COMMISSIONE D'INDAGINE

Seduta 06 - 30 Agosto 2001

La seduta comincia alle 9,45.
Audizione dell'ambasciatore Umberto Vattani.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione dell'ambasciatore Umberto Vattani.
Ricordo che l'indagine ha natura puramente conoscitiva e non inquisitoria. La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Ringrazio, a nome personale e del Comitato, l'ambasciatore Vattani per aver accettato il nostro invito. Le sarei grato, ambasciatore, se potesse dare lettura della sua relazione.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Vorrei esprimere il mio ringraziamento a lei, signor presidente, e agli onorevoli deputati e senatori membri del Comitato, per essere stato


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invitato di fronte a questo alto consesso per un'audizione nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa ai fatti del vertice G8 di Genova.
Vorrei premettere che il ruolo del Ministero degli affari esteri in relazione a questo vertice si è incentrato sulla definizione dei temi di sostanza del summit e la predisposizione dei relativi documenti mediante un'intensa opera di consultazione con gli altri Stati membri del G8; sull'elaborazione del programma delle riunioni, con particolare riguardo anche ai complessi aspetti protocollari; sull'organizzazione in genere del G8, tenendo presente che occorreva far fronte ai problemi dell'allestimento delle sale degli incontri, dell'alloggio delle delegazioni, della predisposizione del centro stampa e della sistemazione dei giornalisti.
La responsabilità primaria per l'organizzazione del vertice spettava, come noto, alla struttura di missione - appositamente istituita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con legge n. 149 dell'8 giugno 2000 - presieduta dal ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi. Una supervisione ed un appoggio sono venuti anche dal Ministero degli affari esteri ed in particolare, per i vari aspetti, dalla segreteria generale, dal cerimoniale, dal servizio stampa e dall'ufficio interpreti. Una particolare azione è stata inoltre svolta per l'elaborazione di diversi documenti, pubblicazioni, opuscoli, guide per i delegati e per la stampa, distribuiti nel corso del vertice e di cui sono lieto di consegnare copia al Comitato (una serie di questi documenti li ho già inviati ieri).
Le problematiche della sicurezza esulano naturalmente dalle competenze della Farnesina. Il Ministero dell'interno ha seguito in maniera approfondita i problemi della sicurezza ed ha anche inserito nella struttura di missione G8 del ministro


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Vinci Giacchi due funzionari del Viminale: dapprima il prefetto Aldo Gianni e successivamente il prefetto Ansoino Andreassi.
Naturalmente, poiché tutti gli eventi del vertice dovevano svolgersi assicurando la sicurezza degli ospiti stranieri partecipanti, la Farnesina era informata del quadro generale predisposto dal Ministero dell'interno. In particolare il Viminale era poi chiamato a far conoscere anche alle ambasciate dei paesi partecipanti, come in effetti poi è avvenuto, il piano complessivo sugli aspetti di sicurezza del vertice.
Per parte mia, posso ricordare che nell'aprile scorso il ministro degli esteri Dini mi ha chiesto di supervisionare i preparativi per il G8, nell'approssimarsi del vertice. Il primo problema che emerse fu quello di sistemare le delegazioni straniere sulle navi che erano state prese in affitto e che sarebbero state ormeggiate a ponte dei Mille, ai lati della stazione marittima. In quel momento, infatti, le delegazioni straniere insistevano ancora per alloggiare in vari alberghi distribuiti nell'intera zona di Genova ed anche nell'area di Rapallo, Santa Margherita e Portofino. Fu così che, sulla scorta delle ragioni fatte valere dalle nostre autorità di sicurezza, si svolse, di concerto con il Viminale, un'azione di convincimento nei confronti delle ambasciate estere e delle missioni preparatorie straniere che via via si susseguivano. Tale azione portò progressivamente ad una decisione positiva sulla sistemazione di tutte le delegazioni sulle navi, compresa quella statunitense, ad eccezione del Presidente Bush e di alcuni suoi collaboratori che si sistemarono peraltro anch'essi in un albergo a poca distanza dalla stazione marittima.
Questo risultato fu favorito anche da due riunioni che si svolsero alla Farnesina il 22 maggio e l'8 giugno con i


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rappresentanti delle ambasciate dei paesi del G8, nel corso delle quali il prefetto De Gennaro illustrò il quadro di sicurezza generale previsto per il vertice.
Abbiamo altresì per parte nostra facilitato i contatti tra gli esperti di sicurezza stranieri ed il nostro Ministero dell'interno, allorché tali incontri ci vennero richiesti dalle ambasciate estere a Roma.
Vorrei poi ricordare l'intenso dialogo sui temi della globalizzazione e dello sviluppo, rivolto verso l'esterno, che è stato condotto dalla Farnesina nella fase di preparazione del vertice. La presidenza italiana del G8 è stata la prima ad intraprendere un dialogo così articolato ed approfondito con proiezione esterna su tali temi. Tali iniziative si sono estese a grandi personalità internazionali, particolarmente attente ai temi dello sviluppo e dell'economia globale, che vennero invitate a Roma per un incontro il 13 luglio con il ministro Ruggiero e che furono poi ricevute anche dal signor Presidente della Repubblica; a esponenti delle organizzazioni sindacali e del mondo imprenditoriale internazionali, che parteciparono ad un incontro a Genova il 19 luglio con il Presidente del Consiglio e con i ministri del lavoro e delle attività produttive; a interlocutori istituzionali, con l'iniziativa outreach, culminata nell'invito a Genova il 20 luglio di Capi di Stato e di Governo di vari paesi in via di sviluppo (Algeria, Bangladesh, El Salvador, Mali, Nigeria, Senegal e Sudafrica) e dei responsabili di importanti organizzazioni internazionali: per l'ONU venne il Segretario generale Kofi Annan, per la FAO il Direttore generale Jacques Diouf, per la Banca mondiale James Wolfensohn, per l'OMC Mike Moore e per l'OMS la signora Brundtland. Tali incontri erano stati accompagnati anche da contatti con le ONG e la società civile, quali ad esempio la


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riunione che i ministri Ruggiero e Scajola ebbero con i rappresentanti del Genoa social forum, svoltasi alla Farnesina il 28 giugno.
Infine, per quanto riguarda una valutazione complessiva politica e diplomatica del vertice, vorrei ricordare che i Capi di Stato e di Governo partecipanti, e le ambasciate a Roma, hanno tenuto ad esprimere il vivo apprezzamento per l'organizzazione complessiva del summit di Genova e, soprattutto, per i risultati conseguiti.
Prima di concludere, vorrei ricordare, signor presidente, che il ministro Ruggiero, con lettera del 9 agosto a lei indirizzata, ha fornito al Comitato, come richiesto, gli scambi di lettere e altre comunicazioni in qualche modo attinenti alle tematiche di sicurezza del vertice. Resto a disposizione sua e degli onorevoli membri del Comitato per ogni possibile elemento d'informazione aggiuntivo che fossi in grado di fornire.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore Vattani. Copia della sua relazione è acquisita agli atti del Comitato.
Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto di parlare.
MICHELE SAPONARA. Signor ambasciatore, lei ha fatto riferimento ad una riunione nella quale il prefetto De Gennaro ha illustrato il piano di sicurezza. Le chiedo: in quell'occasione si accennò ai problemi di sicurezza che la particolare conformazione di Genova avrebbe comportato?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. In quella riunione, alla quale parteciparono i rappresentanti di tutte le ambasciate del G8, illustrai il programma degli eventi, soffermandomi soprattutto sugli aspetti logistici delle delegazioni (circa 2.000 delegati


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sarebbero giunti a Roma e oltre 4.700 giornalisti). Successivamente, per spiegare il piano di sicurezza diedi la parola al prefetto De Gennaro, il quale descrisse nelle linee generali le caratteristiche della zona rossa, che avrebbero consentito lo svolgimento del vertice in condizioni di sicurezza e della zona gialla, che avrebbe anch'essa offerto la possibilità di mantenere una situazione di stabilità; in particolare, si soffermò su tutte le misure che sarebbero state adottate nella zona rossa per assicurare la sicurezza degli ospiti. In quell'occasione, le delegazioni straniere apprezzarono molto il piano predisposto dal capo della Polizia e dal Viminale per la zona rossa. Naturalmente si spiegò anche che, trattandosi di un'area di Genova dove esistono molte strade strette, molti vicoli, dove predomina - diciamo così - una caratteristica medievale della città, sarebbe stato necessario adottare alcune misure particolarmente attente per evitare sorprese.
GIANCLAUDIO BRESSA. Ambasciatore Vattani, la ringrazio per la sua relazione; le vorrei rivolgere alcune domande relativamente alla sua funzione di supervisore, come ci ha ricordato.
A partire dal mese di aprile, il ministro Dini l'aveva incaricata di supervisionare tutto ciò che riguardava il vertice G8. È evidente che il Ministero degli affari esteri non ha alcuna competenza relativamente alla sicurezza, ma è altrettanto evidente che tale ministero, intrattenendo le ovvie, dovute, istituzionalmente corrette relazioni con gli altri paesi membri, in qualche modo rappresentava il punto più sensibile di contatto con tutte le altre delegazioni, il punto di sintesi anche delle richieste degli altri paesi.
Vorrei chiederle due cose. La prima è la seguente: il sindaco di Genova - come emerge anche da altre audizioni in maniera evidente - ha affermato come, di fatto, il clima sia mutato


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rispetto alla preparazione del G8 dopo il vertice di Göteborg (è anche evidente che ciò sia avvenuto in relazione agli accadimenti che si sono verificati a Göteborg).
Da quel momento in poi si assiste ad una diversa attenzione da parte degli interlocutori istituzionali rispetto alle proposte del Genoa social forum. Mentre precedentemente vi era una linea di tendenza abbastanza netta, proclamata dal Governo e sostenuta anche dai rappresentanti degli enti locali, a favore di una distinzione del momento delle manifestazioni dal momento del G8, successivamente - così mi pare di capire - si comincia a dialogare per trovare un punto di incontro e scongiurare situazioni di scontro esasperato.
Credo che tale scelta sia stata dovuta, ma non sono chiare le motivazioni che ne sono alla base. Contestualmente, infatti, arrivavano informative da parte dei Servizi segreti (immagino fossero a conoscenza dell'ambasciatore Vattani ma anche sicuramente del ministro Dini), che mettevano in allarme da alcuni pericoli. Si trattava di informative relative ai vertici di Quebec e, in previsione, al vertice di Barcellona della Banca mondiale in cui si affermava chiaramente che era estremamente pericoloso immaginare la possibilità di autorizzare le manifestazioni perché i Black bloc utilizzavano le manifestazioni pacifiche per scopi che nulla avevano a che spartire con le manifestazione di idee.
Qual è stata, allora, la determinazione che ha portato a tale dialogo e alle decisioni che poi sono state adottate?
La seconda domanda è più specifica e si riferisce al fatto che solo alla fine di giugno le delegazioni, credo in particolare la delegazione gli Stati Uniti, hanno sciolto le riserve sul luogo in cui sistemarsi; non più fuori dalla cinta urbana di Genova, ma all'interno dell'area rossa. A quel punto, essendosi ristretta l'area di interesse che doveva essere blindata (una delle scelte


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più decisive e significative del Governo è stata quella di garantire comunque lo svolgimento del vertice, perché nessuno poteva mettere in discussione la legittimità e la serietà di quanto si stava facendo a Genova in quei giorni), quando è stato deciso che la zona rossa era la zona in cui tutti sarebbero stati presenti (e quella era la zona da difendere), quali sono state le decisioni assunte dal punto di vista non solo dell'ordine pubblico ma anche della protezione del vertice? Vorrei inoltre una conferma dell'ambasciatore Vattani e possibilmente alcune delucidazioni sui motivi per i quali tali scelte sono giunte così tardi. Quali erano le preoccupazioni delle delegazioni straniere, in particolare della delegazione statunitense, nell'aver sciolto così tardi le riserve rispetto alla loro allocazione logistica?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Un dialogo con le organizzazioni non governative da parte italiana c'è stato, da anni; un dialogo con le ONG, in particolare, nell'ambito delle Nazioni Unite. È stato promosso anche quando l'Italia aveva assunto la presidenza delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza. Nel 1996, ad esempio, proprio in quella occasione, fu promosso un incontro con la conferenza delle organizzazioni non governative a New York per discutere sui problemi della pace, della sicurezza e sulla prevenzione dei conflitti. Successivamente, anche presso l'ECOSOC, nel 1999, quando l'Italia ne assunse la presidenza, si parlò molto con le organizzazioni non governative; anzi si riuscì a farle dialogare nel momento in cui i ministri erano presenti in quella sede. Infine, abbiamo più volte sottolineato alle ONG italiane l'opportunità di iscriversi e di chiedere lo status consultivo all'ECOSOC; cosa abbastanza facile da ottenere. È sufficiente, infatti, dimostrare di impegnarsi per gli stessi scopi per i quali lavora l'ECOSOC, cioè rispetto universale per i diritti umani


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e le libertà fondamentali senza distinzioni di razza, sesso, lingua e religione e per la soluzione dei problemi economici sociali e sanitari internazionali. Il dialogo quindi c'è sempre stato, ovviamente con le organizzazioni che si occupano di cooperazione e di difesa dei diritti dell'uomo.
Un dialogo con i gruppi violenti è impossibile. Con la violenza si esce dal diritto civile e si entra in quello penale. Non è questione di dialogo, non si può discutere con i violenti.
Le vicende di Göteborg hanno messo in evidenza come, nell'ampia galassia di organizzazioni non governative, impegnate a promuovere le stesse finalità di cui le Nazioni Unite si erano fatte paladine soprattutto nell'assemblea del millennio, si siano infiltrati anche alcuni violenti. Io stesso ero presente nella delegazione italiana a Göteborg. Abbiamo tutti visto in televisione con quanta brutalità e violenza alcuni gruppi hanno attaccato le forze di polizia, operando atti di vandalismo. Indubbiamente, quindi, i fatti di Göteborg hanno accentuato la preoccupazione delle ambasciate a Roma e delle missioni preparatorie del G8 ed hanno in un certo senso facilitato quella conclusione riguardo all'alloggio e alla sistemazione delle delegazioni proprio perché si è capito che sarebbe stato molto difficile sorvegliare un numero abbastanza elevato di alberghi sparsi per la città e addirittura nel golfo del Tigullio, consentendo ai capi delegazione, Capi di Stato e di Governo di raggiungere il luogo delle riunioni.
Sarebbe bastato un gruppo anche relativamente piccolo di dimostranti per rendere impossibile l'uscita dagli alberghi. La soluzione delle navi rappresentava, da questo punto di vista, un fatto di grande vantaggio. Avremmo potuto praticamente far partire dallo stesso luogo, cioè la stazione marittima, verso il palazzo Ducale le delegazioni secondo l'ordine protocollare; si sarebbe assicurato il rientro al termine delle sessioni di


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lavoro; si sarebbero potuti svolgere anche gli eventi, quali pranzi e cene di lavoro, in maniera molto più semplice.
Riuscimmo pertanto a convincere le delegazioni, che fino a quel momento si erano ostinate a prenotare delle stanze in tutta la città, e direi in tutta la Liguria, a venire finalmente insieme.
Perché così tardi, chiede l'onorevole Bressa? E come mai tanta difficoltà per convincere le delegazioni a quella che sembrava essere una soluzione facile e comoda per tutti? Ebbene, qui vi sono diverse spiegazioni. La prima è che ognuna di tali delegazioni è composta di un numero di persone che si occupano delle telecomunicazioni, dei problemi della cifra, della sicurezza. Questi soggetti appartenenti a tali delegazioni preferiscono operare in un ambiente in cui sono soli. Non hanno vicino un'altra delegazione o altri esperti di telecomunicazioni. Tradizionalmente, è sempre avvenuto così.
La prima volta in cui siamo riusciti a sistemare nella stessa nave, che aveva 768 cabine, quasi tutte le delegazioni (nove su dieci) è stato a Genova. Non è stato facile fare convivere in comparti di questa grande nave una accanto all'altra tutte le delegazioni.
Questi problemi delle telecomunicazioni possono sembrare eccessivi ad alcuni. Tuttavia, quando si pensa alle responsabilità che alcuni di questi paesi hanno, non vi è dubbio che questo è uno dei temi principali che hanno ostacolato, sino alla fine, una soluzione.
Quali altre motivazioni vi possono essere? Ogni delegazione cerca di assicurarsi in questi casi un albergo più vicino al luogo della riunione. In tal senso, molte richieste erano rivolte all'albergo Bristol, che è più vicino a palazzo Ducale. Tuttavia, non era possibile accontentare tutti in quel posto. Altre avevano insistito - in particolare la delegazione degli Stati


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Uniti - per la sistemazione a Rapallo, semplicemente perché si tratta di un albergo - l'Excelsior- estremamente comodo ma distante dalla zona. Sarebbe pertanto stato difficile risolvere i problemi di trasporto.
Il secondo problema riguarda i numeri. Abbiamo dovuto far fronte a delegazioni composte anche da 900 persone (quelle degli Stati Uniti), da 350 (quelle del Giappone) e da 300 (la Russia).
LUCIANO VIOLANTE. Quando avete avuto questi dati?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Abbiamo avuto questi dati successivamente. Si era parlato all'inizio di gruppi più ristretti, ma col crescere dell'aspettativa per il vertice, i numeri sono lievitati notevolmente.
Sistemare una delegazione di 900 persone in una città dove la ricettività è di 2150 stanze dà un'idea di quelle che erano le complessità che abbiamo dovuto affrontare. Ho ricordato poco fa: 2.000 delegati e 4.750 giornalisti.
LUCIANO VIOLANTE. È importante conoscere i tempi. Non per responsabilità nostra, ma tutte queste delegazioni vi dicevano un certo giorno. Quando avete avuto il quadro definitivo delle delegazioni? Questo per capire i problemi che avete dovuto affrontare.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Posso dirle che nella seconda metà di aprile si erano configurate abbastanza chiaramente le richieste delle diverse delegazioni. Molte di loro avevano già prenotato per proprio conto degli alberghi: per esempio, presso lo Sheraton all'aeroporto, lo Star Hotel fuori della zona rossa. Fu un lavoro negoziale non facile quello di convincerle a venire, una dopo l'altra, sulla nave. Il fatto di


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esserci finalmente riusciti ci ha consentito di dedicarci alla soluzione dei problemi logistici, come quello dei trasporti. Dovevamo avere presso la stazione marittima un numero sufficiente di parcheggi, di uffici, dal momento che le delegazioni ci avevano chiesto degli uffici non soltanto all'interno del palazzo Ducale, ma anche alla Stazione marittima e nei Magazzini del cotone, dove si trovava il centro stampa. Pertanto, abbiamo dovuto far fronte a delle richieste complesse e molteplici che riguardavano proprio la possibilità per queste delegazioni di svolgere il loro lavoro in tre diverse località.
GIANCLAUDIO BRESSA. È stato ricordato che la delegazione degli Stati Uniti aveva sciolto le sue riserve solo alla fine di giugno. Corrisponde a verità o è una data fittizia?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. È così. La prima delegazione a farci conoscere la decisione di salire a bordo fu quella francese. Essendo riusciti a convincere il presidente Chirac a salire a bordo ed essendo egli poi il decano del gruppo del G8 oltre che capo di Governo e di Stato, è stato più semplice ottenere anche l'ingresso sulla European Vision della delegazione tedesca, di quella canadese ed infine delle altre. L'ultima delegazione che aveva insistito sino alla fine per rimanere a terra e, in particolare, a Rapallo, era stata la delegazione statunitense. Anch'essa alla fine si è resa conto della bontà della soluzione della stazione marittima, in parte sulla nave, in parte all'albergo Marina Jolly.
GIANCLAUDIO BRESSA. Come mai è stato deciso di discostarsi in qualche modo dalla linea tenuta sino a quel momento dal Governo, ovvero di tenere separato il momento delle manifestazioni da quello del vertice?


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UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non era mai stato chiaro esattamente quando questi manifestanti avrebbero voluto organizzare a Genova delle dimostrazioni. Si diceva a luglio. Nel corso del mese di giugno cominciano ad apparire dei calendari con una folle messe di incontri, discussioni, dibattiti ed eventi. Ci accorgemmo già a giugno che avevamo in pratica l'intero calendario di luglio pieno di manifestazioni. Le richieste si fecero sempre più pressanti. Non eravamo noi a prendere delle decisioni in questo campo; tuttavia, non potevamo fare a meno di notare che la pressione per poter manifestare - l'espressione che veniva adoperata al riguardo era dissenso - si faceva sempre più importante.
Le aspettative del vertice crescevano. Si sapeva di tale importante riunione. Si può dire che i giornali e i media non parlavano di altro.
Posso solo dire che ci fu un crescendo di richieste per organizzare a Genova, in numero immenso, eventi di carattere musicale, tavole rotonde, discussioni tematiche, che andavano dai problemi dello sviluppo, ai problemi dell'AIDS, alla lotta contro le epidemie, ai problemi del rispetto dell'ambiente, il ricorso alle energie rinnovabili e così via. Quindi si trattava effettivamente di una continua richiesta di dimostrazioni di questo gruppo così eterogeneo di organizzazioni, alcune che inseguivano argomenti specifici, altre, invece, temi di carattere più generale, come la semplice opposizione alla globalizzazione.
MARCO BOATO. Signor ambasciatore, come lei ha già detto all'inizio - ed è ovvio - i temi che interessano in particolare questo Comitato di indagine soltanto marginalmente richiamano i compiti istituzionali del Ministero degli affari esteri, e il suo compito, in particolare. Tuttavia, visto che c'è qualche momento di intersezione tra i vari aspetti e le


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domande che i colleghi le hanno rivolto mi soffermerei su questi aspetti, cercando anche di capire il quadro più generale dal punto di vista istituzionale.
Innanzitutto, le chiederei di spiegare bene al Comitato (stavo cercando di ricostruire i fatti in base alla cronologia piuttosto complessa che abbiamo a disposizione, ma non vorrei sbagliarmi, quindi lo chiedo a lei) le fasi di passaggio dalla responsabilità in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri - stiamo parlando, evidentemente, di un periodo antecedente all'attuale Governo - al momento in cui con il Governo Amato, non più con il Governo D'Alema, si decide che l'ambito istituzionale di imputazione prevalente non è più la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma il Ministero degli affari esteri. Ovviamente, resta la responsabilità della Presidenza del Consiglio: tuttavia, c'è uno spostamento di baricentro tra i due ambiti. Le chiedo, quindi, di spiegare meglio questa fase.
La seconda questione riguarda le ONG: e indirettamente, lei ha già fornito una spiegazione. Il Ministero degli affari esteri ha ormai una lunga tradizione di rapporto con queste organizzazioni; anzi, lei ha spiegato che spesso siete voi a sollecitare le ONG ad acquisire lo status consultivo presso l'ECOSOC. In questo caso, ci siamo trovati di fronte ad un passaggio graduale, in relazione alla preparazione del G8 - mi riferisco anche ai molti mesi precedenti, non all'imminenza dell'evento - da una interlocuzione iniziale con le ONG tradizionali - chiamiamole così, per intenderci - a quella con le associazioni che via via si sono riconosciute, prima sotto la sigla del Patto di lavoro, e poi sotto quella del Genoa social forum. Da questo punto di vista, la pregherei, nei limiti di tempo che riterrà, di spiegare questo cambio, del tutto comprensibile perché è avvenuto in rapporto agli avvenimenti (quindi la mia non è una osservazione critica, ma una richiesta


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puramente conoscitiva), questo tipo di interlocuzione diversa. Inoltre - mi rivolgo a lei, poi, semmai, lo chiederemo al ministro Vinci Giacchi - desidero un chiarimento sul ruolo che in una prima fase, ha avuto (poi è venuto meno proprio per il cambio di interlocutori) la dottoressa architetto Paolini. Inizialmente mi pare sia incaricata del rapporto con le ONG e poi, nel momento in cui il rapporto non è più con le ONG tradizionali, ma con il costituito o costituendo Genoa social forum (perché ci sono varie sigle precedenti), mi sembra che l'interlocuzione non avvenga più con questo tramite. Questo ho capito: sto chiedendo a lei, signor ambasciatore, se ce lo può spiegare.
In questo contesto, lei ha ricordato, giustamente (e risulta sia da tutte le nostre ricostruzioni, quelle del prefetto, sia dalla cronologia comparata), la riunione del 28 giugno scorso alla Farnesina, che fa parte di una serie di riunioni che si sono tenute nel giugno 2001, quindi, quasi nell'imminenza del vertice, ormai dopo il cambio di Governo. Alcune riunioni erano già avvenute in aprile, da quanto si ricostruisce dal documento del prefetto, quindi all'epoca con il ministro Bianco e il ministro Dini, come riferimenti istituzionali, dal 5 al 20 aprile. In mezzo, sappiamo tutti che ci sono state le elezioni politiche, quindi, una sorta di comprensibile interruzione e poi un'altra serie di riunioni dal 24 giugno al 30 giugno: il 24 giugno incontro in questura con il Gsf; il 28 giugno alla Farnesina con il ministro degli affari esteri e con quello dell'interno (e mi pare di capire che anche lei fosse presente a questo incontro). Lei è in grado di spiegarci - non penso ci sia alcun aspetto clamoroso - di cosa in particolare si è discusso in quella occasione alla Farnesina? Più o meno conosciamo le richieste che il Genoa social forum ha avanzato nei vari incontri e le risposte. Tuttavia, per la parte specifica


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della Farnesina, lei è in grado di dettagliarcelo? È in grado di dirci come era composta la delegazione del Genoa social forum, perché noi abbiamo in nota, da parte del prefetto, la composizione delle varie delegazioni per ogni incontro. L'unico su cui il prefetto non è in grado di darci la composizione della delegazione è quello del 28 giugno a Roma dove egli afferma «un'altra delegazione, sempre del Genoa social forum, della cui composizione non ho notizie è ricevuta alla Farnesina». Glielo chiedo perché in nota, in relazione agli altri incontri, abbiamo sempre la composizione della delegazione e sono presenti alcuni elementi fissi, altri sono variabili. Infatti sappiamo che il Genoa social forum era una sigla che copriva una quantità molto ampia di organizzazioni: quindi, può dirci la composizione della delegazione che avete incontrato alla Farnesina il 28 giugno? In ogni caso, l'aspetto più interessante è questo modificarsi progressivo dell'interlocuzione: intanto il passaggio del rapporto prima con la Presidenza del consiglio poi con il Ministero degli affari esteri; in seguito, l'interlocuzione con le ONG tradizionali e poi con i nuovi soggetti che stavano emergendo, e come tutto questo si sia sviluppato per la parte di nostra competenza, il che, da questo punto di vista, non era forse la parte principale. Tuttavia, le chiedo di spiegarcelo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Vorrei ricordare che la preparazione del G8 riflette il fatto che questa non è un'organizzazione internazionale, non ha un segretariato, non sostituisce fori come le Nazioni Unite, l'OCSE o altro. Quindi, in base al criterio che ogni anno la presidenza del G8 passa da un paese all'altro, è giocoforza istituire una missione che organizzi questo incontro. Si fa sempre così, lo facciamo noi,


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lo fanno anche i nostri partner: si crea una struttura di missione incaricata dello svolgimento dell'organizzazione dell'incontro.
Ora, trattandosi di un impegno che riguarda, in primo luogo, il capo del Governo (naturalmente anche i ministri degli esteri e delle finanze, ma soprattutto il capo del Governo), la struttura di missione tradizionalmente viene istituita nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri. Ciò non toglie che il Ministero degli affari esteri, trattandosi di una riunione a carattere internazionale, la segua con attenzione, soprattutto per l'elaborazione dei temi e dell'agenda. Il 2 febbraio 2001, dopo che la struttura di missione aveva riferito soprattutto sulla propria attività alla Presidenza del consiglio, il Presidente del consiglio Amato pregò il ministro Dini di volerla seguire più da vicino.
Dopo circa un mese e mezzo, di fronte alla difficoltà (cui lei ha fatto riferimento precedentemente) di risolvere alcuni problemi essenziali come quello della sistemazione delle delegazioni (non riuscivamo, infatti, a convincerle a salire sulla nave), fu così che il ministro Dini mi chiese di seguire personalmente tale attività. In primo luogo, discussi con le diverse delegazioni per trovare una soluzione al problema dell'alloggio. Naturalmente, in parallelo, vi era il problema della sistemazione dei giornalisti, degli operatori televisivi e così via. I problemi erano proprio questi e, connesso ad essi, vi era quello di accelerare l'allestimento e la messa a punto delle sale di riunione nel palazzo Ducale e nei Magazzini del cotone, che stavano procedendo; tuttavia, tenuto conto della complessità dei numeri si temeva di non essere pronti in tempo. Pertanto, fui pregato di esercitare una supervisione di carattere generale proprio per portare avanti un programma così complicato in due mesi. Anche la stessa preparazione


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delle guide e dei documenti (ne ho portati alcuni, dietro ai quali vi è la preparazione e l'elaborazione dei punti di vista della delegazione italiana e della presidenza italiana sui diversi argomenti) fornisce un'idea della complessità del lavoro preparatorio.
La fase di passaggio, quindi, è avvenuta nel modo seguente. A febbraio il Presidente del Consiglio scrive al ministro degli affari esteri pregandolo di seguirlo e, a sua volta, il ministro Dini, dopo aver seguito la fase preparatoria personalmente per un certo periodo, chiede a me di farlo: il che ha comportato numerose visite a Genova e contatti con tutti gli esponenti delle autorità locali, oltre che con i responsabili della Stazione marittima e così via.
Per quanto riguarda la seconda domanda, concernente il passaggio di dialogo da quelle che l'onorevole Boato ha definito le ONG tradizionali al Genoa social forum, vorrei svolgere le seguenti considerazioni. Confermo anzitutto che il Ministero degli affari esteri intrattiene da sempre molti contatti con il mondo del volontariato ed il forum del terzo settore, soprattutto in due campi.
Il primo è quello della cooperazione allo sviluppo. Tutti conoscono l'importanza del ruolo svolto da alcune ONG come «Medici senza frontiere» ed alcune cooperative: si tratta di persone che prestano il proprio lavoro perché hanno la vocazione ad aiutare gli emarginati, le persone e gli strati più deboli della popolazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ebbene, noi lavoriamo molto con loro e continuiamo a farlo anche dopo i fatti Genova e indipendentemente da essi.
Un altro campo nel quale intratteniamo con tali organizzazioni un rapporto costante è quello dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tutti ricorderanno la conferenza che si è svolta a Roma per l'elaborazione di uno statuto della


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Corte penale internazionale. Ebbene, il ministro degli affari esteri in quei mesi fu in prima linea. Si tratta di due mesi che si conclusero positivamente, nonostante i dubbi e le difficoltà considerevoli che venivano frapposte da molte delegazioni. Era un'operazione che si svolgeva nel quadro dell'ONU e che si concluse con la firma, a Roma, del nuovo statuto della Corte penale internazionale. Fummo così attivi che nei due mesi in cui lo statuto della Corte rimase depositato presso la Farnesina, riuscimmo a farlo firmare a circa 60 paesi. Si tratta di una cifra importante, perché non è la firma che fa entrare in vigore lo statuto, bensì la ratifica. Il fatto di avere raccolto un numero di firme così elevate in così breve tempo fu un grande successo del nostro Governo.
Signor presidente, posso anche aggiungere un'altra cosa che forse gli onorevoli senatori e deputati già conoscono: nella riforma del Ministero degli affari esteri abbiamo inserito nella dizione della direzione generale degli affari politici multilaterali l'espressione «e dei diritti umani». Siamo l'unico Ministero degli affari esteri in Europa che non solo ha un ufficio (che naturalmente hanno tutti) per la difesa dei diritti umani, ma che ha addirittura portato a livello del direttore generale la responsabilità per la nostra azione in difesa dei diritti dell'uomo e delle libertà.
Perché si è passati ad una formula che si riassume normalmente sotto la dizione Genoa social forum? Perché la galassia di queste ONG è così numerosa (supera le 750 unità) che loro stesse progressivamente, nel corso dei mesi che hanno portato al vertice di Genova, hanno conosciuto una forma di associazione e rappresentazione che ha portato, in qualche modo, alla loro compattazione. Quando si è tenuta la riunione del 28 giugno alla Farnesina (mi riferisco in questo momento alla riunione richiamata dall'onorevole Boato)...


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MARCO BOATO. Quella del 28 giugno.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. ...sapevamo che sarebbero venuti un numero di rappresentanti compreso tra otto e dieci. Non ci era possibile sapere esattamente chi si sarebbe presentato perché tali organizzazioni si andavano organizzando per presentarsi a Genova al loro interno e nel loro foro. La parola nuova era Genova; occorreva decidere in che modo tali organizzazioni avrebbero partecipato a manifestazioni che avevano come punto di riferimento il mese di luglio 2001, manifestazioni che non si sarebbero svolte né prima e nemmeno dopo: la riunione, quindi, verteva su cosa fare a Genova nei giorni del vertice. Tutto ciò avveniva progressivamente; non voglio dire che questo fosse un obiettivo determinato e scelto di proposito con molto anticipo: le cose si sono svolte in questa maniera, man mano che si andava avanti.
L'onorevole Boato ha fatto riferimento a due tipi di riunioni che si sono tenute in quel periodo da aprile in poi e che vorrei aiutare a distinguere. Alcune riunioni avevano per oggetto la predisposizione di un piano generale di sicurezza perché il vertice si potesse svolgere in maniera tranquilla e sicura. Ciò ci veniva chiesto soprattutto alla luce dei fatti che poi si verificarono a Göteborg. Quelle riunioni, pertanto, avevano un duplice carattere: ve ne erano alcune di carattere interno (quelle che organizzava il Viminale e alle quali eravamo presenti, magari per ascoltare le varie riflessioni) mentre le altre con le ambasciate le abbiamo organizzate alla Farnesina (sono le due riunioni cui ho fatto riferimento nel mio intervento) ed in esse abbiamo voluto spiegare, anche con l'aiuto di una cartina della città di Genova e della Liguria, ciò che avremmo fatto, in modo da dare le opportune assicurazioni sull'attenzione con la quale il Governo italiano avrebbe predisposto il piano generale di sicurezza. Questi sono i due


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tipi di riunioni che si sono tenute: alcune interne, tra amministrazioni dello Stato (in particolare quelle che si sono occupate della sicurezza) e quelle che, invece, si sono svolte alla presenza di rappresentanti di ambasciate o di missioni estere giunte nell'occasione per preparare il loro arrivo a Genova.
La riunione che si è tenuta alla Farnesina del 28 giugno cui lei, onorevole Boato, ha fatto riferimento, è di un terzo tipo. In essa i ministri Ruggiero e Scajola incontrarono quella che si autodefinì una rappresentanza del Genoa social forum. Ricordo che tra le persone presenti vi era certamente il dottor Agnoletto oltre ad altre persone; tuttavia, non posso dire che si fosse passati effettivamente da un tipo di dialogo con alcuni ad un dialogo con altri, perché nel Genoa social forum finivano per confluire un po' tutti i rappresentanti delle ONG e loro stessi avevano molta cura a sottolineare il carattere rappresentativo del loro gruppo.
MARCO BOATO. Esiste un documento conclusivo del G8 o c'è solo un comunicato stampa? Se esiste, è possibile averlo?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Ringrazio molto l'onorevole Boato per questa domanda: certamente esiste un documento conclusivo del G8. Esso, in passato, finiva con l'essere estremamente articolato e complesso, nel quale ogni delegazione voleva che figurassero certi punti di vista che le stavano a cuore. Il successo del vertice di Genova è stato, invece, quello di riunire in questo comunicato finale - che sarò molto lieto di mettere a disposizione del Comitato - i temi principali senza perdersi in tanti altri temi accessori. Il tema principale di questo vertice di Genova era proprio come varare, con un sistema di partnership tra paesi industrializzati, paesi in via di sviluppo, organizzazioni internazionali, agenzie


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interessate a questi temi, settore privato e settore no-profit del volontariato gli elementi di una strategia integrata per cercare di prevenire i conflitti risolvendo, alla base, i problemi della povertà.
Ora, 2 miliardi e 800 milioni di persone vivono con una cifra che va da 0 a 2 dollari al giorno a testa: quasi la metà del globo vive, in realtà, in condizioni di sottosviluppo e di povertà. Come fare per aiutarli? Governando la globalizzazione, aprendo i mercati, facilitando i commerci, incrementando l'educazione, sconfiggendo flagelli che da noi non esistono quasi più, come la tubercolosi e la malaria, ma che sono, invece, ancora molto presenti. Basti pensare che, nel mondo, un milione di persone l'anno muore di malaria e quasi due milioni di tubercolosi, sembra quasi incredibile. Inoltre, 36 milioni di persone al mondo sono infette da AIDS, di cui 25,3 milioni soltanto in Africa, dove sono colpiti soprattutto i bambini nelle zone rurali. Ebbene, il successo del vertice di Genova è stato quello di affrontare in maniera molto decisa questi problemi.
Vorrei ricordare due momenti molto importanti di questo vertice. Il primo nel quale ci fu l'annuncio, fatto congiuntamente dal Presidente del Consiglio Berlusconi e dal Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, relativo alla creazione del fondo globale per combattere l'AIDS, la tubercolosi e la malaria. Tale fondo raccolse, superando di gran lunga le prospettive, 1 miliardo e 300 milioni di dollari, ai quali si sono aggiunti 500 milioni di dollari dal settore privato. Si tratta di un piano che, grazie all'insistenza del capo della delegazione italiana, diventa operativo entro la fine di quest'anno. Il secondo momento particolarmente importante di questo vertice fu quello dell'outreach, che registrò la partecipazione molto estesa di paesi in via di sviluppo tra i più poveri


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dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina ed una ricca rappresentanza delle organizzazioni internazionali. Debbo dire che ciò è riuscito a dare ai problemi dell'Africa una visibilità che non vi era mai stata prima.
Insieme a questi due momenti va ricordata l'attenzione alla cancellazione del debito di cui l'Italia si è fatta promotrice, trascinandosi dietro gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania. Tale cancellazione ha portato da 9 a 23 il numero dei paesi per i quali si è addivenuti al 100 per cento di cancellazione dei debiti non solo di aiuto, ma anche commerciali (sto riferendomi ai paesi più altamente indebitati, più poveri del pianeta). Vorrei aggiungere che non si è proceduto in relazione a determinati paesi soltanto perché sono in conflitto con i loro vicini o perché non rispettano in alcun modo i principi della democrazia, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In essi, ad esempio, si pratica uno sfruttamento senza limiti del lavoro minorile e dei bambini.
Dunque, il successo del vertice di Genova sta nel fatto di aver riunito, per la prima volta, tanti elementi che si conoscevano già da prima. Mi riferisco, ad esempio, alla necessità di fare in modo che gli aiuti non siano legati a forniture del paese che li concede: ciò è avvenuto su pressione della delegazione italiana a marzo all'OCSE. Inoltre vi è la necessità di un aumento degli aiuti allo sviluppo scesi, nell'ultimo decennio, da una media dello 0,33 allo 0,22 per cento del PIL. Abbiamo visto, purtroppo, che negli ultimi dieci anni gli aiuti pubblici allo sviluppo hanno conosciuto soltanto una tendenza al declino e, quindi, abbiamo riaffermato la necessità - ed il Presidente Berlusconi ha preso l'impegno - di riportarli a livelli più alti. Vi sono, poi, il problema riguardante l'apertura dei mercati occidentali ai paesi che non ne hanno accesso, perché hanno soltanto alcuni prodotti di base, senza incontrare


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barriere doganali o contingenti quantitativi; i problemi della lotta alle epidemie. Insomma, quell'insieme di problemi che, proprio perché tengono questi paesi in uno stato di sottosviluppo, sono forieri di conflitti che, a loro volta, non possono non aggravare le stesse condizioni di malnutrizione, di fame e di povertà assoluta.
Questo sforzo della delegazione italiana è chiaro dal comunicato che avrò l'onore di trasmettere al Comitato e che credo, per il commento positivo e l'apprezzamento vastissimo che ci è venuto dai Capi di Stato e di Governo di tutti gli altri paesi, rappresenti un momento alto della politica estera italiana. Vorrei anche dire che i Capi di Stato e di Governo hanno tenuto a ringraziare gli abitanti di Genova per l'ospitalità che hanno offerto ed hanno condannato la violenza così come gli atti di vandalismo che hanno, purtroppo, causato danni alla città. Molti positivi commenti ci sono arrivati anche dai rappresentanti dei corrispondenti italiani e stranieri che hanno seguito le vicende del vertice.
Astraendo, per un momento, dai problemi dell'ordine pubblico direi che è un paradosso che non si sia riusciti a dimostrare quanto si voleva dimostrare con queste riunioni con le ONG. Mi riferisco al fatto che l'agenda che sarebbe stata discussa a Genova non era che l'agenda che avrebbero desiderato vedere discussa i paesi poveri dell'universo. Si trattava della stessa agenda che le Nazioni Unite, nell'assemblea speciale del millennio del 2000, avevano suggerito perché tali temi venissero affrontati dai paesi più industrializzati.
La strategia dell'ascolto che avremmo voluto vedere avviarsi con queste organizzazioni non governative, purtroppo non ha dato i risultati che ci auguravamo. Nulla è perso: continueremo a farlo. Uno degli elementi che non siamo riusciti a portare avanti è quello di distruggere slogan puramente


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negativi del tipo: «Assediamone otto per liberare tutti» che non è certo uno slogan che apre al dialogo. Non si è riusciti sufficientemente a farlo, nonostante i vari incontri tra i quali l'ultimo, menzionato dall'onorevole Boato, del 28 giugno alla Farnesina alla presenza del Genoa social forum con il ministro Ruggiero ed il ministro Scajola. In quell'incontro si era cercato, per l'appunto, di spiegare come questo vertice, lungi dall'affrontare temi di interesse dei paesi industrializzati, fosse tutto rivolto ad affrontare le tematiche dello sviluppo, della prevenzione dei conflitti, della lotta contro le epidemie, del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali che con tanto successo poi, nella realtà, obiettivamente parlando, si è riusciti a fare a Genova.
ANTONIO SODA. Queste ultime sue considerazioni rimandano a problemi sui quali certamente il Parlamento doveva portare la sua attenzione e caricano anche il Comitato della necessità di comprendere per quale ragione oggi nel nostro paese il dibattito si sia risolto sulla questione dell'ordine pubblico. Quindi, non entrerò in queste sue ultime riflessioni.
Lei ha indicato l'incontro del 28 giugno fra quelle iniziative, a carattere anche originale rispetto al passato, di apertura verso l'esterno del dialogo e della discussione sui temi della globalizzazione. Ha anche affermato che il dialogo è con tutti: l'unica esclusione è nei confronti dei violenti. Il 28 giugno sono quindici, come risulta da un documento che ci è stato trasmesso, i rappresentanti di associazioni o movimenti aderenti al Genoa social forum. Tra questi i rappresentanti di LILA, Lilliput, ARCI, Sdebitarsi, Ya Basta, tute bianche, la Marcia mondiale delle donne, Rete contro G8, settimanale Carta, COBAS, Network, CGIL, CUB, Associazione emigrati, Rifondazione comunista. Vi sono due delegazioni, una del Ministero dell'interno, guidata dal ministro Scajola, e l'altra


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del Ministero degli affari esteri, di cui lei fa parte: si tratta di delegazioni e nutrite. Orbene, in questa riunione
Anzitutto, le chiedo una sua considerazione, avendo lei partecipato alla riunione (seppure, certamente, non con responsabilità politiche), sulle responsabilità che si volevano perseguire e che senz'altro si saranno delineate; le domando altresì di esporci il contenuto del dialogo ivi svoltosi, nonché l'analisi che si è compiuta rispetto agli eventi imminenti; eventuali accordi di massima raggiunti; manifestazioni comuni di intenti ed eventuali differenziazioni all'interno dei rappresentanti del GSF e delle sue componenti. Le domando, inoltre, se vi è stata, in particolare, una valutazione dell'incidenza che tale dialogo - e quindi l'apertura che si realizzava, diretta a consentire presenze e manifestazioni, secondo me, legittime, giuste - avrebbe avuto sulla ordinanza prefettizia del 2 giugno, ordinanza cardine, sulla quale si è costruito il piano di sicurezza. Le chiedo, infine, se, dopo questa riunione, vi furono autonome o congiunte valutazioni per lo sviluppo di ulteriori incontri e dialoghi tra la delegazione del Ministero degli affari esteri e quella del Ministero degli interni.
UMBERTO VATTANI. Ambasciatore. L'onorevole Soda ha ricordato la composizione della delegazione giunta alla Farnesina il 28 giugno; molto precisamente, ha anche detto che si trattava di una riunione congiunta tra il ministro degli esteri e il ministro dell'interno.
Per quanto riguarda le finalità della riunione, vi era, da parte del Ministero degli affari esteri (e, invero, il ministro Ruggiero, in quella occasione, si è soffermato molto su tali aspetti) l'illustrazione di una agenda del vertice, agenda che, per i motivi poc'anzi ricordati, non poteva essere rigettata dalle organizzazioni non governative. Infatti, i temi all'ordine del giorno erano in larga parte quelli reclamati dalle ONG; se


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ciò poteva sembrare sorprendente, è pur vero che non si chiedeva ad esse altro che di voler prendere atto del tema principale del vertice, la fissazione di una strategia integrata per la lotta contro la povertà. Si voleva, anzi, che la comprensione di questa agenda rendesse più costruttivo il rapporto con gli esponenti della società civile ed il mondo del volontariato che affrontavano gli stessi temi.
Dal punto di vista del Viminale, la questione di maggiore importanza era costituita dalla finalità di incanalare il movimento nella adesione al principio fondamentale secondo cui è consentita ogni forma di dissenso civile ma non la violenza. E, quindi, direi con che i due temi, pur diversi, miravano, comunque, a gettare le basi di un atteggiamento dei rappresentanti del GSF il più possibile costruttivo e, ad ogni modo, civile.
L'obiettivo di costoro era, principalmente, ottenere spazi e occasioni perché potesse svolgersi tutta una serie di eventi da loro ritenuti importanti, in quanto richiesti dagli aderenti alle organizzazioni menzionate: mi riferisco, cioè, alla possibilità che si discutesse del problema della cancellazione del debito, del rispetto dell'ambiente, della sicurezza alimentare, dei limiti alla globalizzazione o comunque di regole ferree per limitarne gli eccessi e così via. Non ricordo che alcuno dei presenti nella delegazione o nel gruppo del GSF abbia mai negato il principio secondo il quale la violenza non poteva avere diritto di cittadinanza in questo campo.
Quindi, alle richieste di poter partecipare, in modo anche «muscolare» - intendendo con tale espressione la possibilità della presenza di un alto numero di aderenti, per vari giorni, in concomitanza proprio con gli eventi del vertice -, si accompagnò, però, la generale ammissione che la violenza fosse altra cosa. Al termine della riunione vi fu un incontro


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con la stampa; i primi a uscire ed a rilasciare dichiarazioni ai corrispondenti furono proprio i rappresentanti del GSF. Seguirono brevissime dichiarazioni del ministro Scajola e del ministro Ruggiero.
Credo che tale incontro non avesse altra finalità che cercare di contenere il dialogo o il dissenso entro limiti che comunque fossero civili. Successivamente non si sono più avuti incontri strutturati allo stesso modo tra il ministro degli esteri e il ministro Scajola; infatti, gli ulteriori incontri si sono svolti in modo molto meno formale, attraverso contatti con le associazioni cattoliche, con quelle del forum del terzo settore o con altri, tesi soltanto a capire meglio quanto i manifestanti pensassero di organizzare a Genova proprio nei giorni del vertice.
FRANCO BASSANINI. Ambasciatore, le rivolgo tre domande alle quali ha parzialmente già risposto e, tuttavia, per noi è importante ottenere ulteriori precisazioni.
Anzitutto, le chiedo quando, in modo definitivo, voi possedeste tutte le indicazioni delle delegazioni relativamente al numero dei partecipanti, all'accettazione di usare i mezzi navali e così via. Le domando, cioè, quale sia il momento nel quale è stato possibile, per l'organizzazione, cominciare - avendo il quadro definitivo delle delegazioni presenti, del numero delle persone da alloggiare, nonché delle loro disponibilità ad un alloggio su di una nave piuttosto che in un albergo ubicato nella zona rossa - ad occuparsi delle questioni operative: i parcheggi, le macchine e così via. Ciò è importante, perché l'impressione da noi tutti registrata è che ritardi, anche nella disponibilità delle delegazioni a dare i numeri definitivi, ad accettare il ricorso ai mezzi navali, ad accettare, diciamo, tali condizioni, abbiano poi costretto l'organizzazione a procedere affannosamente.


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La seconda domanda che le rivolgo, ambasciatore, è la seguente: dagli elementi da noi già raccolti è emerso con chiarezza, che si aveva un quadro di pericolosità di alcune organizzazioni, che non erano le più numerose: rispetto ai 200 o 300 mila manifestanti, queste consistevano, probabilmente, di alcune migliaia di persone. Oltre alla pericolosità di talune organizzazioni, emergevano l'ambiguità di alcune altre ed una gran massa di organizzazioni pacifiste. Emerge anche che la tecnica di guerriglia utilizzata dalle organizzazioni più violente era quella di infiltrarsi nel corteo pacifico nascondendosi in esso per poi effettuare i raid e le violenze. Dunque, le domando se in questi incontri - e sicuramente in quello occorso il 28 giugno - sia stato posto ai leader del Genoa social forum, con chiarezza, non solo l'argomento del rifiuto della violenza, ma anche la questione afferente a come si debbano organizzare le manifestazioni legittime (costituzionalmente tutelate) in modo tale che contribuiscano all'azione di isolamento dei violenti. Infatti, se ciò è certamente compito delle forze dell'ordine, tuttavia sarebbe stato utile coinvolgere il movimento nel perseguimento dell'obiettivo del rinvenimento di forme organizzative le più adeguate ad isolare i violenti.
La terza ed ultima questione riguarda un po' meno l'ordine pubblico ma penso, però, che la Commissione, dovendo elaborare un rapporto, debba pensare anche al futuro. Lei ha detto che il tema centrale del G8 era una strategia integrata per la lotta contro la povertà per cui, lungi dall'affrontare temi di interesse dei paesi industrializzati, abbiamo affrontato, nel G8, in maniera efficace, problemi che riguardano l'intero globo. Ambasciatore Vattani, ritengo che il problema sia proprio questo: il G8, prima G5, poi G7, è nato come il circolo


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dei paesi industrializzati. Finché affronta i temi dei paesi industrializzati, quei Capi di Stato e di Governo sono pienamente legittimati, democraticamente legittimati.
Nel momento in cui si affrontano i problemi del globo questi ultimi non possono dimenticare di rappresentare un quinto, un sesto, un ottavo - dica lei quanti - dei cittadini del mondo e qui nasceva un problema: in che termini si è posto, questo, con il Genoa social forum. Io ho l'impressione che il diverso atteggiamento verso il vertice FAO deriva anche dal fatto che tale vertice raggruppa tutti i Governi del mondo.
Il G8, con le massime buone intenzioni, è il vertice dei paesi più industrializzati che, nel momento in cui si occupano non di se stessi ma del resto del mondo, manifestano un problema di legittimazione democratica che ha offerto ragioni o pretesti - a seconda dei casi - alle organizzazioni antagoniste per contestare la sua stessa legittimazione.
Vi siete posti questo problema? Lo avete affrontato? Avete trovato soluzioni, magari rinviando alle Nazioni Unite decisioni in materia?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Con la prima domanda si chiede quando abbiamo finalmente conosciuto le decisioni delle varie delegazioni, prima sul tema della sistemazione e poi sui numeri. Ho ricordato poco fa che i primi che riuscimmo a convincere furono i francesi, che avevano fatto sapere che sarebbero arrivati con circa 120 delegati; successivamente i tedeschi, venuti in numero analogo, e i canadesi, forse un po' più numerosi. I problemi portati a nostra conoscenza dai giapponesi, dai russi e dagli statunitensi erano legati ai numeri dei delegati, che salivano considerevolmente (intorno a 300-350 unità), e al rifiuto di questi di salire su una nave nella quale fossero presenti anche tutti gli altri.


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Gli inglesi, addirittura, fecero dipendere la loro risposta dalle elezioni in Inghilterra, affermando che il Prime Minister Blair l'avrebbe comunicato soltanto dopo il 7 giugno, cioè dopo le elezioni. Naturalmente, noi facemmo presente che non c'era più tempo per cambiare nulla e che, quindi, per noi non sembrava esserci un'opzione, ma soltanto una mancanza assoluta di alternative.
Non posso dire adesso esattamente - potrei forse cercare di ricordare - le date, però rammento che, praticamente, per tutto il mese di maggio continuò questa trattativa durissima, in particolare con i giapponesi, con i russi e con gli inglesi, che fecero sapere solo alla fine - addirittura questi ultimi dopo il 7 giugno - le loro intenzioni.
Mi si chiede se questo ritardo abbia creato problemi particolari sotto il profilo della sicurezza: ebbene, ciò nonostante, noi avevamo detto che pensavamo di riuscire, in ogni caso, a far salire praticamente tutti a bordo. Forse non sarebbe venuta una parte della delegazione americana, ma, malgrado la mancata risposta, avevamo ragione di credere che saremmo riusciti a farli salire tutti a bordo, sottolineando proprio le caratteristiche - ricordate poco fa - di Genova: non si tratta di una città dotata di tantissimi alberghi e recettività; in più, occorreva alloggiare, oltre alle delegazioni, anche i rappresentanti della stampa. In definitiva, pensavamo di avere sufficienti argomenti da far valere per portarli progressivamente, così come poi è avvenuto, sulla nave.
Una volta definita dal Viminale la zona rossa, ci è stata mostrata su una cartina e noi ne abbiamo preso atto.
FRANCO BASSANINI. Ma è vero che il Presidente Bush ha sciolto la riserva solo a fine giugno?


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UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Fu abbastanza tardi, credo di ricordare verso la seconda metà di giugno.
A favore di una concentrazione delle delegazioni nel porto della stazione marittima ha senz'altro giocato il fatto che la stessa riunione dei ministri degli esteri, prevista due giorni prima del vertice e che avrebbe dovuto aver luogo a Portofino, fosse spostata a Roma. Io stesso, quando venni a conoscenza che i ministri degli esteri si sarebbero fatti accompagnare da circa 650 delegati, occupando nella zona di Portofino numerosi alberghi, premetti per questa soluzione e, quindi, spostammo la riunione a Roma, dove si è svolto tutto perfettamente a Villa Madama.
Non credo che la decisione per la sistemazione delle delegazioni, anche se è intervenuta relativamente tardi, abbia modificato alcunché sulla precedente determinazione della zona rossa nella città di Genova e non credo neppure che abbia, in un certo senso, reso più difficile il lavoro del Viminale, anche perché man mano che si concentravano sulle navi, diminuiva la necessità di attenzione su tutto resto della città. Per quanto riguarda la posizione assunta da diverse organizzazioni - alcune decisamente pacifiche, altre forse un po' più ambigue ed altre ancora pericolose - debbo dire che si sapeva, soprattutto dopo Göteborg, della difficoltà di distinguere i pacifici dai violenti, finché quest'ultimi non avessero cominciato a ricorrere alla violenza: non si può distinguere se una persona è violenta o meno vedendola, ma soltanto nel momento in cui agisce. Tutti riconoscevano che a Göteborg c'era stata la presenza di violenti tra i manifestanti pacifici e ciò fu fatto presente nella riunione del 28 giugno, chiedendo alle organizzazioni presenti nel Genoa social forum in che modo intendessero isolare i violenti.


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La risposta fu che queste organizzazioni si conoscevano, che in qualche modo si sarebbero respinte quelle più ambigue e che lo stesso fatto di poter manifestare pacificamente un dissenso avrebbe attenuato la tensione, avrebbe scoraggiato il passaggio a posizioni più violente proprio perché il fatto di poter manifestare ed esprimere le proprie ragioni avrebbe, in un certo senso, contribuito ad isolare i pacifici dai violenti. Questo ricordo delle discussioni che si ebbero in quel momento.
Per quanto riguarda la terza domanda dell'ex ministro Bassanini, in merito alla legittimità del G8 e a come esso si pone nei riguardi del resto del mondo, il G8 non può certamente pretendere di agire come «governo del mondo», nel senso di diventare il luogo dove, in qualche modo, viene assicurata la governance della globalizzazione: questo spetta alle Nazioni Unite. Proprio il legame con le Nazioni Unite non è mai apparso così chiaro come nella riunione di Genova. I riferimenti all'Assemblea del Millennio, approvati all'unanimità dai 186 paesi delle Nazioni Unite - la stragrande maggioranza dei quali appartiene proprio alla categoria di paesi in via di sviluppo - fanno sì che sia difficile mettere in discussione la legittimità del G8, dal momento che esso discute proprio dei temi che le Nazioni Unite, all'unanimità, considerano i temi principali del mondo.
E poi, non si può non intendere che i temi dell'agenda degli otto paesi rivelano la consapevolezza che le decisioni di quei membri così importanti della comunità internazionale hanno conseguenze in termini economici e politici che non possono essere sottovalutate. Pertanto, il problema della legittimità non viene posto nemmeno da quel grande numero di organizzazioni non governative che collaborano normalmente con le Nazioni Unite (in particolare nell'ECOSOC), perché si rendono


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conto che, se non vi fosse il G8, la globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati porterebbe senza dubbio benefici ai paesi più ricchi. Infatti, la possibilità di un maggiore commercio giova a quelli che sono in grado di commerciare, non certo a quelli che non hanno i mezzi. Quindi, se il G8 non si occupasse del resto del mondo, quelli che rimangono in qualche modo ai margini dei benefìci della globalizzazione e dell'estensione dei mezzi tecnologici (che oggi sono rappresentati dall'information technology, dalle capacità digitali che sono così estese nei paesi industrializzati) lascerebbero questi paesi in condizioni sempre più difficili, invece di aiutarli ad inserirsi in questo processo di crescita stabile che i paesi in via di sviluppo sono in grado di conseguire. Sono, quindi, gli stessi paesi delle Nazioni Unite, il Segretario generale Kofi Annan e gli altri, a chiedere al G8 di occuparsi di questi problemi, a prenderne piena consapevolezza e ad assumersi gli impegni che a loro derivano proprio dall'essere così importanti sotto il profilo del commercio, della ricerca, dello sviluppo, dell'uso dell'energia, dell'ambiente, della sicurezza alimentare e così via.
FRANCO BASSANINI. Non ho parlato di legittimità, ma semmai di legittimazione democratica e, quindi, dell'opportunità di rimettere a sedi come le Nazioni Unite le decisioni finali. Non ho parlato di legittimità; ci mancherebbe altro: ho collaborato anch'io alla preparazione del G8 in un'altra veste.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Riparo molto volentieri e molto rapidamente a questo punto e ringrazio molto l'ex ministro Bassanini per quanto ha detto, perché anche io ne sono perfettamente convinto.
LUCIANO VIOLANTE. Signor ambasciatore, ho bisogno di sapere, prima di tutto, qual era il compito preciso della


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struttura di cui lei faceva parte e quali rapporti intercorrevano tra la sua struttura e quella del ministro dell'interno.
In secondo luogo, vorrei sapere se i ritardi nella comunicazione del numero, della composizione e dei desideri delle delegazioni hanno comportato mutamenti nei piani che riguardavano l'ordine pubblico.
Terzo: vorrei sapere se ha colto una differenza tra il rapporto con le organizzazioni non governative e il rapporto con il Genoa social forum e, in particolare, se avevate avuto notizia delle informazioni in possesso del Governo in ordine all'atteggiamento delle varie componenti del Genoa social forum.
Infine, vorrei chiederle, anche grazie alla sua vasta esperienza internazionale, una valutazione su due «scarti». Il primo è quello tra l'accuratezza con la quale il vertice è stato preparato, anche dal punto di vista dell'ordine pubblico, e i problemi concreti che si sono verificati. Inoltre, è un paradosso - sulla base del quadro che lei ci ha fornito e che io non ho nessuna ragione per criticare, contestare o non condividere - il successo politico del vertice del G8 e, contemporaneamente, l'immagine assolutamente deleteria che ha offuscato tutto. A suo avviso, come si spiegano questi due scarti tra preparazione e gestione da un lato e, dall'altro, tra esito politico ed esito comunicativo del G8?
Infine, lei pensa che nel futuro questo tipo di incontri debba essere modificato, anche nel rapporto con le organizzazioni internazionali, al fine di collocarlo in un quadro istituzionale più certo? Lo dico non per contestare il G8 - lei sa che vi è anche stato un incontro tra i Presidenti delle Camere dei paesi appartenenti al G8 qui a Roma -, quanto per inserire questi risultati dentro un quadro internazionale più stabile, duraturo e in grado di condurli ad esiti più certi.


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UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. I compiti della struttura «Missione G8» - quella che fa capo alla Presidenza del Consiglio e nei confronti della quale io ho esercitato soltanto un'azione di supervisione - sono quelli di organizzare il vertice, cioè di allestire le sale, prevedere l'arrivo delle delegazioni, aiutarle a sistemarsi sul posto, facilitare in tutti i modi lo svolgimento da parte loro di un'azione che consenta ai Capi di Stato e di Governo, in un periodo così concentrato, di toccare una serie di temi così vasti, in maniera da consentire di arrivare a conclusioni significative. La difficoltà di questi vertici risiede proprio in questo: fare in modo che un gruppo di persone così numeroso che ruota intorno ai capi di Stato e di Governo, possa, in un tempo relativamente breve, consentire una discussione nella quale tutti possano dire la loro opinione e giungere a delle conclusioni.
Ciò che ha riscosso maggiore apprezzamento è stata proprio la conduzione del vertice (vi tornerò ancora quando risponderò all'altra domanda postami dal presidente Violante). Credo non si possa negare che la struttura di missione abbia effettivamente conseguito il risultato di far svolgere il vertice, nello spazio della zona rossa (compreso tra la stazione marittima, il palazzo Ducale e i Magazzini del cotone), in maniera tale che venissero sviluppati tutti i temi da trattare, compresi quelli che per la prima volta la delegazione italiana aveva voluto inserire e che, alla fine, hanno molto complicato anche l'organizzazione: la riunione outreach, le riunioni con i rappresentanti del mondo sindacale internazionale, del mondo imprenditoriale internazionale sono state qualcosa in più che ha arricchito due giornate che sarebbero state comunque già piene ed estremamente assorbenti. Questi erano i compiti della struttura, che riguardavano, naturalmente, tutti i membri delle delegazioni, perché non potevamo aver cura soltanto dei Capi


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di Stato e di Governo, ma, com'è precisato in queste guide che ho davanti, dovevamo pensare anche a come fare in modo che i membri di tutte le delegazioni, i rappresentanti dei media e tutti gli altri potessero, in quel breve ma molto intenso periodo, sviluppare nel modo migliore la loro azione.
Quali sono, invece, i compiti del Viminale e i rapporti della struttura con il Viminale? I rapporti con il Viminale sono stati sostanzialmente questi: ci veniva chiesto - come accade in occasione di ogni vertice, da Seattle in poi, a qualsiasi incontro internazionale - quali fossero le misure di larga massima da adottare per assicurare che i Capi di Stato e di Governo e i delegati potessero svolgere tranquillamente il proprio lavoro. Quindi, c'è stato un rapporto nel quale chiedevamo e ricevevamo risposta e a nostra volta la trasmettevamo.
LUCIANO VIOLANTE. C'erano interazioni?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. L'interazione è stata minima perché non abbiamo avuto alcuna capacità di influire sulla delimitazione della zona rossa...
LUCIANO VIOLANTE. Mi riferivo al fatto che una delegazione formata da 10 o da 100 persone cambia l'assetto dell'ordine pubblico e della sicurezza: credo che, man mano che ricevevate notizie, le comunicaste al Viminale e questo, di volta in volta, adattasse i piani. Dalle cose che ha detto ho ricavato questa impressione, ma vorrei avere certezze al riguardo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Abbiamo sempre comunicato al Viminale l'evoluzione riguardante la situazione degli alloggi, delle sistemazioni e i numeri, ma, in realtà, grandi modifiche non si potevano apportare, essendo l'aeroporto


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situato nella parte occidentale della città, gli alberghi essendo quelli, le riunioni dovendosi svolgere comunque a palazzo Ducale (che era stato già prestabilito come luogo di riunione) e i Magazzini del cotone essendo l'unica grande struttura capace di ospitare tutti i giornalisti convenuti. Una volta delimitata la zona, non si poteva più modificare nulla. Si trattava di vedere dove alloggiare tutte quelle persone e si è finito col farlo distribuendo i giornalisti tra gli alberghi e i traghetti e le delegazioni sulle navi, perché non c'era, fisicamente, altra possibilità. Quindi, sin dall'inizio è stato chiaro - per lo meno lo è stato nel periodo durante il quale ho seguito da vicino questi problemi - che, delimitata la zona rossa, il nostro compito era quello di risolvere i problemi indicati alla luce delle disposizioni impartite dal Viminale.
Per quanto riguarda la seconda domanda che il presidente Violante ha posto con specifico riguardo al fatto che i ritardi nella definizione del numero e della composizione delle delegazioni e dei loro alloggi avrebbe potuto portare a modificazioni dei piani originari, non mi risulta che ci siano state modifiche. Per quanto concerne, invece, la differenza di rapporti che ci può essere stata tra le ONG, tradizionalmente considerate nostri interlocutori, e il Genoa social forum, debbo dire che le informazioni pervenuteci erano quelle di una continua modifica, che poteva portare, che avrebbe portato, nel tempo, ad una diversa rappresentazione di queste organizzazioni legate all'evento di Genova. Non posso affermare che tali informazioni potessero ingenerare l'idea di una metamorfosi dei nostri interlocutori abituali - individuati nelle ONG - e di quelli che sarebbero poi confluiti nel Genoa social forum. In quest'ultimo erano presenti, come è stato ricordato poco fa, organizzazioni come Lilliput, ARCI e così via, con le quali abbiamo dialogato regolarmente.


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Come spiegare lo scarto tra il successo politico del G8, che indubbiamente c'è stato - ed è stato riconosciuto da tutti nostri partners, dalle Nazioni Unite, dal Segretario generale Kofi Annan, il quale non ne ha fatto mistero ed anzi ne ha parlato diffusamente a Genova e in altre occasioni successive - e questa immagine che, invece, ha prevalso, nei media - ovviamente -, dell'ordine pubblico e degli scontri. Ebbene, è un po' la stessa cosa che è successa, purtroppo, a Göteborg: l'attenzione dei media finisce fatalmente per essere attratta dal vandalismo, dalla guerriglia urbana, dalle tensioni.
LUCIANO VIOLANTE. Ricevevate informazioni dai Servizi?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non in maniera specifica. Si aveva, del resto, una notevole informazione dai media. Il Secolo XIX ha rappresentato giorno dopo giorno, per mesi, su ciò che sarebbe accaduto a Genova, di quante organizzazioni sarebbero state presenti...
LUCIANO VIOLANTE. Mi riferivo proprio alle organizzazioni.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Debbo dire, presidente, che, per esempio, questa famosa espressione black bloc francamente l'ho sentita soltanto a Genova e non prima: è un'espressione che certamente mi avrebbe colpito, come credo abbia colpito tutti e che è venuta fuori quando ormai i manifestanti erano in piazza. Non ho mai sentito parlare di questi black bloc prima di quell'epoca. Avevo sentito parlare di alcune organizzazioni ed anche di alcuni slogan, quali: «Assediamone otto per liberare tutti!», oppure: «Dobbiamo entrare nella zona rossa!»; ho sentito cose di questo genere, ma quelli che le dicevano si guardavano bene dal dire che


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avrebbero compiuto queste azioni usando violenza; anzi, molti sottolineavano espressamente che le avrebbero compiute senza l'uso di armi, con le mani nude.
Ora veniamo all'immagine, alla guerra dell'immagine. Se consideriamo che erano presenti oltre 4.700 giornalisti, è lecito chiedersi se tutti costoro erano lì per seguire i lavori del vertice o perché erano incuriositi da quello che sarebbe potuto accadere nelle strade? Se facessimo un esame dei rappresentanti dei giornali, delle televisioni...
FRANCO BASSANINI. È successa la stessa cosa a Napoli.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non ne dubito affatto, senatore. Ho l'impressione che non ci fosse realmente interesse, da parte di molti rappresentanti della stampa, a seguire i lavori del vertice. C'erano certamente quelli che si occupano di politica estera, dei problemi dello sviluppo, dei problemi dell'ambiente, dei problemi in generale della sicurezza alimentare, dei problemi dell'e-government; certamente c'erano dei corrispondenti molto attenti e molto competenti in tali materie. Credo, però, che anche l'idea di andare a Genova d'estate - perché parliamo di un periodo estivo, per lo più di vacanza - per vedere cosa sarebbe accaduto abbia animato molti rappresentanti della stampa. Di qui il paradosso, lo scarto tra un vertice che ha sorpreso tutti i delegati ed in particolare i Capi di Stato e di Governo - i quali hanno tenuto a manifestare al Presidente Berlusconi, nel corso di tutta la riunione, la loro ammirazione per l'organizzazione - e l'immagine che ne è risultata. Tra l'altro, voglio ricordare che sono stati portati a termine lavori in 19 cantieri, sono state rifatte 21 facciate di palazzi di via Gramsci: Genova è una bellissima


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città; lo era anche prima, ma è ancora più bella oggi e, per fortuna, i danni che ha sofferto non sono poi così gravi come erano apparsi dalle prime immagini televisive.
Sono stati realizzati lavori molto importanti soprattutto alla stazione marittima dove è ora in corso, e lo sarà ancora per qualche settimana, una mostra di opere d'arte della raccolta della Farnesina, raccolta che ci è stata chiesta dal sindaco Pericu, dal presidente Biasotti e da Marta Vincenzi. Si tratta di una vera e propria galleria nazionale d'arte moderna.
Si è dunque trattato di interventi tesi a rappresentare l'Italia di oggi, non abbiamo soltanto restaurato il palazzo Ducale, che è uno dei più bei palazzi d'Italia, ma abbiamo fatto vedere, soprattutto nella stazione marittima, ciò che, oggi, c'è di più tecnologicamente avanzato in Italia. Abbiamo ricevuto i complimenti del primo ministro giapponese, Koizumi, per la realizzazione di una rete informatica che consentiva a tutti i delegati ed a tutti i giornalisti di avere accesso, in tempo reale, a qualsiasi conferenza stampa ed a qualunque documento preparatorio del vertice, a qualsiasi dichiarazione ed a qualunque fatto che si riferisse, in qualche modo, all'agenda del G8. Tutto ciò è stato però, come ha detto il presidente Violante, in buona parte offuscato dai fatti che riguardano l'ordine pubblico. Spiegherei in questo modo il divario che ci è stato.
Le manifestazioni di solidarietà che immediatamente, in apertura del vertice, ci sono state, non appena si sono manifestati gli scontri e prima ancora di quella perdita di vita umana, hanno fatto pronunciare a tutti i Capi di Stato e di Governo parole di grande solidarietà ed appoggio al Capo del Governo italiano, così come ai rappresentanti della città e della regione Liguria ed agli abitanti di Genova. C'è stata un'unanime condanna della violenza ed un'espressione forte di


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appoggio e di solidarietà per ciò che stava accadendo. Tale condanna è stata ripetuta il giorno dopo, in apertura di riunione. Il secondo giorno, infatti, di nuovo, il presidente Chirac, il presidente Bush e gli altri hanno voluto una dichiarazione di condanna, a nome del G8, di ciò che stava accadendo a Genova, e, con questa, il rifiuto dell'inerzia di fronte a fenomeni che nulla hanno a che vedere con l'espressione del dissenso e con una manifestazione civile di opposizione. Allo stesso tempo hanno discusso di come agire in futuro.
La scelta del prossimo presidente di turno del G8, Jean Chrétien, è stata quella di tenere il vertice in un luogo piuttosto isolato, con un'unica via di accesso, nelle Montagne rocciose. È una soluzione: decidere di tenere il vertice laddove non siano possibili manifestazioni di vandalismo che mettano in pericolo vite umane e di diritti fondamentali delle persone a vivere in pace ed in tranquillità e a non vedere se stessi o le rispettive proprietà esposte a rischi.
Altra soluzione che è stata discussa è stata quella di tenere questi vertici in una cornice istituzionale stabile, non seguendo questa forma di diplomazia peripatetica per cui ci si incontra una volta in un luogo, un'altra volta in un altro, ma cercando, piuttosto, di concentrare le riunioni in alcune sedi deputate a tale fine. Questa linea di riflessione va avanti.
Una terza strada che non è alternativa ma accessoria, parallela a queste due, è quella di migliorare i sistemi di informazione tra i servizi di intelligence, istituire una banca dati sugli attori e gli organizzatori di queste manifestazioni violente, cercare di mettere insieme un sistema di controllo alle frontiere più efficace in occasione di queste riunioni, creare una maggiore cooperazione giudiziaria internazionale in occasione di vertici di questo tipo, definire delle regole per


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il mantenimento dell'ordine pubblico, formare delle forze di polizia meglio adeguate a fronteggiare fenomeni di questo tipo e poi la diffusione delle migliori prassi, le best practices, cioè uno scambio di informazioni su ciò che si impara in queste occasioni.
Un'altra corrente di pensiero porta invece a mantenere aperto un dialogo con le organizzazioni non governative, a capire le preoccupazioni e le attese di tanta parte della società civile che ha un interesse reale a vedere discussi questi temi e cercare di svolgere un'azione di informazione presso i media e presso coloro che si fanno, poi, portavoce dell'azione dei Governi, perché vengano meglio compresi gli obiettivi di queste riunioni.
Spero di aver risposto alle sue domande.
PIERLUIGI PETRINI. Buongiorno ambasciatore; le domande che avevo intenzione di rivolgerle sono già state poste. Le risposte, tuttavia, invece di soddisfarmi, hanno generato in me perplessità che ora le esporrò. Non si tratta quindi di domande: veda se riesce, in qualche modo, a confutarle.
La prima è la seguente: mi sembra che lei cerchi di sminuire il ruolo del Ministero degli affari esteri e specificatamente il suo ruolo in questa situazione. Lei dice che il Ministero degli esteri ha incentrato la propria attenzione sulla definizione dei temi e sull'organizzazione, in genere, del G8, e tuttavia c'è un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che delega il Ministero degli affari esteri ad esercitare i compiti del Presidente del Consiglio stesso concernenti l'attuazione della legge n. 149 del 2000 avvalendosi della struttura di missione; quindi il Ministero degli affari esteri diventa, a tutti gli effetti, il soggetto responsabile della organizzazione del G8. D'altra parte è difficile pensare che si possa disgiungere l'organizzazione in senso stretto da quelli che sono i problemi


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dell'ordine pubblico; le due cose vanno necessariamente insieme, tant'è vero che nella struttura di missione afferiscono tutte le competenze di questo tipo. A riprova di questo, noi abbiamo un documento del prefetto di Genova che ci dice che, prima ancora di convincere le delegazioni estere ad accettare la soluzione dell'alloggio navale, è stato lei il proponente di questa soluzione. Il prefetto ci dice che il Segretario generale del Ministero degli affari esteri ha proposto la soluzione delle navi albergo per le delegazioni ed è quindi chiara la sua preoccupazione e competenza in ordine ai problemi non soltanto logistici ma anche di ordine pubblico, perché logistica e ordine pubblico, in questo caso, sono tutt'uno.
A dimostrazione di ciò vale ancora il fatto che sia stato il Ministro degli affari esteri - e precisamente il ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi - ad incaricare l'architetto Paolini del rapporto con le organizzazioni non governative, sempre per questo motivo. Allora risulta altrettanto chiaro che, nel momento in cui da parte del ministro degli affari esteri lei viene nominato supervisore, in qualche modo ella diventa la massima autorità ed ha la massima responsabilità nell'attuazione del G8.
La seconda perplessità riguarda il modo in cui sono state condotte queste trattative. Pensare che fosse possibile convincere i manifestanti della bontà degli intenti del G8 mi sembra utopistico per usare un termine - diciamo - non offensivo. Come diceva il senatore Bassanini, è chiaro che vi è una contestazione radicale in ordine allo stesso G8, cioè viene contestata in generale, in modo primario questa enorme diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze che il vertice del G8 - che un po' impudicamente si chiama riunione degli otto grandi - rappresenta; quindi in questo senso, la contestazione è radicale.


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Un rapporto - peraltro doveroso e positivo - con queste organizzazioni e con questi contestatori, era necessario, ma non in quei termini. Bisognava stabilire il modo in cui essi potessero rappresentare la loro contestazione in modo comunque controllabile per l'ordine pubblico e per la struttura.
Sostanzialmente è questa la mia perplessità: come si poteva pensare che un'assicurazione da parte di un mondo così evanescente, magmatico, privo di una struttura gerarchica definita, potesse in qualche modo risolvere la situazione nel momento in cui c'erano delle informazioni e delle esperienze - vedi Göteborg - le quali ci dicevano che queste manifestazioni sarebbero state parassitate da componenti che avevano come primario obiettivo la violenza? Da qui derivano le mie perplessità.
PRESIDENTE. Grazie senatore, le ricordo che è terminato il tempo assegnato al suo gruppo.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Signor presidente, ringrazio il senatore Petrini per aver voluto porre queste domande.
Non credo di aver fatto nulla per dare l'impressione di voler sminuire il ruolo del Ministero degli affari esteri ed il mio personale, anzi credo di aver rivendicato proprio alla Farnesina e all'azione che ho potuto svolgere in quei due mesi un ruolo particolarmente significativo. Praticamente eravamo arrivati alla prima metà di aprile e non sapevamo neppure dove avremmo potuto sistemare le delegazioni. Alle proposte fatte precedentemente, non da me, ma dalla missione di struttura - prima che io mi occupassi di questi problemi - di prendere alloggio sulle navi, tutte le delegazioni avevano risposto in maniera negativa. Io non ho proposto di portare le delegazioni sulle navi, ma poi sono riuscito a convincerle ad


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alloggiarvi, mentre altri non ci sono riusciti. Vorrei chiarire che sono stato io, dall'inizio, a negoziare prima con i francesi poi con gli altri. Francamente non vedevo soluzioni alternative. Ho ricordato poco fa la scarsa ricettività alberghiera di Genova: non so che cosa sarebbe successo se non fossimo riusciti a portare le delegazioni sulle navi. Ribadisco comunque che non si può affermare che sia stato io a proporre di utilizzare le navi per alloggiare le delegazioni.
PIERLUIGI PETRINI. Questo lo ha detto il prefetto.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Ripeto che io non ho fatto nulla per affittare le navi - ringrazio chi lo ha fatto -; so soltanto che i tentativi di convincere le delegazioni a prendervi alloggio erano tutti falliti finché ho cominciato ad occuparmene personalmente. Non vorrei sminuire il mio ruolo, poiché credo che sia stato abbastanza significativo.
PIERLUIGI PETRINI. Ho usato questa argomentazione proprio per affermare che...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Benissimo, la ringrazio! L'ordine pubblico certamente non è un compito che spetta alla Farnesina, non ce ne siamo mai occupati, forse potremmo occuparcene in futuro, ma certo non oggi.
La Farnesina non si occupa di ordine pubblico. Noi prendiamo atto di quello che fa chi si occupa di ordine pubblico, possiamo anche dare dei suggerimenti, ma non possiamo assumerci responsabilità...
MARCO BOATO. Sarebbe extra legem.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Signor presidente, se permette vorrei rispondere. Ho dichiarato dall'inizio che era


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presente un prefetto nella struttura di missione, che poi fu successivamente sostituito. Il prefetto che fa parte della struttura di missione dialoga con il proprio dicastero, quindi fa riferimento a quanto gli viene detto dal Viminale per fare le sue considerazioni. Una volta definita la zona rossa, posso dire che con questa non abbiamo avuto niente a che vedere, l'abbiamo vista solamente disegnata; bisognava semplicemente trovare il modo di risolvere i vari problemi che, tra l'altro, abbiamo risolto molto bene. Come molti forse avranno notato, anche seguendo i programmi televisivi, l'arrivo al palazzo Ducale si è svolto con una precisione raramente raggiunta. Tutte le delegazioni sono arrivate, sono state accolte e portate nella sala di riunione; tutto si è svolto in maniera assolutamente perfetta.
Noi ci assumiamo tutte le responsabilità come Ministero degli affari esteri per aver svolto una supervisione affinché il vertice si svolgesse con successo. Credo che da questo punto di vista noi abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Non posso sostenere che la presenza nella struttura di missione - che, come ha ricordato il senatore Petrini, passava effettivamente dalla supervisione della Presidenza del Consiglio a quella del Ministero degli affari esteri - abbia avuto un'influenza ai fini della sicurezza, perché la presenza nella struttura di un funzionario del Viminale non vuol significare che egli prendesse ordini da noi o che noi fossimo in grado di dargli istruzioni. Come è stato appena detto dall'onorevole Boato, avremmo agito extra legem.
Il senatore Petrini ha fatto un accenno alla presenza nella struttura di missione dell'architetto Margherita Paolini, che io ho avuto modo di conoscere e di incontrare più volte durante il periodo in cui mi sono occupato del vertice.
MARCO BOATO. Lo avevo chiesto anch'io prima.


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UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Mi scuso: avevo dimenticato di riprendere questo punto. L'architetto Paolini credo abbia svolto un'azione molto attenta, ben fatta ed intelligente di collegamento con le organizzazioni non governative. Ha anche riferito regolarmente ed aiutato a capire l'eterogenea composizione che avevamo davanti. L'affermazione secondo la quale noi abbiamo agito forse con eccessiva aspettativa, in maniera utopistica, con delle organizzazioni - è stato detto prima - che potevano avere obiettivi molto radicali, ambigui ed altro, non è da me del tutto condivisa.
Io stesso, ad esempio, ho avuto occasione di incontrare ONG cattoliche che il 7 luglio, a Genova, hanno presentato un manifesto: mi hanno chiesto di commentarlo e di esprimermi in merito ad esso. Non potevo non approvare quasi completamente il contenuto di quel manifesto, con il quale si chiedeva, ad esempio, un processo credibile ed autentico di riforma delle Nazioni Unite: l'Italia è in prima linea riguardo questa richiesta; ci si chiedeva di affrontare tutti i conflitti, anche quelli interni: grazie a noi sono stati inseriti, nella discussione del vertice, due temi ai quali non aveva mai pensato nessuno. Il primo tema riguarda il ruolo delle donne nei conflitti (donne, quindi società civile), perché finora la donna era stata considerata solamente come vittima nei conflitti civili, mentre è un soggetto attivo per il ruolo che svolge nella famiglia, come educatrice, perché sostiene gli aspetti più drammatici di un conflitto. Abbiamo inoltre inserito nella discussione del vertice la questione del ruolo delle imprese private nei conflitti, perché riteniamo che sarebbe necessario aiutare la destinazione degli investimenti a scopi di sviluppo sociale, così come l'adozione di un codice di condotta che favorisca lo sviluppo sostenibile. Abbiamo detto che volevamo rafforzare il ruolo della società civile nelle aree


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di conflitto: questo ci veniva chiesto dalle organizzazioni cattoliche, dal loro manifesto, che non ho potuto non condividere. Tali organizzazioni ci chiedevano di combattere il mercato delle armi, di fornire maggiori informazioni su tutte le operazioni di vendita e di acquisto e di non destinare ad esse nessuna copertura finanziaria pubblica: abbiamo detto loro che in tema di vendita di armi l'Italia è all'avanguardia, è il paese che più rigorosamente pone limiti, quello che cerca di esercitare la maggiore trasparenza. Il manifesto cattolico citava i problemi dell'ambiente: non potevo non condividere il contenuto del protocollo di Kyoto, così come la necessità di aumentare l'aiuto pubblico allo sviluppo o di combattere la malnutrizione e le epidemie. Non posso dunque condividere una illustrazione dell'attività delle ONG esclusivamente negativa, perché con molte di esse lavoriamo regolarmente: ne ho parlato più volte con il cardinale Tettamanzi, con il professor Riccardo Moro, con il professor Ferrucci e con molti altri. Non credo che quello delle associazioni sia un universo solo magmatico, dalle strutture non definite...
PIERLUIGI PETRINI. Parlavo del Genoa social forum, ambasciatore, non mi faccia dire quello che non ho detto...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Senatore, è stato ricordato che anche nel Genoa social forum esistono organizzazioni come Lilliput od altre, con le quali dialoghiamo regolarmente.
Vorrei anche ricordare che, in occasione del vertice organizzato dalla Repubblica federale tedesca a Colonia, si tennero delle grandiose manifestazioni di ONG che chiedevano l'annullamento totale o parziale dei crediti vantati dai paesi del G8 nei confronti di quelli in via di sviluppo: queste non furono per niente «parassitate» - uso l'espressione impiegata dal


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senatore Petrini - da organizzazioni violente. Non credo, quindi, che sia utopistico il tentativo di dialogare con queste ONG, ritengo anzi che esse abbiano portato in prima linea attese della società civile, di cui i Governi debbono farsi carico e che abbiamo il dovere di approfondire insieme, non di scartare e di allontanare. Certo, ha ragione il senatore quando parla...
PIERLUIGI PETRINI. Non ho mai detto che è utopistico un dialogo con le organizzazioni non governative...
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Mi scusi se ho dato questa impressione, senatore.
Parlando delle trattative che abbiamo condotto, mi sembrava di aver colto nelle sue parole che fosse utopistico da parte nostra pensare che si potesse dialogare con organizzazioni radicali. Credo che lo stesso Genoa social forum rappresenti una realtà più variegata di quanto non appaia. Chiedo scusa perché forse ho parlato troppo a lungo.
GRAZIA LABATE. Ambasciatore Vattani, premesso che chi le parla è anche deputato di Genova ed ha quindi seguito con particolare attenzione la sua relazione riguardo le modalità con cui è stato preparato il vertice, desidero soffermarmi sulla riunione del 28 giugno tenutasi alla Farnesina con i rappresentanti del Genoa social forum. Il collega Soda ed altri, tra i quali l'onorevole Boato, le avevano chiesto se si era a conoscenza dei partecipanti a quella riunione. Sono rimasta molto impressionata nel notare nell'elenco anche la sigla Ya basta!: durante questo faticoso lavoro di agosto - convinti tutti di svolgere bene il nostro lavoro istituzionale per giungere ad un obiettivo di verità - abbiamo letto molto attentamente sia i fascicoli che ci sono stati forniti dalle strutture che hanno


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provveduto alle questioni di ordine pubblico, sia un ricco materiale - anche riservato - che ognuno ha studiato con attenzione, rispettandone la riservatezza. Dal materiali pervenuto apprendiamo - poiché troviamo le date e i soggetti a cui viene inviato un rapporto poderoso del gabinetto della questura di Genova e relazioni a livello di intelligence, svolte addirittura dal 2000 fino ai giorni del vertice G8 - che nei mesi di maggio e di giugno alla Presidenza del Consiglio, struttura della missione, alla Farnesina, oltre che al Viminale, vengono fornite ampie analisi circa la natura dei movimenti. Per questo ho avuto un sussulto nel vedere la sigla Ya Basta! compresa nell'elenco dei presenti a quell'incontro: nelle analisi, la troviamo nel blocco giallo, con un fitto elenco di azioni violente che si suoi aderenti sarebbero apprestati a compiere nella nostra città.
L'altra domanda riguarda il fatto che abbiamo notizia che, dopo la riunione del 28 giugno le trattative sono proseguite fino all'ultima riunione del 14 luglio. Mi permetterei di chiederle (se lei è in grado di rispondermi), quali garanzie si sono ottenute dal movimento, e da chi, riguardo l'atteggiamento non violento. Gradirei sapere se da quelle trattative siano emerse maggiori elementi di chiarezza o di sicurezza per i vertici centrali dello Stato.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Circa la riunione del 28 giugno alla Farnesina, credo di aver riferito poco fa che sapevamo solo che sarebbe arrivato un certo gruppo, ma soltanto quando si sono presentati - non sapevamo neppure esattamente chi fossero, perché conoscevamo solamente due persone - abbiamo progressivamente compreso che avevamo di fronte diverse componenti... (Interruzione del deputato Boato). Forse avevano indicato la delegazione, ma per noi quei nomi non significavano molto, non eravamo in grado di


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comprendere esattamente la situazione. Abbiamo ascoltato, naturalmente, le loro posizioni: non posso parlare di garanzie, ma certamente i rappresentanti del Genoa social forum presenti alla Farnesina il 28 giugno fornirono rassicurazioni che non ci sarebbero stati atti di violenza e che anzi, consentendo loro di manifestare pacificamente, si sarebbe determinato un isolamento dei violenti e si sarebbe facilitato lo svolgimento di eventi di carattere pacifico anche se, naturalmente, di dissenso e contestazione riguardo lo svolgimento del vertice del G8. Dopo il 28 giugno, come Farnesina, non abbiamo più avuto occasioni di incontrare il Genoa social forum.
Per parte mia, ho riferito poco fa che ad un incontro che ebbi, su loro richiesta, con le associazioni cattoliche al teatro Carlo Felice di Genova...
MARCO BOATO. È stato anche animato!
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. È stato animato, però devo dire che si è svolto tutto in maniera molto positiva, anche se la stampa certe volte sottolinea alcuni aspetti e non altri. Nel corso di tale incontro mi fu consegnato il manifesto a cui ho fatto riferimento poco fa, che del resto, ho potuto commentare, molto favorevolmente per la maggior parte dei punti che sollevava.
GRAZIA LABATE. Scusi presidente, non intendo fare una nuova domanda, ma vorrei che l'ambasciatore Vattani, avendo detto che non era a conoscenza neanche del blocco nero, rispondesse alla mia domanda cioè se era a conoscenza di questo documento che faceva parte del materiale dell'ordinanza, in cui i blocchi erano tutti ben definiti.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Non ne ero a conoscenza.


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MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. La ringraziamo, ambasciatore, per la sua chiara relazione e per le esaustive risposte che lei ha dato alle nostre domande.
Lei ci ha già riferito che il ritardo nelle indicazioni delle delegazioni non ha minimamente turbato la preparazione che era già avvenuta, in quanto la zona rossa e l'indicazione dei punti strategici in cui si sarebbe dovuto svolgere il vertice, erano già individuati. Però, mi ha colpito un aspetto: fino ad aprile 2001, nulla o poco si sapeva, delle indicazioni delle delegazioni.
Mi domando, allora, visto che è stato incaricato proprio in quella data, se lei abbia informato continuamente - così come penso sarebbe dovuto avvenire - sia il ministro degli esteri Dini, sia il ministro dell'interno, sia il Presidente del Consiglio Amato, dei ritardi che si stavano registrando e se i ministri ed il capo del Governo, nell'ambito dei loro poteri e delle loro competenze, siano intervenuti presso gli Stati stranieri affinché accelerassero le procedure di competenza perché poi il vertice si potesse svolgere nella massima tranquillità. Mi domando, quindi, se vi siano state omissioni sotto tale profilo.
Un'altra domanda che mi pongo - visto che lei ha riferito che nella relazione del G8 era stata inserita la remissione dei debiti, nonché l'erogazione di contributi per combattere la malnutrizione, per la cura delle malattie od altro - e dato che erano sorti dubbi in proposito - è se la remissione dei debiti dovesse avere poi una legittimazione democratica da parte di altri organismi o se fosse sufficiente che essa avvenisse da parte dei creditori. Allo stesso modo, mi domando se la raccolta e l'erogazione dei contributi per la malnutrizione e la cura delle malattie avrebbero compromesso o delegittimato il


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potere e le competenze degli Stati interessati qualora fossero avvenute per iniziativa degli Stati più ricchi, ossia quelli del G8.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Quando ho iniziato a seguire i problemi dell'organizzazione del G8, non ho avuto bisogno di informare il ministro Dini o il Presidente del Consiglio Amato, perché sapevano prima di me che non si era riusciti, fino a quel momento, a far salire a bordo nessuna delegazione. Avevamo avuto, infatti, delle risposte negative da parte di tutti. Quindi, non c'era bisogno da parte mia di informare qualcuno, che in realtà già informava me di questo.
Con riferimento al problema degli interventi, posso dire che certamente furono fatti interventi ed altro ancora. Ricordo il periodo: eravamo in fase quasi pre-elettorale. Da parte dei rappresentanti di questi paesi c'era una netta preferenza - come mi pare di aver già ricordato - per sistemarsi, come è sempre avvenuto, ciascuno nel proprio albergo. Questa, infatti, è stata la prima volta in cui siamo riusciti a riunirli tutti insieme, perché, normalmente, la regola è un'altra: ogni delegazione sceglie il proprio albergo e lì si stabilisce. Quindi non c'è nulla di strano; piuttosto, è curioso essere riusciti a farli convivere tutti nella stessa nave.
Per quanto riguarda i temi del G8, ricordati dalla senatrice Ioannucci, vorrei dire che le decisioni assunte nel quadro del G8 sono decisioni che ciascun paese si impegna a mantenere e ad attuare attraverso procedure che spesso, come ha ricordato la senatrice Ioannucci, sono tipiche di altre organizzazioni internazionali. Per quanto riguarda, per esempio, l'importante fondo che è stato costituito per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria, l'Organizzazione mondiale della sanità avrà un ruolo molto importante nel valutarne i principi di attuazione. Per quanto riguarda la cancellazione


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dei debiti, parimenti, le procedure relative si realizzano nell'ambito di altre organizzazioni internazionali in cui vengono registrati gli impegni dei singoli paesi del G8 e vengono poi definite alla Banca mondiale o al Fondo monetario o al Club dei dieci a Parigi.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Scusi presidente, non intendo fare un'altra domanda, ma solo chiedere all'ambasciatore Vattani se di questi interventi, che ci dice ci siano stati da parte del Governo Amato, vi siano atti o documenti che ne diano la dimostrazione.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Gli interventi di questo tipo avvengono per via diplomatica, agendo direttamente sugli ambasciatori accreditati a Roma, oppure attraverso la nostra rete diplomatica nei paesi del G8; possono avvenire per nota verbale, così pure, come sono anche avvenuti all'inizio da parte mia, partecipando a riunioni degli «sherpa». Questi, sono i nostri normali modi di agire nei confronti degli altri Stati per rappresentare le nostre attese. Ci sono, dunque, certamente e sono stati fatti ripetutamente.
PRESIDENTE. La collega Labate prima ha chiesto all'ambasciatore se era a conoscenza delle tute bianche e dei rappresentanti di Ya basta! Questa sera avremo un identico problema, perché nella lettera di convocazione al dottor Agnoletto lo stesso ci ha chiesto di essere accompagnato da quattro persone, tra le quali anche Chiara Cassurino che dovrebbe essere la legale rappresentante o la portavoce di Ya basta! Poiché dobbiamo decidere circa l'ammissione o meno di queste persone, la prego di riferire al suo capogruppo al fine di valutare insieme l'ammissibilità o meno.
Mi scuso con il senatore Petrini, perché ha ancora a disposizione un minuto.


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Posso dunque dare, ma solo per un minuto, la parola al collega Sinisi.
GIANNICOLA SINISI. Dalla stampa del 14 luglio leggo che il ministro degli esteri prosegue l'iniziativa del dialogo, incontra settanta ONG e riscontra un'apertura mai verificata in altri vertici da parte dei manifestanti. Le chiedo, ambasciatore, se c'è stato questo incontro il 13 luglio con settanta ONG ed eventualmente con quali ed, inoltre, quali sono state le conclusioni di tale incontro.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Personalmente di questo incontro ho letto solo sulla stampa, perché in quei giorni ero fuori, a Genova. Non ricordo se avvenne ai margini di una riunione internazionale alla quale partecipò il ministro Ruggiero. Potrei verificare, ma, ripeto, non ero a Roma e credo di ricordare che forse si svolse proprio ai margini di una riunione internazionale, forse a Roma o all'estero, ma non ricordo.
FRANCESCO NITTO PALMA. Le rivolgo una sola domanda, concordata con il nostro capogruppo, onorevole Saponara, che è stata già formulata dal presidente Violante e poi, con un successivo approfondimento, dal senatore Petrini. Sostanzialmente lui ha già risposto dicendo di non avendo ravvisato, al di là della composizione numerica o di altre caratteristiche, rilevanti differenze tra i contatti tenuti in precedenza con le organizzazioni governative e quelli avuti successivamente con il Genoa social forum, all'interno del quale erano ricomprese anche organizzazioni non governative (che, per prassi, si rapportano con voi). Tra l'altro, i contatti con il Genoa social forum, avevano avuto inizio nell'aprile 2001, quando era ancora in carica il Governo Amato. La mia domanda ha lo


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scopo di chiarire se - come ha detto il presidente Violante - dalle forze dell'ordine vi fossero giunte notizie su tale organizzazione. In particolare: quando avete tenuto le riunioni con il Genoa social forum, alle quali lei ha partecipato, presso il Ministero degli affari esteri e in altre occasioni, eravate a conoscenza, dalle intercettazioni telefoniche, dalle acquisizioni informative e dalle investigazioni che erano in corso, che era stato acclarato che talune componenti, facenti capo al cosiddetto blocco giallo inserito nel Genoa social forum, avevano organizzato e deciso azioni violente nel corso del summit e che di conseguenzas - specialmente dopo la vittoria del centrodestra nelle elezioni politiche - i rapporti con il Genoa social forum erano da considerarsi non affidabili?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Mi sembra di aver detto che con il Genoa social forum è stata fatta una sola riunione, in occasione dell'incontro alla Farnesina con i ministri Ruggiero e Scajola, e non confermo che mi fossero giunte informazioni dell'esistenza di frange più violente tra di loro; infatti, se fosse stato così, il nostro comportamento sarebbe stato diverso - come ha ricordato un momento fa il presidente - perché ci saremmo posto almeno il problema.
Ho voluto ricordare l'evoluzione di questo dialogo, essendo sempre stato presente - nel corso di tutta la presidenza italiana - il rapporto con la società civile e ritenendo importante - prima ancora che entrassi in scena con la preparazione del vertice - il confronto con tali associazioni, che comunque continueremo ad avere anche dopo quello che poi è accaduto.
Che si veda la nascita di una rappresentanza di queste organizzazioni è un fatto puramente volontario; dall'enorme galassia di ONG, si arriva da 746 persone a 10 persone. È un processo interno che si svolge lentamente (alcuni emergono,


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altri scompaiono, e non è detto che coloro che emergono, debbano poi essere sempre presenti). Quindi, conoscere che cosa esattamente pensano gli interlocutori - come per esempio è avvenuto durante quella riunione - non si può che prendere at face value, cioè per quello che essi dicono. Non abbiamo infatti elementi per mettere in dubbio ciò che dicono. Abbiamo preso atto delle assicurazioni date sulla loro intenzione di organizzare manifestazioni pacifiche, con un alto numero di partecipanti durante le giornate del vertice e in zone che non fossero del tutto insignificanti. Se, infatti, avessimo proposto loro di farle a Valenza Po, sicuramente non ci avrebbero preso in considerazione.
LUCIANO VIOLANTE. Con tutto il rispetto per Valenza Po.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Sì, con tutto rispetto per Valenza Po, che è una ridente e bellissima cittadina.
PIERLUIGI PETRINI. Chiedo di parlare per una precisazione.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI PETRINI. La risposta dell'ambasciatore alla mia domanda mi ha suscitato, seppure indirettamente, pensieri a me estranei. Non ho mai affermato che la Farnesina avesse o dovesse avere competenze di ordine pubblico: questo è ovvio. Ho invece affermato che la Farnesina presiedeva quel momento di coordinamento fra le varie competenze, rappresentato dalla struttura di missione. Inoltre, non ho mai affermato che sia utopistico, e quindi inutile, un rapporto dialogico con le organizzazioni non governative: il mio pensiero è esattamente l'opposto ed ho grande stima di esse. Ho affermato, invece, che fosse utopistico un dialogo volto a convincere il


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mondo dell'anti-global della bontà del G8 (contestando esso direttamente la stessa essenza del G8) e che fosse altrettanto utopistico pensare di ottenere, da una struttura così evanescente come il Genoa social forum, rassicurazioni sull'ordine pubblico.
PRESIDENTE. Sicuramente il resoconto stenografico dell'odierna seduta terrà opportunamente conto delle sue precisazioni.
MARCO BOATO. Desidereremmo avere i documenti dell'incontro.
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Certamente, vi consegnerò al più presto il manifesto e il comunicato finale del vertice.
LUCIANO VIOLANTE. Esistono i verbali della struttura di missione?
UMBERTO VATTANI, Ambasciatore. Posso chiedere al ministro Vinci Giacchi, che è il presidente della struttura di missione.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore Umberto Vattani, rinnovando la richiesta di farci pervenire al più presto i documenti che si è riservato di mettere a disposizione del Comitato.
Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 12,20, è ripresa alle 12,35.