RASSEGNA STAMPA
LIBERAZIONE - Se la polizia oltrepassa la linea blu, La pubblica accusa diventa un libro
Genova, 13 maggio 2009
In libreria "Scuola Diaz, vergogna di Stato", così i pm ricostruirono i fatti
          Se la polizia oltrepassa la linea blu
          La pubblica accusa diventa un libro
          
          Checchino Antonini, Francesco Barilli, Dario Rossi
          Molti anni dopo, di fronte   al tribunale di Genova che giudicava la notte 
          cilena della Diaz, il pubblico   ministero Enrico Zucca avrebbe spiegato 
          quanto fosse difficile processare   dei poliziotti
          
          Molti anni dopo, di fronte al tribunale di Genova che   giudicava la notte 
          cilena della Diaz, il pubblico ministero Enrico Zucca   avrebbe spiegato 
          quanto fosse difficile processare dei poliziotti. Avrebbe   detto che era 
          come processare mafiosi e stupratori. Nei casi di violenza   sessuale, 
          infatti, viene amplificato il discredito per la vittima «che avrai   mai 
          fatto per farti conciare in quel modo? Mica sarai stata tu a   provocare?» e 
          in quelli contro i boss scattano gli stessi meccanismi di   «omertà e 
          coperture che rendono difficili i riscontri». Così avrebbe detto,   sette 
          anni dopo i fatti, iniziando una lunghissima requisitoria, pronunciata   con 
          l'incubo di un decreto "ammazzasentenze" che Berlusconi, tornato al 
          governo, sembrava stesse per emanare. Così non fu e la requisitoria 
          sarebbe terminata con la richiesta di pene a ridosso delle iniziative di 
          movimento per l'anniversario delle giornate del luglio 2001 e a pochi 
          giorni dalla scandalosa sentenza, definitiva causa prescrizione imminente, 
          sebbene fosse solo il primo grado, sulle torture avvenute nella caserma 
          della celere di Bolzaneto tramutata in prigione provvisoria per le retate 
          di No global. E mafiosi e stupratori, secondo la pubblica accusa, hanno 
          un'«aura di intangibilità» minore di uno "sbirro" che se la prenda con un 
          «nemico dello Stato: allora la tentazione di violare le leggi è molto 
          alta».
          Negli States, patria della police brutality, quando la polizia   commette 
          degli scempi si dice che ha passato la "linea blu". E dietro quella   linea 
          si ritira, innalzando una sorta di muro di gomma, per coprire le   indagini 
          su quegli scempi. Quello ai ventinove funzionari di Ps - accusati a   vario 
          titolo di lesioni e abusi contro novantatré manifestanti arrestati 
          illegittimamente tra il 21 e il 22 luglio 2001 - è stato un processo alla 
          linea blu. Vista da fuori, quell'operazione parve una mostruosa carica, 
          prolungamento di quelle che avevano inseguito e sconvolto i cortei dei 
          giorni precedenti. Spesso, quasi sempre, contro persone inermi. Cariche 
          illegittime. Come quelle che, il venerdì, avevano aggredito anche con armi 
          improprie (usanza dei carabinieri del battaglione Lombardia, a quanto 
          pare), un corteo regolarmente autorizzato di ex Tute bianche che volevano 
          opporre i loro corpi, imbottiti alla meglio, alla zona rossa degli "Otto 
          grandi". Da quelle cariche ebbero origine gli scontri in cui fu ucciso 
          Carlo Giuliani, 23 anni, col solo torto di trovarsi nel posto sbagliato al 
          momento sbagliato. Un video a disposizione del giudice mostra chiaramente 
          la scena di lui che si china a raccogliere l'estintore solo dopo aver 
          visto spuntare dal lunotto del defender la pistola che lo ucciderà. Ma per 
          il giudice non avrà importanza, la legittima difesa sarà quella del 
          carabiniere che gridava:«Bastardi comunisti, vi ammazzo tutti quanti».
          Il   giorno dopo, e un numero imprecisato di cariche, sputi, insulti, 
          arresti,   tutte cose più o meno illegittime - a giudicare dal numero di 
          inchieste e   dalle migliaia di chilometri di pellicola - 300mila 
          dimostranti tentavano di   lasciare Genova senza farsi accorgere dagli 
          squadroni di robocop esagitati e   travisati. via Battisti, tra il mare, il 
          centro e Albaro, è una viuzza   stretta su cui si affacciano due scuole dei 
          primi del Novecento. È il   complesso scolastico Diaz. Con le spalle al 
          mare, a sinistra c'è la   Diaz-Pascoli, di fronte la Diaz-Pertini. Di qua il 
          media center, il quartier   generale dei legali, l'ambulatorio del soccorso 
          medico. Di là doveva esserci   la casa delle Ong ma un violentissimo, 
          inaspettato nubifragio, la notte del   giovedì - dopo il corteo dei migranti 
          - trasformò la scuola in dormitorio   per gli sfollati dei campeggi. Quel 
          sabato sera ci trovarono rifugio alcune   decine di reduci, stranieri e 
          italiani, dal corteo inseguito e brutalizzato   per ore dalle polizie di 
          Berlusconi. Al terzo piano c'era un'aula dove aveva   trovato sede anche la 
          redazione di Liberazione per quei giorni. Chi scrive   terminò il suo pezzo 
          poco dopo le 21.00 annotando che «intorno alla Diaz   iniziava uno strano 
          carosello di volanti». Poco prima tutta la piccola folla   di giornalisti e 
          mediattivisti s'era riversata alla finestra sentendo certe   urla e sgommate 
          che provenivano dalla viuzza. Un convoglio di macchine   civetta e macchine 
          della polizia e un blindato della celere. In molti   gridavano «Assassini, 
          assassini!». Forse riconobbero digossini di Napoli (la   mattanza del 17 
          marzo, centoventisei giorni prima, sembrò a tutti la prova   generale di 
          Genova). Volò, pare una bottiglietta che neppure andò a segno.   In molti si 
          misero a tranquillizzare il lanciatore.
          In questura qualcuno   scrisse che quella fu un'aggressione dei Black bloc, 
          gli stessi che   avrebbero causato gli scontri delle ore precedenti. Fu così 
          che prese le   mosse la "notte cilena". Che la versione ufficiale facesse 
          acqua se ne   accorse perfino la blanda indagine conoscitiva concessa da 
          Berlusconi a   un'opinione pubblica scossa e a un'opposizione - il futuro Pd 
          - più   imbarazzata che indignata. Rifondazione, in imperfetta solitudine, 
          chiederà   una reale inchiesta parlamentare per sei anni fino al naufragio 
          dell'idea   nell'infelice legislatura del secondo Prodi.
          È smontando quella versione   ufficiale che inizierà la lunga requisitoria 
          di Zucca e del suo collega   Francesco Cardona Albini che punterà a 
          ricostruire minuziosamente il   contesto in cui operò la «concreta attività 
          di comando nell'ambito della   quale sono maturate le condotte dei 
          subordinati». Perché sotto processo ci   saranno solo alcuni dei capi che 
          coordinarono le irruzioni nelle scuole di   via Battisti. Gli esecutori 
          materiali non saranno mai identificati. Agirono   travisati e il Viminale 
          non ha mosso una paglia, anzi, ha remato contro ogni   tentativo di dare un 
          nome e un cognome ai protagonisti di quelle giornate   che Amnesty 
          International, al termine di un'inchiesta indipendente, definirà   «la più 
          grave sospensione dei diritti umani in Occidente, dopo la seconda   guerra 
          mondiale. […].
        


