PROCESSO ALIMONDA

Archiviazione

TRIBUNALE DI GENOVA

SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI

ORDINANZA EX ART. 409 C.P.P. 

Il Giudice dr.ssa Elena Daloiso, letta la richiesta di archiviazione depositata dal Pubblico Ministero nel procedimento in intestazione nei confronti di

PLACANICA A Mario nato a Catanzaro il 13.8.1980

CAVATAIO Filippo nato a Carini (PA) il 3.9.1977

indagati del delitto di cui all’art. 575 c.p. commesso in Genova il 20 luglio 2001 in danno di Giuliani Carlo.

letto l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione depositato dai difensori delle persone offese Giu1iani Giuliano, Gaggio Adelaide e Giuliani Elena

a seguito dell’udienza in Camera di consiglio in data 17 aprile 2003, sciogliendo la riserva

OSSERVA

In data 20 luglio 2001, nel corso dei disordini che hanno funestato la città di Genova durante il Vertice G8, si verificava la tragica morte di uno dei manifestanti, identificato per Carlo Giuliani, colpito al viso da un colpo di arma da fuoco esploso dalla pistola del carabiniere Mario PLACANICA che si trovava, insieme ai colleghi Raffone e CAVATAIO, a bordo di un “defender” che, rimasto bloccato in piazza Alimonda, era stato assaltato da numerosi manifestanti.

Al fine di valutare la portata degli accadimenti e di esaminare la condotta delle persone coinvolte nell’evento, nonché la necessità di ulteriori indagini e le eventuali responsabilità degli indagati, deve essere ricostruito con la maggior precisione possibile quanto avvenuto il pomeriggio del 20 Luglio 2001 con particolare riferimento al contesto in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani.

La ricostruzione del fatto

A tal fine appare di notevole interesse la descrizione, acquisita agli atti, diffusa da un anonimo partecipante ai disordini su un sito internet (www.anarchy99.net), che fornisce un dettagliato racconto certamente aderente alla realtà per i particolari descritti che trovano riscontro nel materiale video fotografico e nelle testimonianze in atti e può dunque costituire la base per ricostruire con precisione gli eventi, sia con riferimento ai movimenti dei manifestanti nel luogo in cui ha trovato la morte Carlo Giuliani, che alla loro consistenza numerica ed alla condotta tenuta dagli stessi manifestanti e dalle Forze dell’Ordine nei momenti che hanno preceduto la morte del giovane.

Si riportano di seguito le parti del racconto che fanno riferimento ai disordini verificatisi in via Tolemaide e piazza Alimonda e a quanto dall’anonimo autore personalmente osservato nelle circostanze in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani:

“... Non credo che siamo stati in tanti di questo corteo ad andare fino al cuore della zona di scontro dove corso Gastaldi si restringe e diventa via Tolemaide..C’erano migliaia di persone in questa zona vicino agli scontri che si riparavano, si areavano dopo aver aver ricevuto dei gas lacrimogeni. Ho continuato a scendere verso via Tolemaide, c‘era tanta gente e le prime tracce di scontri iniziavano a farsi vive... C’era veramente tanta gente che portava equipaggiamento o elementi di equipaggiamento alla moda delle Tute Bianche. Ce n’erano centinaia e centinaia senza equipaggimenti particolari a parte diverse maschere per proteggersi dal gas...Ho continuato a scendere... c’era sempre tanta gente... c’erano centinaia di persone nelle prime file dei tumultuanti. Poco dopo ho raggiunto le prime file, un grosso contrattacco dei manifestanti ha iniziato a scatenarsi... centinaia di persone hanno iniziato ad avanzare contro gli sbirri. I lanci di proiettili sulle fila della polizia si sono intensificati a poco a poco: è iniziata adesso una vera pioggia di pietre. Ce n’erano sempre di più che gli cadevano addosso. Ne prendevano tante sul muso e vedevano tutti che dietro le centinaia di persone che le attaccavano c’ erano 1000/2000 più su nel corso che iniziavano a seguire sempre più numerosi e rapidamente le prime file di tumultuanti diritti su di loro. Le persone urlavano avanti! avanti! Allora le file degli sbirri hanno cominciato a sfasciarsi... le persone hanno tutte caricato urlando e lanciando tutto quello che potevano... Le persone si precipitavano sui proiettili che erano sparsi a terra. Ad ogni 20 metri tutto quello che ero stato lanciato sugli sbirri era raccolto e riutilizzato immediatamente. Il lancio di pietre ha preso forma di avvicendarsi intensamente e rapidamente. Leggerrnente indietro, decine dl persone correndo si portavano dietro contenitori della spazzatura, cassonetti, grate ecc.. e spostavano così le barricate contamporaneamente alla carica che avanzava a piccoli scatti che si succedevano rapidamente. L’atmosfera era furiosa. Il livello di violenza era veramente elevato. Quello che è rimasto del dispositivo poliziesco ha iniziato o lanciare granate furiosamente. Questo ci ha rallentato. I veicoli sono riusciti a sbloccarsi. Gli sbirri hanno iniziato a ricomporre le loro file. Li avevano farti indietreggiare di 200 metri credo. Hanno dovuto impiegare molto tempo per recuperare questi 200 metri che gli abbiamo fatto perdere in 10 minuti. Le persone hanno iniziato a radunare gli oggetti per un nuovo attacco (riportare, fare riserve di proiettili, di oggetti, di barricate mobili da radunarsi dietro alle prime file). Gli sbirri si erano appena presa una bella sberla ed erano instabili sulla difesa. È per questo motivo che hanno dovuto mandare 30 o 40 sbirri nella stradina laterale sulla sinistra delle prime file dei manifestanti. Dovevano pensare che le prime file avrebbero avuto paura di una carica sul fianco che li avrebbe separati dal restante gruppo dei manifestanti (carica che sarebbe subito stata raggiunta da un’altra di fronte) e che avrebbero indietreggiato leggermente in modo da diminuire la pressione sul dispositivo poliziesco di via Tolemaide o forse che cercassero di dissuaderci di allargarci nella stradina sulla sinistra e di espandere così il perimetro dei combattimenti. Non so perchè abbiano fatto questo, in ogni caso non è stata una buona idea perchè c’era tanta gente innervosita che arrivava per spingere le prime file e conquistare lo spazio guadagnato durante la carica dei manifestanti e alcune decine di sbirri sono stati presto caricati da almeno 60/70 persone. Gli sbirri sono indietreggiati verso una stradina perpendicolare. Abbiamo continuato a caricarli, più indietreggiavano e più caricavamo. Li abbiamo seguiti nella stradina perpendicolare. Uscendo dalla stradina ci siamo ritrovati in una piazzetta con una chiesa. Gli sbirri hanno continuato ad indietreggiare sotto i proiettili. Diversi manifestanti tenevano delle sbarre di ferro o manici di zappa. Eravamo più numerosi di loro e fuggivano il contatto. Gli sbirri sono andati a ricostruire le loro file all’ingresso di una strada che dava su una piazza. Ripiegando hanno lasciato a 20 o 30 metri dietri di loro due piccole macchine 4x4 dei carabinieri. È stato tutto violento, rapido e confuso e quindi sarò prudente. Le due macchine hanno cercato di indietreggiare per un motivo che ignoro, per lo meno la seconda non ce l’ha fatta. Il veicolo si è trovato tagliato fuori dal resto del dispositivo poliziesco e a contatto dei manifestanti che hanno iniziato a lapidarlo e a picchiarlo con le sbarre e con i manici. Il finestrino di dietro si è rotto, non ho visto come però non c’era più. Ero a circa 10 metri dal veicolo un po’ a strapiombo in confronto a lui ( che era alla mia sinstra) perchè ero sulla scalinata della chiesa. E in quel momento ho sentito la prima detonazione, abbastanza forte, secca e vicina. Istintivamente mi sono piegato e ho pensato che fosse uno sparo di arma da fuoco. Guardai di fronte a me il dispositivo poliziesco che si trovava all’inizio della stradina per vedere che cosa fosse successo, se erano loro che sparavano. O se caricassero. C’era una nuvola di gas, erano a 30 metri circa, non vedevo granchè. Credo che ci sia stata un’altra detonazione. Ho girato su me stesso, sempre piegato, ho sceso 2 o 3 scalini verso il retro, ho fatto alcuni passi e mi sono accovacciato dietro non so più che cosa fosse per ripararmi. Mi sono alzato un po’. Dritto davanti a me, sempre circa a10 metri a mio giudizio, c’era il retro del 4X4 dei carabinieri con il suo finestrino sfondato. Ho percepito dei movimenti dentro. Mi sono abbassato. Ma quasi subito mi sono sollevato e credo (ma è un po’ confuso, non posso essere categorico) di aver visto dal finestrino rotto, abbastanza distintamente due sbirri con il casco, piegati o accovacciati stretti l’uno all’altro. Ho visto la “macchia chiara” di una mano all’altezza del torso con il prolungamento di questa mano una massa nera e luccicante. Ho immediatamente che non potesse trattarsi che di un’arma a mano e che era da quest’arma che provenivano le detonazioni. Ho pensato che avesse tirato in aria per sprigionarsi. Gli sbirri (perchè mi sembrava che fossero due) sembravano agitati e guardavano girandosi leggermente su loro stessi dal finestrino rotto se dei manifestanti si avvicinassero. Non vedevo che cosa succedeva a terra. Dopo ho guardato dietro di me che cosa succedeva, se i manifestanti avanzavano o indietreggiavano. Quando ho guardato di nuovo davanti a me, la macchina dei carabinieri era andata via. Mi sono rialzato. Ho avanzato. C’era un po’ di gente davanti a me. Ho avuto la sensazione che il rumore si fosse attenuato in modo considerevole durante alcuni secondi. Dopo ci sono stati alcuni urli. Mi sono detto che c’era un problema, che qualcosa di grave era successo. Ho visto qualche persona correre e fermarsi a 6/7 metri sulla sinistra. Mi sono avvicinato. C’erano 4/5 persone in cerchio, ho girato attorno a loro. Ho visto qualcuno in terra. Un lacrimogeno ha rotolato vicino al nostro gruppo. Ho tirato dentro per rinviarlo agli sbirri che non si muovevano e che erano sempre a circa 30 metri. I suoi piedi erano vicini ai miei. Ricordo la sua maglietta bianca e il suo cappuccio appiccicoso e luccicante di sangue. Ho visto una pozza di sangue che si allargava vicino alla sua testa. Ho notato che pisciava sangue dall’orbita sinistra. Ho capito che è stata una pallottola a fare questo e che gli spari non erano stati sparati in alto. Ho fatto alcuni passi indietro tenendomi la testa. Quando mi sono girato ho visto 2/3 giornalisti con telecamere e macchine fotografiche che riprendevano il tizio a terra. Gli sbirri hanno iniziato ad avvicinarsi lentamente. Un gruppo di 6/7 sbirri si è staccato dalle loro fila e dietro a 3 o 4 scudi sono venuti avanti su di noi abbastanza lentamente e tranquillamente a quanto mi è sembrato. Due ragazzi hanno iniziato a sollevare il tizio da terra. Mi sono avvicinato per aiutarli, ma un altro manifestante è venuto dicendo che il tizio era ferito grave e di non toccarlo. Allora i due ragazzi lo hanno ripoggiato. Nessuno pensava che fosse infatti già morto. Il gruppetto dei 6/7 sbirri si era ancora avvicinato. Erano a 10 metri forse. Abbiamo indietreggiato e la fila di sbirri che seguiva il gruppetto di testa a distanza si è messo a caricare, allora siamo scappati di corsa. Non sapevamo che cosa fare perchè pensavamo che il tizio aterra fosse gravemente ferito ma non morto. Non abbiamo verificato se il cuore o il suo polso battevano ancora. Se avessimo capito che era già morto ovviamente non avremmo mai lasciato il suo corpo tra le mani degli sbirri e lo avremmo trasportato fino a via Tolemaide dove avremmo acciuffato un’ambulanza ( non oso immaginare l’effetto che questo avrebbe fatto sui centinaia e centinaia di persone che si trovavano là). Tant’è che gli sbirri hanno caricato e la piazza si è svuotata, gli ultimi manifestanti hanno raggiunto la parte grossa del gruppo a cui hanno riferito che un tizio si era preso una pallottola e che forse era morto. Le persone hanno lanciato urla di collera. Gli sbirri dopo aver vuotato la piazza si sono presentati nella stradina da dove le persone stavano iniziando ad andarsene verso via Tolemaide. Quando li hanno visti arrivare la gente gli è andata incontro urlando “assassini” e hanno fatto rifluire gli sbirri nella piazzetta. Di fronte a me c’era una strada dove la gente caricava cerso la piazza e alla mia destra la strada che sbuava su via Tolemaide. Ho visto in fondo a questa via un piccolo veicolo blindato che risaliva di corsa via Tolemaide sfondando tutti gli ostacoli. Spero che nessuno si trovasse sulla sua strada perchè il blindato si avventava dritto a tutta velocità. Ho incontrato un giornalista che aveva assistito alla morte del manifestante, parlava francese e mi ha detto a me e ad un altro francese che si trovava là che non c’era da illudersi, il tizio era morto. Ha detto che bisognava mandare le immagini. Ho raggiunti via Tolemaide da una stradina più su dalla zona dove ho avvistato il blindato. La notizia cominciò a spandersi tra le prime file dei tumultuanti e le persone hanno attaccato gli sbirri furiosamente. Io ho iniziato a risalire lentamente, in senso contrario. La notizia funesta risaliva il corteo anche lei... Dopo ho accelerato e gridato durante un lasso di tempo continuando a camminare veloce, in diverse lingue che c’era un morto con una pallottola in testa. Ho informato la S.O. della LCR della notizia. Dopo ho continuato ancora per un po’ a risalire la manifestazione annunciando la notizia. La testa del corteo era schifata dalla notizia e quindi lasciava i luoghi. Fine del racconto...”. Un anarchico da qualche parte in Francia - fine. luglio 2001

Quanto descritto dall’anonimo partecipante ai disordini trova piena rispondenza nel contenuto delle comunicazioni di notizie di reato e nei risultati delle indagini immediatamente avviate che danno atto che verso le ore 17,00 un gruppo di dimostranti si era attestato in via Caffa all’incrocio con la via Tolemaide innalzando barricate con cassonetti per la spazzatura, carrelli di supermercati e quant’altro era riuscito a reperire sul posto. Da tale barricata il gruppo aveva iniziato un fitto lancio di pietre e corpi contundenti all’indirizzo di un contingente dei Carabinieri che, inizialmente posizionato in piazza Alimonda all’angolo con via Caffa, aveva iniziato ad avanzare allo scopo di fermare i manifestanti il cui gruppo era nel frattempo numericamente aumentato per l’arrivo di altri manifestanti giunti da via Tolemaide.

Erano pertanto giunti in ausilio al contingente appiedato due “defender” dei Carabinieri, uno dei quali guidato dal Carabiniere CAVATAIO, sul quale prendevano posto i Carabinieri Raffone e PLACANICA.

All’ improvviaso i manifestanti avevano posto in essere una violentissima carica che aveva costretto il contingente dei Carabinieri a ripiegare percorrendo a ritroso via Caffa per guadagnare una posizione relativamente sicura; le due jeep avevano iniziato di conseguenza una manovra di retromarcia fino a raggiungere la piazza Alimonda dove, mentre una riusciva ad invertire la marcia in direzione di piazza Tommaseo, quella condotta dal Carabiniere CAVATAIO nell’effettuare la manovra di svolta andava a sbattere con il frontale del veicolo contro un cassonetto della spazzatura senza riuscire ad effettuare una subitanea manovra di retromarcia.

Nel volgere di pochi attimi il veicolo era stato circondato da un gran numero di manifestanti che lo accerchiavano prendendolo d’assalto e colpendolo con mezzi di ogni genere ( tubi, pali della segnaletica stradale, assi di legno ecc.), mentre da parte dei manifestanti che si trovavano sia nei pressi della camionetta che in zone più distanti continuava una fitta sassaiola.

I numerosi filmati scattati sul luogo mostrano la violenza dell’attacco portato al contingente die Carabinieri ed in particolare nel filmato realizzato da “Luna Rossa Cinematografica” si nota il violentissimo assalto al “defender” rimasto bloccato all’angolo di piazza Alimonda, contro cui i manifestanti si accanivano, sfondandone i vetri con pietre, spranghe e bastoni.

Le immagini estrapolate dai filmati e le fotografie scattate nell’imminenza del fatto e raccolte nell’album della Squadra Mobile contenente 34 fotografie danno una precisa sequenza dei fatti mostrando il reparto appiedato dei Carabinieri schierato nel tratto di via Caffa che congiunge piazza Alimonda a via Tolemaide, mentre fronteggia numerosi manifestanti che, armati di spranghe e bastoni, lanciano sassi da una barricata eretta all’incrocio con la via Tolemaide dietro la quale si nota, nella foto nr.1. anche Carlo Giuliani nell’atto di lanciare una pietra contro i Carabinieri.

Le fotografie da 3 a 7 mostrano i manifestanti che avanzano verso il contingente dei Carabinieri seguito dalle jeep, armati di spranghe e bastoni, nonchè di numerose pietre che lanciano all’indirizzo dei Carabinieri come evidente nella fotografia nr.4.

Le successive immagini mostrano la ritirata del contingente dei Carabinieri preceduto dalle jeep che viaggiano in retromarcia, “inseguito” da moltissimi manifestanti ( fra i quali si distingue nelle foto nr.10 Massimiliano Monai che corre imbracciando una trave), essendosi aggiunto a quelli che già si trovavano in via Caffa un gran numero di altri manifestanti provenienti da via Tolemaide.

Il contingente appiedato riusciva ad attraversare di corsa la piazza ritirandosi in direzione di piazza Tommaseo sempre inseguito dai manifestanti e le jeep iniziavano una rapida manovra di inversione della marcia, venendo però raggiunte dai manifestanti che tentavano di assalirle entrambe, come evidente nelle fotografie nr.13 e 14. Uno dei mezzi riusciva a completare la manovra abbandonando la piazza, mentre l’altro nell’effettuare la manovra andava a sbattere con la parte anteriore contro un cassonetto dei rifiuti rimanendovi incastrato anche perchè, come si vedrà, il motore si spegneva più volte.

Mentre alcuni manifestanti continuavano a lanciare sassi anche contro il contingente appiedato ormai lontano e contro il “defender” che si stava allontanando, la jeep condotta dal Carabiniere CAVATAIO, sulla quale prendevano posto i Carabinieri Raffone e PLACANICA, veniva immediatamente accerchiata dai manifestanti che si accanivano sul mezzo sfondandone i vetri e colpendo l’equipaggio con sassi, tubi di ferro ed assi che più volte introducevano attraverso i finestrini.

L’accanimento dei manifestanti contro il mezzo, quale risulta dal materiale video fotografico in atti, è impressionante; vengono lanciate al suo indirizzo pietre, alcune delle quali come si vedrà colpiscono i Carabineri al volto ed alla testa, e si nota distintamente Massimiliano Monai, ancora armato della lunga trave di legno, mentre la infila nel finestrino laterale destro cagionando in tal modo al Carabiniere Dario Raffone, fra le altre “contusioni escoriate in sede scapolare destra” che evidenzieranno, alla consulenza medico legale disposta dal P.M., caratteristiche di compatibilità con un colpo inferto proprio con tale mezzo (foto da 16 a 22).

Nella foto nr.18 si nota che dal vetro posteriore totalmente infranto sporge il piede di uno dei Carabinieri che si trovano a bordo nell’atto di respingere un estintore che viene lanciato verso l’interno del mezzo e che potrebbe essere l’oggetto che ha determinato la “forte contusione alla gamba destra con edema diffuso a tutta la gamba” riportata dal Carabiniere PLACANICA il quale, nel corso del suo interrogatorio, riferiva infatti di essere stato colpito anche alla gamba da un oggetto “estremamente pesante e metallico”.

Mentre il lancio di oggetti continua all’indirizzo del “defender” ed i suoi assalitori non si staccano dal mezzo, uno dei Carabinieri all’interno dell’autovettura impugna con la mano destra una pistola; ciò è chiaramente visibile nelle foto 18, 19, 20, 21 e 22 che mostrano una mano che dall’interno impugna una pistola al limite superiore della sagoma della ruota di scorta posta sul portellone posteriore; mentre l’aggressione continua un giovane si china a terra e raccoglie un estintore che alza verso il lunotto posteriore della jeep come nell’atto di scagliarlo.

Dall’interno partono due spari in rapida successione. Il giovane con l’estintore si accascia al suolo e il suo corpo rotola arrestandosi contro la ruota posteriore sinistra del mezzo; di fianco ad essa, sopravanzando il corpo, è rotolato l’estintore.

Qualche istante dopo il “defender” riesce ad ingranare la retromarcia arrotando con la ruota posteriore sinistra il corpo del giovane e poi nuovamente investendolo mentre avanza imboccando la via Caffa in direzione di piazza Tommaseo, fermandosi quasi subito all’angolo con una via laterale.

Sul selciato resta il corpo esanime di un giovane con il capo coperto da un passamontagna, che verrà identificato in Carlo Giuliani.

Accanto al corpo viene recuperato un estintore, sottoposto a sequestro unitamente ad una pietra sporca di sangue e ad un bossolo cal.9.

Non vi è alcun dubbio che la morte del giovane Giuliani è stata cagionata da uno dei colpi esplosi dalla pistola di Mario PLACANICA e che il “defender”, nell’effettuare la manovra di retromarcia per lasciare la zona, ha arrotato il corpo del giovane che, dopo essere stato colpito dal proiettile, si era accasciato contro la ruota posteriore della camionetta.

Depongono in tal senso tutte le risultanze delle indagini, le complesse perizie tecniche i cui risultati verranno nel seguito esaminati, e le stesse dichiarazione del Carabiniere Mario PLACANICA il quale, interrogato quella stessa notte, dichiarava fra l’altro:

“... Nel pomeriggio ci trovavamo schierati in una zona della città dovevi erano stati violenti scontri nel corso dei quali è rimasto bruciato anche un blindato dei Carabinieri...con tutto il plotone ci muovevamo a piedi seguiti dai due defender e cioè 2 Land Rover, una con a bordo il colonnello che ci coordinava e l’altra con a bordo un altro ufficiale. In quanto addetto a sparare lacrimogeni, a causa del fumo, dopo ripetuti lanci... avevo occhi e viso in fiamme... mi sono avvicinato al defender ed ho chiesto soccorso e sono salito sul mezzo su cui ho iniziato a sentirmi male vomitando. Il mezzo su cui sono salito era quello guidato dall’autista Cavataio. Dopo che sono salito sul mezzo il plotone ha seguito una carica di numerosi manifestanti, carica che è stata respinta; a bordo del Land Rover abbiamo seguito il plotone.. la situazione si è tranquillizzata ed allora il personale del plotone, per prendere aria, si è tolto la maschera antigas, a questo punto sul mezzo in cui mi trovavo in compagnia del solo autista è salito un altro collega di cui al momento non ricordo bene il nome che aveva avuto dei problemi con i lacrimogeni come me.

A questo punto però i dimostranti si sono avvicinati ed i Carabinieri li hanno caricati per respingerli: la carica dei Carabinieri è stata però respinta dai manifestanti - la confusione era moltissima - l’autista della vettura ha cercato di fare retromarcia, circondato dai manifestanti che avevano rotto il blocco del plotone, ma è rimasto bloccato da un cassonetto della spazzatura ribaltato aterra dai manifestanti e pieno; se fosse stato vuoto la Land Rover sarebbe stata in grado di superare l’ostacolo: a questo punto io e il collega dietro ci siamo impauriti anche perchè i manifestanti hanno continuato a lanciare pietre di grosse anzi enormi dimensioni. Il vetro della Land Rover, quelli laterali e posteriori (il Land Rover ha vetri protetti da griglia metallica solo sul davanti) erano stati nel frattempo mandati in frantumi dal lancio di pietre.

Io mi sono messo a gridare dicendo all’autista di scappare ed urlandogli che ci stavano ammazzando eravamo infatti circondati dai manifestanti ed io ho inteso che ce ne fossro centinaia; in quel momento ho visto in difficoltà il mio collega ed ho pensato che dovevo difenderlo; l’ho abbracciato per le spalle ed ho cercato di farlo accucciare sul fondo della jeep; io scalciavo perchè i manifestanti mi tiravano per una gamba che mi veniva afferrata dall’esterno per tentare di tirarmi fuori dalla macchina; hanno anche tirato oggetti pesanti che non ho neanche capito di cosa si trattasse, mi è stato dato un colpo con qualcosa di estremamente pesante e metallico...

Mentre eravamo accucciati e ci difendevamo dagli assalti che ho descritto continuavano ad arrivare nella vettura pietre. Il mio amico è rimasto colpito da una pietra sotto l’occhio all’altezza dello zigomo, a questo punto sempre più terrorizzato urlavo all’autista di muoversi che non ce la facevo più; dopo aver gridato mi hanno colpito con una grossa pietra in testa di colore bianco con i lati taglienti; mi hanno colpito con la pietra che non veniva lanciata, per ben due volte la pietra mi ha colpito in testa ferendomi; alla vista del sangue e del mio amico ferito ho messo il colpo in canna alla pistola che tenevo in una fondina a coscia, rimettendo poi però la sicura. Nel frattempo intimavo ai manifestanti di finirla perché sennò avrei sparato, loro imperterriti hanno continuato a colpire ed a lanciare pietre.

Nell’agitazione ho cercato di difendermi, mi sono accorto a posteriori che con la mano avevo inavvertitamente levato la sicura.

Il lancio di pietre è continuato ed io ho sentito la mia mano contrarsi e partire dalla mia pistola due colpi di arma da fuoco: io ero in posizione accucciata con la mano alzata ed armata, la mia mano con la pistola era quella che spuntava dalla camionetta: alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone, percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo lancio di pietre. Ero convinto che vedendo l’arma avrebbero desistito ed invece hanno continuato... Anche dopo che sono partiti i due colpi il lancio delle pietre è continuato, nessuno ha urlato, nessuno ha detto nulla in merito alla possibilità che avessi colpito: io ero accucciato e non ho fatto caso se avessi colpito qualcuno. Nel frattempo l’ostacolo rappresentato dal bidone è stato superato ed ho potuto sentire che la camionetta si metteva in moto, eravamo stremati. Ho sentito l’automezzo spostarsi in avanti l’ho sentito fermarsi per far salire un’altra persona; questo collega ci ha offerto copertura con lo scudo, sistemandolo come lunotto posteriore perché il lancio di pietre continuava. Io perdevo sangue ed ero in preda al panico anche perché sentivo che stavo per perdere i sensi, sull’automezzo nel frattempo è salito un altro maresciallo; io ero nel panico preoccupatissimo per me e per il mio amico...voglio ancora precisare che ero impaurito per tutto quello che nel corso della giornata ed in particolare in quel frangente, avevo visto lanciare, ed in particolare temevo che venissero lanciate sulla camionetta anche bombe molotov”. (interrogatorio PLACANICA al PM in data 20 luglio 2001 ore 23.00).

Tali dichiarazioni venivano integralmente confermate dall’indagato nell’interrogatorio in data 11 settembre 2001 e trovano riscontro nelle pur scarse dichiarazioni dell’autista Filippo CAVATAIO il quale, quella stessa notte, dichiarava che mentre si trovava in corso Torino nei pressi del blindato che era stato dato alle fiamme dai manifestanti che lo avevano assaltato, aveva fatto salire sul “defender” su cui era rimasto solo, due colleghi che stavano male, uno dei quali era PLACANICA mentre dell’altro non ricordava il nome.

Dichiarava CAVATAIO che arrivati in un vicolo nei pressi di piazza Alimonia aveva cercato di ritornare sui suoi passi perché il plotone indietreggiava sotto la spinta dei manifestanti che avevano posto in essere una fitta sassaiola, ma aveva trovato la strada bloccata da un cassonetto per i rifiuti che non riusciva a spostare in quanto pieno e gli si era anche spento il motore della vettura, mentre sentiva il collega PLACANICA urlare che lo avevano colpito alla testa e l’altro collega urlava invocando aiuto ed

“intorno era tutto un lancio di blocchi di marmo. A questo punto ho pensato solo a fare una manovra che mi allontanasse dal contatto con questi manifestanti...non ho sentito colpi d’arma da fuoco, non ho sentito nulla se non le urla dei colleghi. Sono riuscito a fare manovra e ad allontanarmi. Non mi sono accorto di ostacoli sul mio cammino...Ho fatto retromarcia e non ho sentito nessuna resistenza; anzi ho sentito un sobbalzo dalla ruota sulla sinistra, ho pensato ad un cumulo di immondizia visto che era stato rovesciato il cassonetto, ed ho pensato solo ad allontanarmi da quello sfacelo”; ed alla contestazione secondo cui avrebbe riferito al M.llo Amatori, che era poi giunto in suo aiuto, di aver sentito invece gli spari mentre cercava di fare manovra, onestamente dichiarava “Non ricordo di aver riferito questa circostanza al maresciallo, tenete presente che ero nel panico”.

Anche il carabiniere Raffone, sentito dal Pubblico Ministero in data 21 luglio, descriveva la violentissima aggressione posta in atto dai manifestanti contro il mezzo sul quale aveva preso posto sul sedile posteriore di fronte ad un collega (poi identificato in PLACANICA):

“Gli aggressori si accanivano contro di noi lanciandoci pietre ed altro e riuscendo in tal modo a frantumare i finestrini laterali e posteriori, io fui colpito alla schiena e al volto da delle pietre e cominciai a perdere sangue. Cercai di proteggermi coprendomi il volto mentre il Carabiniere che mi stava davanti cercava a sua volta di rannicchiarsi sopra di me e di proteggerci. A quel punto non vedevo più niente ma sentivo le urla e i rumori dei colpi degli oggetti che arrivavano nell’abitacolo. Sentii distintamente il mio commilitone urlare agli aggressori “Finitela, andatevene!” e subito dopo percepii due colpi di arma da fuoco. Io continuavo a tenermi coperto il volto per evitare di essere ulteriormente ferito. Immediatamente dopo il mezzo riusciva a rimettersi in moto e a fare retromarcia e riuscivamo a sganciarci. Sono stato curato presso l’ospedale Galliera dove mi è stato diagnosticato un forte ematoma allo zigomo destro ed ecchimosi varie”.

Negli stessi giorni venivano assunte le dichiarazioni di numerose persone, sia militari in servizio che persone che avevano assistito ai fatti dalle abitazioni situate proprio in piazza Alimonda; ed in particolare questi ultimi riferivano dell’avvenuta aggressione alla jeep da parte di numerosi giovani che bersagliavano il mezzo con lancio di pietre e lo colpivano con corpi contundenti distruggendone i vetri, tentando di aprire il portellone posteriore e scrollando il mezzo come a volerlo ribaltare; descrivendo altresì una persona che indossava un passamontagna, una canottiera bianca ed una felpa arrotolata alla vita (identificabile in Carlo Giuliani) che alzava un estintore rosso sopra la testa nel tentativo di lanciarlo contro il vetro posteriore della jeep, sentendo contemporaneamente il rumore di due colpi d’arma da fuoco ravvicinati e vedendo il giovane cadere a terra (vedi s.i.t alla Questura di Genova di Trimagni Giuseppina, Re Attilio, Fiocchi Giuliana, Federici Zita, Di Consiglio Roberta, Cardella Fabio).

Anche il M.llo Piergiorgio Amatori, che il pomeriggio dei fatti si trovava nell’altra camionetta guidata dal M.llo Primavera che seguiva il plotone appiedato schierato in via Caffa e sulla viaggiavano il ten. Col. Truglio ed il collega Cirasino, dichiarava che ad un tratto il contingente appiedato era stato fatto oggetto di un fitto lancio di oggetti contundenti da parte di numerosi manifestanti ed aveva pertanto iniziato a ripiegare verso piazza Alimonia dirigendosi verso le camionette che nel frattempo stavano arretrando.

Aveva notato che una delle due camionette era ostacolata nel suo procedere da un cassonetto per i rifiuti ed era stata immediatamente circondata da un numero consistente di manifestanti

“sicuramente più di una ventina, che hanno cominciato manovre di sfondamento dei vetri con corpi contundenti. In particolare ho notato un estintore scagliato da un manifestante contro il vetro posteriore della camionetta. Quasi contemporaneamente ho avvertito distintamente due colpi d’arma da fuoco e ho visto un manifestante cadere al suolo. Poco dopo la stessa camionetta ha iniziato una manovra in retromarcia per riuscire a liberarsi dal cassonetto e ho notato che la stessa investiva il manifestante caduto sicuramente con la ruota posteriore sinistra e quindi nuovamente partendo in avanti passava di nuovo sul corpo del manifestante...a quel punto ho notato la stessa camionetta di prima ferma presso l’imbocco di una via laterale di piazza Alimonda. Mi sono avvicinato ed ho notato che l’autista era sceso ed era visibilmente agitato, mi ha chiesto aiuto. Nel frattempo ho notato il Carabiniere seduto dietro il posto di guida che si teneva la testa sanguinante. A quel punto mi sono messo io alla guida della camionetta e mi sono diretto verso il mare. Prima che iniziassi la manovra è salito a bordo un altro Carabiniere che inizialmente non si trovava sulla camionetta. In quel frangente il Carabiniere ferito perdeva molto sangue, si lamentava e chiedeva soccorso. L’autista era molto spaventato ed in preda al panico mi diceva che se l’era vista brutta e che il motore della camionetta si era anche spento una volta. Gli altri due Carabinieri non parlavano ed io girandomi ho notato che quello ferito aveva una pistola in pugno tanto che gli ho detto di mettere la sicura. Ho subito pensato che fosse stato lui ad esplodere quei colpi che avevo inteso poco prima ma non ne ho neanche avuto modo di parlargliene vista la condizione generale in cui si trovava. Durante il viaggio verso il primo ospedale cittadino indicatomi da una pattuglia della Polizia incontrata nel tragitto non ho avuto modo di parlare dello sparo. Successivamente l’autista mi ha detto che stando a bordo della camionetta nel corso dell’aggressione, mentre lui cercava di fare la manovra aveva solo sentito gli spari. Né io ho chiesto né mi è stato detto come si era arrivati alla decisione di sparare...” (verbale s.r.t. al P.M. in data 20.7.2001 ore 21.00).

Visitato presso il PS dell’Ospedale Galliera, PLACANICA risultava aver riportato contusioni diffuse all’arto inferiore destro con escoriazioni e trauma cranico con ferita lacero contusa al vertice; il carabiniere RAFFONE contusioni escoriate al naso e allo zigomo destro, contusioni alla spalla sinistra ed al piede sinistro, mentre CAVATAIO risultava aver riportato una sindrome soggettiva post traumatica giudicata guaribile in gg. 15.

Le consulenze medico legali disposte per stabilire la precisa natura ed entità di tali lesioni e la loro compatibilità con l’aggressione subita dagli occupanti del “defender” portavano alla conclusione che il Carabiniere RAFFONE aveva riportato contusioni escoriate alla metà destra del viso, contusione escoriata in sede scapolare destra e contusioni varie agli arti superiori; e che la lesione al viso era compatibile con una pietrata e quella alla spalla con un colpo inferto con una tavola.

Le lesioni riportate da PLACANICA alla sommità del capo erano giudicate compatibili con una pietrata, le contusioni all’avambraccio e la forte contusione alla gamba destra con edema diffuso su tutta la gamba, non presentavano invece caratteristiche tali da poterne definire l’origine.

Quanto alle cause e modalità della morte di Carlo Giuliani, le consulenze medico-legali hanno concluso che “la morte fu prodotta da lesioni cranio-encefaliche secondarie ad un colpo d’arma da fuoco a proiettile singolo, trapassante... esploso ad una distanza superiore ai 40-50 cm., che ha attinto il soggetto in regione orbitaria sinistra... ed ha avuto tramite intracranico dal davanti all’indietro, da destra verso sinistra e dall’alto verso il basso, fuoriuscendo dal corpo in regione occipitale sinistra. Il feritore si trovava di fronte alla vittima e leggermente spostato verso destra. Non sono emersi elementi medico-legali riferibili a colluttazione”; affermando altresì che le lesioni cranio encefaliche hanno determinato la morte del soggetto nell’arco di pochi minuti in modo diretto e conclusivo, prescindendo da qualsiasi ipotetica altra lesione presente a livello toracico addominale e dovuta a fenomeni compressivi e o contusivi da arrotamento che non hanno determinato alcuna lesione interna apprezzabile, ma solo piccole contusioni escoriate ed ecchimotiche in corrispondenza dei punti di appoggio al suolo del soggetto, lesioni di assoluta modestia dovuta all’elasticità dei tessuti e delle articolazioni propri della giovanissima età della vittima.

Sgomberato il campo dalla ipotesi avanzata dai Difensori della p.o. E che non trova alcun riscontro negli atti del procedimento, che il colpo che ha determinato la morte di Carlo Giuliani sia stato esploso da un’arma diversa da quella impugnata dal Carabiniere PLACANICA (in considerazione delle dichiarazioni dello stesso indagato, dalle riprese videofotografiche, dalle consulenze balistiche effettuate sui bossoli in sequestro e dalle dichiarazioni assunte da numerose persone presenti), ed al fine di una corretta interpretazione dei risultati cui sono pervenuti i consulenti del Pubblico Ministero e delle persone offese, la necessaria minuziosa ricostruzione del teatro dei fatti non può prescindere dal racconto che, degli attimi che hanno preceduto la morte di Carlo Giuliani, hanno fornito anche alcuni di coloro che, insieme al predetto, direttamente hanno partecipato all’assalto della camionetta rimasta in panne. Ci si riferisce in particolare alle dichiarazioni rese nel procedimento nr. 14787/2001, che li vede indagati dei reati di devastazione, saccheggio e resistenza aggravata con incendio di un blindato dei Carabinieri in c.so Torino, da Eurialo Predonzani, Massimiliano Monai e Luca Finotti, presentatisi spontaneamente al Pubblico Ministero.

Le consulenze disposte dal Pubblico Ministero hanno infatti trattato aspetti medico legali, balistici e topografici al fine di ricostruire con la maggiore aderenza possibile le posizioni relative e lo stato dei luoghi al momento dello sparo e risulta dalle relazioni in atti che i consulenti hanno avuto a disposizione l’album fotografico della Questura di Genova contenente 34 fotografie, la videocassetta VHS realizzata dalla Questura di Genova contenente 7 filmati di provenienza Mediaset, Polizia Scientifica e Luna Rossa Cinematografica, nonché la videocassetta di rilievi sul “defender”, oltre ovviamente i bossoli e l’estintore in sequestro.

Ma le dichiarazioni di cui si è parlato, pur assunte dallo stesso Pubblico Ministero in data antecedente al momento in cui, a distanza di mesi, conferiva l’incarico di “ricostruire, anche se in forma virtuale, la condotta di Mario Placanica e di Carlo Giuliani nel periodo immediatamente precedente e successivo a quello in cui Giuliani è stato colpito, le distanze fra i due, i rispettivi angoli di visuale e, per quanto riguarda Placanica, lo spettro visivo che lo stesso aveva all’interno del “defender” nel momento in cui lo stesso ha sparato”, non risulta siano state poste a conoscenza dei consulenti, essendo state acquisite a questo procedimento in data successiva al conferimento dell’incarico peritale.

Si tratta invece, ad avviso di questo Giudice, di dichiarazioni di estrema importanza non solo per chiarire quale fosse la situazione ambientale in cui si è verificata la morte di Carlo Giuliani, ma soprattutto per l’indagine relativa alla direzione dei colpi sparati dalla pistola di PLACANICA, problema intimamente connesso alla distanza relativa fra il predetto e Carlo Giuliani, che ha determinato notevoli discussioni fra i consulenti delle parti e ancora costituisce uno dei principali argomenti dell’atto di opposizione all’archiviazione presentato dai Difensori della famiglia di Carlo Giuliani.

Proprio al fine di raggiungere un risultato di massima certezza e di non trascurare alcuna ipotesi, il Pubblico Ministero ha conferito le consulenze tecniche utilizzando l’art. 360 c.p.p. Per consentire ai consulenti degli indagati e delle persone offese di partecipare agli accertamenti.

Di ciò ha dato atto nella richiesta di archiviazione, precisando di avere a questo scopo “forzato la norma” trattandosi indubbiamente di accertamenti non irripetibili, ma costrettovi da un precedente diniego di incidente probatorio da parte di questo Giudice. In effetti era stata respinta la richiesta di procedere con incidente probatorio a consulenza balistica sull’arma di PLACANICA, trattandosi pacificamente di accertamento non irripetibile e tale da non determinare una sospensione del dibattimento superiore a 60 giorni.

Diverso accoglimento avrebbe avuto naturalmente la richiesta di procedere con incidente probatorio alla ricostruzione balistica di quanto avvenuto in Piazza Alimonda, trattandosi di accertamento di maggiore complessità e prevedibile durata che legittimava l’assunzione della prova con le piene garanzie del contraddittorio.

Ma a parte le divergenti opinioni sull’utilizzo degli strumenti processuali, le modalità di indagine scelte dal Pubblico Ministero hanno comunque raggiunto la finalità di consentire alle parti di partecipare pienamente agli accertamenti disposti e sorprendono oggi alcune richieste di integrazione di indagini avanzate dagli opponenti, per i motivi di cui in seguito più diffusamente si tratterà.

Accertamenti medico legali e balistici

Le consulenze tecniche disposte dal Pubblico Ministero hanno accertato che i colpi sparati dalla pistola di Mario PLACANICA, sono stati due in rapida successione, come si ricava con evidenza dalla visione dei filmati in atti; e che Carlo Giuliani morì per una ferita d’arma da fuoco alla testa e fu colpito da un solo proiettile che penetrò nell’orbita sinistra fino ad uscire dall’osso occipitale che risulta aver trattenuto, in prossimità del foro d’uscita, un frammento di camiciatura di ottone del proiettile, come emerso dalle radiografie eseguite prima dell’autopsia.

Tale circostanza, unitamente alle caratteristiche dei fori di ingresso ed uscita del proiettile, ha fatto ipotizzare che il proiettile prima di colpire il volto di Carlo Giuliani, abbia incontrato un ostacolo che lo ha deformato modificandone la traiettoria. La ferita di ingresso presenta infatti una forma molto irregolare ed il foro di uscita è di dimensiomi ridotte, come quelle solitamente prodotte da proiettili la cui energia sia stata diminuita o che si siano già frammentati.

Il rallentamento del proiettile con conseguente perdita di energia non è compatibile con le caratteristiche di quello che era in dotazione alla pistola di Mario Placanica e che ha attinto il volto di Giuliani. Si trattava infatti di un proiettile blindato cal.9 esploso da una cartuccia parabellum e dunque di particolare potenza, che ha attraversato ossa di consistenza modesta come il pavimento dell’orbita e l’osso sfenoide, la parte mediana della rocca petrosa e la squama occipitale, e dunque ossa di non particolare durezza o che presentano cavità.

Tali osservazioni avvalorano l’ipotesi che il proiettile, prima di penetrare nel volto di Carlo Giuliani, ha incontrato un bersaglio intermedio che ne ha ridotto la velocità, danneggiandone la camiciatura ed esponendone il nucleo di piombo; conclusione che trova conferma, oltre che nella presenza del frammento metallico in prossimità del foro di uscita del proiettile, nelle tracce che sono state trovate sul passamontagna che Carlo Giuliani indossava nel momento in cui fu attinto dal colpo mortale.

Nella busta che conteneva il passamontagna è stato infatti rinvenuto un piccolissimo frammento metallico di piombo, compatibile con il nucleo dei prioettili in dotazione al carabiniere Placanica. Su tale frammento risultano infisse piccole schegge ossee catturate dal nucleo di piombo del proiettile che evidentemente, quando ha colpito l’osso, non era più protetto dalla camiciatura.

Infatti le tracce rilevate sulla parte interna del passamonttagna, attorno al foro di uscita del proiettile, evidenziano tracce di piombo e di osso “sporco” di piombo; e ciò prova che quando il proiettile fuoriuscì dal capo di Giuliani aveva il nucleo di piombo almeno parzialmente scoperto.

L’ipotesi dell’impatto del proiettile contro un bersaglio intermedio che ne ha danneggiato la blindatura è vieppiù avvalorata dalla considerazione che i frammenti di piombo sono stati rinvenuti anche nelle fibre della parte anteriore del passamontagna unitamente a minute schegge di osso provenienti dalla frattura del pavimento dell’orbita; segno inequivoco che, già nel momento dell’impatto cotro il volto di Giuliani, parte del nucleo di piombo del proiettile non era coperta dalla camiciatura.

Al fine di individuare quale sia stato il possibile bersaglio intermedio che ha certamente danneggiato la camiciatura del proiettile, sono state effettuate prove di sparo sugli oggetti che più verosimilmente si potevano trovare sulla sua traiettoria, ed in particolare sull’estintore che Giuliani sollevava quando è stato attinto dal colpo mortale.

Le prove di sparo effettuate hanno escluso che l’estintore possa essere stato il bersaglio intermedio contro il quale ha urtato il proiettile esploso da Placanica prima di colpire Giuliani al volto. Infatti i proiettili utilizzati per le prove di sparo, identici a quelli indotazione a Placanica ed esplosi naturalmente da una pistola Beretta, hanno evidenziato che, dei proiettili che hanno attinto l’estintore senza penetrarvi (come nel caso dell’estintore sequestrato in piazza Alimonda), solo uno, sparato con angolo di incidenza di 7 gradi, è risultato frammentato ed aver cagionato una vistosa deformazione ed abrasione sulla superficie del metallo; mentre gli altri colpi hanno determinato deformazioni dei proiettili che hanno solo danneggiato la camiciatura senza però romperla e creato vistosissime tracce di abrasione sul metallo che non sono invece state rilevate sull’estintore sequestrato in piazza Alimonda; infatti l’estintore in sequestro presentava solo scalfitture e lievi deformazioni che hanno interessato principalmente lo strato di vernice.

Se dunque la camiciatura del proiettile sparato dalla pistola di Placanica si fosse danneggiata contro la superficie dell’estintore sollevato da Carlo Giuliani, il proiettile avrebbe certamente prodotto vistose deformazioni della superficie dell’estintore con asportazione della vernice.

Le prove eseguite consentono dunque di escludere che il bersaglio intermedio sia stato costituito dall’estintore.

Ulteriori prove sono state effettuate mediante spari su strutture ossee, sebbene l’esperienza relativa ad azioni suicidarie abbia dimostrato che i proiettili cal. 9 mm. Nato, avendo spiccata resistenza meccanica, non vengono frammentati da impatti anche ravvicinati con ossa craniche di spessore ben maggiore di quelle che hanno costituito il tramite intercranico interessato dal proiettile che ha attinto Carlo Giuliani, determinando al massimo fessurazioni senza perdita di piombo e senza asportazione di camiciatura.

Si può dunque escludere che la frammentazione del proiettle sia avvenuta per l’impatto sulle ossa del volto di Giuliani.

Tale ulteriore conclusione, letta unitamente ai risultati delle prove di sparo effettuate sull’estintore ed alle risultanze delle tracce rilevate sul frammento di piombo e sulle fibre del passamontagna indossato dalla vittima, fornisce dunque la certezza che il danneggiamento del proiettile è avvenuto a causa dell’impatto con un bersaglio certamente intermedio diverso dall’estintore che Giuliani aveva nelle mani.

Al fine di individuare la natura di tale “bersaglio intermedio”, va rilevato come sul frammento di piombo sono state trovate infisse numerose particelle di sostanze non presenti nelle cartucce, ma di frequente composizione nei materiali per edilizia; il che induce a riitenere che proprio un oggetto con tale composizione possa aver costituito il bersaglio intermedio che ha interferito con la traiettoria originaria del colpo sparato da Placanica.

Si è infatti osservato che l’aggressione dei manifestanti consisteva nel lancio di oggetti contundenti e soprattutto di pietre e calcinacci, molti dei quali si notano attraversare il teatro degli scontri nelle fasi più violente e ravvicinate di assalto al “defender” rimasto bloccato, la cui carrozzeria è infatti risultata in alcune parti ammaccata.

Le immagini videoregistrate mostrano chiaramente il comportamento anomalo di uno solo delle decine di tali corpi contundenti che da più parti attraversavano l’aria diretti contro le Forze dell’Ordine ed in particolare contro il “defender” in panne.

La visione del filmato di “Luna Rossa Cinematografica” che documenta nel modo più completo le fasi dell’assalto al “defender”, mostra chiaramente nel fotogramma 01:03:23:05 un “sasso” che entra in campo sulla destra dell’immagine in corrispondenza della parte finale della scritta “Carabinieri” posta sulla parte posteriore del tetto della camionetta\footnote{I numeri indicano in sequenza l’ora, i minuti, i secondi e i centesimi di secondo trascorsi dall’inizio della registrazione.}. I fotogrammi successivi evidenziano, nella stessa posizione, una nuvola di materiale polveroso che si disperde lanciando frammenti in varie direzioni.

Poiché il fotogramma 01:03:23:17 mostra il corpo di Giuliani che rotola per terra verso la ruota posteriore del defender, “l’esplosione” dell’oggetto che si nota nelle immagini sembra essere in esatta coincidenza temporale con la prima esplosione dell’oggetto la cui natura non è in questo momento ancora identificata.

Sulla coincidena fra il momento di visualizzazione dello sfarinamento del “sasso” e la registrazione del rumore dello sparo, vi è stata notevole discussione fra i consulenti delle parti, sostenendo quelli delle persone offese che lo sfarinamento del sasso si è prodotto per l’impatto dell’oggetto contro il tetto del “defender” e che dunque si è trattato di un fenomeno del tutto indipendente dallo sparo.

Come si è detto la visione del filmato dà la sensazione della coincidenza fra i due fenomeni e pertanto appare condivisibile la tesi sostenuta dai consulenti del Pubblico Ministero che hanno concluso che lo sfarinamento dell’oggetto è stato cagionato proprio dall’impato contro il proiettile sparato da Placanica.

Appare infatti convincente tale ricostruzione quando mette in rapporto le immagini video che sono state registrate con la registrazione dei suoni associata.

È pur vero che può apparire non in linea con la ricostruzione effettuata il fatto che la percezione del rumore dello sparo sia avvenuta in coincidenza con la visualizzazione del danno cagionato (lo sfarinamento), posto che è dato incontestabile di comune esperienza che l’azione che cagiona il danno, e dunque il suo rumore, avviene prima del suo effetto.

Occorre però tener presente altri fattori, ed in particolare la distanza alla quale si trova colui che registra l’azione, posto che tale distanza è in stretta correlazione con la registrazione del suono. Infatti più l’operatore si trova lontano, più sarà ritardata la registrazione del suono, con la conseguenza che la sua percezione potaà coincidere con la visualizzazione del fenomeno che a quel rumore è conseguente.

Fatte queste premesse, ed osservato che la distanza alla quale si trovava l’operatore che ha ripreso l’assalto al “defender” appare correttamente stimata sulla base dei riferimenti spaziali evidenziati dalle riprese, si spiega come nel momento in cui si nota lo sfarinamento del sasso si oda contemporaneamente il rumore di uno sparo indubbiamente avvenuto poco prima.

Come si è detto , la maggior parte degli oggetti lanciati contro il “defender” erano pietre e pezzi di materiale per costruzione ed è stato accertato che il primo proiettile esploso da PLACANICA ha colpito il volto di Giuliani quando la sua camiciatura era già stata lacerata, come risulta dagli accertamenti compiuti sul nucleo del proiettile e sui frammenti di ossa rinvenuti sul passamontagna che la vittima indossava.

Si è pertanto ipotizzato che l’oggetto che nelle riprese video si nota “sfarinarsi” e che può aver determinato il danno alla blindatura del proiettile, potesse essere un “calcinaccio” e che dunque proprio uno dei calcinacci che da più parti venivano lanciati contro il “defender” sia bersaglio intermedio che ha determinato la deviazione del proiettile.

Sono state pertanto effettuate prove di sparo su blocchi di calcinacci di diversa consistenza, durezza e finitura superficiale, al fine di valutare il comportamento di questo tipo di bersaglio nel momento in cui fosse colpito da un proiettile, nonché le eventuali deformazioni da questo subite e le possibili variazioni nella sua traiettoria.

Le prove effettuate hanno confermato che il “bersaglio intermedio” colpito dal primo proiettile esploso da Placanica è stato proprio un “calcinaccio”: si è potuto notare infatti durante le prove di sparo che i calcinacci colpiti dal proiettile mostrano una sequenza di rottura analoga a quella visibile nel filmato di piazza Alimonda, con “esplosione” del materiale seguita da notevole e densa proiezione di detriti.

Tanto più tale conclusione è avvalorata quando si consideri che tutti i calcinacci alla cui rottura è seguito lo “sfarinamento” hanno cagionato evidenti danni alla camiciatura del proiettile, analogamente a quanto è avvenuto per il proiettile che ha attinto il volto di Carlo Giuliani.

Quanto all’ipotesi che invece lo sfarinamento del calcinaccio sia conseguente all’impatto con la struttura del “defender”, come ipotizzato dai Difensori delle persone offese, la prove di lancio hanno escluso tale possibilità: evidenziando che calcinacci di diversa consistenza subiscono nell’impatto contro la struttura del “defender” rotture in cui la produzione di polvere è successiva alla frantumazione; mentre nel caso del calcinaccio di piazza Alimonda la produzione pulvirulenta, notevolmente più abbondante, precede la rottura del calcinaccio e dunque è visibile in uno con la stessa.

Alla luce delle prove effettuate si può dunque escludere che il calcinaccio abbia incontrato la superficie del tetto del “defender”, nonostante i numerosi segni di impatto di altri oggetti aventi le stesse caratteristiche di composizione chimica, che sono stati rilevati sul mezzo. Tanto più che, come evidente dalle immagini ed emerso dalle dichiarazione delle numerose persone presenti, il “defender” era stato fatto oggetto di una fitta sassaiola.

A questo punto, accertato che il primo dei proiettili esplosi dalla pistola di Mario PLACANICA ha incontrato sulla sua traiettoria un calcinaccio prima di colpire il volto di Giuliani, occorre determinare quale fosse la direzione in cui il colpo è stato esploso.

Dalla pistola di PLACANICA sono stati esplosi due colpi in rapida successione.

Mentre il primo ha colpito il volto di Carlo Giuliani, del secondo è stata trovata traccia sul muro perimetrale della chiesa ubicata in piazza Alimonda. Tale traccia si trova all’altezza di m. 5,30 dal piano stradale nel punto in cui si trovava il defender ed ad una distanza di m. 21,22 misurata in linea retta dal portello posteriore del veicolo, con angolo verticale verso l’alto di circa 10 gradi.

La consulenza balistica ha concluso che non è stato possibile determinare quale sia stata l’originaria direzione del colpo che ha attinto Giuliani.

Come si è detto, i filmati mostrano il calcinaccio poi sfarinatosi, che appare da destra poco al di sopra del limite superiore del tetto del “defender” più o meno in corrispondenza delle lettere finali della scritta “CARABINIERI”.

Tenendo conto che il “defender” è alto cm.196, i consulenti del Pubblico Ministero, tenuto conto dell’equipaggio a bordo, hanno stimato in circa 190 centimetri l’altezza del calcinaccio quando è entrato nel campo visivo della telecamera.

Su tale base hanno effettuato prove di sparo ponendo l’arma alla distanza di circa m. 1,30 dal calcinaccio sospeso all’altezza di m 1,90. Tutti i colpi sparati hanno evidenziato che il proiettile, dopo aver colpito il calcinaccio ed aver subito la rottura della camiciatura, veniva deviato verso il basso forando la cassetta di recupero ad altezze variabili fra m 1,10 e m 1,80.

La cassetta di recupero dei proiettili è stata posta alla distanza di m 1,75 dal portellone posteriore del veicolo. Infatti i consulenti del Pubblico Ministero, sulla base dei riferimenti spaziali che appaiono nelle fotografie, hanno ipotizzato che Carlo Giuliani potesse trovarsi alla distanza di circa 3 metri dal “defender” nel momento in cui si dirigeva vero il mezzo sollevando l’estintore sul capo, con la gamba sinistra alzata; e che abbia pertanto coperto l’ulteriore spazio di circa m 1,50 prima di essere colpito.

Tale ricostruzione è d’altra parte in accordo con le dichiarazioni rese al Pubblico Ministero da alcune delle persone che direttamente hanno partecipato all’assalto della camionetta e che conoscevano Carlo Giuliani; si tratta come si è detto di dichiarazioni non note ai consulenti nel momento dell’espletamento dell’incarico, che sono invece molto importanti non solo per la ricostruzione complessiva delle fasi di assalto al “defender”, ma perché costituiscono importante riscontro che avvalora la ricostruzione effettuata dai tecnici sulla base del solo materiale video fotografico in atti.

Eurialo Predonzani , infatti, presentatosi spontaneamente al PM in data 6 settembre 2001 con la presenza del difensore, rendeva dichiarazioni di cui si riportano alcuni passi, confermando il contenuto di una intervista rilasciata al Corriere della Sera del 31 luglio 2001, che gli veniva riletta e nella quale aveva affermato:

“... la situazione era incandescente e dopo le ripetute cariche delle forze dell’ordine si è scatenata una furia collettiva, allora non ci è parso vero di aver guadagnato il campo accerchiando la jeep... le camionette erano due,una si sfila e resta l’altra, la accerchiamo, ormai il clima è di battaglia, raccogliamo da terra tutto ciò che ci capita a tiro e lo scagliamo contro quella jeep rimasta da sola, dentro ci sono 3 uomini, qualcuno di noi riesce a sfondare il lunotto posteriore, credo con un bastone, eravamo tesissimi e infuriati, ma nessuno ha cercato di tirare fuori i carabinieri, nessuno lo ha tirato per una gamba come lui ha raccontato ai magistrati, non era possibile non c’è stato alcun contatto fisico diretto. Vedo il carabiniere semidisteso nella jeep che punta la pistola verso l’esterno e grida - Bastardi vi ammazzo tutti - l’arma è puntata contro un ragazzo in grigio che mi sta accanto, quindi si sposta verso un altro. Continuano a piovere sassi. Intorno a noi ci sono alcuni uomini della forze dell’ordine che non intervengono subito. A questo punto “andiamo via” dallo sparo. Un attimo prima di fuggire vedo l’estintore a terra, è tozzo, bombato e di colore arancione, vedo un ragazzo che barcolla che si trova a non più di 2 metri dalla jeep. Sento 2 colpi ravvicinati, poco dopo un terzo. Io sono salvo un po’ più in su in una strada adiacente. Il morto giace sull’asfalto in un lago di sangue. Scoprirò poi che è il mio amico Carletto Giuliani”.

Ulteriormente illuminanti sono le dichiarazioni rese in data 15 febbraio2002 al Pubblico Ministero da Luca Finotti, anch’egli spontaneamente comparso con il Difensore, che ha dichiarato:

“... All’inizio del pomeriggio mi trovavo in corso Gastaldi quando assistetti alla prima carica dei carabinieri contro la manifestazione delle tute bianche. Ritengo si sia trattato di una vera e propria aggressione, come ho detto durante l’intervista. Dopo un periodo do smarrimento cominciai a farmi prendere dalla rabbia e partecipare alle cariche contro cariche avvenute in quelle ore nel perimetro vicino a corso Gastaldi e piazza Alimonia. Ero anche presente nel momento in cui un blindato dei carabinieri si fermò in corso Torino. Insieme ad altri manifestanti lo circondavamo e ammetto di aver lanciato alcune pietre... nei momenti successivi continuarono gli scontri nelle vie limitrofe ed io mi trovavo in corso Gastaldi quando vidi la folla prendere la ricorsa nell’angolo. Non ero nelle prime file ed io seguii la gente che correva senza vedere cosa avveniva davanti. Mi trovai improvvisamente a fianco del defender e con una pietra in mano che lanciai contro il mezzo. Mi sembra di aver colpito il finestrino con la grata. Ricordo che più avanti vi era un ragazzo con una trave. Tutto questo avvenne in uno spazio di tempo molto ridotto. Vidi con certezza che all’interno del mezzo vi erano tre carabinieri: uno alla guida e due nella parte posteriore...Improvvisamente sentii un colpo e vidi un ragazzo cadere poco lontano da me... Ribadisco di ricordare di aver sentito urlare dall’interno del mezzo la frase detta in tono deciso “andate via, andate via”. Poi vi fu un colpo”.

Entrambe queste dichiarazioni sono state rese da persone che sono attualmente indagate nel procedimento nr.13024/2001 R.G. PM, per gravi episodi di devastazione, saccheggio, incendio e resistenza aggravata posti in essere in varie zone della città di Genova; all’assalto del blindato rimasto in panne in corso Torino che veniva poi incendiato, nonché alle cariche avvenute proprio in piazza Alimonia ove, insieme a Massimiliano Monai, partecipavano all’assalto del “defender” dei Carabinieri a seguito del quale trovava la morte Carlo Giuliani.

I filmati o le fotografie in qui li ritraggono infatti a lato del “defender” durante la fase più violenta dell’aggressione ed in particolare Predonzani si è riconosciuto nella fotografia che lo ritrae a viso scoperto con indosso un casco ed un giubbotto salvagente, vicino a Carlo Giuliani; e Finotti ha dichiarato di essersi trovato a fianco del “defender” con una pietra in mano che lanciava contro il mezzo; mentre Monai, anch’egli spontaneamente presentatosi al Pubblico Ministero il 30 agosto 2001, si riconosceva nella fotografia che lo ritrae con una trave che infila attraverso il vetro posteriore destro del “defender” già frantumato, ammettendo di aver colpito al cosato uno dei Carabinieri che si trovavano nella parte posteriore della camionetta.

Tali dichiarazioni, che collocano Carlo giuliani a circa 2 metri dal “defender”, sono pertanto in pieno accordo con la ricostruzione tecnica degli spazi effettuata dai consulenti del Pubblico Ministero che, nelle planimetrie in atti, pongono Carlo Giuliani alla distanza di circa m 1,75 dal portellone posteriore del “defender” dal cui interno è stato esploso il colpo di pistola, concludendo che i corpi esplosi dalla pistola di Mario PLACANICA furono esplosi verso l’alto, secondo una traiettoria che escludeva la sagoma di Carlo Giuliani. Il giovane infatti era alto m 1,65 mentre il primo colpo esploso dalla pistola di Mario PLACANICA incontrò il bersaglio intermedio costituito dal calcinaccio quando questo si trovava ad una altezza di circa m 1,90 dal suolo e dunque fu esploso con una direzione più elevata rispetto all’altezza di Giuliani; raggiungendolo peraltro al volto perché deviato verso il basso proprio dall’urto contro il calcinaccio.

Ciò è in accordo anche con la traccia del secondo colpo immediatamente sparato da PLACANICA, che è stata individuata sul muro perimetrale della chiesa ad una altezza di m 5,30 dal piano stradale ove si trovava il “defender”, secondo un andamento verticale della linea di tiro spostato verso destra di circa 9 gradi rispetto al lato di provenienza di Carlo Giuliani e quindi certamente non diretto verso quest’ultimo.

I risultati della indagine balistica sulla direzione dei colpi esplosi da PLACANICA trovano riscontro nella ricostruzione dell’angolo visuale che l’indagato aveva dall’interno della camionetta.

In proposito i consulenti del Pubblico Ministero hanno considerato varie ipotesi, non senza precisare che la individuazione del punto di vista di PLACANICA è comunque aleatoria.

Se PLACANICA si fosse trovato in una posizione compresa fra la mezzeria della camionetta ed il montante più interno del lunotto psteriore destro ad una altezza, considerate le misure interne del “defender”, di circa 172 centimetri da terra corrispondente al busto di una persona seduta in posizione quasi eretta, tenuto conto della distanza che è stata stimata avere Giuliani dal mezzo PLACANICA avebbe potuto intravederne la sagoma quando il giovane si trovava alla distanza di circa 3 metri dal mezzo, aumentando la sua visibilità nel momento in cui Giuliani avanzava.

Trattasi invero di posizione eretta sui sedili ritenuta poco verosimile, ed è più probabile che la visuale di PLACANICA fosse al limite di traguardamento della sagoma della ruota di scorta.

La difficoltà di individuare con grado di certezza apprezzabile la visuale di PLACANICA è d’altra parte in accordo con il materiale video fotografico in atti.

Infatti in nessuna delle immagini è dato intravedere il volto del Carabiniere, mentre si distingue nitidamente la mano che impugna la pistola.

È certo, perchè chiaramente visibile, che PLACANICA non si trovava sulla parte sinistra dell’abitacolo, di cui si vedono i sedili vuoti ed il retro del poggiatesta del guidatore. Ma il suo corpo non è visibile neppure nella parte posteriore destra del veicolo, attraverso il cui finestrino rotto Monai introduce la trave che colpisce alla spalla il Carabiniere Raffone.

Ciò che chiaramente si nota invece, in particolare nelle foto 18, 20 e 21 dell’album fotografico della Questura, è una gamba, verosimilmente la destra, sulla quale appoggia in posizione rovesciata, la fondina a coscia.

Tali immagini fanno ritenere che PACANICA si trovasse in posizione semidistesa, il che giustificherebbe il fatto che la fondina appaia non aderente alla gamba, ma rovesciata all’indietro e che dunque da tale posizione abbia esploso i colpi di pistola.

Tale posizione è in linea con quanto dichiarato dallo stesso PLACANICA e dal collega Raffone circa la posizione rannicchiata che entrambi avevano assunto per evitare di essere ulteriormente colpiti; ma soprattutto con le dichiarazioni rese da Eurialo Predonzani che, nell’interrogatorio prima citato dichiarava fra l’altro:

“... Vedo il Carabiniere semidisteso nella jeep che punta la pistola verso l’esterno e grida - Bastardi vi ammazzo tutti. L’arma è puntata verso un ragazzo in grigio che mi sta accanto, quindi si sposta verso un altro...”

Tale dichiarazione è perfettamente in accordo con le immagini in atti, che non consentono mai di vedere né il volto né, con sufficiente chiarezza, la sagoma di PLACANICA che dunque era verosimilmente in posizione semidistesa ed arretrata verso i sedili anteriori; e dunque, per la posizione rialzata del pianale del “defender” rispetto al piano stradale, non era in grado di vedere le persone che erano in prossimità del portellone posteriore, al di sotto del limite superiore della ruota di scorta.

Ciò, come detto, conferme quanto dichiarato dall’indagato nel corso dell’interrogatorio avvenuto nella immediatezza del fatto e non smentito dal successivo interrogatorio, avendo PLACANICA sostenuto di essersi messo in posizione accucciata e che

“alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone, percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo lancio di pietre. Ero convinto che vedendo l’arma avrebbero desistito ed invece hanno continuato. Per quello che posso ricordare mi pare di aver tenuto la pistola in mano con le modalità riferite, per circa un minuto”.

La posizione descritta, accucciata o semidistesa, consente di ritenere che effettivamente PLACANICA non abbia potuto vedere la sagoma di alcuna persona dietro il portellone del “defender” e che dunque egli abbia sparato per intimorire, con la massima inclinazione verso l’alto che la posizione assunta gli consentiva.

Tale ricostruzione è d’altra parte in accordo con la traiettoria del bersaglio intermedio e con l’altezza del secondo colpo esploso, il cui impatto è stato trovato sul muro della chiesa all’altezza di m 5,30 dal punto in cui si trovava il “defender”; nonché con le risultanze delle indagini che sono state compiute circa l’origine del danno alla blindatura del proiettile e l’esistenza di tracce di materiale edilizio sulle ossa del cranio di Giuliani.

Considerazioni in diritto sulla condotta degli imputati.

Mario PLACANICA

Le premesse fatte consentono di valutare la condotta tenuta da Mario PLACANICA, di ricostruire con esattezza quale fosse la situazione nella quale lo stesso si è risolto ad usare l’arma e se siano ravvisabili nella sua condotta cause di giustificazione che ne scriminino il comportamento rispetto all’evento lesivo causato a Carlo Giuliani.

Le valutazioni giuridiche effettuate dal Pubblico Ministero nella richiesta di archiviazione prendono le mosse dalla distinzione fra la legittima difesa e l’eccesso colposo.

Quanto poi all’esame del fatto specifico ed alla condotta tenuta da PLACANICA il Pubblico Ministero afferma che “non vi è dubbio che sussistano i requisiti della offesa ingiusta portata ad un bene (l’incolumità personale) di cui gli occupanti del “defender” erano titolari. Altrettanto pacifico è che la condotta difensiva è stata posta in essere quando il pericolo era attuale.”

Quanto al problema della sussistenza della proporzione fra offesa e difesa, il Pubblico Ministero argomenta che la vicenda va valutata non immaginando uno scontro tra Giuliani e PLACANICA, “ma contestualizzando le condotte di entrambi” e considera due possibilità:

1) che PLACANICA abbia sparato il più in alto possibile con il solo intento di impaurire gli aggressori; ritenendo che in tal caso sia applicabile l’art. 586 c.p. e che dunque PLACANICA debba rispondere di omicidio colposo;

2) che PLACANICA abbia sparato senza mirare specificamente a qualcosa o a qualcuno ma con l’intento di fermare l’aggressione; i colpi sono partiti con una traiettoria verso l’alto e dunque nella condotta di PLACANICA sarebbe ravvisabile la fattispecie dell’omicidio doloso a titolo di dolo eventuale avendo comunque l’agente accettato il rischio di colpire qualcuno degli aggressori.

Conclude il Pubblico Ministero che in entrambe le ipotesi la scriminante della legittima difesa è applicabile alla condotta di PLACANICA e che la stessa non è censurabile ai sensi dell’art. 55 c.p.

Ad avviso di questo Giudice la prima delle due fattispecie non appare ipotizzabile.

Non va infatti dimenticato che si è accolta la tesi dei consulenti che la traiettoria del proiettile sia stata deviata dall’urto contro il bersaglio intermedio costituito dal calcinaccio.

Se dunque PLACANICA, come ipotizza il Pubblico Ministero, ha sparato i colpi il più in alto possibile con il solo intento di impaurire gli aggressori in una situazione quale quella descritta a cui lo stesso era comandato in servizio di Ordine Pubblico, non potrà rispondere della morte di Giuliani a titolo di “aberratio delicti”, posto che la condotta relativa all’evento voluto (l’uso dell’arma) è certamente scriminata dall’art. 53 c.p.; e comunque il nesso di causalità materiale sarebbe stato interrotto dall’intervento di un fattore eziologico sopravvenuto, certamente imprevedibile ed al di fuori di ogni possibile sfera di controllo, costituito dall’interferenza del proiettile contro un bersaglio intermedio, e dunque idoneo ad interrompere, per la sua particolarità sotto il profilo della assoluta imprevedibilità, il nesso causale pur non essendo completamente autonomo del fattore causale più remoto di cui ha peraltro costituito semplice occasione.

Quanto alla seconda ipotesi, secondo cui PLACANICA avrebbe sparato senza mirare ad alcuno, con l’intento di fermare l’aggressione ma accertando il rischio di colpire qualcuno e comunque essendo il suo comportamento scriminato da una situazione di difesa legittima, occorre ricostruire i fatti in modo più approfondito verificando, alla luce delle risultanze processuali, se nella condotta del Carabiniere ricorressero gli estremi di cause di giustificazione ed in particolare dell’uso legittimo delle armi o della legittima difesa.

L’uso legittimo delle armi

La morte di Carlo Giuliani, attinto dal un proiettile di un Carabiniere che nel corso di una manifestazione ha fatto uso delle armi, impone prima di tutto di valutare se la condotta di PLACANICA sia scriminata dall’art. 53 c.p. che stabilisce la non punibilità per “il pubblico ufficiale che al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità”.

Non si tratta della legittima difesa ma di un potere più ampio, in cui la legittimità della reazione non è subordinata al limite della proporzione con la minaccia, purché non si eccedano i limiti della “necessità”, perché se questi vengono varcati ricorreranno gli estremi dell’art. 55 c.p. che punisce l’eccesso colposo, atteso che anche per i pubblici ufficiali l’uso delle armi costituisce una “estrema ratio” e dunque deve essere sempre preferito il mezzo meno dannoso. Ma quando l’uso delle armi sia ritenuto legittimo nel rispetto della proporzione, il verificarsi di un evento più grave non voluto non può essere posto a carico del pubblico ufficiale in quanto la prevedibilità di tale evento è intrinsecamente collegata alla componente di rischio insito nell’uso dell’arma da fuoco, unica in dotazione del pubblico ufficiale, e il suddetto rischio potrebbe scongiurarsi solo rinunciando all’uso dell’arma, normativamente autorizzato (Fattispecie in cui, riconosciuto leggittimo l’uso delle armi da parte dei Carabinieri che avevano mirato alle ruote per fermare un’auto in fuga, è stato escluso che essi potessero rispondere ex art. 55 c.p. della morte non voluta degli occupanti de l’autovettura Cass 22.9.200 - Brancatelli).

L’uso di armi o di altro mezzo di coazione fisica (consistente cioè in una violenza materiale alla persona) non è punibile - quando il fatto è commesso al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio e per la necessità di respingere una violenza o resistenza all’Autorità - quando è autorizzato in modo specifico da una norma giuridica.

In via generale, e dunque senza la necessità di particolari autorizzazioni legislative, la punibilità è esclusa quando si agisca per la necessità di respingere una violenza o una resistenza : l’Autorità, si tratti o no di violenza o resistenza costitutiva di uno dei reati di cui agli artt. 336 e ss. c. p.

L’art 53 c. p. fa comunque salve, anche nei confronti dei pubblici ufficiali, le disposizioni di cui agli artt. 51 e 52 c.p. e giustifica il comportamento del pubblico ufficiale anche quando non sia diretto a reagire al pericolo di un’offesa ingiusta contro lo stesso pubblico ufficiale, trovando nell’art. 53 c.p. una esimente speciale in virtù anche del fine di adempire ad un dovere d’ufficio che qualifica la sua condotta.

Si tratta dunque di una disposizione che completa quelle di cui agli artt. 51 e 52 c.p., conferendo una autonoma disciplina all’uso delle armi ed eliminando qualsiasi dubbio sui requisiti richiesti dalla legge perché il pubblico ufficiale o il privato non siano punibili.

Trattasi, come si è detto, una scriminante più ampia della legittima difesa che trova più frequenti applicazioni in ipotesi di resistenza più che di violenza diretta nei confronti del pubblico ufficiale, ma è indubbio che il confine tra le due figure giuridiche, quando l’autore dell’evento lesivo sia appunto un pubblico ufficiale, può diventare labile.

Non c’è dubbio, sulla base della ricostruzione dei fatti minuziosamente effettuata, che PLACANICA, comandato in servizio di ordine pubblico, fosse pienamente legittimato a fare uso delle armi quando ricorressero i presupposti della necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità. E non vi è parimenti dubbio che la situazione in cui PLACANICA si è trovato ad agire fosse di estrema violenza volta a destabilizzare l’ordine pubblico ed in atto nei confronti delle stesse Forze de l’ordine, la cui incolumità era direttamente messa in pericolo.

Infatti nel caso in esame non si profilava la necessità di vincere una violenza secondo un concetto genericamente inteso che ricomprende anche il mancato rispetto dell’Autorità, bensì della necessità di difendersi contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta che veniva portata direttamente alla persona di PLACANICA e di coloro che con lui si trovavano.

Certamente per il numero dei manifestanti e per le modalità complessive dell’azione la violenza posta in essere nei confronti di PLACANICA e dell’equipaggio del “land rover” su cui lo stesso si trovava lo esponeva al pericolo di gravi danni fisici, come è evidente dalle lesioni riportate dallo stesso PLACANICA e dal Carabiniere Raffone che sono stati attinti alla testa ed al volto da grossi pezzi di pietre nonché in altre parti del corpo mediante l’utilizzo di tavole, travi e bastoni che venivano violentemente introdotte attraverso i vetri rotti della camionetta.

Si trattava dunque di una situazione di grave pericolo che trova indubbio riscontro non solo nella documentazione video fotografica agli atti, ma altresì nelle dichiarazioni degli stessi partecipanti all’aggressione.

Basta ricordare la descrizione che di quegli attimi è stata fatta dall’anonimo anarchico, nonché le parole di alcuni dei diretti aggressori del defender:

“... io tentando di fuggire da una via laterale, mi trovo con circa 400 persone nel tratto di strada che conduce a piazza Alimonda, nella quale speravo che la situazione fosse più tranquilla e di riprendere fiato...appena entrati nella via laterale ci troviamo di fronte una cinquantina di Carabinieri che vedendoci arrivare di corsa, stavamo scappando, si spaventano correndo via dopo aver spruzzato contro di noi le bombolette con lo spray urticante. Continuiamo a correre i carabinieri davanti, noi dietro fino a piazza Alimonda. Qui inseriscono tra noi e loro due camionette dei Carabinierei che ci fermano e proteggono la corsa degli agenti. Delle due camionette giunte sul posto, una si muove subito per raggiungere il cordone di polizia e carabinieri che si trovava nel tratto di via Caffa vicino a piazza Alimonda, l’altra incredibilmente si dirige con il lunotto posteriore già rotto, contro un cassonetto che si incastra fra la jeep e il muro. A quel punto io sono a lato della camionetta: sul mezzo vedo accalcarsi diversi manifestanti che sfogano 4 ore di paura ed esasperazione contro la lamiera... Guardando cosa succede intorno alla camionetta, mi rendo conto che il carabiniere seduto dietro, sta puntando la pistola e sento che urla “vi ammazzo tutti porci bastardi!”. Mi volto e grido che ha una pistola e sta cercando di avvisare gli altri del pericolo. In quel momento Carlo Giuliani che ancora non riconosco è accanto a me e sta guardando per terra. Mentre corro verso la strada suddetta, sento gli spari, mi volto e vedo il corpo di un ragazzo a terra, gli altri che si trovano a lato del mezzo di fermano e si allontanano... La mia impressione è che dal momento in cui vedo la pistola a quello in cui sento gli spari, siano trascorsi diversi secondi in cui il carabiniere continuava ad urlare “vi ammazzo tutti”. Preciso inoltre che prima di sparare, a quello che poi saprò essere Carlo Giuliani, il carabiniere aveva puntato l’arma verso altre persone, soprattutto verso il ragazzo con la felpa e con il casco nero, che essendosi accorto della pistola come me, scappa sottraendosi alla mira”e nel seguito dello stesso interrogatorio ribadisce “cercavamo di passare da quella parte dicendo “non c’è nessuno”, in effetti qua in via Caffa c’erano 40 carabinieri, stranissimo sembrava che si fossero persi...saranno stati 50 metri prima dell’imboccatura di piazza Alimonda: loro erano in 40, noi 400-500 persone che appena ci hanno visto ci hanno spruzzato con le bombolette in tre, tutto per aria... a quel punto questi qua scappano, noi siamo a 15-20 metri...Io non ho preso a mazzate la camionetta non ho preso a sprangate la camionetta... ho tirato un sasso, forse da 50 metri di distanza... posso anche aver dato dei calci alla camionetta, ma che io abbia preso qualcosa, ecco un pezzo di ferro ed abbia dato delle mazzate alla camionetta, ecco io questo non l’ho fatto... può essere che abbia lanciato un sasso, non lo so, non certo comunque con l’intenzione di volere fare del male a qualcuno, era un momento di paura prima di tutto ... sa se uno mi arriva con la pistola puntata, lo posso anche capire che prenda l’estintore per togliergli la pistola, ad esempio, lo posso capire, lo posso concepire... non sono andato li con l’intenzione di assaltare la jeep... non credo di essere stato intorno a quella jeep per più di 15-20 secondi, cioè il tempo di vedere questo Carabiniere sia lateralmente che poi girando che poi sì, prima di questa foto io ero girato che stavo guardando in direzione di questo ragazzo con la felpa viola che parla inglese. Tempo di guardarlo, mi sono tolto il fazzoletto e ho iniziato a gridare di scappare e dopo 15 secondi che la foto è stata scattata, ho sentito gli spari... insieme a me sono venuti via una quindicina di persone, tutti gli altri sono rimasti intorno... È arrivata con il muso contro il cassonetto dell’immondizia, già con il finestrino sfondato e già con questa persona comunque stesa all’interno della camionetta con il braccio con lo scudo verso il finestrino laterale che guardando la camionetta è il finestrino di sinistra, e con la pistola in mano... Allora le dico abbiamo visto la camionetta e probabilmente , le dico probabilmente perché io non posso ricordare cosa mi è passato nella mente in quel momento perché non me lo ricordo. Se pensassi con la mia testa di adesso le dico “stavo scappando”, con la testa di quel momento probabilmente, anche perché c’erano gli altri, pensavo ci fosse molta meno gente, ho visto il nemico nella camionetta, nella jeep dei carabinieri e gli avrò tirato due pietre... Se io avessi voluto fare del male a qualcuno, prendevo assi di legno che sono riuscito a trovare, bastoni, mazze ecc e mi mettevo qua dietro a dare delle mazzate, qua dove c’era il carabiniere dal lunotto come ha fatto questo qua che ha cercato di tirargli la pietra in faccia, io questo non l’ho fatto... se io fossi una persona che comunque ha l’intenzione da quando è scesa in strada dall’una del pomeriggio, a fare male a qualcuno, in questo caso alle forze dell’ordine, io ne ho avuto possibilità molto buone, avrei avuto una possibilità ottima per fare del male a qualcuno e questo non è successo...” (interrogatorio Predonzani al P.M. in data 6 settembre 2001).

Di ulteriore utilità per comprendere quanto realmente accaduto in piazza Alimonda sono le dichiarazioni rese da Monai Massimiliano, presentatosi spontaneamente al Pubblico Ministero in data 30.8.2001 il quale, a proposito dell’assalto alla camionetta che ha preceduto la morte di Carlo Giuliani, ha dichiarato:

“... Durante gli scontri, durante il casino, quando ci caricavano e caricavano, a quel punto li, siamo al punto di Carlo, io principalmente ero dalla parte dell’Ottavio Barbieri... io ero li... a cercare di fare qualcosa, di scappare indietro, oppure di andare avanti, però non potevi andare da nessuna parte: Avanti c’erano loro. Dietro c’era belin un casino di gente che tirava le pietre. A quel punto cosa è successo eravamo tuti li con un po’ di gente che io non conosco, un po’ perchè aveva il passamontagna, chi aveva quello chi aveva il fazzoletto, abbiamo visto i carabinieri andare indietro... Io ho visto la gente che tirava le pietre contro i carabinieri. I carabinieri andavano indietro, c’era un gruppo che andava avanti e un gruppo che li voleva chiudere... siamo andati in giù tirando delle pietre... i carabinieri correvano indietro e la gente che gli tirava delle pietre... A quel punto è successo che i carabinieri sono andati via, noi ci siamo fermati e queste due jeep sono arrivate a tutto spiano perchè? Boh, sono arrivate contro di noi chiaramente noi scappavamo; le due macchine una ha fatto retromarcia dalla Chiesa ed è riuscita ad andare via e l’altra ha fatto l’inversione ad U ed è rimasta incastrata: gli sono arrivati tutti addosso come si vede; li a 20 metri ho visto sta trave, l’ho presa e ho dato 3 bastonate contro la camionetta, neanche contro il vetro perchè quando sono arrivato io era già rotto. Ho dato tre colpi sopra la camionetta mentre arrivava di tutto, poi ho preso il bastone, il vetro era già rotto e c’era il carabiniere che mi guardava... quello che non ha sparato, quello che mi vedeva con la trave... non ho visto niente neanche la pistola, niente, poi lasciando il bastone e facendo il giro sentivo dire “ dai che forse lo salviamo, dai” “assassini, assassini, l’hanno ammazzato”. Ho dato 3 bastonate sul furgone, sono andato indietro, c’erano due carabinieri, quello che non ha sparato che mi guardava, gli sono entrato dentro con la trave e non so neanche se l’ho preso, l’avrò preso qua nella costola. Lui si è abbassato per ripararsi, io mi sono fermato, ho buttato via la trave e intanto tiravano le pietre; e questo qua ha sparato e io ero sempre lì, cioè non è che quando ho buttato la trave sono scappato... quando io ho dato addosso a lui, è successo che il tipo ha sparato... Sono loro che ci hanno attaccato con le Land Rover. È diverso. Le forze dell’ordine stavano tornando indietro a piedi e noi correndo siamo arrivati quasi corpo a corpo, loro sono andati il più indietro possibile e noi ci siamo fermati, le 2 jeep sono venute incontro. Poi hanno fatto tutta questa retromarcia qua e la jeep si è fermata e poi ci sono stati i 10 secondi di deliri, di tutta la gente che era li. Io comunque non avrei ammazzato nessuno perchè non sono un delinquente... da quante pietre hanno tirato io non ho sentito che avevano sparato... qualcuno urlava “Bastardi, via” roba di 10 secondi...” e alla domanda di quanta gente vi fosse vicino alla jeep rispondeva “ tantissima”.

Le fotografie in atti sono oltremodo esplicative della violenza descritta dagli stessi manifestanti.

Basta visionare le foto da 16 a 20 che mostrano chiaramente un estintore che, proiettato verso il vetro posteriore ormai rotto del “defender”, colpisce il piede destro di PLACANICA che chiaramente sporge oltre il limite della ruota di scorta nel tentativo di impedire l’entrata dell’estintore all’interno della camionetta; quello stesso estintore che alcuni secondi dopo Carlo Giuliani raccoglierà da terra alzandolo sopra la testa per scagliarlo nuovamente all’interno della camioneta, come qualcun altro, se non addirittura lui stesso aveva poco prima tentato di fare visto quanto ha dichiarato al P.G. in data 23 luglio 2001 Neri Ernesta, titolare del distributore di benzina della società Q8 sito in via Tolemaide, la quale riferiva che poco dopo le ore 16,00 aveva notato dalla sua abitazione un giovane con il passamontagna scuro, la canottiera bianca ed i pantaloni scuri che si allontanava dal distributore con un estintore di cui scaricava il contenuto girando poi in via Caffa; riconoscendo poi l’estintore asportatole in quello sequestrato accanto al corpo di Carlo Giuliani.

La violenza dell’assalto posto in essere da numerosi manifestanti, la costante sassaiola alla quale era sottoposto il “defender” e che causava danni fisici agli occupanti rilevati dalle consulenze medico legali, l’aggressione portata agli occupanti dai manifestanti che continuavano a circondare il mezzo dappresso introducendovi mezzi contundenti e dunque il protrarsi nel tempo della situazione di pericolo indubbiamente attuale di una ingiusta offesa all’incolumità personale di PLACANICA e dei suoi compagni, certamente rendeva necessaria una difesa che non poteva che sfociare nell’uso dell’unico mezzo che PLACANICA aveva a disposizione per contrastarla: l’arma.

Infatti il gesto di Giuliani non è stato una isolata aggressione come ritenuto dai Difensori dei suoi familiari, ma solo una delle fasi di una violenta aggressione al “defender” posta in essere dalle numerose persone che lo avevano accerchiato, tentavano di farlo oscillare e, probabilmente, di aprirne il portellone, come dichiarato da alcune delle persone presenti al fatto, con il rischio di cagionare direttamente più gravi lesioni agli occupanti.

Partendo dalla ipotesi, ormai accertata, che il colpo sparato da PLACANICA è stato diretto verso l’alto, non vi è dubbio che la condotta di PLACANICA, alla quale è conseguita la morte di Carlo Giuliani, è scriminata dall’art.53 c.p., avendo il militare esploso due colpi diretti verso l’alto che seguivano le numerose quanto inutili intimazioni volte a far cessare la violenza, uno dei quali per un fattore sopravvenuto ed assolutamente imprevedibile, ha deviato il proiettile determinando la morte di Carlo Giuliani.

Tutti gli elementi della indagine, della cui completezza non si può dubitare, consentono dunque con certezza di escludere che PLACANICA abbia deliberatamente diretto i suoi colpi verso Carlo Giuliani; ma quand’anche ciò si fosse verificato, non vi è dubbio che il carabiniere legittimato all’uso delle armi, con la componente di rischio che l’uso di tale strumento di per sè comporta, si trovava in presenza di un pericolo attuale per la vita o l’integrità fisica propria e dei compagni, pericolo già concretatosi in atti lesivi della integrità fisica e che si faceva vieppiù violento; e che dunque legittimamente avrebbe potuto dirigere il colpo d’arma da fuoco contro gli aggressori al fine di porli nella impossibilità di proseguire nell’azione lesiva e pur cercando di limitare il danno in tal modo cagionato (con colpi diretti ad esempio a non colpire organi vitali), non trattandosi di resistenza passiva nè essendosi l’aggressore fatto scudo con un ostaggio: unici casi in cui dottrina e giurisprudenza concordemente escludono la legittimità dell’utilizzo dell’arma direttamente contro l’aggressore.

Quanto sopra consente dunque di ritenere la condotta di PLACANICA scriminata ai sensi dell’art. 53 c.p., tanto più che l’uso dell’arma, assolutamente indispensabile, è stato graduato in modo da risultare il meno offensivo possibile, atteso che i colpi sono stati certamente diretti verso l’alto e solo per un’imprevedibile modifica della traiettoria uno di essi è andato a colpire Carlo Giuliani.

La legittima difesa

Per l’ampiezza della disposizione di cui all’art.53 c.p. in virtù della qualifica dell’agente, e tenuto conto della riserva contenuta in tale disposizione, occorre esaminare la condotta di PLACANICA anche alla luce della sussistenza dei più ristretti requisiti richiesti dall’art.52 c.p.,onde verificare se siano ravvisabili nelle circostanze del fatto e nella reazione posta in essere anche gli elementi per la sussistenza della più rigorosa causa di giustificazione della legittima difesa.

Si è ampiamente detto della situazione di fatto ed ambientale in cui PLACANICA si è trovato ad agire. E non vi è dubbio che in tale situazione, analoga a quella che nel vicino corso Torino aveva poco prima portato all’incendio di un mezzo blindato al cui interno era stata lanciata una bottiglia molotov, PLACANICA percepisse come concreto quel pericolo di attentato alla incolumità sua e dei compagni che effettivamente sussisteva e che si era già concretato in episodi lesivi ( vista la documentazione in atti e le lesioni riportate dagli occupanti del “defender”); e che perdurava nonostante le ripetute intimidazioni effettuate mostrando l’arma.

Basta osservare le numerose foto che mostrano la camionetta sempre accerchiata dai manifestanti che sfondano i vetri con aste e bastoni che introducono all’interno con il chiaro intento non solo di danneggiare il mezzo a scopo di protesta, ma di far del male al suo equipaggio, lanciando all’indirizzo del mezzo un numero rilevantissimo di pietre molte della quali penetravano all’interno colpendo gli occupanti, per avere un’idea della violenza in concreto in atto e dei possibili ulteriori danni che avrebbero potuto essere cagionati agli occupanti del mezzo.

Né è ipotizzabile quanto sostenuto dalla Difesa degli opponenti nel corso dell’udienza, secondo cui le lesioni al capo di PLACANICA avrebbero potuto essere state cagionate dall’urto contro la leva interna del faro posto sul tetto del “defender” anziché dalla condotta dei manifestanti.

A parte la considerazione oggettiva che numerose pietre sporche di sangue sono state rinvenute all’interno del “defender”, la leva del faro posto sul tetto è rivestita di plastica ed inserita in uno snodo coperto da una cuffia che serve ad orientare il faro e proprio il fatto che tale leva sia collegata ad uno snodo rende il congegno opportunamente privo della rigidezza necessaria a cagionare lesioni al capo di coloro che si trovino all’interno del “defender” e comunque lesioni lacero contuse dell’entità di quelle riportate da PLACANICA.

Tornando dunque alla situazione di fatto, non vi è dubbio che la reazione posta in essere fosse necessaria tenuto conto di tutte le circostanze dell’azione ed in particolare del numero degli aggressori, dei mezzi dai predetti utilizzati per l’offesa alle persone, della continuatività della violenza nonostante plurime intimazioni da parte dei militari, delle lesioni già cagionate ai predetti e perfino della difficoltà di allontanarsi dal luogo visto che il motore del “defender” si spegneva, allontanamento non esigibile ma ciò nonostante tentato.

Ne consegue che anche l’analisi dell’adeguatezza della difesa rispetto all’offesa in atto, con riguardo alla sostanziale equivalenza dei beni posti in pericolo, deve risolversi positivamente, concretandosi l’attacco portato al “defender” dei Carabinieri in atti non solo pericolosi, ma di per sé stessi già lesivi di diritti ed in particolare della integrità fisica degli occupanti; ed è incontestabile, alla luce della circostanze del fatto, che se PLACANICA non avesse estratto l’arma minacciando con essa i manifestanti ed infine esplodendo i due colpi, l’attacco non sarebbe cessato e sarebbe stato portato a conseguenze certamente ulteriori e più gravi e che se l’estintore che già una volta PLACANICA aveva respinto con un calcio fosse entrato all’interno dell’abitacolo colpendo i carabinieri già feriti avrebbe cagionato loro lesioni di notevole gravità se non addirittura conseguenze più gravi.

Pacifica l’attualità del pericolo e l’ingiustizia dell’offesa che veniva non solo paventata al livello di pericolo, ma che già era in atto, occorre verificare la sussistenza del requisito della proporzione anche in considerazione dei mezzi posti a disposizione dell’aggredito e delle modalità del loro utilizzo.

In tema di proporzione del mezzo di difesa rispetto all’offesa, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che hai fini della configurabilità dell’esimente della legittima difesa, il giudizio di proporzione, che deve essere formulato in riferimento ai mezzi a disposizione dell’aggredito ed ai beni tutelati, non può essere qualitativo e relativistico. Infatti, il raffronto concerne pur sempre il bene di un aggressore e il bene di un aggredito, il quale, nel difendersi, non è in grado, nella situazione concreta, di dosare esattamente il reale pericolo e gli effetti della reazione, sicchè la proporzione non viene meno quando il male inflitto all’aggressore abbia una intensità leggermente superiore a quella del male minacciato” (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza dell’esimente, l’imputato si era difeso mediante l’uso del fucile, unico strumento di cui in quel momento disponeva, per neutralizzare l’improvvisa aggressione che la vittima, armata di un tubo di ferro della lunghezza di circa un metro, aveva dapprima portato contro il padre dell’imputato medesimo e poi contro quest’ultimo, procurando loro varie ferite. Cass. Sez I sent. 08284 del 13/04/1987-Catania).

La Corte ha inoltre stabilito che “in tema di legittima difesa, le espressioni “necessità di difendere” e “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, contenute nell’art. 52 cod. pen.,vanno intese nel senso che la reazione deve essere, nella circostanza, l’unica possibile perché non sostituibile con altra meno dannosa, ugualmente idonea ad assumere la tutela del diritto (proprio o altrui) aggredito” (Cass. Sez I sent. 02551 del 1/12/1995 - P.M. e Vellino).

Tali principi sui quali sono allineate la costante giurisprudenza e la dottrina dominante, applicate alle circostanze di fatto nelle quali si è verificata la tragica morte di Carlo Giuliani consentono di ritenere rispettato anche il requisito della proporzione fra i mezzi offensivi a disposizione degli aggressori e quelli a disposizione degli aggrediti, che è ormai pacificamene insito nel concetto do proporzione che deve far riferimento non solo hai beni in conflitto, di cui si è parlato, ma anche ai mezzi usati per difenderli.

Mario Placanica aveva a disposizione un solo mezzo per fronteggiare la violenza posta in essere nei suoi confronti e l’aggressione all’integrità fisica, se non addirittura alla vita, propria e dei compagni: l’arma.

Ed anche a questo proposito le risultanze dei fatti depongono nel senso di un utilizzo di tale mezzo graduato in modo da creare all’offensore il minor danno possibile, nel tentativo di scoraggiarne comunque l’azione e di farlo desistere.

La Corte di Cassazione ha infatti anche chiarito che “ai fini della configurabilità dell’esimente della legittima difesa la proporzione fra i mezzi difensivi a disposizione dell’aggredito e quelli usati deve essere valutata, quando a disposizione vi è un solo mezzo ma questo è suscettibile di usi diversi e graduabili, in termini di raffronto fra i vari usi possibili e l’uso che in concreto si è scelto di farne in relazione alle modalità dell’aggressione posta in essere o alle sue prevedibili conseguenze, essendo una tale situazione del tutto identica a quella in cui la valutazione deve essere fatta in termini di raffronto tra più mezzi a disposizione e quello usato. L’uso perciò di arma da fuoco, quale mezzo di difesa, deve essere contenuto, nel caso in cui trattasi di un’aggressione al massimo lesiva dell’integrità personale, in termini di mera apparenza mostrando l’arma e tenendo un atteggiamento deciso all’uso ovvero limitato all’esplosione di colpi in aria e in terra ovvero anche contro l’aggressore ma curando di non colpirlo o al massimo di colpirlo in zone non vitali, e quindi al solo scopo di deterrenza o di ferire, ma non di togliere la vita”; e dunque “in termini di mera sentenza o lesione dell’integrità fisica dell’aggressore” (Cass. 20.9.1982 - Tosani).

Orbene, nonostante numerose fotografie mostrino il defender accerchiato dai manifestanti dal quale spunta la mano di PLACANICA che impugna l’arma e le dichiarazioni in atti, non del solo indagato ma degli stessi aggressori, diano atto delle ripetute intimazioni del Carabiniere ad allontanarsi, lo stesso materiale fotografico mostra chiaramente che tali tentativi di scoraggiare l’aggressione non trovavano alcuna risposta nella condotta dei manifestanti che continuavano nella loro esasperata violenza, determinando infine l’indagato ad avvalersi dell’arma, unico mezzo che aveva a disposizione per contrastare la violenza in atto.

E tanto pi? la condotta di PLACANICA appare aver rispettato il requisito della massima proporzione sotto il profilo delle modalit? di utilizzo dei mezzi a sua disposizione, quando si consideri che se PLACANICA avesse voluto arrecare un sicuro danno a qualcuno dei suoi aggressori avrebbe potuto dirigere l’arma lateralmente verso i finestrini contro i quali si assiepavano numerosi dimostranti, mentre le complesse risultanze tecniche danno atto della sicura direzione verso l’alto dei colpi esplosi al primo dei quali, solo per una tragica fatalità, è conseguita la morte del giovane Giuliani.

Che dunque PLACANICA potesse intravedere Giuliani, come sostenuto dalla Difesa degli opponenti e pure ipotizzato dai consulenti del Pubblico Ministero, o che proprio non l’abbia visto come appare più probabile, sparando nel punto più alto che la sua posizione gli consentiva e magari accettando il rischio che il colpo esploso potesse attingere persone che si trovavano sul luogo dei fatti, il suo comportamento appare scrimi-(?)-ato da una situazione di legittima difesa, atteso che la intenzionalità nella produzione dell’evento voluto o anche solo previsto è stata certamente determinata dalla necessità di difesa di diritti ingiustamente offesi, posta in essere nel rispetto dei limiti della proporzione sia con riferimento al valore dei beni posti in essere che ai mezzi a disposizione per la loro tutela.

Filippo Cavataio

Quanto alla responsabilità di CAVATAIO, autista del “defender” rimasto bloccato in piazza Alimonda, una sua responsabilità a qualunque titolo nella morte di Carlo Giuliani non appare in alcun modo ipotizzabile.

Le consulenze medico legali, sulla correttezza delle cui metodologie non vi è in atti alcun elemento per dubitare, hanno infatti escluso che le lesioni rilevate sul corpo di Carlo Giuliani nella parte che è stata arrotata dal “defender” abbiano avuto alcuna rilevanza causale nel determinarne la morte, trattandosi di lievi lesioni che non hanno determinato apprezzabili lesioni di organi interni come rilevato nel corso dell’autopsia.

È stato infatti accertato che le gravissime lesioni cagionati al capo di Carlo Giuliani dal proiettile esploso dalla pistola di PLACANICA sono state di tale gravità da “determinare la morte del soggetto nel lasso di alcuni minuti, in modo diretto ed esclusivo, prescindendo da qualsiasi ipotetica altra lesione, presente a livello toracico-addominale e dovuta a fenomeni compressivi e/o contusivi da arrotamento”.

Ma quand’anche così non fosse stato non si vede quale avrebbe potuto essere la responsabilità dell’autista del “defender” che non poteva vedere quanto accadeva dietro al mezzo circondato dai manifestanti, nè tanto meno accorgersi della caduta al suolo del corpo di Carlo Giuliani e del suo rotolamento contro la ruota posteriore del “defender”.

La richiesta di integrazione dell’indagine

Le considerazioni di cui sopra si ritiene contengano implicita risposta alle numerose richieste della Difesa delle persone offese di integrazione delle indagini, che saranno comunque e in modo specifico esaminate.

In particolare i Difensori della famiglia Giuliani ritengono necessarie, ove non sia accolta la richiesta di imporre al Pubblico Ministero l’imputazione coattiva ai fini del rinvio a giudizio degli indagati, le seguenti ulteriori indagini:

- consulenza tecnico legale sulle cause della morte di Carlo Giuliani, volta in particolare ad accertare se lo stesso fosse ancora vivo nel momento in cui veniva arrotato dal “defender” e, comunque, a chiarire se le metodologie di indagine seguite siano state scientificamente corrette.

Si è già detto che non vi sono in atti elementi che consentano di dubitare della scrupolosità degli accertamenti eseguiti e della correttezza dei metodi di indagine esperiti, di tal chè l’accertamento richiesto appare non necessario. Va inoltre osservato che le persone offese, messe in condizione di partecipare all’autopsia disposta sul corpo del giovane con propri consulenti e dunque di verificare la correttezza dei metodi di indagine che venivano applicati, non hanno ritenuto di avvalersi di tale facoltà nè di svolgere propri accertamenti sulla salma del giovane che anzi è stato cremato appena tre giorni dopo la sua morte, rendendo, quand’anche fosse utile (il che non è) impossibile qualsiasi ulteriore accertamento.

- Audizione del capo della Polizia De Gennaro e del S.Ten. dei Carabinieri Zappia, in ordine alle direttive imposte per la gestione dell’ordine pubblico e sulla regolarità dell’utilizzo di “fondine a coscia” come quella dalla quale PLACANICA risulota aver estratto l’arma dalla quale ha esploso il colpo che ha colpito Carlo Giuliani.

Anche tale indagine appare del tutto inconferente rispetto all’accertamento del tragico episodio che ha causato la morte di Carlo Giuliani, atteso che le direttive impartite per la gestione dell’ordine pubblico non possono che essere di ordine generale e certamente non contemplano istruzioni relativamente ad episodi non prevedibili di attacco diretto alle persone dei militari, quali è stato quello al quale ha reagito il Carabiniere PLACANICA; la cui condotta, come si è ampiamente detto, è scriminata sia dall’uso legittimo delle armi che dalla più rigorosa ipotesi di legittima difesa.

Quanto poi alla richiesta di accertare se fosse regolamentare l’uso delle “fondine a coscia” e comunque se siano utilizzate da parte di militari appartenenti all’Arma dei Carabinieri, non si comprende quale apporto alla indagine tale conoscenza potrebbe portare posto che a nulla rileva in quale posizione PLACANICA portasse la pistola, di cui nella situazione descritta, avrebbe legittimamente potuto far uso dovunque l’avesse portata o altrimenti reperita.

- Indagini sull’identificazione della persona che potrebbe aver lanciato il sasso che avrebbe deviato la traiettoria del proiettile al fine di assumerne le dichiarazioni in ordine alla sua traiettoria.

Trattasi di accertamento concretamente impossibile, anche qualora se ne fosse ravvisata la necessità atteso che non è realistico ritenere che alcuno dei manifestanti abbia seguito la traiettoria dei sassi dopo averli lanciati contro il bersaglio che aveva individuato, al fine di verificare che il lancio fosse andato a segno; preoccupandosi più che altro di munirsi di nuovi oggetti contundenti del cui lancio fare segno le Forze dell’Ordine.

Inoltre, quand’anche fosse possibile una dichiarazione in tal senso da parte dell’ignoto manifestante che paradossalmente è stato, senza volerlo, la causa della morte del suo compagno di protesta, ne sarebbe impossibile l’identificazione e le sue dichiarazioni sarebbero comunque del tutto irrilevanti a fronte dei risultati tecnici acquisiti.

- Nuova audizione di Massimiliano MONAI sul comportamento dei militari all’interno del “defender”, sul numero dei manifestanti che si trovavano vicinio al veicolo e su chi effettivamente all’interno del “defender” impugnasse l’arma, alla luce di quanto dichiarato dall’indagato nel corso di una intervista; nonchè nuova audizione di Eurialo PREDONZANI su analoghe circostanze sulla posizione di Giuliani prima di essere attinto dal colpo mortale, su quanti vetri del “defender” fossero rotti.

Le dichiarazioni che, in epoca molto vicina ai fatti e dunque quando il ricordo ne era più vivido, Monai e Predonzani hanno ritenuto di rendere presentandosi spontaneamente al Pubblico Ministero per riferire quanto a loro conoscenza in merito ai fatti di cui erano stati protagonisti ed alla tragica morte di Carlo Giuliani, rendono del tutto inutili nuove audizioni; trattasi infatti di dichiarazioni che riferiscono particolari estremamente precisi che hanno trovato riscontro nel materiale video fotografico in atti, tanto da costituire importante riscontro ai risultati delle indagini tecniche, mentre le differenti dichiarazioni che gli indagati, ed in particolare Monai, hanno reso ad organi di stampa o televisioni non hanno alcuna veste processuale e comunque il loro contenuto non rende necessario alcun chiarimento alla luce della precisa ricostruzione effettuata nella immediatezza del fatto e che ha trovato riscontro in dati oggettivi, quali fotografie e filmati. Nè appare rilevante sapere quanti vetri del “defender” fossero rotti posto che è incontestabile che erano rotti alcuni vetri sul lato destro ed il vetro posteriore.

- Audizione di Marco D’Auria per avere la conferma che in Piazza Alimonda non sono state lanciate “molotov”, come invece avrebbe ipotizzato PLACANICA, nonchè per accertare la distanza alla quale si trovava quando ha scattato la fotografia sulla quale si sono basati i consulenti del Pubblico Ministero per effettuare la ricostruzione balistica.

Anche tale richiesta non appare destinata ad apportare alcun contributo alla indagine posto che la fotografia del D’Auria non ha costituito che un riferimento per determinare la posizione in cui Giuliani si trovava quando è stato attinto dal colpo d’arma da fuoco; la distanza della vittima dal “defender” è stata infatti calcolata tenendo conto della posizione assunta dalle persone che compaiono nelle fotografie con riferimento ad elementi fissi quali arredi e segnalazioni stradali rispetto ai quali sono state effettuate misurazioni concrete e trova conferma nelle dichiarazioni rese dalle persone che si trovavano vicine a Giuliani.

Quanto poi al fatto che PLACANICA avrebbe ipotizzato che in piazza Alimonda siano state esplose “molotov”, come sembrerebbe dalla richiesta dell’ulteriore accertamento, trattasi di affermazione non esatta. PLACANICA infatti non ha mai affermato che in piazza Alimonda sono state esplose “molotov”, limitandosi a riferire che temeva che ciò potesse avvenire.

- Audizione del m.llo Primavera sui tempi di rottura del vetro posteriore del portellone del defender.

Sulla circostanza che il vetro non sia stato rotto dal colpo di pistola di PLACANICA non vi sono dubbi, essendo evidente dalle fotografie che mostrano la mano di PLACANICA che impugna la pistola per minacciare i manifestanti, che il vetro era già stato infranto probabilmente dal lancio di pietre, ben prima che PLACANICA esplodesse il colpo che ha causato la morte di Giuliani. Nè la diversa percezione da parte di colui che si trovava su un altro “defender” ha influenza sulla ricostruzione dei fatti, pacificamente ed in modo tranquillante accertati nella loro oggettività.

- Acquisizione delle riprese effettuate in piazza Alimonda dai due Carabinieri che avevano telecamere sui caschi “etichettate e consegnate al Col. Leso”.

Trattasi di materiale già in atti come risulta dalla comunicazione dei Carabinieri di Genova in data 13.9.2001 che dà atto della trasmissione al Pubblico Ministero di 17 videocassette, 15 delle quali relative ad immagini riprese in varie zone della città, fra cui via Caffa dalle telecamere installate sui caschi protettivi di alcuni militari; nonchè della trasmissione di 2 videocassette contenenti riprese effettuate dall’elicottero dell’Arma.

- Audizione dell’appuntato Valerio Mattioli sui motivi della perdita dell’incamiciatura del proiettile.

La richiesta della Difesa delle persone offese si basa sulle dichiarazioni rese spontaneamente dal Mattioli al quale “risulta essere pratica frequente intagliare la punta di un proiettile al fine di fargli acquisire un potere dirompente maggiore” escludendo automaticamente “l’intenzione di far uso della propria arma da fuoco a scopo intimidatorio. Essi servono per uccidere al primo colpo”.

Preso atto della conoscenza di tale pratica da parte del Mattioli non si comprende quale utilità potrebbe avere la sua audizione da parte del Pubblico Ministero a fronte dei risultati delle consulenze balistiche disposte che si basano su riscontri oggettivi; laddove l’ipotesi del Mattioli non può essere considerata se non quale raro malcostume, che non si comprende per quale motivo e sulla base di quali dati oggettivi dovrebbe attribuirsi al Carabiniere PLACANICA atteso altresì che gli ulteriori colpi sequestrati nel caricatore della pistola a lui in dotazione risultavano perfettamente regolari.

- Consulenza tecnica sul defender volta ad accertare le cause che hanno determinato il danno presente sul montante superiore dell’automezzo sopra la seconda “I” della scritta “CARABINIERI”.

Si è già ampiamente trattato degli accertamenti effettuati per determinare l’origine dei danni al portellone posteriore, certamente cagionati dal lancio di pietre ed oggetti contundenti, che piovevano in grande quantità sul mezzo; ed è pacifico che anche il danno specificamente indicato non può avere diversa origine.

L’accertamento nuovamente richiesto dunque non è in grado di dissipare i dubbi della Difesa degli opponenti circa l’impatto del proiettile con un calcinaccio, non potendosi certamente ipotizzare che un solo sasso sia stato scagliato contro il mezzo che risulta in più punti ammaccato e preso atto che gli oggetti che attraversavano il teatro dei fatti e venivano scagliati contro i mezzi delle Forze dell’ordine erano numerosissimi ed hanno causato non solo lesioni alle persona , ma anche vistosi danni alla carrozzeria del “defender”.

- Consulenza tecnica collegiale sui bossoli in sequestro per accertare da quali armi sono stati sparati, estendendo l’accertamento alle armi di tutti gli appartenenti alle Forze dell’ordine presenti in piazza Alimonda nel momento in cui èstato colpito Carlo Giuliani.

Trattasi com’è evidente di accertamento privo di concreta rilevanza. Non vi è dubbio infatti, per ammissione dello stesso indagato e per i risultati delle consulenze effettuate, che il colpo mortale che ha attinto Carlo Giuliani è stato esploso dalla pistola dello stesso PLACANICA.

Gli accertamenti a suo tempo disposti dal Pubblico Ministero per verificare se altri appartenenti alle Forze dell’Ordine avessero esploso colpi d’arma da fuoco nell’area di piazza Alimonda in data 20 luglio 2001, hanno infatti avuto risposta negativa, salvo per ciò che concerne l’esplosione di colpi a scopo intimidatorio avvenuta in via Tolemaide all’incrocio con la via Armenia da parte del Carabiniere Errichiello Massimiliano al fine di allontanare alcuni manifestanti che avevano accerchiato altro mezzo blindato facendolo segno di colpi di pietre ed essendo armati di spranghe, pietre e picconi.

***

Preso altresì atto dei rilievi della Difesa degli opponenti sul fatto che numerosi atti di indagine siano stati delegati ai Carabinieri e che molte audizioni siano avvenute in presenza di appartenenti all’Arma, si osserva che tali considerazioni possono avere poteri suggestivi, ma nulla hanno a che vedere con ciò che davvero si è verificato in piazza Alimonda portando alla tragica morte del giovane Giuliani, le cui drammatiche fasi sono state documentate da copioso materiale video fotografico in atti e dalle dichiarazioni degli stessi protagonisti della vicenda con una dovizia di mezzi e particolari che non pu? e non deve consentire di spostare l’attenzione su considerazioni del tutto irrilevanti.

Il materiale di cui si è detto ed i lunghi e complessi accertamenti tecnici espletati che non hanno trascurato di prendere in considerazione qualunque ipotesi che consentisse di arrivare ad una ricostruzione dei fatti aderente alla realtà, hanno consentito di raggiungere proprio tale obbiettivo e dunque di ritenere provato che il Carabiniere PLACANICA ha agito in presenza di causa di giustificazione che esclude la punibilità del fatto; e che non vi sono elementi che consentono di ravvisare responsabilità del Carabiniere CAVATAIO nella morte di Carlo Giuliani.

P.Q.M.

visto l’art.409 c.p.p.

dichiara infondata l’opposizione e dispone l’archiviazione del procedimento e la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in Sede.

Dispone la restituzione agli aventi diritto delle armi e delle munizioni in sequestro, di tutto il materiale in dotazione alle Forze dell’Ordine e del telefono cellulare Panasonic previa identificazione dell’intestatario.

Dispone la restituzione ai familiari di Carlo Giuliani degli effetti personali del congiunto e di somma di lire 64.700 in sequestro.

Ordina la confisca del restante materiale in sequestro.

Delega per le restituzioni Ufficiali di P.G. della Digos di Genova, con facoltà di subdelega.

Manda alla cancelleria per quanto di competenza.

Genova, 5 maggio 2003

IL GIUDICE

Dott.ssa Elena Daloiso