Non solo le elezioni del 13 maggio del 2001 hanno consegnato al centro destra la maggioranza dei voti nei collegi e dei seggi parlamentari, hanno anche destrutturato e resa incerta la linea politica dell’opposizione, vale a dire le forze dell’Ulivo uscite battute elettoralmente e politicamente. In una situazione caratterizzata dall’ebbrezza della vittoria di Silvio e company e dall’amarezza degli sconfitti, impegnati ad attribuirsi colpe e ferite subite dai loro corpi politici, una nota di speranza e di positività è venuta dallo sviluppo e dalla crescita del movimento antiglobalizzazione che ha raggiunto, in Italia, il suo zenit con le manifestazioni di luglio a Genova contro il G8. Questo movimento è uno dei punti trattati direttamente o indirettamente nei capitoli dei due libri considerati. Aguiton vi dedica l’intera seconda parte nella quale esamina la globalizzazione dei movimenti sociali all’interno del nuovo contesto mondiale, per segnalare il carattere inedito del percorso in atto, messo a confronto, spesso, con la stagione dei movimenti degli anni Sessanta e Settanta. Nuovi e vecchi soggetti sociali, politici, sindacali, di generazione e di genere, sono trattati e considerati quali elementi costitutivi del movimento no-global e delle sue culture politiche plurime, differenti, contaminate e contaminanti, e della sua struttura organizzativa a rete, per gruppi d’affinità, orizzontale più che verticale, che sembra prefigurare un modello d’organizzazione diverso da quello dei partiti e dei sindacati novecenteschi.
Tra gli attori del movimento, l’autore dedica un intero paragrafo alla radicalizzazione giovanile che ha costituito una delle componenti principali del movimento antiglobalizzazione. Come ha scritto Giulietto Chiesa (G8/Genova, Einaudi, 2001) la comparsa di un nuovo movimento, composto di tanti giovani, dopo anni d’assenza di un protagonismo giovanile partecipativo e diretto, è da salutarsi come una buona notizia, perché apre una “nuova fase di possente risveglio della politica”. Com’era già accaduto nel ’68, la contestazione odierna è nuovamente un fenomeno che attiva i giovani. Secondo una ricerca svolta tra i partecipanti alle manifestazioni di Genova il 19,8% aveva meno di 21 anni e il 50% aveva un’età compresa tra i 21 e i 29. Di questi giovani il 47,6% aveva già partecipato in passato a manifestazioni di questo tipo, mentre per il 52,4% Genova era la prima esperienza (Massimiliano Andretta, Lorenzo Mosca, Il movimento “no global”: chi sono i protagonisti delle giornate di Genova?, «Il Mulino», n. 5, 2001).
Un dato che stupisce e che segnala un’inversione di tendenza repentina, se si pensa che in precedenza la partecipazione politica dei giovani non rilevava dati e cifre particolarmente interessanti. Infatti, i giovani, nei decenni precedenti, avevano vissuto con sofferenza e disillusione il rapporto con la politica. Diverse ricerche sociologiche evidenziavano negli anni trascorsi un progressivo distacco dei giovani dalla politica, intesa sia come valore di riferimento e sia come ambito d’impegno e di partecipazione attiva. Nel movimento, criticando il “fare” tradizionale della politica, i giovani ritrovano e riscoprono un impegno e una partecipazione che appaiono incomprensibili e impolitici a chi, inserito negli ambiti partitici e istituzionali, si è ormai abituato, per dirla con Max Weber, a vivere di politica e non per la politica. Chi si è recato a manifestare a Genova, nutriva scarsa fiducia nelle istituzioni governative, nei partiti di governo e anche in quelli di opposizione, ad eccezione di Rifondazione Comunista. Secondo i dati di un’inchiesta svolta tra quei manifestanti, il 37% dichiarava di collocarsi all’estrema sinistra, il 54% a sinistra e il 7% al centro sinistra. Solo il 9% indicava i DS come partito considerato più vicino alle loro posizioni politiche, contro un 17,9% che non indicava preferenze e un 57% che si riconosceva in Rifondazione Comunista (Donatella della Porta, Herbert Reiter, Protesta no global e ordine pubblico, «Il Mulino», n. 5, 2001). Evidentemente questi ultimi dati segnalano le difficoltà nelle quali si sono trovate le forze del centro sinistra rispetto alle manifestazioni di Genova e, in particolare, i tentennamenti e le continue inversioni di marcia operate dalla direzione dei Democratici di sinistra rispetto alla partecipazione o meno. Tuttavia non si tratta solo di un dato momentaneo, raccolto in una piazza nella quale, per tante ragioni, i DS e gli altri partiti del centro sinistra non c’erano o erano scarsamente rappresentati; esprimono malesseri più profondi che operano da tempo separando questo schieramento politico dai giovani che decidono di “fare politica”, i quali non scelgono quel partito e il centro sinistra come referente. Così il movimento che contesta la globalizzazione capitalistica si presenta come l’unico soggetto in crescita, capace di coinvolgere frazioni consistenti di giovani. L’origine del malessere è precedente a Genova e risente del fatto che per troppo tempo i partiti dell’Ulivo non hanno mai criticato gli Stati Uniti, la Banca Mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio. Mentre i movimenti si costituivano e si mobilitavano contro le conseguenze della globalizzazione liberista, quei partiti politici, presi dal gioco di essere forze di governo, tendevano a considerare i vincoli della globalizzazione come dati inamovibili, oggettivi, tecnicamente condivisibili.
I dati recentemente raccolti nell’ambito di un’inchiesta condotta dal gruppo Itanes (Italian national election studies) sui risultati elettorali del 13 maggio 2001 consegnano una tipologia del voto suddivisa anche per classi generazionali. Ciò che sorprende è la generazione dei 18-24-enni, quella che si è appena affacciata sulla scena della politica. Questa generazione nuovissima rompe con quella tradizione di centro destra tipica dei loro coetanei appena un po’ più adulti. Soprattutto se dividiamo gli studenti dai non studenti (occupati, disoccupati) emerge un comportamento elettorale, da parte di chi è studente, propenso verso la sinistra, mentre i non studenti sono più vicini al centro destra e sono anche meno interessati alla politica.
Comune a tutti è l’ostilità verso i partiti in genere, compreso chi s’interessa di politica: “non considerano i partiti come uno strumento rilevante per la partecipazione politica”, scrivo due sociologi, Roberto Cartocci e Piergiorgio Corbetta sul n. 5 del 2001 della rivista «Il Mulino». Sfuggono a questo giudizio negativo e godono di popolarità, tra questi giovani studenti orientati a sinistra, Rifondazione comunista (doppio dei suffragi rispetto alla media) e la Margherita, formazione politica che appare meno strutturata del “partito” Democratici di Sinistra. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di discontinuità generazionale – i ventenni d’oggi esprimono una sensibilità politica diversa dai trentenni - e ad una contrapposizione intergenerazionale, in quanto si verifica una frattura nel mondo dei giovanissimi a secondo della loro collocazione sociale: gli studenti esprimono orientamenti prevalentemente di sinistra i non studenti, no. Questi studenti ventenni, che dimostrano affinità di orientamenti e sensibilità politiche che li avvicinano alla generazione dei 45-54enni, sono, in termini demografici, i loro figli, i “figli dei figli dei fiori, i nipotini del sessantotto”, li chiamano i ricercatori del gruppo Itanes nel libro.
Una fetta di quella generazione sembra sia riuscita a trasmettere parte della sua tensione ideologica e partecipativa alla generazione dei 18-25 anni, che è quella che ha avuto i genitori maggiormente politicizzati e, quindi, è cresciuta in un clima familiare più impegnato politicamente e più di sinistra. Anche quelli che non sono studenti ed esprimono un orientamento politico favorevole al centro destra, sono figli di quella stessa generazione ma, in questo caso, su di loro sembra riverbarsi maggiormente l’influenza della provenienza sociale e dello status professionale.
L’uso della categoria di “figli dei figli dei fiori” concorre a spiegare la ragione della maggior politicizzazione a sinistra di strati di giovanissimi studenti ma non deve essere troppo generalizzata, in quanto “i nipotini del ‘68” sono anche la prima generazione post comunista, hanno vissuto e vivono cioè un contesto storico, sociale, relazionale e affettivo imparagonabile con quello dei loro genitori “sessantottini”. Per parecchi di loro termini quali “sinistra” e “centro sinistra” hanno “un senso stanco, di cose ammuffite, di talk-show”, sono concetti privi di idee e di ideali, aspetti, invece, di cui amerebbero sentir parlare, così ha scritto recentemente Giulietto Chiesa su «La Stampa» del 18 gennaio.
In generale, si tratta di una generazione di giovanissimi e di adolescenti che cresce in un clima storico politico nel quale il peso delle ideologie e le contrapposizioni ideologiche non sono paragonabili a quelle del Novecento. I luoghi di formazione di questa nuova generazione sono diversi da quelli dei primi decenni del secondo dopoguerra. Eugenio Scalfari, in un articolo comparso l’11 marzo del 2001 su «Repubblica» rinfacciava loro l’ “apatia”, la “noia”, il disinteresse per la politica contrapponendoli, con una certa nostalgia, a quei ragazzi che “oltre a discutere di politica in famiglia ed anche a scuola, avevano i loro punti di aggregazione in luoghi eminentemente politici, quali la FGCI, le associazioni cattoliche, i movimenti studenteschi”, i gruppi extraparlamentari, le porte e i cancelli delle fabbriche, le sezioni di partito. E’ evidente che tutto questo non c’è più o ha un’incidenza quasi insignificante sulla socializzazione giovanile. Altri sono oggi i luoghi del confronto e della socializzazione giovanile, primi fra tutti i concerti la discoteca, il tifo calcistico. In questi spazi collettivi si ritrovano, si frequentano tra eguali. Sono luoghi di cui da anni si riconosce l’importanza associativa e integrativa. Da sempre, ad esempio, la musica e il ballo sono elementi di socializzazione e di integrazione. I concerti e le discoteche oggi assolvono questo compito e sono diventati i luoghi dove migliaia e migliaia di giovani s’incontrano costituendo delle comunità fondate sul bisogno di evadere, di rompere la monotonia quotidiana. I giovani che frequentano questi diversi luoghi di socializzazione sono oggi in grado di riconoscersi fra di loro ma ancora non si parlano, come ha fatto notare Giovanni De Luna cogliendo un’immagine significativa, quella dell’arrivo del treno da Genova che riportava a casa i giovani che avevano manifestato contro il G8, la mattina del 22 luglio, alla stazione di Torino Porta Nuova, mentre partivano i giovani che avevano assistito al concerto degli U2; “erano migliaia da una parte e dall’altra, sapevano gli uni degli altri: si sono incrociati, si sono guardati, non si sono parlati”(«La Stampa», 19 agosto 2001). Così come gli studenti o viceversa i giovani lavoratori o disoccupati si riconoscono come coetanei, ma ancora non si parlano in quanto separati da una divisione di mentalità e di comportamento politico che sembra più appartenere ai genitori che a loro.
Diego Giachetti