COMMISSIONE D'INDAGINE
Seduta 09 - 06 Settembre 2001
Audizione del ministro della  giustizia, Roberto Castelli. 
            PRESIDENTE. L'ordine  del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti un  occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del ministro della  giustizia, senatore Roberto Castelli. Ricordo che l'indagine ha natura  meramente conoscitiva e non inquisitoria. 
            La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete  previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la  resocontazione stenografica della seduta. 
            La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il  Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito  chiuso che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in  separati locali. 
            Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a  circuito chiuso. 
            Comunico che il ministro Castelli chiede di essere accompagnato dal dottor  Stefano Simonetti. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito. 
            Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura  meramente conoscitiva e non inquisitoria. 
            La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete  previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la  resocontazione stenografica della seduta. 
          La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il  Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito  chiuso che consenta alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in  separati locali. 
            
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                      Poiché non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo  a circuito chiuso. 
            La ringraziamo, ministro Castelli. So che lei ha preparato una relazione; se lo  ritiene, può darne lettura e depositarne copia agli atti del Comitato. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, prima di  cominciare l'esposizione dei fatti avvenuti durante i giorni del G8, vorrei  fare una doverosa precisazione. In questa sede mi riferirò esclusivamente alle  vicende che hanno chiamato in causa direttamente le competenze del Ministero  della giustizia, quindi soltanto a fatti sostanzialmente legati  all'espletamento delle pratiche inerenti alla presa in carico e alla successiva  traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte in arresto nel corso  delle manifestazioni di Genova. Devo dire che le questioni di ordine pubblico  legate al vertice erano all'ordine del giorno del Governo già da tempo, ben  prima dell'insediamento del nuovo esecutivo. Era, infatti, presumibile che ci  sarebbero stati problemi legati alla sicurezza. I precedenti vertici  internazionali, infatti, avevano messo in luce l'esistenza di gruppi e frange  estremiste inclini all'uso della violenza nel corso delle manifestazioni di  piazza. A tal proposito ricordo che, già nel mese di maggio - quindi con il  Governo precedente -, durante una riunione operativa riguardante il G8, era  stata discussa e predisposta la costituzione di almeno una postazione in città  per la consegna degli arrestati dalla polizia penitenziaria e per la successiva  traduzione verso le carceri di Alessandria e Pavia o, in alternativa, a  Voghera. 
          Questa postazione che, ripeto, è stata voluta dal precedente Governo, è poi  stata identificata nell'ex caserma di Bolzaneto. Nelle settimane precedenti il  vertice, a pochi giorni dal mio insediamento, ho voluto seguire i preparativi  per la parte di 
            
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          competenza del mio  dicastero. Voglio ricordare che l'allarme, nei giorni precedenti al summit,  riguardava anche un'altra questione molto importante, ossia l'eventualità di  rivolte all'interno del carcere in concomitanza con il vertice. Anche se ciò  non è accaduto, le possibili sommosse nel penitenziario hanno rappresentato uno  dei problemi da affrontare concretamente, oltreché un elemento di ulteriore  tensione e preoccupazione. 
            In data 27 giugno, presso il Ministero della giustizia, ho convocato una  riunione a cui hanno partecipato il mio segretario particolare, dottor Stefano  Simonetti, i vertici del Dipartimento amministrativo penitenziario, nelle  persone di Paolo Mancuso ed Emilio Di Somma, il consigliere Alfonso Sabella, il  presidente del tribunale di Genova Antonino Di Mundo, il presidente della  sezione GIP, dottor Giovannni Battista Copello, il procuratore generale della  Repubblica di Genova Nicola Marvulli ed un dirigente del Ministero  dell'interno, il dottor Luperi. 
            Nel corso di quell'incontro si parlò soprattutto dei problemi organizzativi e  gestionali nell'eventualità di un alto numero di arresti in occasione del G8.  Tra l'altro, in quell'occasione appresi che, almeno informalmente, erano già  state individuate le strutture di Bolzaneto e di Forte San Giuliano come  destinazioni verso le quali sarebbero stati indirizzati i fermati. Furono  affrontati molti dettagli organizzativi come la valutazione dei percorsi da far  compiere agli automezzi. Si studiavano, infatti, le strade per i percorsi dei  mezzi destinati alle traduzioni. Fu deciso, addirittura, di approntare alcune  motovedette della polizia penitenziaria nel caso le strade si fossero rivelate  inagibili, per i tumulti o per questioni legate alle manifestazioni. 
            
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                      La preparazione del vertice, nell'ambito delle nostre competenze, è stata  condotta dal punto di vista operativo dal Dipartimento dell'amministrazione  penitenziaria, ma, per quanto mi riguarda, ho voluto essere costantemente  aggiornato sugli sviluppi dell'organizzazione. Cito a questo proposito - è agli  atti - la relazione del consigliere Sabella sulle misure predisposte in vista  del G8 e un successivo appunto preparato su mia richiesta dal vicecapo del  dipartimento Emilio Di Somma in data 12 luglio in cui si illustravano i  dettagli tecnici dell'operazione in corso e di quelli in programma per i giorni  del G8. E, ripeto, si prevedeva un numero piuttosto consistente di arrestati e,  quindi, di detenuti. 
            Il contenuto delle relazioni è già stato anticipato in questa stessa sede dal  consigliere Alfonso Sabella e dal dottor Di Somma e, quindi, ritengo di  soprassedere alla lettura dei due appunti che posso lasciare a disposizione. 
            Arriviamo ai giorni del G8 e, come tutti sappiamo, l'avvio del vertice di  Genova è coinciso fin da subito con l'inizio degli scontri di piazza. Le  previsioni pessimistiche della vigilia, relativamente all'ordine pubblico, si  sono puntualmente verificate. Come sappiamo, purtroppo, gli incidenti hanno  registrato nella giornata di venerdì 20 luglio la morte di Carlo Giuliani. 
          Ho seguito gli accadimenti sia attraverso il racconto delle agenzie di stampa e  delle televisioni sia tenendomi in stretto contatto con gli uomini del DAP  incaricati di coordinare le operazioni di nostra competenza. In questo modo,  verso le 15 di venerdì, ho potuto apprendere che il carcere di Marassi era  stato oggetto di un attacco da parte dei manifestanti che hanno lanciato una  bomba Molotov contro il portone del penitenziario - tra l'altro senza grosse  conseguenze - mentre invece 
            
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          un'altra bomba  lanciata all'interno dell'ufficio ha provocato notevoli danni, come, poi, ho  potuto verificare in seguito. 
            Anche durante la giornata di sabato 21 ho seguito gli avvenimenti tenendomi in  stretto contatto con gli uomini impegnati a Genova e, lo ripeto, attraverso i  miei collaboratori mi tenevo costantemente aggiornato sul numero degli  arrestati e sull'andamento delle operazioni necessarie per la loro  immatricolazione e traduzione. A questo proposito, apro una parentesi per dire  che il piano che almeno secondo noi, avrebbe funzionato nel migliore dei modi  era stato dimensionato consentitemi questo termine ingegneristico per poter  recepire un massimo di 600 o 700 fermati che ritenevamo fosse un numero - come  poi in effetti si è dimostrato - conservativo rispetto alla realtà. 
            È però chiaro che, considerati gli accadimenti che stavano avendo luogo c'era  la preoccupazione che questo numero potesse aumentare e, quindi, che il piano  stesso potesse in qualche modo cadere in difetto. La preoccupazione, infatti,  era che il piano predisposto in precedenza per far fronte all'emergenza tenesse  nonostante la gravità della situazione che si stava verificando a Genova. Nel  tardo pomeriggio di sabato 21, proprio a fronte di questa grande tensione e di  questi avvenimenti, ho pensato che fosse opportuno dare agli uomini della  polizia penitenziaria impegnati a Genova un segno concreto di vicinanza e di  sostegno in una situazione per loro tanto difficile anche, e soprattutto, alla  luce dell'assalto che era stato messo a segno a Marassi. 
            Ho ritenuto che partire nel pomeriggio, quando ancora non era buio e la  giornata vedeva ancora scontri e disordini sulle strade, sarebbe stato poco  prudente, e la mia presenza, anziché di conforto, avrebbe potuto creare  intralcio al lavoro degli agenti. Ho deciso, dunque, di rimandare alla serata  non tanto 
            
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          la partenza quanto la  decisione di una mia eventuale visita a Genova. Vorrei sottolineare che ho  rimandato la decisione alla serata per dire che il preavviso del mio arrivo a  Genova è stato molto limitato. 
            La sera del sabato mi trovavo a Sirtori, un paese in provincia di Lecco, ospite  di alcuni amici, e soltanto in quel momento ho comunicato agli uomini impegnati  a Genova la mia decisione di partire e la mia destinazione, ovvero il carcere  genovese di Marassi. Ho fatto telefonare a Genova, intorno alle 22, sono  partito con il dottor Simonetti e la scorta e siamo giunti a Genova intorno  alle 0,15 - 0,30 della notte tra sabato 21 e domenica 22. Lo ripeto, il mio  obiettivo era Marassi. Perché Marassi? Perché da quando sono diventato ministro  ho continuato a ricevere notizie di possibili sommosse all'interno dei  penitenziari e queste segnalazioni erano particolarmente allarmanti nelle  settimane precedenti il vertice G8, dunque la preoccupazione era che in  concomitanza con il G8 potessero verificarsi anche delle sommosse nelle  carceri. 
            A Marassi ho incontrato il generale Mattiello, capo dei gruppi operativi  mobili; il generale Claudio Ricci, caporeparto traduzioni; il direttore del  carcere, Manes; il comandante della polizia penitenziaria di Marassi, ispettore  superiore Antonio Chessa, e dopo circa mezz'ora è giunto anche il consigliere  Sabella. 
            Durante il sopralluogo nella struttura penitenziaria mi sono reso conto dei  danni subiti durante l'attacco di venerdì pomeriggio. Il portone recava qualche  danno ma, soprattutto, c'era un ufficio seriamente danneggiato da una Molotov e  devo dire che se non vi sono stati feriti è dovuto soltanto al fatto che in  quel momento, come mi è stato riferito, l'ufficio era vuoto. 
            
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                      Ho visitato il carcere, dove ho trovato una situazione tranquilla, data anche  l'ora, evidentemente, ma mi è stato assicurato che anche durante il giorno la  situazione era stata tranquilla per quanto riguarda il clima all'interno del  carcere. Mi sono trattenuto con il personale discutendo di problemi legati alla  struttura penitenziaria; in quel momento la visita è diventata una sorta di  visita di routine alle carceri. 
          A questo punto vorrei citare un episodio che mi servirà, in seguito, per  illustrare una certa atmosfera che incontro sempre durante le mie visite: un  giovane agente della Polizia penitenziaria mi si è avvicinato e mi ha invitato  a visitare gli alloggi in cui erano sistemati gli uomini della Polizia  penitenziaria, non di stanza a Genova, ma lì inviati per far fronte alle necessità  connesse al G8, per mostrarmi che si trattava di alloggi non all'altezza della  situazione. Ho visto uno stanzone dove erano alloggiati addirittura in 16 e mi  è stato riferito che si trovavano in quella situazione già da 20 giorni. Questo  mi ha convinto, ancora di più, della bontà della mia decisione di essere andato  a sostenere queste persone impegnate in un duro compito, in situazioni  difficili. Con questo giovane sono stato, tra l'altro, un po' burbero: ricordo  di avergli detto che non si può iniziare a lamentarsi già a 20 anni, e ricordo  di aver fatto una battuta dicendo che prima dei 45 anni non si ha il diritto di  lamentarsi perché bisogna fare la gavetta. Lo dissi per sdrammatizzare un po'  la situazione. Ci tengo a ricordarlo perché, come ribadirò in seguito, gli  uomini della Polizia penitenziaria hanno fatto veramente grandi sacrifici sia  durante la preparazione sia durante le giornate del G8. Tra l'altro, ricordo  che quando ho salutato i presenti, ho fatto una breve allocuzione al termine  della mia visita, ho detto che la mia presenza quella sera a Marassi aveva,  esclusivamente, il senso di testimoniare agli uomini della Polizia il sostegno 
            
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          personale del ministro  in un momento così impegnativo. Un agente - se ricordo bene faceva parte di un  sindacato - mi ha detto che stava lavorando da moltissimo tempo senza  interruzioni, come del resto molti dei suoi colleghi, ma che per andare avanti  sarebbe bastata una pacca sulla spalla, cioè qualcuno che riconoscesse  l'utilità del loro lavoro. Credo che in questo episodio si riconosca veramente  lo spirito per cui mi sono recato a Genova, per dare, metaforicamente, una  pacca sulla spalla agli uomini della Polizia penitenziaria impegnati in quel  durissimo compito. 
            A questo punto vorrei interrompere per un momento l'esposizione dei fatti per  svolgere una mia considerazione. Mi dispiace di aver ascoltato o letto, mi pare  anche in questa sede, giudizi molto severi sul personale della Polizia  penitenziaria impegnato a Genova; mi dispiace perché si tratta di donne e  uomini che hanno svolto il loro compito con grande impegno e serietà lavorando  in condizioni molto difficili dal punto di vista materiale e psicologico. Ci  sono agenti che hanno lavorato per molte ore consecutive per far fronte  all'emergenza di quei giorni mantenendo sempre un atteggiamento professionale e  rispettando la dignità delle persone arrestate. Forse si sono registrati  singoli episodi di intolleranza (arriveremo anche a questo punto) ma  criminalizzare tutti gli agenti che hanno lavorato a Genova mi sembra  profondamente ingiusto. Si tratta di lavoratori - mi riferisco particolarmente  a lei, onorevole Soda, che ha usato molte volte il termine lager .... 
            ANTONIO SODA. Mi  riferivo anche alle condizioni in cui ha messo i suoi agenti. Lei ha costituito  dei lager anche per gli agenti: 16 in una stanza! 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Guardi che per fare un lager ci vogliono anche le  persone e i lager sono tali se ci sono dentro i nazisti. Questo sia  chiaro! 
            ANTONIO SODA. Se vuole  polemizzare ..... 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, la prego, facciamo finire l'esposizione al ministro. 
            ANTONIO SODA. Lei è un  ministro della Repubblica! 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, il ministro ha fatto riferimento da una sua affermazione. Credo sia  legittimo. 
            ANTONIO SODA. Se fa  riferimento a me ..... 
            PRESIDENTE. No, non a  lei, ad una sua dichiarazione che credo risulti agli atti. Credo che il ricordo  di quella dichiarazione non sia un fatto offensivo. Lei credo si assuma la  responsabilità di ciò che ha detto. 
            ANTONIO SODA. Le  affermazioni che ha fatto confermano l'incapacità di gestire ..... 
            PRESIDENTE. Poi gli  faremo le domande. Ma nella narrativa credo che la citazione sia legittima. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Scusate, io sono venuto qui, volentieri ..... 
            ANTONIO SODA. Il  ministro deve riferire dei fatti e non polemizzare. 
            PRESIDENTE. Il  ministro sta riferendo dei fatti, non sta polemizzando. 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Se posso proseguire .... 
            ANTONIO SODA. Non si è  mai visto che il Governo censuri il Parlamento! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della Giustizia. Non censuro nessuno, ma credo di avere il diritto di  rispondere ad alcune accuse precise che risultano agli atti. Dichiaro che per costituire  dei lager ci vogliono anche i nazisti. Le posso garantire che gli uomini  della Polizia penitenziaria sono molto lontano dall'essere nazisti. Se la pensa  diversamente, ne prendo atto, è suo diritto. Sono persone che hanno affrontato  con grande professionalità ed impegno il loro compito, andando avanti per  giornate intere in condizioni molto difficili, ottemperando al loro dovere e  non aguzzini al lavoro in un lager. Ci tengo a precisare ciò e credo di  averne tutto il diritto ed il dovere. 
            ANTONIO SODA. Precisi  anche che ... 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, non le posso consentire di interrompere qualsiasi persona. 
            ANTONIO SODA. Il  dibattito... 
            PRESIDENTE. Il  dibattito si svolgerà dopo. 
            ANTONIO SODA. Siccome  ha riferito a me la parola lager... 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, la prego, lo dirà quando chiederà la parola... 
            ANTONIO SODA. Ho  ripreso la parola usata dall'onorevole Mancuso... 
            
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          PRESIDENTE. Onorevole  Soda, la invito a non interrompere. 
            ANTONIO SODA. Intanto  chiariamo i fatti, presidente. 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, la invito per l'ennesima volta a fare silenzio. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Posso continuare? 
            LUCIANO FALCIER.  Abbiamo sopportato le offese di Casarini! 
            PRESIDENTE. Onorevole  Falcier, non cominci anche lei. Siamo nel corso di un'audizione: se ognuno di  noi dice quello che pensa a voce alta, credo non si renda un buon servizio.  Scusate, cerchiamo di far terminare il ministro. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Torno alla notte di domenica. Circa all'1,15 è terminata  la mia visita a Marassi, ma prima di lasciare il carcere qualcuno, non ricordo  chi, mi ha suggerito di visitare anche Bolzaneto, dove si trovavano gli agenti  impiegati ormai da due giorni nel difficile lavoro di espletamento delle pratiche  di immatricolazione e traduzione degli arrestati. Era una visita assolutamente  non programmata, ma ho deciso di andare lo stesso per incontrare anche quegli  agenti. 
            Il tragitto tra Marassi e Bolzaneto è stato leggermente più lungo del  necessario perché volevo rendermi conto delle condizioni della città dopo due  giorni di aspri scontri di piazza. Abbiamo pertanto deviato verso corso Italia,  che è il lungomare di Genova, dove ho potuto verificare con i miei occhi le  devastazioni che hanno colpito la città. Dopo circa 15 
            
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          o 20 minuti di  tragitto, intorno all'1,30 di notte, abbiamo raggiunto la struttura di  Bolzaneto. All'interno della caserma di Bolzaneto erano impegnati agenti di  diverse forze di Polizia. Torno a quanto ho dichiarato all'inizio: era evidente  che mi trovavo lì solo ed esclusivamente per quanto riguardava la Polizia penitenziaria e  quindi non volevo assolutamente, in alcun modo, dare l'impressione di  interferire con altre forze dell'ordine che non fossero, diciamo, sotto la mia  responsabilità. Su mia esplicita richiesta, ho voluto visitare soltanto la  parte della caserma gestita dagli agenti della Polizia penitenziaria. Credo sia  un fatto molto importante, un punto fondamentale, almeno per quanto riguarda la  mia esperienza. 
            L'ex caserma di Bolzaneto, come è noto e come è stato detto più volte, ospitava  l'ufficio matricola per l'immatricolazione delle persone ivi condotte dalle  altre forze dell'ordine, nonché un'area sanitaria per la visita medica di primo  ingresso e per eventuali medicazioni d'urgenza. Complessivamente, a Bolzaneto  sono state immatricolate 222 persone. Ricordo peraltro che una struttura  analoga era stata allestita nella palazzina logistica della caserma dei  Carabinieri di Forte San Giuliano, dove le persone immatricolate sono state  invece 57. Il numero totale è rimasto largamente all'interno di quel numero  prudenziale che avevamo ipotizzato in circa 600 o 700 persone. 
            A questo proposito, ripeto che la decisione di attivarle è stata presa dal  precedente Governo, mentre l'atto formale della loro costituzione è contenuto  in un mio decreto del 12 luglio 2001. Tale decreto - ribadisco - non  formalizzava l'istituzione di alcun lager o mostro: per me sarebbe  facile troncare ogni polemica e zittire chi ha utilizzato quelle parole,  ricordando che la responsabilità politica di quella scelta appartiene ai  ministri del vecchio Governo di centrosinistra; 
            
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          credo però che  renderei un cattivo servizio alla realtà dei fatti. Mi assumo la responsabilità  - ripeto, mi assumo la responsabilità - di aver firmato un decreto che,  attraverso l'attivazione delle strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano,  metteva semplicemente a disposizione degli agenti della Polizia penitenziaria  gli spazi necessari per le pratiche burocratiche e le visite necessarie prima  della traduzione degli arrestati. 
            Chi ha parlato di lager, ha parlato a sproposito, visto che l'esperienza  dei campi nazisti e di quelli sovietici, i famigerati gulag, è lontana  anni luce dalla pur concitata atmosfera di Bolzaneto dove, in condizioni  difficili, gli agenti svolgevano il proprio dovere e dove, se da una parte può  essersi verificata qualche scorrettezza da parte di singoli, si sono registrati  gesti di solidarietà, al punto che gli stessi agenti sono stati lodati da  un'addetta del consolato americano che ha visitato una cittadina statunitense  detenuta a Bolzaneto. Devo dire che le strutture, come era previsto, sono state  prontamente smantellate. 
            Vorrei sottolineare un altro aspetto riguardo a questa questione: stiamo  discutendo sempre di cosa è successo, ma proviamo a discutere di ciò che non è  successo, di quello che è stato evitato. Immaginiamo che queste strutture non  fossero state create, che tutti i fermati fossero stati portati a Marassi, un  carcere in pieno centro urbano che in quei giorni era circondato dai  manifestanti ed addirittura fatto oggetto di attacchi incendiari. La scelta di  tenere i fermati all'interno di Marassi, con i loro compagni tutti intorno al  carcere, si sarebbe potuta rivelare una miscela esplosiva, anche alla luce - lo  ripeto - degli allarmi su possibili rivolte dentro le carceri. Proviamo ad  immaginare questo scenario e poi proviamo a trarne le conseguenze. Sono  convinto che tra tutti i mali sicuramente abbiamo scelto il minore. 
            
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                      Anche se questa scelta è stata compiuta dal precedente Governo, me ne assumo la  responsabilità perché, dal punto di vista tecnico, la condivido: lo dico  chiaramente, senza alcun infingimento e senza alcuna fumosità. Proprio per  questi motivi ho ritenuto di avallare con il mio decreto la decisione presa da  chi veniva prima di me. 
            Tornando alla mia visita - che, ripeto, si è limitata alla porzione della  caserma gestita dagli uomini del mio ministero - posso riferire di aver visto  alcune persone che stavano in piedi con le gambe allargate e la faccia contro  il muro. C'era un'unica cella, per quello che ho visto io, perché l'altro  spazio era riservato ai Carabinieri e quindi non ci sono andato perché non era  di mia competenza. 
            PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE  GIAN FRANCO ANEDDA 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Nella cella che ho visto c'erano una decina di uomini, di  ragazzi, da una parte, con un agente della Polizia penitenziaria all'interno,  ed una ragazza, dall'altra parte, in quell'atteggiamento che ho dichiarato e  che, in qualche modo, mi ha un po' stupito; quindi ho chiesto come mai fossero  in quella posizione, rivolti verso il muro, in piedi. Mi è stato risposto -  leggo - che avevano fatto così per evitare il pericolo che gli uomini potessero,  in qualche modo, dar fastidio alla ragazza. Questa è stata la risposta  dell'agente che si trovava nella cella insieme ai fermati. 
          Non ho assistito a pestaggi o a scene di violenza, non ho visto persone in  condizioni precarie di salute. Ricordo che c'era una persona seduta, questa sì,  con una caviglia fasciata ma in atteggiamento tranquillo. Nel corso della mia  visita ho parlato con un medico e con uno dei fermati. Il medico mi ha 
            
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          detto di aver curato  alcuni feriti, ma si riferiva agli scontri di piazza. Il giovane fermato, con  cui ho avuto un breve dialogo, mi ha detto di essere un ragazzo pugliese (non  ricordo più se mi disse che era di Lecce o di Bari). Mi ha detto di essere uno  studente di un istituto tecnico, aveva un aspetto normale, non era ferito e  chiaramente non aveva un atteggiamento felice, come potete immaginare; nemmeno  lui ha denunciato maltrattamenti o episodi di violenza. 
            Non ho avvertito alcun odore particolare, né di urina né di feci; non ho  nemmeno avvertito odore di detersivi o altro, che sarebbero stati necessari se  qualcuno avesse voluto ripulire l'ambiente in fretta e furia prima del mio  arrivo, come ho letto su alcuni giornali. Ritengo, tra l'altro, che non ci  sarebbe stato nemmeno il tempo di sistemare le cose, visto che la decisione di  visitare anche Bolzaneto, oltre a Marassi, è stata presa all'improvviso. Ho  visto inoltre, oltre a quanto già detto, il materiale sequestrato ai  manifestanti: un ammasso di sbarre di ferro, caschi, elmetti, maschere antigas,  una mazza dal peso di molti chili - che era un'arma sicuramente molto  pericolosa -, un estintore ed alcuni scudi. 
            Una volta uscito dalla caserma ho parlato con un agente della Polizia di Stato  che mi ha raccontato di una guerriglia condotta da professionisti in città;  come tutti gli altri agenti che ho visto, mi sembrava assolutamente normale,  certamente molto stanco ma all'apparenza né drogato, come ho letto su molti  giornali, né eccitato. 
            Non ho visto assolutamente agenti fuori di sé, come invece è stato raccontato,  bensì persone impegnate in un duro lavoro. Ho lasciato Bolzaneto intorno alle  2,00 per fare rientro alla mia abitazione e aggiungo che della perquisizione  alla scuola Diaz ho avuto notizia soltanto il giorno successivo dai mass-media. 
            
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                      La mia visita a Bolzaneto è durata dall'1,35 circa alle 2,00 della notte tra  sabato e domenica. Ho visto, ripeto, una situazione tutto sommato normale,  tenendo ovviamente presente il contesto di quei drammatici momenti. 
            A seguito di alcuni articoli apparsi sulla stampa nazionale, in data 26 luglio  ho convocato presso il Ministero un vertice con il responsabile del DAP  disponendo immediatamente l'avvio di un'indagine interna su quanto accaduto a  Genova, per quanto di competenza degli uomini del dipartimento. Questa indagine  è stata formalmente avviata con decreto del 2 agosto, perché in quella data si  è insediato il nuovo responsabile del DAP, il dottor Tinebra, avendo noi  preferito che fosse il nuovo responsabile a dare avvio all'indagine. 
          Prima di terminare il mio intervento, vorrei fare una riflessione. Da quando  sono ministro, ogni volta che visito strutture di competenza del DAP, vengo  fermato da persone che ci tengono ad esporre personalmente i problemi che  incontrano nel loro lavoro. In proposito, ricordo quanto detto all'inizio della  mia relazione a proposito di quel giovane agente che ha voluto farmi vedere che  stavano lavorando in condizioni non ottimali. Pertanto, è accaduto anche quella  sera che qualcuno avesse qualche lamentela da esporre al ministro. Mi domando:  è mai possibile che durante la visita del ministro a Bolzaneto, nessuno si sia  fatto avanti per lamentarsi e per denunciare pestaggi e violenze? Nessuno mi ha  fermato per dirmi quanto ho letto successivamente sui giornali. Non so dire se,  e in quale misura, i racconti raccolti dalla stampa siano fasulli o meno, ma so  solo che una delle testimonianze che abbiamo raccolto è di una persona che dice  di avermi visto quella notte a Bolzaneto. Peccato che dal verbale risulta  essere 
            
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          uscita dalla caserma  alle ore 0,45, mentre io sono arrivato all'1,30 circa: dico questo per  dimostrare come alcune testimonianze siano inattendibili. 
            Proprio ieri mi è pervenuta una prima relazione da parte della commissione  d'inchiesta da me attivata, della quale vorrei leggervi la premessa e le  conclusioni: sono tre pagine. Si tratta della prima relazione della nostra  inchiesta interna. Nella premessa si afferma: «In esito alla prima fase  dell'attività ispettiva svolta da questa commissione in relazione ai fatti in  oggetto e a seguito del decreto indicato in epigrafe, si ritiene opportuno  formulare sin da adesso alcune considerazioni in merito a quanto già emerso. È  opportuno premettere che l'attività di indagine della commissione, in mancanza  di documenti ufficiali e nell'impossibilità di procedere all'audizione dei  soggetti che avrebbero denunciato le violenze, in quanto tutti ormai  scarcerati, si è principalmente sviluppata analizzando gli elementi riportati  dalla stampa. Infatti, a partire dal 26 luglio 2001, quando il quotidiano la Repubblicaebbe  a pubblicare le dichiarazioni di un anonimo appartenente alla Polizia di Stato,  numerosi organi di stampa hanno iniziato a riportare notizie di vario genere su  violenze che i manifestanti arrestati avrebbero subìto nel sito penitenziario  di Bolzaneto e, successivamente, anche in quello di Forte San Giuliano. Con  nota dello stesso 26 luglio 2001,   l'Ufficio centrale ispettorato ha richiesto alla procura  della Repubblica di Genova l'autorizzazione a svolgere accertamenti  amministrativi sugli episodi riportati dal quotidiano prima citato,  autorizzazione che veniva concessa con nota del 31 luglio dall'autorità  giudiziaria. Ottenuta l'autorizzazione dall'autorità giudiziaria, si è dunque  proceduto all'analisi degli atti in possesso dell'amministrazione penitenziaria  e ad effettuare il sopralluogo e l'audizione di alcuni presunti protagonisti  della vicenda, 
            
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          con specifico  riferimento al sito di Bolzaneto. Di conseguenza, la presente relazione non può  che costituire un primo tentativo di ricostruzione dei fatti, la cui  complessità, almeno per quanto si apprende dagli organi di stampa, non consente  di pervenire a conclusioni sufficientemente affidabili, almeno fino a quando  questa commissione non verrà in possesso di dichiarazione ufficiali che  avrebbero reso le vittime dei presunti abusi. Si è ritenuto, per intuibili  ragioni di riservatezza e di correttezza istituzionale, di non richiedere, fino  a che saranno in corso indagini della procura della Repubblica di Genova, i  relativi atti all'autorità giudiziaria e dunque ci si riserva di integrare  successivamente la presente relazione non appena sarà possibile conoscere  ufficialmente, non dalla stampa, il contenuto delle dichiarazioni in questione.  Per comodità espositiva, la presente relazione, che riguarda solo le vicende di  Bolzaneto e non ha certo la pretesa della esaustività, si svilupperà, dopo una  doverosa premessa descrittiva dello stato dei luoghi e delle procedure in uso  nel sito penitenziario, analizzando per categorie i fatti che, secondo quanto  riportato dagli organi di stampa e, in parte, per quanto emerso dai pochi  elementi obiettivi acquisiti, si sarebbero verificati nella struttura  suddetta». 
            Lascio agli atti della Commissione la relazione, che ovviamente non è possibile  leggere ora integralmente, mentre mi limito ora ad illustrarne le conclusioni.  Dall'analisi, per quanto parziale, dei dati sin qui acquisiti, se da un lato  emergono diversi episodi che indubbiamente meritano di essere approfonditi in  quanto appaiono verosimili e di sicura gravità, dall'altro è possibile ricavare  in numerosi casi un'errata percezione dei medesimi, forse giustificabile con  una sensazione di fondo delle persone custodite, a qualunque titolo, presso la  caserma di Bolzaneto di essere vittime innocenti di 
            
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          vessazioni da parte delle forze di Polizia. Infatti, al di là delle legittime procedure poste in essere dal personale di Polizia penitenziaria ed avvertite come soprusi da parte dei detenuti, nonché di quei casi in cui il ricorso alla forza fisica è stato determinato dalla necessità di vincere la resistenza opposta, sono, come si è sopra rilevato, numerosi gli episodi frutto di palesi travisamenti o di enfatizzazione oltremisura di vicende forse discutibili, ma comunque del tutto marginali. Paradigmatico di tale atteggiamento da parte degli arrestati, e dunque degli stessi organi di stampa che ne hanno riportato le dichiarazioni, è quanto avvenuto a proposito di Forte San Giuliano, laddove si è con ogni evidenza trattato di orrori e violenze decisamente inesistenti e laddove, circostanza non secondaria, operavano le stesse categorie di personale di Polizia penitenziaria di Bolzaneto. Ancora al riguardo, altamente esemplificativi sono i primi racconti pubblicati da giornali e siti Internet, in cui si riferisce di arrestati costretti a svolgere i propri bisogni fisiologici all'interno dei propri abiti, notizie queste mai più ribadite, allo stesso modo di quelle inerenti i manganelli, che avrebbe utilizzato la Polizia penitenziaria. Ciò non toglie però che, come sembra emergere dai dati sin qui acquisiti dalla commissione, il clima a Bolzaneto, almeno in certe fasi, solitamente coincidenti con l'arrivo delle persone fermate, fosse particolarmente concitato e dunque si venissero a creare condizioni ambientali tali da favorire abusi e maltrattamenti da parte di singole unità di personale. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria è comunque opportuno sin d'ora svolgere una breve notazione inerente la gestione degli arrestati della scuola Diaz, in quanto nessuno di essi ha riferito episodi di violenza o di abuso riconducibili al personale dell'amministrazione penitenziaria, fatto questo che induce a qualche riflessione di carattere generale.
            
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          MARCO BOATO. Sono  stati massacrati! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Come si evince dalle dichiarazioni rese dai responsabili  operativi del sito penitenziario, gli arrestati della Diaz furono gestiti  potendo contare su più camere di sicurezza, in un momento in cui le altre forze  di polizia avevano praticamente abbandonato l'edificio, in quanto avevano  concluso i loro compiti. In relazione alla custodia di tali arrestati, la Polizia penitenziaria, che  pure ha provveduto anche con la collaborazione di un funzionario della Polizia  a rifornire i detenuti di cibo, coperte e generi di conforto, ha persino  ricevuto, come dicevo prima, i complimenti di un'addetta consolare americana,  la quale ha visitato una cittadina statunitense detenuta nella caserma di Bolzaneto,  sul modo con cui i detenuti erano stati trattati. 
            È possibile che un eventuale diverso atteggiamento del personale in servizio  sia riconducibile al naturale abbassamento della tensione conseguente alla  chiusura del vertice del G8 e all'approssimarsi della fine del relativo  impegno. Così come non è da escludere che le migliori condizioni logistiche,  conseguenti alla possibilità di sfruttare più locali come camere di sicurezza,  abbiano reso più sereno il lavoro e fugato preoccupazioni circa pericolose commistioni  tra le varie categorie di soggetti consegnanti dalla Polizia di Stato«. 
            A tale proposito vorrei aprire una parentesi: cosa vuol dire questa frase?  Significa che mi è stato dichiarato, non in quella sede ma in questi giorni,  che vi era la necessità di tenere i detenuti in piedi e separati in quanto,  poiché erano molti e nella stessa cella, bisognava separare coloro che erano  già stati immatricolati, in attesa di traduzione, e gli altri che invece non  erano ancora stati immatricolati. Questa frase si riferisce a tale circostanza. 
            
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                      «Un'altra chiave di lettura di tali fatti, però, potrebbe essere individuata  nella presenza nella struttura solo di personale di polizia penitenziaria e,  dunque, nelle migliori possibilità di controllo, da parte dei superiori, del  personale comunque addetto alla custodia degli arrestati. Ovviamente, è  possibile che tali tre componenti abbiano contribuito ad abbassare il livello  di tensione della struttura, ma certamente la commistione che, in lunghi periodi,  si era verificata tra diverse categorie di soggetti presenti, appartenenti a  più forze di polizia, ha indubbiamente determinato il ricorso a misure rigide  nella gestione dei detenuti e ha causato a gravi difficoltà nel controllo del  comportamento di qualche singola unità di personale. Ciò non vuol certo  significare che tale controllo sia mancato. Altamente esemplificativa risulta  infatti la circostanza, riferita dal personale medico» - che troverete nella  relazione - «circa la vicenda del cittadino greco al quale, ad un certo punto,  venne accertata una grave lesione interna e che era stato aggredito verbalmente  in infermeria da un poliziotto rapidamente allontanato dal locale. Così come  indicativi di ciò sono i due episodi, riferiti dall'infermiere, inerenti  richiami di unità di personale di polizia penitenziaria che si erano resi  responsabili di comportamenti gravemente scorretti, così come quanto segnalato  da un ispettore circa il biasimo espresso nei confronti di un appartenente ad  altra forza di polizia che aveva colpito a freddo un detenuto. 
          Tale relazione - come si è già chiarito - costituisce solo un primo tentativo  di ricostruire, limitatamente all'ambito di competenza e di responsabilità  degli appartenenti all'amministrazione penitenziaria, quanto accaduto a  Bolzaneto, nonché di addebitare individualmente i fatti specifici in via di  accertamento. Come quel paio di episodi che già risultano assumere una certa  concretezza in considerazione delle fonti 
            
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          che li hanno riferiti  e dell'obiettiva possibilità di utilizzarle (non trattandosi di mere  propalazioni riportate dalla stampa). Ovviamente, ci si riserva di formulare  conclusioni definitive in esito a successive attività della commissione,  auspicando di poter contare al più presto su documentazione di cui sia certa la  provenienza e l'attendibilità. Si rimane a disposizione per tutte le  integrazioni e i chiarimenti che dovessero ritenersi necessari. Con osservanza.  La commissione ispettiva: dottor Alfonso Sabella, dottor Francesco Patrone, dottor  Luigi Pagano, dottoressa Maria Concetta Altavista, colonnello Giuliano  Darreggia.«. 
            È chiaro che ognuno, considerato quanto ho letto e quanto potrà leggere, darà  l'interpretazione che vuole. A me preme significare che da tale lettura  scaturisce chiaramente che occorre assolutamente difendere il buon nome della  Polizia penitenziaria e che, se vi sono stati episodi, in via di accertamento  (chiaramente non solo da parte nostra ma anche dalla autorità giudiziaria), si  è trattato di episodi singoli e isolati. 
            Vorrei terminare leggendo due lettere: credo che sia doveroso farlo. La prima è  del presidente della sezione GIP, dottor Copello, che scrive: «Sento il bisogno  di esprimere la mia gratitudine agli ispettori» -, non cito i nomi per rispetto  della privacy - «a tutti indistintamente gli agenti di Polizia  penitenziaria impegnati nel servizio di trasporto e tutela di magistrati e  cancellieri, per la disponibilità e l'efficienza di cui hanno dato prova,  meritandosi gli elogi miei personali e dei colleghi». 
            La seconda lettera è firmata dal procuratore generale della Repubblica, dottor  Marvulli, che scrive: «Esauritasi la fase dell'emergenza degli adempimenti,  complessi e numerosi, che si sono resi necessari in conseguenza degli eventi  verificatisi in 
            
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          coincidenza delle  manifestazioni del G8» - anche tale lettera è indirizzata ad uno tra gli  ispettori responsabili - «sento il dovere di rivolgere a lei e a tutto il  personale della Polizia penitenziaria che ha lavorato con noi in questi giorni  il mio più vivo ringraziamento per la generosa e proficua collaborazione che ci  è stata offerta, che ha reso possibile il corretto e puntuale svolgimento di  tutte le operazioni che si sono rese necessarie. Alla mia personale gratitudine  per quello che è stato fatto, per il modo ineccepibile con cui lo si è fatto,  si unisce la riconoscenza di tutta la magistratura ligure che ha potuto fruire  di tale preziosa collaborazione.». 
            PRESIDENTE.  Ringraziamo il ministro. Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto  di parlare per porre domande. 
            GRAZIELLA MASCIA. Non  sono interessata a disquisire su alcuni passaggi del signor ministro. I tempi  sono ristretti, ma mi preme affrontare alcuni nodi che sono stati proposti. In  particolare, vorrei partire dall'ultima considerazione, cioè dall'esigenza di  difendere il buon nome della Polizia penitenziaria. Penso che tale esigenza sia  corretta, ma che essa si possa soddisfare nel momento in cui si cerca di  verificare esattamente ciò che è successo a Bolzaneto. Certamente, individuando  le responsabilità, ma soprattutto, per quanto riguarda la responsabilità  politica, comprendendo quali siano le cause, oggettive e strutturali, che hanno  contribuito a determinare le responsabilità personali. In tal senso comprendo  dalla relazione ispettiva - non so se ho perso qualche passaggio - che la  conclusione, la valutazione complessiva è che vi sono stati confusione, eccessi  e abusi, però si tratta di fatti assolutamente individuali. Vorrei far notare  che abbiamo svolto già due audizioni, siamo partiti da una situazione in cui 
            
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          si diceva che non era  successo nulla, poi si è detto che forse poteva essere successo qualcosa e oggi  siamo di fronte ad una valutazione che lei ci propone ma con un'indagine ancora  in corso e con testimonianze - devo dire - allarmanti e inquietanti, che si  sono susseguite nel corso di queste settimane: dopo due mesi non abbiamo ancora  compreso esattamente. 
            Sottolineo, altresì, che io condivido la considerazione che gli agenti debbano  giovarsi, come tutti i lavoratori e le lavoratrici, di condizioni di lavoro  adeguate. Frequento le carceri da dieci anni e mi sono sempre preoccupata,  oltre che di visitare i detenuti, anche di chiedere agli agenti le loro  condizioni. Mi pare - considerato ciò che lei ci ha detto stasera - che la  condizione degli alloggi non fosse la migliore per aiutare a svolgere bene il  loro lavoro. Credo che ciò debba essere un elemento da aggiungere in una  verifica del lavoro svolto. 
            La verifica che io ritengo opportuna non è tanto, o soltanto, inerente alle  responsabilità individuali, sulle quali la magistratura sta indagando, bensì  riguarda le cause strutturali. Abbiamo considerato in queste audizioni, in  diversi passaggi, il problema dell'organizzazione complessiva, che lei ha difeso,  che ha determinato questa situazione. Lei ha detto che si assume la  responsabilità di aver firmato quel decreto, ma quando si pensa ad una  situazione in cui si possono determinare centinaia di arresti, dalle cartine  che ci sono state fornite e dalle informazioni, io non comprendo come si  potesse ritenere che tutto sarebbe andato per il meglio e che le persone  avrebbero potuto avere un decorso lineare. Quando è andata bene, anche chi non  ha subìto abusi - ci è stato confermato - è rimasto in quei posti, in  determinate condizioni, che io non considero normali (con le mani al muro, le 
            
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          gambe allargate,  eccetera), per diverse ore, come ci è stato detto. Allora io le chiedo, signor  ministro - il dottor Di Somma e il dottor Sabella non ci hanno saputo  rispondere -, chi, e in quale sede, ha deciso ciò e si è assunto la  responsabilità organizzativa. Dico questo in quanto l'impressione è che vi  siano state sedi collettive nelle quali sono stati predisposti tutti i piani,  ma nessuno ci sa dire dove siano state assunte tali responsabilità. 
            PRESIDENZA DEL PRESIDENTE  DONATO BRUNO 
            GRAZIELLA MASCIA. Mi  sarei aspettata, a bilancio di una situazione come questa, nella quale, ripeto,  le testimonianze purtroppo sono andate via via ad aggiungersi - quelle rilasciate  dagli infermieri, che sono state particolarmente inquietanti, si sono sommate a  quelle di chi ha subito direttamente abusi e così via - che si sarebbe potuta  svolgere una verifica consuntiva. Ad esempio, anche se questo non è un aspetto  principale, secondo lei non sarebbe stato logico nominare quanto meno dei  responsabili? Questa era, almeno così mi pare di aver letto, una delle  richieste che venivano avanzate dai sindacati degli agenti di Polizia  penitenziaria. Ebbene, né a Bolzaneto né a San Giuliano ve ne erano. 
            Penso che oggi il problema non sia solamente quello di avere una relazione e di  sapere se siano state cinque o dieci le persone che hanno commesso abusi e  violenze; la questione è sapere se noi, dinanzi ad un bilancio così drammatico  quale quello di Bolzaneto, siamo in grado di compiere una riflessione a  posteriori. Se infatti il bilancio porterà a sostenere che è andato tutto  bene, penso che questa opinione non potrà essere condivisa. Tra l'altro, credo  che così sia anche difficile riuscire a difendere il buon nome della Polizia  penitenziaria. 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Credo che fare polemiche sia assolutamente inutile, ma  alcune cose vanno ribadite. Non si tratta assolutamente di uno scaricabarile,  ma sono costretto a ricordarle che ho prestato giuramento solo l'11 giugno.  Quando mi sono insediato al Dicastero, uno dei primi problemi che ho affrontato  è stato proprio quello dell'organizzazione del G8. Come atto ufficiale prima di  allora vi è soltanto una riunione riservata in cui, appunto, è stata presa la  decisione di massima di istituire un luogo di accoglimento fuori dal carcere  per i motivi che ho già ricordato. Nient'altro. Praticamente abbiamo dovuto, in  pochissimo tempo, organizzare tutto. 
            Il giudizio è chiaramente soggettivo: è andata bene o è andata male? Questa è  la solita questione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Può constatare che  non ho avuto alcuna difficoltà nel leggerle parola per parola ciò che è scritto  nella relazione, relazione alla quale intendo attenermi in condizione di  assoluta terzietà. Ho letto ciò che è stato scritto, e ricordo che tra i  componenti la commissione vi è anche un magistrato. Credo quindi che essa possa  fornire ampie garanzie di obiettività. 
            Ripeto che questa non vuole essere una scusa, però di fatto mi sono trovato di  fronte a tale situazione: la prima riunione ufficiale operativa l'ha indetta il  sottoscritto a pochi giorni dal vertice in data 27 giugno. Questo è un dato. 
            Non vorrei risultare cinico e poco rispettoso dei diritti dei cittadini, ma  quale giudizio può essere dato complessivamente sull'operazione? Questo senza  considerare i casi isolati, su cui poi vedremo cosa dirà la magistratura; sono  infatti in possesso di altri documenti che non ho ritenuto opportuno produrre  in questo momento, perché non credo siano del tutto attendibili. Sembrano  comunque emergere alcuni problemi, alcune discrepanze 
            
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          nelle testimonianze,  non solo in quelle che sono ritenute sicuramente inattendibili, ma anche in quelle  ritenute generalmente attendibili e che invece non sono poi così «cristalline».  Al di là dei casi singoli, che sono sicuramente malaugurati e che possono  essersi verificati, devo dire che in definitiva, che non si sono verificati  gravissimi problemi e non c'è stata alcuna sommossa nelle carceri, il che  costituiva una mia gravissima preoccupazione, fortunatamente scongiurata.  Qualcuno ha pagato il prezzo di rimanere troppe ore in piedi: ciò è accaduto.  Non so se sia una cosa gravissima.... 
            GRAZIELLA MASCIA.  Ritengo che lo sia. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Lei dice di sì. Posso fare una battuta che probabilmente  scatenerà le ire dell'onorevole Soda? Sono trent'anni che lavoro nelle  fabbriche ed i metalmeccanici per 35 anni lavorano in piedi dalla mattina alla  sera; ebbene, non li ho mai sentiti lamentarsi. 
            GRAZIELLA MASCIA. Ne  so qualcosa anch'io, ma non è un paragone da fare. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ripeto, non è assolutamente giusto che alcune persone  vengano costrette a restare in piedi. Ciò è accaduto, ma è ben diverso da  quella che può essere una tortura, una violenza programmata o la costituzione  di un lager . Sto dicendo le cose esattamente per ciò che abbiamo visto. 
            GRAZIELLA MASCIA. Lei  però è il ministro della giustizia! 
            CESARINO MONTI. Signor  ministro, nel ringraziarla per la chiara esposizione, vorrei chiederle in quali  condizioni si trovava il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria prima  del vertice di Genova e chi lo guidava. 
            
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                      La stampa e la televisione, nonché l'onorevole Mascia, hanno dato ampio risalto  alle testimonianze di due infermieri presenti a Bolzaneto nei giorni del G8;  volevo chiederle se abbia riscontri circa l'attendibilità delle loro  affermazioni. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Come già detto prima, appena insediato ho trovato un  Ministero in cui era stata fatta terra bruciata; qualcuno, con una felice  battuta, mi ha detto che probabilmente oltre ad esserci la terra bruciata erano  stati avvelenati anche i pozzi. Ciò per dire che effettivamente il Ministero  versava in una situazione in cui mancavano molti capi, ed in particolare quello  del DAP; ricordo infatti che il dottor Caselli, che era a capo di quella  struttura, ha assunto in data 15 febbraio un'altra carica e che non è stato più  nominato un suo sostituto. 
            Con questo non voglio assolutamente dire che il dottor Mancuso abbia mancato ai  suoi doveri. Anzi, approfitto di questa sede per ringraziarlo della  collaborazione che ha prestato. Credo che tutti si siano prestati al massimo  delle loro possibilità. È chiaro però che una cosa è avere un responsabile  «codificato» nel pieno dei propri poteri, altro è avere un facente funzione.  Ripeto, credo che dal punto di vista del personale non ci sia alcunché da rimproverare.  Certamente c'è stata anche una pesante latitanza da parte del Governo che,  probabilmente, vivendo un'esperienza di fine legislatura, non si è sentito in  dovere, nelle persone del ministro o di qualche sottosegretario, di predisporre  riunioni, di organizzare, di occuparsi di questo problema che in realtà era  assolutamente grave. 
          Per quanto riguarda i due infermieri, non vorrei entrare nel merito, perché non  vorrei anticipare o comunque interferire in quelle che potrebbero essere le  conclusioni della magistratura circa l'attendibilità di tali testimonianze.  Posso dire che, da 
            
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          quanto risulta dalla  lettura dei risultati della nostra indagine interna, i due infermieri sono  stati sentiti; altrettanto però non si è fatto, in quanto ancora non  chiaramente individuate, con le persone da loro accusate e credo che sia  assolutamente giusto ascoltare la versione anche di queste ultime prima di  esprimere qualsiasi giudizio. Su questo punto mi consenta quindi di non  dilungarmi. 
            GIANCLAUDIO BRESSA. Signor  ministro, la ringrazio e concordo con lei sul fatto che sarebbe sbagliato,  oltre che profondamente ingiusto, tranciare giudizi negativi nei confronti  della Polizia penitenziaria, la quale è comunque chiamata ad un lavoro  durissimo a prescindere da situazioni straordinarie quali potevano essere  quelle determinatesi con il G8. Sarebbe pertanto, lo ripeto, profondamente  sbagliato esprimere giudizi non motivati su un intero corpo di polizia che da  anni svolge molto bene il proprio lavoro in condizioni di grande difficoltà. 
            Vorrei però approfittare della sua presenza per chiarire un paio di questioni.  Abbiamo già avuto modo di sentire sia il dottor Di Somma sia il dottor Sabella  che hanno chiarito alcuni aspetti importanti. Volevo invece avere da lei alcune  risposte in ordine a due fatti su cui ci ha poc'anzi relazionato. 
            La prima domanda è la seguente: qual è stata la determinazione che l'ha indotta  a partire alle 22 per andare a Marassi? Lei ci ha raccontato che voleva offrire  un gesto di solidarietà ai lavoratori della Polizia penitenziaria del carcere  di Marassi che il venerdì, nel pomeriggio, avevano subito un attacco. È stata  una determinazione molto sofferta dal momento che per assumere questo tipo di  decisione ha impiegato dal pomeriggio del venerdì alla sera di sabato alle 22.  La sua 
            
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          decisione è stata  completamente autonoma o si è consultato con qualche suo collega di Governo che  l'aveva consigliato di comportarsi in questo modo? 
            La seconda domanda riguarda un'affermazione che lei questa sera ci ha  riportato. Personalmente non la conosco, ministro Castelli, ma tutti dicono che  lei è una persona di solido buonsenso e dotata di grande senso pratico. Quel  suo buonsenso non si è ribellato di fronte ad una risposta così incredibilmente  ridicola quale quella che lei ha ricevuto da un agente di Polizia penitenziaria  che le diceva che le persone si trovavano a gambe larghe, con la faccia contro  il muro per evitare che infastidissero una detenuta? Le pare possibile che nel  momento in cui vi sono persone fermate, costrette in camere di sicurezza, sia  necessario tenere le persone in piedi, con la faccia contro il muro, a gambe  larghe per impedire che dieci persone infastidiscano una donna? Vorrei che lei  rispondesse e dimostrasse in questa occasione il suo solito buonsenso, dicendo  che non è stata una risposta accettabile ma una sciocchezza di dimensioni  probabilmente mai ascoltate prima. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ho citato l'esempio dell'assalto che è stato il caso più  eclatante ma, come lei ricorderà, c'è stato un crescendo di tensione fra il  venerdì e il sabato. Venerdì si è verificata la malaugurata e drammatica morte  del giovane Giuliani, ma sabato si sono verificati alcuni avvenimenti, dal  punto di vista dell'ordine pubblico, forse ancora più vasti. Ho visto tutto  ciò, ho visto crescere il numero degli arrestati, la stanchezza e la tensione,  dei miei uomini (avremmo fatto 50 telefonate come ha affermato anche il dottor  Simonetti); poiché è stato un crescendo di tensione, non ci ho pensato dal  venerdì ma da sabato pomeriggio. 
            
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                      Ognuno ha un proprio vissuto. Ho sempre pensato che, se qualcuno ha sotto la  sua responsabilità delle persone, nei momenti più difficili deve restare loro  vicino se vuole avere una credibilità verso di loro. Forse non è giusto ma  questo è ciò che credo. Ho pensato al fatto che per un ministro recarsi in un  ambiente che sembrava ormai quasi di guerriglia, se non di guerra, potesse  essere pericoloso tant'è vero che mi sono guardato bene dall'andare di giorno a  causa di alcuni problemi. Sono andato nel pieno della notte, sapendo che  normalmente in tali ore le cose si acquietano, le strade si svuotano e ciò non  avrebbe creato nessuna difficoltà soprattutto a coloro che si trovavano nella  zona rossa. È stata una decisione totalmente autonoma che ho ritenuto di  adottare come responsabile della Polizia penitenziaria (mi sento tale come  ministro della giustizia). È stata una decisione - lo ripeto - totalmente  autonoma. Non ho ritenuto di consultarmi con nessuno perché avrei creato  allarmismo. Pensate a cosa sarebbe accaduto se in qualche modo fosse circolata  la notizia che il ministro si stava recando a Genova. Mi sono recato a Genova,  perché volevo andare a Marassi, a sirene e a lampeggianti spenti con due auto  assolutamente anonime. Questo è il dato. 
          Lei afferma che la risposta ricevuta dall'agente di polizia è stata  assolutamente ridicola ma occorre anche considerare i momenti. In quella cella  si trovavano alcune persone non conosciute da nessuno. La risposta mi è  sembrata non ridicola, ma strana: a mente fredda, infatti, mi sono detto che  tutto ciò era molto strano. Lì per lì, comunque, non mi sembrò ridicola.  Chiesi, allora, spiegazioni. C'è, infatti, un'altra spiegazione. Ho riferito a  testimonianza; c'era lì dentro un poliziotto a cui ho chiesto le ragioni per  cui si trovava in quel posto ed egli mi ha risposto: sono dentro per evitare il  pericolo che qualcuno 
            
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          possa infastidire la  ragazza. Poiché mi è stato detto ciò, non posso fare altro che riferirlo al  Comitato. Ripensandoci, la risposta mi è sembrata non del tutto esaustiva.  Successivamente, infatti, ho appreso - ciò è indicato nella relazione - che, in  realtà, il motivo fondamentale addotto dai responsabili era il seguente: in quei  momenti vi era una grande concitazione e confusione; alcune persone erano  ancora in attesa di essere immatricolate, altre lo erano già. Pertanto, si  avvertiva la necessità di tenerli separati per stare tranquilli e per evitare  che le operazioni volte a consentire ai fermati di essere tradotti, andassero  molto per le lunghe; in alcuni casi le ore sono diventate veramente tante (si  dice che la media è stata di circa 4 ore ma ci sono state alcune punte molto  superiori). Tutto è stato fatto nell'interesse dei fermati, che, secondo alcune  disposizioni, dovevano rimanere a Bolzaneto per il minor tempo possibile. 
            PIERLUIGI PETRINI. Non  rivolgerò alcuna domanda al ministro al cospetto della cui relazione sono  costernato ed allibito. Mi rivolgerò invece a lei, signor presidente, che è il  garante della dignità istituzionale che noi rappresentiamo. Il Parlamento ha  votato all'unanimità l'istituzione di questo Comitato di indagine ritenendo che  fosse necessario fare chiarezza su una somma di episodi, di testimonianze, di  accadimenti riferiti o comprovati che lasciavano ipotizzare che vi fossero  stati abusi di potere. Il compito istituzionale del Comitato è quello di  indagare al di là delle verità ufficiali, anche attraverso il dubbio e il  sospetto, per chiarire la verità. Pertanto, non posso in nessun modo accettare  che un membro del Governo si rivolga a questo Comitato come ha fatto il  ministro Castelli, denunciando un intento, da parte del Comitato nella sua  totalità o di parte dello stesso, di discredito nei confronti del personale  della Polizia penitenziaria. Sappiamo 
            
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          perfettamente quale  sia l'abnegazione e il sacrificio della Polizia penitenziaria e quanto scarse  siano le gratificazioni di cui gode. Attendiamo dal Governo provvedimenti  opportuni dal punto di vista legislativo ma noi, in questa sede, abbiamo il  diritto e il dovere di indagare sui comportamenti senza che ci venga  rinfacciato alcunché. Tra l'altro il ministro sbaglia completamente... 
            PRESIDENTE. Lei sta  facendo lo stesso. 
            PIERLUIGI PETRINI. Sì,  signor presidente, sto facendo lo stesso.... Sbaglia completamente bersaglio  perché se leggesse il resoconto stenografico si accorgerebbe che quelle parole  che egli rimprovera all'onorevole Soda sono state pronunciate dall'onorevole  Mancuso, il quale, nel dubitare sulla legittimità delle strutture di cui stiamo  trattando, afferma: «un carcere non si può costituire occasionalmente, quelli  si chiamano normalmente campi di concentramento». 
            Siamo di fronte alle parole di un ex ministro di grazia e giustizia che, per  ironia di quelle sorti politiche che spesso verifichiamo, il ministro Castelli  ha avuto modo prima di fiduciare e poi di sfiduciare. 
            PRESIDENTE. Senatore  Petrini, lei sta facendo un comizio! 
            MARCO BOATO.  Presidente, non credo sia il caso di usare questi termini... 
            PRESIDENTE. Uso i  termini che voglio, onorevole Boato! Lei non deve insegnare niente a nessuno!  Senatore Petrini, lei può rivolgere domande al ministro. Lei si è permesso di  introdurre un discorso con il quale, affermando che il ministro forse ha  ecceduto (ma ciò è una responsabilità del ministro), 
            
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          è andato esattamente  nel segno opposto. Se ha terminato il suo intervento, le sono grato, altrimenti  non la farei concludere. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Mi scusi, signor presidente, c'è una questione...... 
            PRESIDENTE. Non siamo  in una Commissione di inchiesta.... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Se sono qui per subire un processo..... 
            PRESIDENTE. No, lei  non deve subire un processo. Poichè non si tratta di una domanda ma di una  osservazione che il senatore le ha rivolto e gliela poteva rivolgere in  qualsiasi altro momento... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. C'è però una questione sulla quale vorrei intervenire. 
            PRESIDENTE. Prego, intervenga. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Sono stato accusato, e risulta dagli atti, di aver  costituito un lager. Credo che ciò questa sia un'accusa assolutamente  infamante. Credo di avere tutti i diritti di replicare a questa accusa. 
            Diverso è, come ha affermato il collega Mancuso, costituire un campo di  concentramento. Il campo di concentramento è oggettivamente un termine che non  ha un'accezione negativa di per sé. È un luogo nel quale (Commenti  dell'onorevole Boato)... Nell'immaginario collettivo, come lei sa  benissimo, onorevole Boato, il termine lager ha assunto la definizione di un  luogo dove vi sono torture, omicidi, dove l'uomo viene praticamente conculcato  nella sua dignità. 
            
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                      Non concordo ovviamente con quanto detto dall'onorevole Mancuso; tuttavia, è  un'affermazione che non ha alcuna gravità, dal momento che si tratta di  un'opinione. Sono invece stato accusato, e risulta dagli atti, dall'onorevole  Soda di aver costituito un lager. Credo di avere tutti i diritti per poter  replicare a questa infamante accusa. Se poi questo per il senatore Petrini non  rientra nei miei diritti, ciò significa che egli ha una concezione della  democrazia evidentemente diversa dalla mia. 
            ANTONIO SODA. Affinché  resti agli atti, campo di concentramento è la traduzione di lager. Sono  preoccupato perché, avendo sollevato una questione sulla legittimità di tale  decreto, pensavo che oggi il ministro mi garantisse e garantisse i cittadini  italiani e il Parlamento che mai più si sarebbero costituiti questi mostri,  questi campi di concentramento, questi lager! Ora motiverò il perché. 
          È vero, non mi era assolutamente sconosciuta la possibilità che, con decreto  del ministro, si potessero istituire istituti penitenziari. Nutro però dei  dubbi sul fatto che si possano istituire delle succursali di aree e sezioni di  istituti penitenziari. Gli articoli 59, 60 e seguenti dell'ordinamento  penitenziario (la legge del 1975) posti a fondamento del decreto ministeriale,  fanno riferimento al potere amministrativo ed esecutivo del ministro di  istituire istituti penitenziari, non sezioni di aree di istituti penitenziari.  E comunque, ammesso che sia possibile istituire sezioni, succursali di istituti  penitenziari, questi hanno da essere tali, e non un «mostro» nel quale, come  qualsiasi persona che voglia avere contezza della situazione di Bolzeneto vede,  situare uffici DIGOS, uffici della squadra mobile, bagni, ufficio matricole,  l'infermeria, la sala gabbie e la sala agenti. Questo continuo a ritenerlo un  «mostro». Non si tratta infatti né di un sito penitenziario, né 
            
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          di una caserma di  polizia. È l'ibridazione che insieme ha creato quella confusione nella quale è  stata possibile la consumazione di alcune violenze. 
            Apro una parentesi: nessuno ha voluto criminalizzare la Polizia penitenziaria,  nessuno vuole criminalizzare le forze dell'ordine; si vogliono accertare la  verità su alcune violenze denunciate da cittadini italiani e stranieri.  Dovrebbe essere compito, funzione e dovere del ministro accertare in primo  luogo tali responsabilità, anche per la credibilità internazionale del nostro  paese. La informo infatti, se non ne è a conoscenza, che un gruppo di legali  italiani e internazionali sta raccogliendo documentazione per trascinare il  nostro paese, nella persona anche del ministro della giustizia, davanti ai  tribunali internazionali per violazione di alcune convenzioni internazionali. 
            Fatta questa premessa, confermo il mio giudizio. Laddove si crea una struttura  nella quale entrano centinaia di persone, carabinieri, Polizia e Guardia di  finanza, DIGOS e ufficio matricole, ebbene, quello non è un sito penitenziario.  Lei, per legge, non era legittimato ad istituirlo. Lei, infatti, per legge era  legittimato ad istituire istituti penitenziari, non i «mostri» che lei ha  realizzato. L'idea di una accoglienza o di un sito penitenziario fuori dalle  strutture carcerarie ordinarie è legittimo: lo prevede la legge. Il ministro  istituisca altri istituti, non i «mostri» che lei ha istituito, come risulta  dal decreto, dove lei afferma che il sito penitenziario è costituito dai locali  6 e 7 della caserma di Bolzaneto. I locali 6 e 7 sono esattamente affacciati  sul corridoio nel quale insistono tutti gli altri uffici della forza pubblica.  Il sito penitenziario pertanto è calato, ibridato, direi «mescolato» ad una  realtà di polizia che non ha consentito, come riferitoci dall'ispettore, agli  agenti di polizia giudiziaria di svolgere gli adempimenti previsti per 
            
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          loro dal codice  (avvertire che i fermati hanno facoltà di nominare un difensore; avvertire che  hanno la facoltà di avvertire i parenti; ). 
            Abbiamo ascoltato in questa sede le dichiarazioni del comandante generale dei  carabinieri, le relazioni ispettive, lo stesso dottor Sabella, il quale ha  testimoniato come molte persone siano state in quel sito in attesa della  semplice immatricolazione per oltre venti ore, fin quasi allo scadere del  termine di legge che prevede il tempo massimo di ventiquattro ore. Se tale  realtà di confusione di compiti, di funzioni, di attribuzioni, di allocazioni,  di agenti, di Polizia penitenziaria, di fermati, di arrestati, non ha reso  effettive le garanzie elementari che qualsiasi cittadino arrestato ha nel  momento della sua massima debolezza e quando è privo di ogni libertà di movimento,  di comunicazione, di parola e di gesti; se uno Stato democratico non garantisce  il massimo rispetto a tale persona inerme, non è uno Stato democratico! E  costituisce un campo di concentramento, un lager, caro ministro! 
            Detto questo, è emerso faticosamente, anche attraverso la relazione che lei ha  illustrato, che vi sono stati gravi episodi di violenza in quella realtà. Ora  lei ha affermato contraddittoriamente che quando lei era presente tutto era  normale e poi contemporaneamente ha affermato di aver notato una situazione in  cui le persone erano con le mani alzate. A quel punto, poteva anche chiedere da  quante ore quelle persone erano lì. Vi sono infatti testimonianze di persone  rimaste 15 o 16 ore in quella posizione. 
            Allora, vorrei capire dal ministro della giustizia italiano - ed è la domanda  -: ritiene, e si tratta di un appello accorato che le rivolgo, che non sia  stato un errore tragico l'idea di costituire al di fuori del carcere di Marassi  un istituto penitenziario ad hoc, transitorio? 
            
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                      La cosa in sé, per quanto io nutra delle perplessità, non mi rende inquieto. Mi  rende inquieto il pensare che un ministro della Repubblica italiana, di fronte  all'ordinamento penitenziario, in particolare all'articolo 14 dell'ordinamento  penitenziario, che garantisce i diritti del fermato o dell'arrestato, dinanzi  agli articoli 383 e 384 del codice di procedura penale, che prevedono gli  obblighi della polizia giudiziaria e di quella penitenziaria di fronte agli  arrestati - si tratta di altrettanti diritti che essi hanno, quelli da me  enumerati prima, e che sono stati sospesi; lei sa che sono stati sospesi con un  ordine di servizio! - non prenda posizione. In particolare, mi riferisco al  diritto di avvertire, al diritto di procedere ai colloqui con i propri  difensori. 
            Si è disposto con un ordine di servizio che i colloqui si sarebbero potuti  svolgere soltanto nelle carceri di destinazione. Per tale ragione, persone  arrestate, le quali avevano diritto a colloqui con i loro difensori, non hanno  potuto averli, dal momento che è stato sospeso tale diritto costituzionalmente  garantito. 
            L'abbiamo scritto insieme l'articolo 111 della Costituzione, nella passata  legislatura, con molti amici del Polo, che allora erano tutti garantisti:  l'abbiamo votato all'unanimità! Ci sono state delle sospensioni dei diritti  costituzionali in quella struttura! 
          Allora, chiedo al ministro se si sentirebbe, di fronte ad eventi eccezionali,  straordinari, con le esigenze segnalate dalle forze dell'ordine, dalle autorità  di pubblica di sicurezza, di costituire dei centri penitenziari speciali,  soltanto relativamente al periodo interessato, in questo modo mostruoso, realtà  nella quale non è possibile né che la polizia giudiziaria svolga il suo  compito, né che la polizia penitenziaria possa immatricolare con quella  speditezza e con quelle garanzie che la 
            
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          legge e le convenzioni  internazionali richiedono. Questa è la domanda accorata che le pongo. Voglio  essere garantito da un ministro della Repubblica, a prescindere... Se non sono  garantito, continuerò a gridare in eterno che queste mostruosità in un  ordinamento democratico non si possono fare! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Innanzitutto, lei dice delle inesattezze, perché le ore  che ha citato non risultano... 
            ANTONIO SODA.  Risultano agli atti e dai rapporti! 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, nessuno l'ha interrotto quando lei ha parlato, la prego. Il ministro le  sta dicendo che è improprio, poi le dirà perché: abbia pazienza. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Non risultano: cosa vuole che le dica? La media che  risulta da questi documenti è di quattro ore. Voi vi fate le domande e poi vi  date anche le risposte. 
            Riguardo alla seconda questione, credo che molte delle critiche che lei ha  rivolto a questo ministro avrebbe dovuto rivolgere al precedente, quello che  lei sosteneva. Ripeto: io non ho trovato alcun atto formale messo a punto dal  ministro precedente riguardante la questione. Quindi, abbiamo dovuto affrontare  una emergenza. 
            Il fatto che questo atto sia illegittimo questa è una sua ipotesi: gli uffici  del ministero della giustizia la pensano diversamente da lei, onorevole Soda,  cosa vuole che le dica! Io ho il conforto... 
            ANTONIO SODA. Lei  conferma che si possono costruire questi mostri? 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Mi lasci parlare, onorevole Soda. 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, lei è intervenuto, ha detto quello che riteneva opportuno e nessuno l'ha  interrotta. La invito veramente a dare al ministro la possibilità di rispondere:  se vuole creare un caso, lo crei pure. Però, non mi pare che sia questo... 
            ANTONIO SODA. Il caso  lo sta creando lui! 
            PRESIDENTE. Sono  problemi che riguardano il ministro, credo che non debbano riguardare lei:  abbia pazienza. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Mi sono appassionato alla sua esposizione. Ma mi consenta  di rispondere: lei le domande le ha fatte, mi lasci rispondere. 
            Il fatto che sia illegittimo è una sua opinione: se lo ritiene, porti avanti la  sue considerazioni. Io ho il conforto degli uffici che mi dicono invece che era  legittimo. Penso che il parere degli uffici faccia premio, in quanto credo che  siano più legittimati del suo, pur rispettabile. Quindi, mi sono fidato del  parere di legittimità datomi dagli uffici. 
            Premesso che ero legittimato a fare questo atto, premetto che il ministro - non  voglio esimermi dalle mie responsabilità, che mi assumo fino a fondo -, fa  evidentemente degli atti politici: l'atto politico consiste nell'individuare un  luogo di accoglimento degli arrestati diverso dal carcere di Marassi. Io voglio  significarle, onorevole Soda, che ho passato il primo mese del mio incarico a  ricevere continuamente informative più o meno verificate - lo ripeto ancora  volta - di minacce di sommosse all'interno dei carceri. Quindi, questa era la  mia somma preoccupazione. È chiaro, non c'è la controprova, ma siamo sicuri che  questo non sia stato il male minore? Possiamo immaginarci... 
            
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          ANTONIO SODA. Qui si  sospendono le garanzie costituzionali! 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, mi scusi. Capisco che lei possa essere irritato perché non le si risponde  come vorrebbe. Lasci però parlare il ministro. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Questa è democrazia: lei mi ha rivolto una domanda, mi  lasci rispondere! Posso rispondere? La ringrazio per la sua magnanimità,  onorevole Soda. 
            ANTONIO SODA. Sì,  risponda alla Commissione (Il deputato Soda si allontana dall'aula)! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ah, lei non mi ascolta: fa le domande però non vuole ascoltarmi.  Va bene, rispondo alla Commissione. 
            Difendo l'atto politico di costituire una succursale fuori dal carcere. È  chiaro, non è assolutamente auspicabile: ritengo che sia stata una decisione  eccezionale presa di fronte ad un evento che si riteneva eccezionale, come  purtroppo, alla fine, con quanto accaduto, si è confermato. Ora, che dal punto  di vista tecnico quella non sarà la situazione ottimale, francamente non lo so  perché non sono un tecnico del DAP: se dal punto di vista tecnico ci sono state  delle manchevolezze, francamente non lo so; ripeto, sono un politico, non sono  un tecnico, quindi, non so rispondere. Ma, anche ammesso e non concesso che ci  siano state, questo è sicuramente legato al fatto che fino al 27 giugno nessuno  aveva pensato assolutamente a come affrontare questa emergenza. Da quanto tempo  si sapeva che ci sarebbe stato il G8? Da quanto tempo si sapeva che ci potevano  essere dei problemi? Perché il Governo precedente 
            
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          non ci ha pensato? Ho  trovato tabula rasa. Potrete dirmi: perché non ci hai pensato il 13  giugno, subito dopo l'insediamento? Perché, evidentemente, avevo tantissimi  problemi e poi ho affrontato anche questo. Quindi, respingo assolutamente il  fatto che si sia voluto fare un lager, non come traduzione di campo di  concentramento, onorevole Boato: lei sa benissimo, lo ripeto, cosa vuol dire  nell'immaginario collettivo, fare un lager. 
            MARCO BOATO. Campi di  concentramento... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ribadisco assolutamente il mio sostegno alla polizia  penitenziaria, che si è voluto in qualche modo criminalizzare. Non che ci siano  responsabilità di uno o dell'altra... Tuttavia, questo è quanto sta emergendo  dai media. Abbiamo tutti la volontà di fare chiarezza, tanto è vero che  io, immediatamente, proprio il giorno dopo la data nella quale i giornali hanno  cominciato a denunciare queste irregolarità, questi gravi fatti, ho convocato  immediatamente i vertici, ho avviato una commissione e, guarda caso, vi ho  letto le prime conclusioni senza censure o alcunché. Quindi, da parte nostra,  la più assoluta chiarezza e trasparenza. Certo, se la domanda è: lo farà  un'altra volta? È chiaro che auspico che si possano affrontare le situazioni in  condizioni di normalità. 
            MARCO BOATO. Lei ha  adesso specificato - l'ho ascoltata attentamente -, il riferimento ai media.  Noi abbiamo qui migliaia di articoli pubblicati sul G8, e molti altri che non  sono qui raccolti. Tuttavia, siccome lei non aveva fatto questa specificazione  nella introduzione, quando dice di non criminalizzare tutta la polizia  penitenziaria. Io sottoscrivo questa dichiarazione, ma credo che non ci sia  nessuno in questa 
            
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          Commissione, di  qualunque parte politica, che non la sottoscriva: nessuno l'ha pensa  diversamente. Questo vale per la polizia penitenziaria, per i Carabinieri, per la Polizia di Stato, per la Guardia di finanza, per la  polizia municipale e per il Corpo forestale dello Stato (così le ho citate  tutte!). 
            Se stiamo svolgendo una indagine conoscitiva, lei è un esperto parlamentare e  lo sa, è perché noi indaghiamo se ci sono state delle anomalie: non attribuiamo  responsabilità, non diamo giudizi, ma cerchiamo di conoscere i fatti, nei  limiti del possibile. Però, e su questo le chiedo fermamente, ma anche  pacatamente, una risposta, dopo la sua affermazione di criminalizzare la  polizia penitenziaria, e qui convengo, lei rispondendo alla domanda del collega  della Lega, parlando del ministero della giustizia, ha detto, a proposito di  non criminalizzare indiscriminatamente, di aver trovato terra bruciata e  qualcuno le ha detto che probabilmente avevano anche avvelenato i pozzi.  Diciamo che, in fatto di non dare giudizi indiscriminati che coinvolgono tutto  e tutti, lei non ha dato il migliore esempio, se non altro sotto il profilo di  quella continuità istituzionale che rimane anche nel cambiamento delle  maggioranze e di Governo, che è del tutto legittimo, in democrazia. Poi lei ha  anche detto - lo ripeto, queste cose gliele sto dicendo pacatamente -, che lei  ha firmato il decreto, ma in realtà la responsabilità politica è del precedente  Governo (questo lei ha detto e c'è nello stenografico, potrà vederlo: l'ha  ripetuto più volte), che se ne assume la responsabilità, ma non la  responsabilità politica. 
            Poi, invece, nella fase più recente dell'audizione lei ha ripetutamente detto  che non vi era nessuna decisione o iniziativa da parte del precedente ministro  e che aveva dovuto fare tutto in fretta. Leggendo il suo decreto - sul quale  adesso non mi pronuncio, perché sto facendo una ricognizione sui 
            
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          fatti - nella premessa  che mi segnalava il collega Turroni, si menzionano le note, allegate in copia,  della questura del 5 luglio e del comando dei carabinieri del 7 luglio, che  indicano Bolzaneto e Forte San Giuliano. Quindi, l'indicazione di questi due  siti proviene il 5 luglio e il 7 luglio, prima dalla Polizia e poi dai  carabinieri; dopodichè lei adotta il decreto. Dico ciò semplicemente per  rimettere le cose a posto dal punto di vista del profilo istituzionale.  Dopodiché, credo che i colleghi - e forse anche lei, ministro Castelli, perché  siamo stati colleghi - sanno che se debbo criticare il Governo della cui  maggioranza ho fatto parte, non ho avuto in passato e non avrei oggi nessuna  remora, perché se debbo accertare la verità, quest'ultima riguarda chiunque.  Tuttavia, le chiederei un chiarimento al riguardo. Lei ha firmato formalmente  un atto politico che in realtà, di fatto, è attribuibile al precedente Governo  o il precedente Governo nulla aveva fatto al riguardo e lei ha assunto le  decisioni nei tempi che abbiamo visto? 
            La seconda domanda che vorrei rapidamente rivolgerle, senza criminalizzare  nessuno, non riguarda lei, bensì il dottor Sabella, che già abbiamo ascoltato;  vi è stata una animata audizione, tuttavia ho cercato di dialogare anche con  lui con il massimo rispetto. Non c'è una qualche incongruenza istituzionale  nell'istituire giustamente - gliene do atto - una commissione di inchiesta  (anche se formalmente istituita dal dottor Tinebra, appena entrato nel ruolo di  direttore del DAP) di cui fa parte lo stesso principale responsabile (in senso  istituzionale) dei servizi penitenziari in occasione del G8? Se si deve fare  una commissione di inchiesta lo si audisce, lo si ascolta, si indaga... 
            FILIPPO MANCUSO. Dire  audito è inaudito! 
            
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          MARCO BOATO... anche  se è inaudito usare la parola audire, come dice il presidente Mancuso. 
            Ma chiamare a far parte della commissione di inchiesta colui che è stato per  ragioni istituzionali il principale responsabile della gestione di  quell'operazione, mi lascia qualche perplessità. Tanto più che questo  magistrato - persona di valore per come l'ho conosciuta in questa sede per la  prima volta in vita mia - nell'immediatezza dei fatti ha svolto una relazione,  inviata all'epoca al dottor Mancuso ed a lei come ministro, da cui si evinceva  che sostanzialmente non si era verificata alcuna anomalia dopo il primo  articolo de la   Repubblica. 
            Pochissimi giorni dopo, lei, giustamente - gliene do atto -  ordina di istituire una commissione d'inchiesta e adesso constatiamo che le  anomalie sono numerose e - sono d'accordo - non appartengono solo al Corpo di  Polizia penitenziaria. Le responsabilità penali in questo paese sono  individuali per tutti; siamo in uno Stato di diritto e non vi sono processi  all'ingrosso nei confronti di nessuno. 
            Un'ulteriore questione è legata a quest'ultima e vorrei che risultasse nel  resoconto stenografico della seduta. Il dottor Sabella nella sua audizione si è  scagliato contro chi metteva in luce eventuali anomalie e, ad un certo punto,  ha citato il dottore Ceraudo che è il presidente dei medici penitenziari. Il  dottor Ceraudo mi ha scritto una lettera, che depositerò agli atti del  Comitato, dicendo che la sera dopo il dottor Sabella gli ha telefonato per  scusarsi di un disguido: voleva riferirsi all'infermiere. Ora, il dottor  Ceraudo è il capo del centro clinico di Pisa ed è il presidente dei medici  penitenziari italiani e, credo, anche europei: non si può confondere in  un'audizione il presidente dei medici penitenziari con un infermiere. Voglio  che risulti nel resoconto stenografico che ho ricevuto una 
            
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          lettera in cui si dice  che la sera dopo l'audizione il dottor Sabella ha telefonato al dottor Ceraudo  per correggere il disguido che vi era stato. 
            A lei chiedo - e concludo - se conosca la testimonianza - forse ne ha fatto  cenno in modo indiretto - dell'infermiere in servizio a Bolzaneto ma, credo,  ordinariamente impiegato presso il carcere di Bologna, signor Marco Poggi.  Ovviamente questa non è la verità rivelata, ma una testimonianza firmata da un  operatore e non una bufala giornalistica. Mi limito a citare solo alcune frasi,  perché sono due pagine. Egli dice: «Sin dalla sera del venerdì 20, durante la  mia permanenza a Bolzaneto, ho visto picchiare con violenza ripetutamente i  detenuti presenti con pugni, calci, schiaffi e testate contro il muro». Il  dottor Sabella ha precisato che, invece che di testate contro il muro, si  trattava di pressioni forti della testa dei detenuti contro il muro; non ha  smentito tali affermazioni, ma ha detto che si premeva la testa contro il muro.  Inoltre, vi sono altre dichiarazioni di questo genere molto pesanti; lo stesso  dice di aver visto moltissimi agenti, ma che solo alcuni di loro, anche se  parecchi, hanno usato violenza; egli stesso si premura di non coinvolgere  tutti. Non posso leggere tutto, ma queste pagine sono impressionanti. 
            Al Tg3 il 30 agosto l'infermiere ha dichiarato «Mi sono nutrito di  violenza: è il mio mestiere» - come infermiere nelle carceri ne ha viste di  tutti i colori - «ma se dovessi dare una spiegazione del clima che ho visto a  Bolzaneto penso che in altri 52 anni» - egli ha, infatti, questa età - «non  riuscirei a darla». Credo che tutti questi elementi non criminalizzino nessuno  e non coinvolgano a priori chi non è coinvolto a priori, ma  facciano capire la differenza fra la prima risposta nella primissima inchiesta,  sia pure non formale, che faceva ritenere pressoché tutto normale e ciò che via  via è emerso, su cui 
            
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          stiamo lavorando e su cui,  per altri versi, sta lavorando l'autorità giudiziaria. Tuttavia, noi con  un'altra logica vogliamo accertare i fatti: quelli che le ho citato sono alcuni  fatti e le chiedo se ne sia a conoscenza. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Innanzitutto, vorrei ringraziare l'onorevole Boato, di cui  sono un vecchio collega, per la misura e la pacatezza con cui ha esposto i suoi  quesiti; credo che tutti dovremmo forse imparare da lui. 
            Onorevole Boato, difficilmente - mi consenta di fare questa battuta pro domo  mea - sbaglio quando parlo. Ricordo bene ciò che ho detto, perché l'ho  letto e lo rileggo. Riguardo al fatto di Bolzaneto, ho svolto due passaggi. Nel  primo ho ricordato che già in maggio, in una riunione operativa riguardante il  G8, era stata, tra l'altro, discussa e predisposta la costituzione di almeno  una postazione in città; quindi, in maggio, il Governo precedente individua una  postazione fuori dal carcere di Marassi. Dunque, il Governo precedente prende  una decisione che ho detto di condividere e me ne prendo la responsabilità,  perché mi sembrava - lo ripeto - il male minore. 
            Successivamente, si decise di individuare una postazione fuori dalla città, ma  ci si fermò lì. Tuttavia, ho precisato - come ho già detto e non posso aver  sbagliato - che in data 27 giugno, quindi prima del mio decreto, ho convocato  una riunione. Tra l'altro, appresi in quell'occasione, cioè il 27 giugno, che  erano state individuate le strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano come  destinazioni verso le quali sarebbero stati indirizzati i fermati. Come vede,  non sono caduto assolutamente in contraddizione: a maggio il Governo decide,  visto che si terrà il G8, di tenere tale riunione. Posso immaginare ciò, perché  si tratta di una riunione riservata e non ci sono i verbali; non sono neanche  autorizzato a dire esattamente cosa è stato detto e neanche chi fosse presente. 
            
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          Tuttavia, in quella  sede viene presa tale decisione, che - lo ripeto - condivido, ma che  evidentemente nasce dal precedente Governo. Quindi, tutti gli strali  dell'onorevole Soda, in qualche modo, evidentemente devono essere lanciati in  uguale misura a questo ministro ma anche a quello precedente. Ciò forse mi fa  capire che, se da una parte o dall'altra si arriva alla stessa conclusione,  forse non vi è stato questo incredibile «mostro», questo terribile lager di cui egli ha parlato e a cui si fa riferimento negli atti. Ribadisco che ho  tutto il diritto di difendermi da queste accuse infamanti. Scusi se mi  infervoro, ma lei sa che io faccio la politica... 
            MARCO BOATO. Le ho  chiesto di rispondere anche sulla criminalizzazione. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Un momento, adesso ci arrivo. Quindi, ciò che lei dice  corrisponde esattamente a ciò che ho detto. Il 27 giugno ho appreso dai tecnici  la famosa decisione di individuare i luoghi al di fuori della città, in  Bolzaneto e Forte San Giuliano. Prendo atto di ciò, condivido in linea di  massima la decisione, che penso rappresenti il male minore e adotto il decreto.  Come vede, tutto quadra e non c'è nessuna contraddizione. 
            MARCO BOATO. Si era  detto che l'indicazione dei siti di Bolzaneto e Forte San Giuliano risale al 5  luglio e al 7 luglio ... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Quella data è indicata nel provvedimento, ma in via informale  me lo hanno detto prima. Quindi, come vede tutto quadra e non vi è stata  nessuna contraddizione in ciò che ho dichiarato. 
            Sono comunque lietissimo, ed uscirò felice da qui, perché vedo che tutti hanno  dichiarato di non voler assolutamente criminalizzare le forze dell'ordine. 
            
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          MARCO BOATO. Risulta  da tutti gli stenografici! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Benissimo, ne sono molto contento. Sa, ho letto un po' di  verbali, ma leggendo i giornali anche oggi vi sono continuamente testimonianze  di cose incredibili. Lei stesso ha parlato di «clima». 
            MARCO BOATO. Anche  lei... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ha citato l'infermiere - poi ci arriverò - che ha parlato  di clima. Un conto, dunque, è dire che ci sono stati degli episodi individuali,  altro conto è parlare di clima: sono due cose ben diverse. Un clima, infatti, è  una questione generalizzata e, probabilmente, condivisa da tutti coloro i quali  stanno in quella struttura. 
            Per quanto riguarda la questione di Sabella, l'ho detto prima: voglio essere  assolutamente terzo nei confronti di questa commissione, non voglio dare il  minimo sospetto di voler in alcun modo interferire sugli esiti della  commissione. Qualsiasi cosa la commissione tiri fuori, la pubblicherò. Poi, eventualmente,  ci saranno provvedimenti da parte dell'amministrazione e da parte della  magistratura. Non è una situazione pilatesca: mi consenta di non interferire,  di non rispondere, di dire la mia opinione, in onore della mia terzietà verso  questa commissione. 
            MARCO BOATO. Ma il  ministro è lei: l'ha istituita lei! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Non l'ho istituita io, ma il presidente del DAP. 
            KATIA ZANOTTI. La  responsabilità politica, come ministro, è sua! 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Va bene, mi prendo la responsabilità politica, però  ribadisco che non voglio assolutamente commentare. Dico solo che al suo interno  non c'è una persona sola, ma ci sono dei magistrati. 
            Per quanto riguarda Ceraudo, lei ha specificato che ne ha parlato per farlo  risultare agli atti, ma è una questione tra Sabella e Ceraudo. 
            Sull'infermiere Poggi, del quale non avevo citato il nome per questioni di privacy... 
            MARCO BOATO. Ne aveva  parlato il TG3. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Non volevo essere reticente. 
            Le testimonianze a cui si fa riferimento nella conclusione si basano proprio su  quelle testimonianze. Però, attenzione: in questa sede rendo la mia  testimonianza, se l'infermiere Poggi parla di clima... 
            MARCO BOATO. Parla di  una serie di fatti. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Sui fatti non posso intervenire, se lui dice che li ha  visti... 
            MARCO BOATO.  L'infermiere ha fatto una dichiarazione all'autorità giudiziaria, ne ha fatta  una a lei... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Non a me, alla commissione. 
            MARCO BOATO. Al suo  Ministero. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. No, non al mio Ministero... 
            
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          MARCO BOATO. Alla  commissione di inchiesta istituita dal dirigente del DAP del suo Ministero,  ogni tanto si prenda anche una responsabilità istituzionale! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Me la prendo, è per la precisione dei fatti... 
            MARCO BOATO. In ogni  caso, poi, c'è una dichiarazione televisiva in cui parla di clima preoccupante. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Allora, se parliamo di clima, io rendo questa  testimonianza, e sono disponibile a renderla sotto giuramento: ho visto un  clima diverso da quello. 
            MARCO BOATO. Lei è  stato 20 minuti! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Per quello che mi riguarda, ho visto un clima diverso. 
            FILIPPO MANCUSO.  Intervengo sull'ordine dei lavori. Vorrei introdurre nell'ordine intrinseco dei  lavori una nota di raffreddamento del clima. Dopo aver fatto un richiamo alla  giusta utilizzazione della lingua italiana, vorrei fare analogo richiamo per la  giusta utilizzazione della lingua tedesca, nella quale il termine lager non ha quel valore politico che la dolorosa esperienza di questo secolo gli  attribuisce. In origine, e nell'uso ordinario prepolitico del termine, lager nella lingua tedesca indica «il campo da arare». Possiamo, quindi, fare a meno  di incanaglirci sull'uso di un termine che ho, però, utilizzato nel senso  suddetto di ambiente chiuso, ma non di ambiente carcerario. 
            Ciò mi pare che potrebbe attenuare anche dei sofismi che, sulla base di  un'errata lettura del termine tedesco, stanno diventando un casus belli. 
            
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          PRESIDENTE. Grazie  presidente Mancuso, la sua collaborazione è sempre illuminante per tutto il  Comitato. 
            GIANNICOLA SINISI.  Signor ministro, devo svolgere una considerazione che non vuole assolutamente  essere una censura, ma trovo davvero singolare che si parli di terra bruciata  quando mancano i dirigenti, e poi di occupazione di potere quando i dirigenti  ci sono. Nel passaggio dal Governo precedente al Governo successivo dovremmo  evitare di fare questo tipo di riferimenti per il dialogo che dobbiamo  necessariamente avere tra di noi, avendo di mira obiettivi, per quanto riguarda  le istituzioni, decisamente comuni. D'altronde credo che lei si ricordi di me:  sono quello che ha rappresentato il Governo nella discussione che ci fu al  Senato, nella scorsa legislatura, quando c'erano dei manifestanti che sparavano  con il cannone il letame addosso ai poliziotti. Quindi, credo che abbia motivo  di ricordarmi, dato che io mi ricordo di lei, e ritengo che al di là delle  parti che di volta in volta ricopriamo, la difesa delle nostre istituzioni  debba essere un valore assoluto e condiviso. 
            Detto questo, vorrei fare una precisazione: lei ha affermato che gli scontri ci  furono fin da subito. Per quanto è emerso nel corso dei nostri lavori, gli  scontri cominciarono di fatto il giorno 20: il giorno 19 non ci fu alcuna  significativa situazione, anzi, per pacifica ed unanime affermazione, in quella  giornata le manifestazioni furono assolutamente corrette ed il rapporto con le  forze di Polizia fu straordinariamente positivo, secondo quello che noi abbiamo  apprezzato. Lei ha affermato molto correttamente: il precedente Governo disse  che era necessario istituire a Genova un punto arrestati o fermati diverso dal  carcere di Marassi e si assume, non solo nobilmente, ma per ufficio, la  responsabilità. Al di là della questione se poi fosse corretto o meno istituirlo  dentro una caserma di Polizia - che 
            
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          è la questione  dibattuta, perché altra cosa sarebbe stato istituirlo separatamente ed  autonomamente - la domanda precisa che vorrei farle è perché da un punto  arrestati si passi a due, uno a Bolzaneto per la Polizia di Stato, la Guardia di finanza, la Polizia municipale, ed uno  a Forte San Giuliano per l'Arma dei carabinieri. Questa cosa, dagli atti,  risulta inspiegabile. Perché uno per i carabinieri e l'altro per tutto il resto  delle forze di Polizia? Questa è certamente una decisione maturata fra il 12  giugno, quando si comincia a pronunciare il comitato provinciale per l'ordine e  la sicurezza pubblica, e il 5 e 7 luglio, date dei suoi provvedimenti. 
            La seconda domanda che vorrei rivolgerle è se lei, nella giornata di sabato,  ovviamente prima di recarsi a Marassi e poi Bolzaneto, abbia sentito il  Vicepresidente Fini. 
            La terza ed ultima questione è perché, nell'intervista che lei ha rilasciato a la Repubblica il 29  luglio 2001 non parlò affatto del carcere di Marassi, ma soltanto della caserma  di Bolzaneto. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Per quanto riguarda la prima domanda, devo dirle che  considerai che la questione fosse tecnica: dunque, non ne fui molto  impressionato. Infatti, mi fu detto che tale doveva essere la soluzione dal  punto di vista tecnico, la soluzione individuata come la più razionale per  gestire l'emergenza. Quindi, non ho approfondito più di tanto; ribadisco,  d'altra parte, che, ormai anche dal punto di vista dell'ordinamento giuridico,  il ministro esercita un ruolo politico talché, avendomi i tecnici chiarito che  la soluzione più razionale era quella da loro individuata... 
            Tra l'altro, io ho tralasciato tante altre circostanze: infatti, si posero il  problema di fronteggiare l'eventualità che si dovessero gestire i minori,  nonché quello di gestire i feriti. Ho detto dianzi che, addirittura, si arrivò  a «prendere le staffette», 
            
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          in borghese, con le  moto, al fine di individuare percorsi alternativi dei cellulari nell'eventualità  che vi fossero stati disordini. Tanti aspetti, la cui soluzione è stata da me  lasciata agli esperti ed ai tecnici; quindi, anche riguardo a tale questione,  mi sono affidato a loro. Perciò, francamente, ignoro, dal punto di vista  puramente tecnico, perché venne scelto anche San Giuliano. 
            Quanto alla seconda domanda, Fini non l'ho sentito, assolutamente. Ripeto che  si è trattato di una decisione presa in solitudine, ma anche appositamente, al  fine di evitare che si sapesse qualcosa. Sono andato di notte, proprio in  maniera silenziosa, tant'è che, ovviamente, non avvisai neanche la stampa  (circostanza da me riferita anche successivamente) . 
            Quanto alla terza domanda, devo dire che la risposta è molto semplice. Al  giornale La Repubblicainteressava seguire la questione di Bolzaneto; pertanto, volendo avere la  mia testimonianza sui fatti occorsi, mi rivolsero domande alle quali risposi. 
            FRANCESCO NITTO PALMA.  Signor ministro, solo per sua tranquillità, ove mai un intervento precedente  gliel'avesse, in qualche modo, incrinata, devo dirle che l'articolo 386 del  codice di procedura penale, che prevede una serie di prescrizioni nei confronti  del soggetto arrestato o fermato, riguarda gli agenti e gli ufficiali di  Polizia giudiziaria che abbiano proceduto a prendere cotali misure. Si tratta,  quindi, sostanzialmente, di evenienza del tutto diversa dagli agenti di Polizia  penitenziaria in fase di ufficio matricola, i quali, sicuramente, esercitano  uffici di polizia amministrativa. Analogamente, mi permetta di dire che  condivido pienamente l'impostazione data dal dipartimento dell'amministrazione  penitenziaria in ordine alla possibilità di creare i siti di Bolzaneto e di San  Giuliano. Infatti, come è dato leggere nel suo decreto, si tratta di siti 
            
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          staccati  esclusivamente per area sanitaria e per ufficio matricola e quindi  sostanzialmente per attività completamente diverse da quelle direttamente  collegate con la detenzione. 
            Svolta tale premessa, che ritenevo necessaria a fronte di diverse altre interpretazioni  formulate - invero, mi si consenta, in maniera aggressiva nei suoi riguardi -  vorrei porle una sola domanda. Lei ha detto che, quando è entrato nella  struttura di Bolzaneto, si è soffermato solo nei locali riservati alla polizia  penitenziaria, il che - gliene chiedo conferma - mi fa pensare ad una divisione  della caserma di Bolzaneto tra i vari Corpi che operavano nelle diverse  attività. Inferisco che quindi, conseguentemente, non vi era una confusione di  locali da cui potesse derivare una confusione di ruoli e di compiti. Chiedo  conferma di tale mia deduzione. 
            La domanda che volevo formulare, inoltre, è questa. Lei ha detto che nella  struttura di Bolzaneto, ad un certo punto, è entrato in una stanza dove ha  visto dei soggetti in piedi, con le gambe divaricate, appoggiate verso il muro  ed un solo poliziotto o un solo agente di Polizia penitenziaria che controllava  la situazione. Mi sembra di avere così inteso le sue parole, ministro. Dunque,  le chiedo se, a suo parere, al di là della giustificazione che le è stata  fornita, il numero delle persone presenti in quella stanza, in piedi, con le  gambe allargate, appoggiate alla parete, fosse tale da imporre, attesa la  presenza di un solo agente di Polizia penitenziaria, un simile trattamento per  ragioni di sicurezza. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Credo abbiate questa cartina, no (Il ministro della  giustizia mostra una cartina ai membri del Comitato)? Da essa si evince  che, se il corridoio era comune, tuttavia, come potete vedere, non ho dovuto  attraversare una zona che non fosse di mia competenza; invero, probabilmente,  se avessi dovuto fare ciò, forse 
            
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          avrei desistito. Lo  ripeto, mi trovavo in una situazione nella quale, non avendo avvisato alcuno... 
            MARCO BOATO. È stato  detto che lei è andato in fondo, ma che i carabinieri l'hanno fermata. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. No, no, assolutamente no. Un poliziotto era in questa  cella e dall'altra parte erano schierati i carabinieri, onde si vedeva che non  erano nostri... e allora, ho chiesto: come mai ci sono i carabinieri? Perché è  di competenza dei carabinieri, è stata la risposta. Mi sono detto: va beh,  allora io lì non vado. Quindi, vi era una separazione netta salvo il corridoio,  in ragione del fatto che fosse comune. 
            Per quanto riguarda la questione circa la mia opinione sulla sufficienza di un  solo poliziotto nel predetto contesto, devo, anche in questo caso, far presente  che non sono un tecnico; per quanto mi consta, so che vi era un poliziotto  dentro, a fronte, credo, di una decina di ragazzi e di una ragazza. Quindi  questo era, più o meno, il numero delle persone presenti. Ancora, vorrei  aggiungere - infatti, quando ne ho parlato nell'esposizione, l'argomento mi era  sembrato superfluo ma, forse, ora, a seguito della sua domanda, non lo è più -  che dissi al poliziotto: non hai timore a stare dentro con tutta questa gente?  Mi rispose: no, perché sono lì così... 
            MARCO BOATO. Signor  presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori. 
            PRESIDENTE. Prego,  onorevole Boato. 
            MARCO BOATO.  Intervengo per far constare, se possibile, la verità. A pagina 230 del  resoconto stenografico del 29 agosto, sono riportate queste parole del dottor  Sabella: «Quando 
            
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          il ministro ha  espresso la volontà di visitare la seconda parte della struttura, i carabinieri  gli si sono fatti incontro e soltanto dopo essersi assicurati della sua  identità lo hanno fatto passare. Comunque, nella seconda parte... abbiamo  percorso soltanto tre o quattro metri». Dunque, l'osservazione da me dianzi  fatta non era frutto della mia invenzione. Il dottor Sabella ha raccontato  quanto io ho letto. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Posso precisare... 
            PRESIDENTE. Prego. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Lei sa che quando un ministro va in visita, dovunque vada,  è attorniato da moltissime persone. Quindi, può darsi che il dottor Sabella  abbia, forse, male inteso quanto accaduto; tuttavia, nessun carabiniere mi si è  avvicinato o, almeno, io non me ne sono accorto. Però, lo ripeto, lei sa  benissimo che quando un ministro si muove è attorniato da tantissime persone:  alcuni che lo vogliono proteggere; altri che, magari, lo vogliono apostrofare;  altri ancora lì semplicemente perché istituzionalmente tenuti ad essere  presenti. Per quanto io possa ricordare, nessun carabiniere mi si è avvicinato.  D'altro canto, mi sembra plausibile che ci si debba accertare dell'identità di  un ministro, quando questi arriva, come di solito accade sempre, seguito dal  «codazzo». Forse, ha inteso male, non lo so... io, comunque, non me ne sono  accorto. 
            MARCO BOATO. Io le ho  solo citato una dichiarazione del dottor Sabella. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Io assolutamente non me ne sono accorto. Quando mi hanno  detto che 
            
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          lì erano presenti i  carabinieri abbiano tutti convenuto sull'opportunità di non procedere innanzi. 
            LUCIANO MAGNALBÒ. Non  ho domande da rivolgere al ministro; potrei solamente ripetere le domande già  fatte, con dovizia anche estenuante, da parte degli amici del centrosinistra.  Io voglio solamente, a nome del gruppo di Alleanza nazionale, ringraziare il  ministro per tutto quanto sta facendo: ella sta agendo con serietà, con  serenità, con determinazione e con competenza. 
            SAURO TURRONI. In  cauda venenum. Erano i Parti coloro i quali, ritirandosi, si giravano  sempre. Io ho cercato, signor ministro, di ricostruire un attimo, tra gli  argomenti da lei portati e i chiarimenti fornitici, tutta la vicenda della  individuazione di queste due strutture. Lei dice che in maggio il precedente  Governo di centrosinistra aveva ipotizzato, nella riunione cui ha fatto cenno,  che fosse necessario individuare un'area. Il dottor Sabella ci ha poi  informato, nella sua audizione, che il 12 di giugno si individuarono - questo,  infatti, risulta dal verbale, a meno che non si sia sbagliato anche in quella  circostanza - quelle due aree. Infatti, ci si era rivolti - così ha detto - a  Polizia e Carabinieri per chiedere se vi fossero locali a disposizione,  evidentemente, forse perché (almeno così io interpreto) magari, erano a  conoscenza di luoghi già adatti, già predisposti e così via. Poi, ha detto che  la decisione del 26 giugno era già presa e quindi vi sono le due lettere, la  corrispondenza e un decreto... 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. In quale data? 
            SAURO TURRONI. Il 26  giugno; l'ha detto lei, il 26 giugno la decisione era già presa ed i siti  individuati. Il 12 giugno, in 
            
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          qualche modo, questa  soluzione era già stata individuata. Poi vi sono le due lettere del 5 e del 7  luglio da parte dei responsabili dei due luoghi; quindi, viene presa questa  decisione. 
            Lei dice: io mi attengo a quanto dicono le mie strutture, a quanto dicono gli  uffici. 
            Però io mi permetto di non condividere e vorrei che lei ritornasse un attimo su  tale questione. Signor ministro, a me risulta che non sia possibile mettere  insieme forze dell'ordine e Plizia penitenziaria nella stessa struttura, in  luoghi dove le persone vengono recluse, perché il suo decreto, giustamente e  non può fare diversamente, sostiene che lei istituisce un luogo a fini  detentivi - la volta scorsa si è parlato di fictio iuris, ne ha parlato  il dottor Sabella, il collega Boato e mi pare che l'espressione l'abbia usata  anche il pesidente, ma tutto ciò è irrilevante - nel quale ci sono depositi di  materiali sequestrati e in uno dei casi ci sono stati addirittura per molto  tempo dei parlamentari e lo stesso Presidente del Cnsiglio, nello stesso  immobile destinato a struttura penitenziaria. 
            Ebbene, signor ministro, come in te le indagini conoscitive,abbiamo il compito  di accertare i fatti, a anche di fornire indicazioni al Parlamento e al Governo  su quelle che possono essere in futuro le soluzioni per evitare le cose che non  hanno funzionato o che potrebbero meglio funzionare in altro modo, rimediando  con provvedimenti che il Parlamento e il Governo possono autonomamente  assumere. 
            Signor ministro, le chiedo che cosa intenda fare, perché capisco che il ritardo  possa indurre ad individuare una certa soluzione, però al di là di quello che  possono aver detto gli uffici, la legge non lo consente, le cose non sono  andate del 
            
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          tutto bene. Inoltre,  ritengo che non sia neppure possibile sospendere - come è stato fatto  attraverso delle ordinanze - le direttive costituzionali. 
            Questi fatti ci devono far ragionare e le chiedo che cosa intenda fare a questo  proposito perché episodi di questo tipo non si riverifichino e, caso mai, si  predispongano per tempo le strutture idonee con le garanzie idonee, perché non  accada neppure che persone siano messe a mani in alto, con la faccia verso il  muro, o con la testa «accompagnata» verso le pareti, così come ci ha riferito  il dottor Sabella. 
            Seconda ed ultima domanda: io non voglio rifarmi a quello che le ha già chiesto  il collega Bressa, perché le ripeterei una domanda già formulata, alla quale  lei potrebbe certamente rispondermi nello stesso modo. Tuttavia, c'è un fatto:  lei prima ha liquidato la faccenda con la storia degli operai che lavorano in  fabbrica, noi però abbiamo - perché questo è il nostro compito, lei amministra  la giustizia e noi siamo i rappresentanti del Parlamento -il diritto-dovere di  andare a vedere quello che succede nelle carceri (a me è successo parecchie  volte), verificando sia la condizione delle guardie penitenziarie sia quella  dei detenuti. Ebbene, signor ministro, quella non era una condizione  accettabile per persone che sono state arrestate e identificate e, quindi, quel  modo di procedere non andava bene. Lei ha sostenuto che tutto ha funzionato. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. No, legga la relazione. 
            SAURO TURRONI. No, no,  mi scusi, stavo sintetizzando e non la sto accusando di aver detto che andava  bene che la gente stesse in piedi con le gambe larghe, con la testa nel muro e  via dicendo: tutto ciò è scritto negli articoli dei giornali, possono avere  interpretato male il suo pensiero, nonostante 
            
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          questi articoli di  giornale non compaiano il giorno 29, ma anche i giorni 27 e 28 (Corriere  della sera, Il Manifesto, la   Repubblica): lei ripete coerentemente la stessa cosa, non  c'era nulla di sbagliato nel fatto che le persone stessero a mani in alto,  faccia verso il muro e gambe allargate. Ma lei ha già chiarito queste  affermazioni e io non voglio tornarci. 
            Tuttavia, le chiedo che cosa intenda fare per il futuro. Per il fatto che lei  abbia potuto dire, seppure in una circostanza eccezionale, che un comportamento  del genere può essere normale, mi chiedo che cosa possa succedere all'interno  delle carceri in altre circostanze. Signor ministro, voglio sapere cosa intenda  fare perché queste cose - pure eccezionali, ma che, al di là di quello che lei  ha dichiarato, comunque non erano accettabili - non si possano verificare né  domani né dopodomani né in nessun'altra circostanza. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Mi fa molto piacere rispondere alle sue domande. 
            Innanzitutto la questione del 12 giugno si incastra precisamente negli episodi  che, dal punto vista cronologico, abbiamo ricostruito. Proprio ieri ho  organizzato una riunione con il capo del DAP per analizzare tali questioni. È  evidente che bisogna sempre tendere all'utopia della perfezione ...(Commenti  del senatore Turroni). Se lei pensa di essere perfetto, io no; per me, dal  punto di vista umano, la perfezione è un'utopia. Comunque, mi pare che questa  sera - è una mia sensazione e non voglio mettervi in bocca cose che non avete  detto - si è forse cominciato a ristabilire un minimo di verità: non ci sono  stati torture, maltrattamenti generalizzati e preordinati, ci possono essere  stati dei casi singoli sui quali stiamo indagando e che, se provati,  sicuramente verranno perseguiti, ma non lo devo dire io perché lo farà prima, e  in ben altri termini, la magistratura. Intanto, non abbiamo creato 
            
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          delle situazioni, non  dico a bella posta ma neanche colposamente, che avessero il carattere di  generalizzata sospensione dei diritti, ma, soprattutto, non si può parlare di  situazione di tortura generalizzata. Questo mi pare sia emerso e di ciò sono  lieto. 
            Lei dice che le cose non sono andate tutte per il verso giusto. Per carità, io  non conosco alcuna azione umana in cui le cose vanno tutte per il verso giusto,  soprattutto se poi si agisce in condizioni di emergenza, ma sicuramente faremo  tesoro delle esperienze fatte. 
            Lei dice, inoltre, che la legge non lo consentiva; mi scusi, può darsi che  fosse una fictio iuris, però ripeto una frase molto cara a noi  parlamentari, spesso la forma è sostanza. Quindi, dal punto di vista formale,  non vi è dubbio che ci fosse separazione tra i nostri locali e quelli delle  altre forze dell'ordine: l'ho citato io, dicendo che mi sono fermato sul limite  perché il ministro della giustizia arrivava fino a lì, dove c'era il carcere,  oltre non potevo andare perché non era più carcere. Dal punto vista formale sicuramente  non abbiamo violato la legge, spero anche non dal punto vista sostanziale, ma  posso garantire - e questo viene fuori dagli atti - che tutte le norme  regolamentari sono state rispettate, pur in condizione di emergenza. 
            Ci sono stati dei momenti di concitazione e delle attese superiori al normale.  Se si afferma che abbiamo inflitto ad alcuni fermati una eccessiva attesa in  piedi, questo è corretto: non deve più accadere, stiamo lavorando affinché non  accada, però mi fa piacere che dal sostenere la commissione di torture  generalizzate e l'esistenza di un lager preorganizzato e preordinato  ..... 
            PIERLUIGI PETRINI. Ma  chi lo ha detto ! 
            
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          ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. ...siamo arrivati alla conclusione che abbiamo tenuto  troppo in piedi delle persone e questo non va bene (Commenti del senatore  Turroni). Ho ribadito che se ci sono stati casi singoli (Commenti del  deputato Boato).... Ebbene, andiamo a leggere i giornali e comunque lei ha  detto una cosa inesatta: le prime denunce sono del 26, non del 27. 
            Andiamo a fare un florilegio di tutto quello che è stato scritto, mettiamo  assieme tutte le testimonianze: viene fuori un quadro terrificante totalmente,  inesistente (Interruzione del deputato Boato). 
            PRESIDENTE. Onorevole  Boato, la prego. Lei non può commentare ogni frase che pronuncia la persona  audita. La invito, non so più come dirglielo, ad evitare interventi: non le  compete! 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ho anche premesso che era la mia sintesi. Le forze di polizia,  in generale, non sono state criminalizzate da alcuno, l'avete detto tutti.  Quindi, su questo siamo d'accordo e mi fa grandissimo piacere - ripeto - e  uscirò felice da quest'aula per queste affermazioni fatte da tutti. 
            Abbiamo appurato - credo che venga fuori dalla discussione di stasera - che non  c'è stato un quadro preorganizzato di violazione di diritti costituzionali. Noi  abbiamo applicato il regolamento, ciò mi viene confermato da tutti e viene  confermato anche dalla relazione. Ci sono stati, probabilmente - e sottolineo  probabilmente, perché fino adesso non è stato provato ancora nulla (ci sono  delle testimonianze, ma occorre verificare se queste sono attendibili) dei  singoli episodi. È inutile confermare che, se questi episodi saranno riscontrati  da parte nostra, saranno adottate le opportune misure, ma - 
            
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          ribadisco - è inutile  ricordare che ciò è di competenza precipua della magistratura. 
            Per rispondere, infine - repetita iuvant - al senatore Turroni, stiamo  già facendo, stiamo già pensando, stiamo già considerando come migliorare  tutto. Infatti, migliorare si può e si deve sempre. 
            PRESIDENTE. Ha chiesto  di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Soda. Ne ha facoltà. 
            ANTONIO SODA. Siccome  il ministro ha parlato di una media di quattro ore di permanenza, rileggo la  relazione del dipartimento della pubblica sicurezza, che ci è pervenuta il 6  agosto, nella quale per quanto riguarda la permanenza... 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, lei sull'ordine dei lavori può intervenire, però il ministro sta parlando  e fa riferimento ad una sua relazione che ci deposita, dove gli è stato detto  che la media è di quattro ore; lei cosa intende? 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Parliamo di due cose diverse, io parlo della Polizia  penitenziaria e l'onorevole Soda parla di un'altra polizia, cosa c'entra? Io  parlo per me, non per altri. 
            ANTONIO SODA. E io  segnalo che in un cosiddetto sito carcerario, proprio per la commistione delle  due funzioni, secondo la relazione ministeriale, a partire da sabato la  permanenza - solo per quanto concerne la competenza della polizia giudiziaria -  fu di 15-17 ore, a cui si debbono aggiungere tutte le ore per il trasferimento.  Tra l'altro, durante tutte queste ore sono stati sospesi i diritti previsti  dalle convenzioni internazionali. Sulla violazione dei diritti umani  risponderete davanti alla Corte europea di giustizia. 
            
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          PRESIDENTE. Onorevole  Soda, va bene, va bene! Quando si interviene sull'ordine dei lavori... 
            ANTONIO SODA.  Ringraziando il cielo, come disse il mugnaio, c'è ancora un giudice! 
            PRESIDENTE. Onorevole  Soda, capisco che non è sereno, e mi dispiace, perché lei è persona  equilibrata. 
            Voglio capire a cosa tenda questa sua dichiarazione, essendo oggi all'ordine  del giorno del Comitato l'audizione del ministro della giustizia. 
            ANTONIO SODA. A  contrastare l'affermazione per la quale ci sono stati... 
            PRESIDENTE. Ma quello  che lei sta dicendo è un altro problema, è un altro problema! 
            ANTONIO SODA. Sono 17  più altre 15 o altre 20. 
            PRESIDENTE. Sì, ma se  noi poi dovessimo interpretare altre cose... 
            Il ministro è venuto qui per rispondere... 
            ANTONIO SODA. Chi  ascolta pensa anche che lì dentro la gente è stata per quattro ore! 
            PRESIDENTE. Credo che  si sia fatto sempre riferimento alla Polizia penitenziaria. Forse lei è stato  distratto e ha parlato di altro. Noi abbiamo parlato di Polizia penitenziaria. 
            ANTONIO SODA. No, no,  sto dicendo 15-17 ore (Commenti della senatore Petrini)! 
            PRESIDENTE. Non è  Polizia penitenziaria, senatore Petrini, l'onorevole Soda sta parlando di  altro. 
            
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          ANTONIO SODA. Sto  parlando delle ore che vanno sommate... 
            PRESIDENTE. Questo lo  dica in sede di discussione della relazione, non interessa al ministro che  stiamo ascoltando, mi creda. Il ministro può parlare solo in riferimento... 
            ANTONIO SODA. Egli  deve parlare dei diritti dei cittadini. 
            PRESIDENTE. Grazie,  onorevole Soda. 
            Ha chiesto di parlare l'onorevole Saponara. Onorevole Soda, lei è intervenuto;  consenta ora agli altri di parlare, perché - a questo punto - mi sembrerebbe  veramente un sopruso da parte sua. 
            MICHELE SAPONARA.  Signor ministro, a nome del gruppo di Forza Italia, dissentendo evidentemente  dalle affermazioni dell'onorevole Soda, la ringrazio per la sua disponibilità,  per la chiarezza della sua relazione, per la linearità del suo comportamento,  per il suo senso di responsabilità istituzionale e per l'umanità con cui sta  affrontando il problema delle carceri e sta seguendo le vicende degli uomini di  Polizia penitenziaria. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Ringrazio per le parole di sostegno che mi sono state  rivolte adesso dall'onorevole Saponara e anche prima dall'onorevole Magnalbò.  Ne ho veramente bisogno, anche dal punto di vista umano; vi ringrazio  veramente. 
            Consentitemi però di ripetere - di fronte alla precisa accusa di dire delle  falsità - ciò che ho letto, non quello che ho detto, quello che ho letto. La  prima frase che ho letto è stata: «Prima di cominciare l'esposizione dei fatti  avvenuti durante i giorni del G8, faccio una doverosa precisazione: in 
            
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          questa sede mi  riferirò esclusivamente alle vicende che hanno chiamato in causa direttamente  le competenze del Ministero della giustizia. Quindi, soltanto a fatti  sostanzialmente legati all'espletamento delle pratiche inerenti la presa in  carica o la successiva traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte  in arresto nel corso della manifestazione di Genova.». Più chiaro di così cosa  devo dire! 
            PRESIDENTE. Ministro,  la ringrazio e le chiedo se può fornirci copia della relazione del documento al  quale si è fatto riferimento. 
            ROBERTO CASTELLI, Ministro  della giustizia. Io ringrazio il Comitato. 
            PRESIDENTE. Ricordo  che il Comitato è convocato domani, venerdì 7 settembre 2001, alle 9,30, e che  l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si riunirà  preliminarmente, sempre nella giornata di domani, alle 8,30. 
  La seduta termina alle  20,25.

