Dal 20 luglio del 2001 piazza Alimonda, a Genova, si è aggiunta all’elenco di strade e piazze in cui sono morte delle persone durante manifestazioni politiche: da Milano a Roma, da Bologna a Pisa, da Avola a Reggio Emilia. Da quel giorno, quell’angolo della piazza dove morì Carlo Giuliani, durante le manifestazioni contro la riunione dei capi di stato e di governo degli otto paesi più industrializzati, si è riempito di fiori, biglietti, oggetti, portati da chi vuole ricordarlo. Soprattutto negli anniversari della morte, ma non solo. Sono arrivate anche cartoline, indirizzate a “piazza Carlo Giuliani”.
L’Archivio ligure di scrittura popolare, che raccoglie fonti non a stampa come epistolari e diari, ha raccolto questi messaggi ed oggetti, al fine di conservare la “memoria pubblica” della morte di Carlo Giuliani.
Il libro presenta una selezione dei messaggi raccolti, per cercare di dare un quadro della percezione della memoria di quel tragico evento.
I curatori sottolineano come la pluralità dei messaggi rispecchi soggettività molto diverse: ci sono “messaggi personali e pubblici…riflessioni personali e citazioni inflazionate, disarmanti esempi di spontaneità e dichiarazioni politiche di attivisti palesemente militanti”. (p. 13)
I messaggi esprimono innanzitutto dolore, protesta ed a volte rabbia per la morte di Carlo. Soprattutto in un secondo tempo, prevalgono esigenze di riflessioni più approfondita sul significato di questa morte, il tentativo di darne una spiegazione. Vi sono messaggi politici e altri intrisi di credenze religiose, messaggi di coetanei di Carlo ed altri che scrivono in quanto genitori di figli dell’età di Carlo.
Per cercare di capire la soggettività degli autori dei messaggi, i curatori hanno chiesto di analizzare i messaggi ad un antropologo, una sociologa ed un linguista, rispettivamente Marco Aime, Donatella Della Porta, Lorenzo Coveri. I tre studiosi cercano di trarre dai messaggi indicazioni sulle caratteristiche del movimento che si è espresso nelle vie e nelle piazze di Genova, e (soprattutto Aime e Della Porta) di confrontare i movimenti di oggi coi movimenti di ieri (gli anni ’70).
Lorenzo Coveri sottolinea la dimensione internazionalistica del movimento: vi sono messaggi in molte lingue ed alcuni dialetti. I messaggi esprimono militanza politica, dall’immancabile “hasta la victoria siempre” a più originali “detournement alla maniera del maggio francese: “Lilliput lo ha dimostrato, eccetera”. (pag. 153) Nell’immaginario di chi ha lasciato i messaggi ci sono molti riferimenti musicali (De Andrè, Ligabue, Red Hot Chili Peppers, Ska-P, Meganoidi, Banda Bassotti, Desastre, Manu Chao, Punkreas), ma anche sportivi, cinematografici, letterari (Shakespeare, Rimbaud, Saint-Exupéry, Brecht, Pasolini).
Anche Donatella Della Porta evidenzia “la diversità di un movimento con tante anime, diversità ideologica e religiosa, generazionale ed etnica. La diversità dei riferimenti ideologici è testimoniata dalle tante tessere e simboli di appartenenza lasciate sulla cancellata (Cgil e Padre Pio, Giovani comunisti e giovani anarchici, ultrà del calcio e comunità religiose)”. (p. 150)
Secondo Marco Aime, “negli slogan, così come nei messaggi…si denota una maggiore attenzione all’individuo. Negli slogan di trent’anni fa, erano l’ideologia e il collettivismo a prevalere…c’è qualcosa di diverso nelle manifestazioni di oggi: l’ideologia non fa più capo a un partito, tantomeno a uno schieramento mondiale. Si parla più di ideali che di ideologia”. (p. 145).
Un’altra caratteristica dei movimenti di oggi, secondo Aime, sarebbe la prevalenza dell’individuo, con i propri bisogni, rispetto al ruolo sociale: “quel “ragazzo”, unico attributo che segue il nome, assume la valenza di un modo diverso di concepire la politica….la persona, l’individuo prevale sulla sua funzione, sul suo ruolo sociale e politico”. (p. 145)
Secondo Donatella Della Porta, una caratteristica comune a tutte le componenti di un movimento pur così composito, sarebbe il valore della nonviolenza: “le parole e le cose lasciate sulla cancellata di Piazza Carlo Giuliani testimoniano, innanzitutto, di un movimento che non celebra la violenza: fiori e cuoricini sono il simbolo dominante, assenti i fucili. Carlo è Carletto, o anche Carlettino, non “compagno Carlo”; è “sweet child”: non soldato, ma “dolce”, affettuoso, “tenero”…se negli anni settanta era diffusa, tra una generazione, l’idea che un nuovo mondo potesse arrivare dalla rivoluzione o dalla guerriglia, sulla cancellata di Carlo c’è scritto “Non sperate nella nostra violenza”. (p. 149)
Non convince però la metodologia del tentativo, sia di delineare le caratteristiche del movimento, sia di confrontare i movimenti di ieri e di oggi. Per delineare le caratteristiche di un movimento sociale, credo che sarebbe corretto considerare una pluralità di fonti (storiche, sociologiche). Utilizzare i soli messaggi per Carlo come fonti, non è sufficiente. Quantomeno, sarebbe stato opportuno che gli autori dei saggi specificassero che si tenta una interpretazione utilizzando solo fonti parziali.
Riguardo al confronto coi movimenti degli anni ’70, mancano i termini di paragone tra movimenti di oggi e di ieri, non essendoci alcun riferimento a casi di studio sulla memoria di militanti degli anni settanta morti in scontri di piazza. Marco Aime per confrontare i movimenti di oggi e di ieri dichiara esplicitamente di utilizzare come termine di paragone la propria memoria: “Per uno non più giovane, come chi scrive, il ricordo non può non correre agli anni settanta, quando gli scontri tra operai, studenti, gruppi contestatori e forze dell’ordine erano assai frequenti e spesso con esiti violenti. Lo scontro era previsto, organizzato, non un’eccezione” (p. 144). Utilizzare la propria memoria come fonte per la ricerca storica è certamente utile, ma non può essere esaustivo.
Uno studio approfondito avrebbe necessità di termini di paragone più documentati, evidenziando che le conclusioni cui si giunge sono basate esclusivamente sui messaggi originati da un lutto collettivo.
La parzialità dei messaggi come fonti per lo studio storico, sociale e politico del movimento che si è espresso a Genova, è invece opportunamente rilevata dai curatori, che evidenziano sì l’utilità, ma anche la parzialità dell’utilizzo dei messaggi: “siamo convinti che la loro raccolta e conservazione [dei messaggi] come fonte di studio sia utile per considerare i “fatti di Genova” del luglio 2001 da un particolare punto di vista, quello dei cittadini comuni”. (pag. 15)
Tale parzialità nulla toglie né all’utilità scientifica di queste fonti, né al valore affettivo e politico che possono avere per gli amici e i compagni di Carlo. L’Archivio ligure della scrittura popolare ha svolto un’opera meritoria più che mai ora, “dopo il forzato smantellamento dell’altare laico di piazza Alimonda avvenuto nel gennaio 2005, che ha ristabilito il decoro tanto caro a chi non ha tollerato in questi anni l’imbarazzo del ricordo, [divenendo] così il nuovo contenitore della memoria pubblica della morte di Carlo”. (pag. 15)
L’opera di raccolta e conservazione dei messaggi ha fatto sì che venga conservata la memoria di quanto accaduto in piazza Alimonda, una piazza dove, come disse Andreassi, vicecapo della polizia, alla commissione parlamentare d’inchiesta sul G8, “ci potevano essere più casi Giuliani”. Perché questo non accada più, è utile anche questo lavoro di conservazione della memoria. Per chiedere ancora, come scrive Antonio Gibelli nell’introduzione, verità e giustizia.