atto di questa sua...
ANTONIO SODA. Devono motivare la ragione, devono indicare la fonte che legittima...
PRESIDENTE. ... la riservatezza del provvedimento. In taluni casi vi è, in altri non sussiste; valuteremo.
ANTONIO SODA. Li ho visti io i processi verbali di arresto riscoperti, dati pubblicamente alla stampa...
PRESIDENTE. Il fatto che li pubblichi la stampa non costituisce un elemento necessario.
LUIGI BOBBIO. Grazie, signor presidente.
Signor prefetto, mi corre l'obbligo di fare la seguente premessa. Di fronte alla sua - devo riconoscerlo - ottima e completa relazione, che a mio avviso ristabilisce la verità o contribuisce molto fortemente a stabilire la verità dei fatti, solo una forma di cecità ideologica o di tendenza alla strumentalizzazione può indurre a parlare di difesa corporativa, come pure è stato fatto, in particolare della Polizia. La verità che emerge, a mio avviso, da questi lavori fa male, in realtà, ad una opposizione che vede ritorcersi contro se stessa una vicenda che aveva creduto di poter strumentalizzare (Proteste dei deputati Soda e Boato e della senatrice Dentamaro)...


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PIERLUIGI PETRINI. Non ho la malafede che mi è stata attribuita...
LUIGI BOBBIO. Permettetemi di svolgere il mio intervento senza interrompere!
Sono fortemente sconcertato per il fatto che il collega Violante, parlando di una gran parte dei manifestanti violenti, dimostri una tale contiguità (Commenti)...
Signor presidente, la prego: tutti hanno fatto premesse alle loro domande; penso di poterne fare anch'io (Proteste)! Le chiedo di poter andare avanti, signor presidente.
Dimostri - dicevo - una tale contiguità di questa sinistra, incapace o non disposta alla critica ai violenti da parlare, riferendosi anche ai black bloc ed alle tute bianche, di due decimi di contestatori un po' meno in regola degli altri. Chi vuole intendere intenda, ovviamente (Reiterate proteste)...
ANTONIO SODA. Si vergogni!
LUIGI BOBBIO. Onorevole Soda, io faccio sempre finta - non so fino a quando - di non sentirla!
ANTONIO SODA. Non offenda!
LUIGI BOBBIO. Signor prefetto, lei non ritiene che il diritto di manifestare pacificamente possa essere tutelato dalle forze dell'ordine quando i soggetti pacifici siano aggrediti da altri e non già quando i cosiddetti pacifici offrano copertura o permettono che i violenti si coprano con essi ?
Lei ha ricevuto dal capo della Polizia una delega, chiamiamola così, anche sull'ordine pubblico e tutto ciò significa che il potere delegato apparteneva in buona sostanza al delegante, ossia che al capo della Polizia - in questo caso, come in generale, dal punto di vista istituzionale - competano poteri


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di intervento, di direzione, di vigilanza e di impulso anche sull'ordine pubblico in occasione dei singoli episodi e delle singole manifestazioni. Lei a Genova - nell'ambito della delega ricevuta, vasta per la verità - ha agito o no pur sempre in qualità di vicecapo e vicario, ossia in nome e per conto del capo della Polizia? Le domando ciò per tentare di fornire anche un contenuto, che fino ad ora sembra sfuggire, al ruolo di questo capo della Polizia che, a quanto sembra, vuol far credere che non sia capo di niente e non abbia avuto parte in niente.
La sua delega anche all'ordine pubblico in presenza del questore, fino ad oggi indicato come vertice in materia di ordine pubblico sul territorio di Genova, e, quindi, peraltro anche suo subordinato vista la scala gerarchica esistente (lei era il vicecapo della Polizia, lui il questore di Genova), che senso pratico aveva in presenza di questo dualismo?
Sempre ripercorrendo a ritroso la scala gerarchica, per il capo della Polizia che senso pratico aveva la qualità del questore di vertice per l'ordine pubblico quando vi era lei delegato all'ordine pubblico in base ad un potere che il delegante aveva come suo proprio?
Essendo uomo di legge, come definirebbe il comportamento di una massa che ospita al suo interno un'altra massa di persone che ne entra e ne esce per commettere atti di violenza, senza far nulla per espellerla, isolarla o denunciarla? Tutto ciò non lo chiamerebbe forse favoreggiamento o fiancheggiamento o, in alcuni casi, concorso ?
Per ciò che lei ha sostenuto in riferimento alle telefonate di consultazione - quindi più di una perché ha usato il termine plurale - tra La Barbera, Colucci e il capo della Polizia in merito alla vicenda della scuola Diaz, cerchiamo di dare un significato a queste telefonate in ragione della natura


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apicale di uno dei soggetti interlocutori, cioè il capo della Polizia. Quest'ultimo prese o meno parte ad una decisione che, peraltro - ad abundantiam, per non essere lo stesso De Gennaro ufficiale di polizia giudiziaria come gli altri due soggetti interlocutori -, non competeva né a De Gennaro né a La Barbera né a Colucci, visto che si trattava di compiere un atto di polizia giudiziaria, qual è quello ex articolo 41 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza ?
In particolare, se - come credo - il capo della Polizia prese parte alla decisione in ordine a questo intervento, chi delegò o, meglio, indicò qualcuno per essere presente sul posto durante la perquisizione ed, eventualmente, per dirigerla ? Probabilmente il termine delegare in questo limbo che si sta tentando di disegnare - con suggerimenti, raccomandazioni, indicazioni - non è il più adatto. Allora chi suggerì, chi indicò, chi rappresentò come possibile suo sostituto sul posto ?
In ultima analisi, di fronte alla chiarezza ormai pressoché totale che si è disegnata nel corso delle audizioni circa le vere responsabilità e i veri fatti gravi e quelle che, invece, sono state le strumentalizzazioni, è rimasta una forte lacuna sul capo della Polizia, la cui figura sfugge in maniera sempre più ambigua e si disegna agli occhi di questo paese in maniera sempre più criticabile o, comunque, sempre più insoddisfacente.
In definitiva, quest'ultimo in occasione di un vertice importantissimo, pericolosissimo sotto il profilo dell'ordine pubblico, in concreto che cosa ha fatto ? Sì è defilato, ha lavorato, è intervenuto direttamente o tramite i suoi rappresentanti più o meno chiari, più o meno legittimi, più o meno ostensibili o dichiarabili ? In sostanza, che significa il termine - usato continuamente in queste audizioni - «consultarsi» con il capo della Polizia e che forza cogente hanno i suoi pareri, i suoi


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suggerimenti e le sue raccomandazioni nei confronti di tutti i suoi subordinati ( e voi tutti, dal primo all'ultimo, in quella e in altre vicende lo eravate) ?
Se queste sono solo chiacchiere, la sua figura ne esce estremamente impoverita o, al contrario, le sue parole non possono assolutamente essere ignorate da coloro che ne sono destinatari ? Le domando tutto ciò perché ormai questo clima di consigli, di suggerimenti continui da parte di superiori gerarchici a subordinati, francamente comincia ad essere stancante, specialmente sotto il profilo della individuazione delle responsabilità e non è più possibile sostenere la figura del capo della Polizia che impartisce i propri ordini e direttive senza assumersene, né allora né oggi, le responsabilità.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Torno a sottolineare che inviandomi a Genova o creando lo staff di funzionari qualificati - quello relativo all'appunto del 12 o 13 giugno - il capo della Polizia non pensava minimamente e non ha mai pensato di delegare totalmente i propri poteri ad altri né di abdicare alle proprie funzioni: questo sarebbe in contrasto non solo con gli assetti normativi ma con la nostra storia, che ha visto sempre il capo della Polizia come figura centrale nei temi dell'ordine e della sicurezza pubblica, maggiormente in situazioni come quelle che si sono realizzate a Genova.
Non credo che questa sia mai stata l'intenzione del prefetto De Gennaro, conoscendolo come uomo che ama affrontare di persona le situazioni e assumersi le proprie responsabilità.
Sul posto, io ero un anello della catena di comando, perché non avrei preso alcuna decisione grave senza consultare il capo della Polizia. Questa è la regola: non avrei imposto alcuna decisione al questore, anche lui responsabile delle situazioni che in concreto si realizzano (vi sono vari livelli di responsabilità). Certamente nessuno ha mai pensato di esautorare il


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questore nelle decisioni che tipicamente spettano a chi è sul campo. Ecco perché molte volte si è parlato di suggerimenti e di consigli, ma è chiaro che, quanto a livelli di responsabilità, essi sono quelli previsti oltre che dalle norme, come ho detto prima, anche da una tradizione secolare di impegni sul piano dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Questa delega ad altri di alcune funzioni essenziali che attenevano alla gestione dell'evento significa solamente che il capo della Polizia ha voluto assicurare alle autorità locali un sostegno adeguato alla sfida. Mi sono sempre comportato in tal modo, in quei giorni ho rispettato questo organigramma, quando si è trattato di prendere una decisione tutt'altro che leggera - come era quella della perquisizione alla scuola Diaz, per i motivi che ho detto - ho invitato il questore a consultarsi con il capo della Polizia. Siamo tutti d'accordo che il questore ed anzi addirittura l'ufficiale di polizia giudiziaria può autonomamente procedere ad una perquisizione ai sensi dell'articolo 41, ma tale era la valenza di questa perquisizione - è ovvio, è inutile che mi dilunghi su questo fatto così evidente - che si è pensato bene, tra l'altro, prima di intervenire, di informarne comunque il procuratore della Repubblica e di fare intervenire sul posto funzionari di livello elevato.
Quanto alla copertura dei violenti, che viene indicata come ricorrente durante le manifestazioni, questo è un dato che si è potuto riscontrare in via di fatto. Francamente, non mi sento di addebitarne la colpa al Genoa social forum, perché isolare i violenti può essere un'operazione rischiosa, non solo da parte delle forze dell'ordine, ma anche da parte del Genoa social forum (da parte sua forse anche di più). Come è scritto anche nella relazione, il Genoa social forum, contrariamente ad altre organizzazioni che a Genova sono convenute e hanno manifestato, non ha potuto - diciamo potuto - isolare i violenti.


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Non ha potuto concorrere con le forze dell'ordine nell'isolare i violenti, al punto che si è visto chiaramente, nella mattina del giorno 21 luglio, che un camion è stato per lungo tempo nel corteo, mentre venivano distribuiti mazze e bastoni a tutti quelli che ne avevano bisogno.
MICHELE SAPONARA. Prefetto Andreassi, contrariamente al dottor Colucci, lei sapeva che con molta probabilità ci sarebbe stata guerriglia e che per fronteggiarla sarebbe stato necessario fare uso anche dei reparti mobili. Riconosce che i ritardi e le lentezze nella movimentazione dei reparti furono dovuti anche a situazioni oggettive, come la più volte evidenziata tortuosità della rete viaria della città. Orbene, lei sa se i vertici della Polizia hanno segnalato a chi voleva tenere il vertice a Genova tale circostanza oggettiva?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Approfitto della sua domanda per fornire un ulteriore elemento di chiarezza sui nostri assetti. I reparti mobili sono quelli destinati all'ordine pubblico, che noi abbiamo impiegato sulla piazza a Genova, stando bene attenti a non esporre su questo fronte personale che non fosse dei reparti mobili, dal momento che non avrebbe avuto né la capacità, né l'addestramento, né le dotazioni necessarie ad affrontare situazioni rischiose quali quelle che si sono verificate. Al contrario, siamo stati tutti molto determinati nel «confinare» - si fa per dire - i reparti territoriali in servizi di mero supporto alla sicurezza generale (presidio di obiettivi fissi all'interno della zona rossa, pattugliamenti e altre funzioni analoghe). Non li abbiamo di proposito esposti sul fronte dell'ordine pubblico poiché vi abbiamo messo i reparti che a ciò sono deputati e che, oltre tutto, in vista del G8 di Genova, avevano ricevuto un addestramento particolare in questo senso: reparti mobili della Polizia di Stato, battaglioni


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mobili dei carabinieri e un contingente limitato della Guardia di Finanza, che ha anch'essa un'unità speciale denominata «baschi verdi», capace di affrontare anche situazioni di ordine pubblico (un numero limitato che credo fosse intorno alle 300 unità). Questa è stata la nostra strategia.
Ritornando poi sull'argomento più volte ricordato della misura dei contingenti, torno a sottolineare che 40 uomini di fronte al carcere di Marassi non sono stati sufficienti a garantire l'obiettivo ed anzi sono stati travolti. Dunque, era tale la capacità aggressiva, sia qualitativamente che quantitativamente, del black bloc e degli altri che, secondo me, è stato essenziale e assolutamente necessario irrobustire i contingenti perché, lo ripeto, avremmo potuto soccombere di fronte ad assalti che non erano fatti da poche decine di persone, ma da diverse centinaia e qualche volta da migliaia. Mi sono sentito in dovere di suggerire il potenziamento dei nuclei che erano stati previsti sul territorio proprio per evitare - ho più volte sottolineato che era uno dei miei pensieri fissi - che si potessero creare situazioni di tensione, di paura, di stress o di panico tali da indurre il singolo elemento o i pochi elementi, circondati da una massa imponente di manifestanti, a fare uso delle armi da fuoco. È successo - come ho affermato in una mia relazione - anche in un paese estremamente civile, pertanto bisogna tenere presenti, tali esempi altrimenti rischiamo, solo noi, di apparire incapaci. Mi riferisco, per esempio, a Göteborg, dove la polizia ha fatto uso delle armi da fuoco e certamente in condizioni non assimilabili nemmeno lontanamente a quelle di piazza Alimonda.
MICHELE SAPONARA. In merito alla scelta di Genova, la Polizia ha segnalato a chi voleva il vertice a Genova il pericolo e l'eventualità che la difesa non sarebbe stata facile?


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ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Questo ormai era un dato acquisito quando sono subentrato nella funzione di vicecapo della Polizia. Che Genova non fosse il teatro ideale per operazioni di ordine pubblico era un dato di fatto.
FILIPPO MANCUSO. Signor prefetto, poiché ho valutato la sua relazione - è modestia la mia, non superbia - come quella che, culturalmente e sociologicamente, si impone su tutte le altre - e per questo le faccio i complimenti - confido nella sua sensibilità nel rispondere alle domande che vado a proporle. La prima è la seguente: quale partecipazione ebbe, o costitutiva od informativa, nell'accesso - chiamiamolo così - alla scuola Diaz, la persona del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Siracusa? Desidero sapere, in altre parole, se questi partecipò alla decisione, se ne fu avvertito, se fu chiamato ad un atto di approvazione, se ne ebbe comunque conoscenza e quando.
La seconda domanda abbisogna di una breve premessa. Andando a Genova, lei era sostanzialmente gravato di tre funzioni diverse: quella di vicecapo della Polizia, competenza che aveva in qualità di sostituto o di delegato e che era attivata dalla condizione, presupposta, dell'inattività del titolare della funzione, quella di componente lo staff e, infine, quella di organo di collegamento con la struttura di missione. Nessuna di queste funzioni, collegialmente od individualmente determinate, poteva darle titolo a partecipare alla decisione, concreta ed effettiva, di un'operazione di polizia giudiziaria.
Quanto, poi, alla puntualità della sua relazione al riguardo, mi pare che il rinvio al documento n. 1 (ad essa allegato), come quello che definirebbe la sua posizione di componente lo staff e, insieme, di vicario in quella concreta situazione, non abbia riscontro negli atti depositati, tra i quali tale documento, molto utile, non figura, rinvenendosi semplicemente un dattiloscritto


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riportante la suddetta notizia in via indiretta. Il documento non c'è; è attergato all'ultima pagina della sua relazione, però non è richiamato con puntualità come allegato n. 1 visto che il contenuto di quest'ultimo è difforme da quello che lei gli attribuisce. Ne conviene? Ciò premesso, la domanda è la seguente: avrebbe la possibilità di farci avere per extenso questo documento n. 1 denominato «Appunto del capo della Polizia al ministro»? Esso potrebbe permettere di individuare la fonte concorrente della sua legittimazione a Genova, ma potrebbe anche offrire elementi relativi alla discutibilità della sua collaborazione in ambiti diversi da quelli riconducibili ai suoi poteri di vicario, di componente della commissione e di delegato presso la missione di struttura, quella presso Vattani in poche parole. C'era proprio bisogno di un sinedrio così numeroso per stabilire, prima ancora, se intervenire in una operazione chiaramente di polizia giudiziaria? C'era bisogno di tutto questo per stabilire che una decisione in ordine a questa iniziativa non poteva rientrare in alcuna delle sue funzioni? Allora, lei ci pone la necessità di questo interrogativo: non le sembra che l'accuratezza attribuita a tutta l'opera di prevenzione, di preparazione, di studio sia piuttosto enfatizzata che reale?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Non so dirle, onorevole Mancuso, se il generale Siracusa sia stato informato della perquisizione alla Diaz. Io non lo feci; del resto, il rapporto con il comandante generale dell'Arma viene regolarmente ed abitualmente tenuto dal capo della Polizia ed io non so se quella sera, o quella notte, il capo della Polizia abbia informato della perquisizione anche il comandante generale dell'Arma. Io, ripeto, non lo feci. Quanto al documento da lei indicato, che ho inteso essere quello intitolato «Appunto per l'onorevole signor ministro»... Mi scusi, onorevole Mancuso, si


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riferisce al documento relativo alla creazione dello staff o a quello concernente il mio comando presso la struttura di missione?
FILIPPO MANCUSO. Il nostro interesse è di conoscere la fonte scritta dalla quale discende la sua partecipazione allo staff perché la sua posizione come componente dello staff non è assimilabile a quella del prefetto La Barbera. Questi non è stato incaricato nella veste funzionale che aveva, ma è stato indicato ad personam come uno dei sei componenti di quello staff; lei, invece, è stato indicato, o è presumibile che sia stato indicato, dato che non abbiamo il documento, nella funzione di vicario.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. La Barbera è nello staff?
FILIPPO MANCUSO. Eh, sì! Egli così ha detto. Ecco perché abbiamo bisogno della fonte scritta.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Allora commenterò entrambi i documenti. Il primo, intitolato «Appunto per l'onorevole signor ministro», nel quale vengono indicate al ministro dell'interno la composizione dello staff e le mie funzioni, è un documento a sé, che non ha altro provvedimento a monte o a valle: si tratta semplicemente dell'informazione che il capo della Polizia dà al ministro, di aver costituito uno staff di cui fa parte anche Andreassi - anzi, di cui fa parte per primo Andreassi - al quale vengono attribuite le funzioni specificate accanto al nome, le quali non derivano, però, da alcun altro provvedimento. Non c'è alcun provvedimento.
FILIPPO MANCUSO. Allora non è questo il documento al quale mi riferivo.


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MARCO BOATO. No, non è questo: è il successivo.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il documento successivo riguarda, invece, il mio comando - perché questo credo che sia il termine giusto - presso la struttura di missione...
MARCO BOATO. Al posto del prefetto Gianni.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Al posto del prefetto Gianni. Non so, anzi do per scontata l'esistenza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un altro documento che mi premurerò di acquisire: finora non l'ho visto ed ho avuto cognizione soltanto del telegramma che mi colloca, ripeto, in posizione di comando e fuori ruolo. Si può dire che, quando sono stato rimosso dalle mie funzioni, non sono stato rimosso solo dalla carica di vicecapo della Polizia: dopo questo provvedimento non ero più nemmeno vicecapo della Polizia ...
FILIPPO MANCUSO. Non poteva collaborare ad alcuna operazione di polizia giudiziaria.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Tanto meno di polizia giudiziaria.
FILIPPO MANCUSO. Essenzialmente di polizia giudiziaria. Questo desta rilevanti perplessità.
GIANNICOLA SINISI. Ringrazio il prefetto Andreassi, che saluto, per il suo intervento e la sua relazione.
Vorrei porle una questione, che peraltro ho già posto ad altri soggetti che sono stati auditi prima di lei.
Le modalità attraverso le quali i black bloc si sono mossi all'interno delle manifestazioni erano ampiamente note, se non vado errato, come risulta da alcune relazioni che ho avuto


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modo di leggere, ed era persino noto che una delle loro maggiori abilità era proprio quella di confondersi in manifestazioni pacifiche di massa e compiere azioni violente, trovando poi rifugio all'interno delle manifestazioni stesse.
Leggo nell'ordinanza del prefetto di Genova del 2 giugno 2001 che nella zona gialla sono vietate le manifestazioni di qualsiasi genere ed anche il volantinaggio. Leggo nell'ordinanza del questore di Genova del 12 luglio che, invece, in deroga all'ordinanza prefettizia, sono possibili delle manifestazioni autorizzate anche nella zona gialla. Leggo dai giornali che vi è stato un indirizzo politico, pubblicamente reso noto a Genova dal ministro Scajola, il 19 giugno, di dialogare con i manifestanti.
Condivido pienamente con lei che la cosa migliore è sempre il dialogo con i manifestanti perché l'ordine pubblico venga realizzato nelle condizioni migliori possibili, ma non mi spiego come mai in una situazione così particolare, in cui le modalità di azione, che ho appena descritto, erano state rese note a Quebec City e a Göteborg e nonostante le intercettazioni che preannunciavano che il 20 luglio ci sarebbero state manifestazioni particolarmente violente, vengano autorizzate manifestazioni che coinvolgono anche la zona gialla. Non mi spiego come mai l'ordinanza del questore del 12 luglio fu diversa, più ampia, rispetto all'ordinanza prefettizia del 2 giugno; perché vennero avviate trattative così ampie con i manifestanti, del tipo che abbiamo conosciuto, fino ad impegnare, molto singolarmente per una trattativa di questo genere, il capo della Polizia, mentre tale funzione solitamente veniva svolta da un organo politico: dal sottosegretario, dal ministro stesso o comunque da un rappresentante politico. Vorrei sapere se siano intervenute direttive politiche che vi hanno indicato di aprire in misura maggiore di quanto previsto in precedenza.


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Vi sono state direttive del tipo di quelle indicate il 19 giugno nella riunione del ministro dell'interno con gli amministratori locali e da quelle lumeggiate anche sui giornali dal ministro degli esteri Ruggiero? Avete informato il Governo dei pericoli che derivavano dalla possibilità di strumentalizzazione delle manifestazioni di dissenso?
Queste sono le due domande che intendevo rivolgere, ringraziandola ancora.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. La zona gialla, per quanto mi risulta, almeno dall'unica riunione con il Genoa social forum, alla quale ho partecipato, affiancando il capo della Polizia a Genova è stata argomento di forte contesa da parte di vari componenti del Genoa social forum, che la indicavano come una premessa rischiosa per il mantenimento dell'ordine pubblico. È stata più volte sottolineata l'inopportunità della previsione di questa zona gialla. È chiaro che il discorso del Genoa social forum era strumentale in quanto questi cercavano di avvicinarsi il più possibile alla zona rossa per poter, lì, manifestare il dissenso nelle forme che ognuno avrebbe preferito. Allora, in effetti, la inviolabilità della zona gialla è stata ritoccata nei modi che lei stesso ha indicato perché, ad un certo momento, si è ritenuto che la zona gialla fosse una valvola, uno spazio di sicurezza che era stato previsto nell'incertezza dei luoghi in cui si sarebbero collocate le varie delegazioni. Una volta che tutte quante le delegazioni avevano trovato ricetto presso la European vision e che la delegazione americana, l'unica a non farlo, aveva comunque trovato collocazione lì vicino, presso l'hotel Jolly Marina l'intangibilità della zona gialla è caduta.
Quanto alle direttive politiche non ne ho ricevute perché non ho mai parlato con il ministro dell'interno di questi argomenti; si trattava di direttive di carattere tattico. La


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questione dell'inviolabilità della zona gialla è un discorso che ad un certo punto si è fermato, quando si è sbloccata la situazione della collocazione delle delegazioni; allora si è detto che potevamo lasciare qualche spazio a manifestazioni che apparivano meno insidiose anche nella zona gialla, come è avvenuto per il corteo dei migranti del 19 luglio.
PRESIDENTE. La ringraziamo per la sua cortesia e disponibilità, data l'ora e considerato il fatto che lei è l'unico degli auditi che è venuto per due volte presso la Camera dei deputati. Se lei dovesse ritenere, avendo compreso lo spirito che anima il lavoro di questo Comitato, di poter fornire documenti utili per l'indagine conoscitiva, le saremmo grati se potesse farceli pervenire.
FILIPPO MANCUSO. A proposito del documento che le ho chiesto prima?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Verificherò se presso la Presidenza del Consiglio c'è il documento al quale lei ha fatto riferimento.
FILIPPO MANCUSO. A me parrebbe molto probabile che vi sia.
PRESIDENTE. Ricordo che per le 15 è prevista l'audizione del colonnello Graci, comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Genova; a seguire, alle 16,30, avrà luogo l'audizione del dottor Zazzaro, responsabile della sala radio della questura di Genova. Alle 18 avrà infine luogo l'audizione del dottor Sabella.
La seduta, sospesa alle 14.05, è ripresa alle 15.