COMMISSIONE D'INDAGINE
Memoriale GSF - 06 settembre 2001
Documento presentato dal GSF alla Commissione parlamentare
www.genoa-g8.org
I RAPPORTI TRA GSF E ISTITUZIONI
Qui di seguito si ripercorreranno schematicamente le tappe degli incontri istituzionali e delle iniziative a partire dalla nascita del “Patto di Lavoro” ora GSF, saranno descritti i contenuti delle riunioni e varranno prodotti in allegato i documenti e le lettere relative.
Ottobre 2000 / 30 giugno 2001
I primi giorni d’Ottobre si avvia da parte di alcune organizzazioni genovesi un percorso costituente di quel coordinamento denominato successivamente “Patto di Lavoro” e dopo ancora “Genoa Social Forum” (GSF).
La prima bozza di documento “Un mondo diverso è possibile” (cfr. 1 PattodilavoroG8 GE) viene elaborata e viene diffusa per la sottoscrizione dal giorno 27/10/2000.
Il “Patto di lavoro” quindi è nato e in breve tempo riceve, tra le adesioni, quella della “RetecontroG8” (un altro coordinamento) che già da qualche mese interloquiva con il Comune di Genova al fine di realizzare un ciclo di conferenze poi successivamente approntato.
Il 19/12/2000 il testo “Un mondo diverso è possibile” (2 Patto di lavoro NAZ), spogliato dei suoi riferimenti locali, viene sottoscritto e assunto da una decina di organizzazioni nazionali presenti a Genova nella riunione fondativa del Patto di lavoro nazionale.
A seguito di richieste scritte di incontri (3 G8 Prefetto, 4 G8 Provincia, 5 G8 Regione, 6 G8 Sindaco), nei giorni compresi tra il Natale e i primi giorni di gennaio si susseguono i primi incontri istituzionali con Prefetto (11/1/2001), Provincia (27/12/2001), Comune (27/12/2001) e il Ministro Vinci Giacchi. A tutti viene chiesta l’istituzione di un tavolo di coordinamento comune tra Enti Locali (EELL) genovesi, Struttura di Missione, Regione e Prefettura per discutere delle iniziative e delle manifestazioni di Genova del Luglio.
Il Presidente della Regione Liguria Biasotti, nonostante due lettere di richiesta di incontro, mai fece pervenire risposta né tantomeno incontrò il “Patto di lavoro”.
Durante il mese di gennaio si lancia la petizione su Genova città aperta (vedi allegato) e viene diffusa la “Lettera aperta ai genovesi” (cfr. 7 Lettera aperta ai genovesi)
Mentre cominciavano crescere le adesioni al “Patto di Lavoro” e mentre continuava la discussione interna sull’ipotetico programma di iniziative e di manifestazioni per il luglio, il giorno 29/01/2001 una delegazione del “Patto di Lavoro” viene ricevuta in Prefettura alla presenza – oltre che del Prefetto Di Giovine – dei massimi rappresentanti di Comune, Provincia e Regione (vedi 8 Lettere istituz locali). Durante l’incontro viene rinnovata la richiesta di un tavolo di coordinamento permanente e vengono embrionalmente illustrate le prime indicazioni in merito a manifestazioni di piazza, iniziative e esigenze di accoglienza (vedi com. stampa 9 Un primo risultato).
Il giorno successivo (30/1/2001) si tiene a Roma un incontro tra il Premier Amato e Prefetto, Sindaco, Presidenti di Provincia e Regione. In quell’incontro – come sappiamo dalle dichiarazioni che il Prefetto ha rilasciato a questa Commissione – viene comunicato che Margherita Paolini della struttura di Missione governativa sui G8 è stata incaricata di dialogare con le organizzazioni non governative e di società civile in vista delle iniziative per il G8 di Genova.
Il giorno 8/2/2001 il Patto di lavoro è convocato in Prefettura ad un incontro con il Prefetto Di Giovine, Margherita Paolini, la Presidente della Provincia Marta Vincenzi, il vicesindaco Claudio Montaldo, e il consigliere regionale Fabio Broglia. Durante l’incontro vengono formulate alcune richieste circa l’individuazione di spazi per la costruzione di una “cittadella” (dove realizzare dibattiti, concerti, segreteria organizzativa, spazi espositivi e via dicendo) e si illustrano le manifestazioni previste, ipotizzando la zona di levante della città come luogo per lo scorrimento del corteo del 21. Margherita Paolini raccoglie tutte le richieste e le informazioni (meglio descritte in un fax inviatole il giorno successivo cfr. 10 Fax Paolini).
Il 27/2/2001, durante una riunione nazionale il “Patto di lavoro” assume la denominazione di GENOA SOCIAL FORUM. Si è trattato di un semplice cambio di nome e pertanto non c’è nessuna discontinuità tra l’esperienza del Patto di lavoro e quella del Genoa Social Forum (di seguito GSF).
In attesa di risposte ufficiali da parte del Governo, il GSF lancia un appello il 19/3/2001 ai capigruppo e ai Presidenti del Consiglio di EELL e Regione affinché si esprimano su Genova città aperta (10 bis consiglieri G8).
Il 29/3/2001 il GSF invia due lettere ai candidati Premier Rutelli e Berlusconi (11 Rutelli, 12 Berlusconi) chiedendo di essere ricevuti e comunque di esprimersi sulle questioni relative ai temi della globalizzazione e al diritto a manifestare a Genova.
Il giorno 30/3/2001 il GSF risponde (12 bis Pagano) ad una richiesta di incontro del Sindaco Giorgio Pagano di La Spezia (12 tris Pagano)
A seguito della lettera a Francesco Rutelli, il giorno 3/4/2001 a Genova Piero Fassino, Ministro della giustizia in carica, in qualità di candidato vicepremier dell’Ulivo riceve una delegazione del GSF. Viene informato delle richieste del GSF contenute nella documentazione fornita al Governo attraverso l’architetto Margherita Paolini. Francesco Rutelli risponderà alla lettera il giorno 26/4/2001 (13 Risposta Rutelli)
Il giorno 4/4/2001 il GSF lancia in tutta Italia il Telegram Day, attraverso il quale centinaia di fax, telegrammi ed email – tutte contenenti lo stesso testo – vengono inviate al Ministro degli Interni Bianco e al Presidente della repubblica Ciampi (14 faxmail CIAMPI, 15 FaxmailBianco).
Il giorno dopo in tutta Italia si svolgono decine di presidi assolutamente pacifici davanti alle Prefetture delle città, per chiedere che Genova sia città aperta. Si svolge a Roma un presidio di fronte al Viminale per chiedere al Ministro Bianco di essere ricevuti. Il Capo di Gabinetto Sorge, insieme al Prefetto di Genova Di Giovine ricevono una delegazione del GSF composta da Bolini, De Fraia ¼¼. Nell’incontro viene comunicato che il Governo ha incaricato il Prefetto Di Giovine di essere referente unico per le richieste del GSF circa le iniziative e le manifestazioni di Genova. Viene inoltre manifestata l’intenzione di permettere la realizzazione della “Cittadella”, di permettere lo svolgimento di manifestazioni, e viene comunicato che le frontiere non saranno chiuse dall’Italia in quelle giornate. Il Prefetto Di Giovine chiede alla delegazione del GSF di avere il dettaglio di tutte le richieste complessive entro pochi giorni.
Il giorno 11/4/2001 viene consegnato al Prefetto Di Giovine il primo progetto organico su tutte le iniziative e le conseguenti richieste logistiche in merito alla settimana dal 14 al 22 di luglio (16 Richieste prefetto).
Il giorno 20/4/2001 una delegazione del GSF viene convocata dal Prefetto. Alla riunione – oltre che il Prefetto Di Giovine – sono presenti il Capo della Digos di Genova Spartaco Mortola, e Margherita Paolini. La delegazione del GSF illustra il progetto consegnato nove giorni prima. Da subito appare chiaro che il Governo non ha assunto nessuna decisione circa le richieste, e pertanto il Prefetto non affronta nessuno dei punti affrontati nel documento. Né sull’accoglienza, né sulla Cittadella, né tantomeno sulle manifestazioni. L’incontro si conclude dopo molte ore. Si trattò dell’ultimo incontro ufficiale che il GSF fece prima delle elezioni. E ancora nulla rispetto alle possibilità di fare manifestazioni e di accogliere i manifestanti era stato deciso.
I giorni 4/5 maggio a Genova si tiene la prima assemblea internazionale del GSF (17 4 e 5 Maggio. Circa trecento persone con provenienze da tutte le parti del mondo si confrontano sui temi che poi verranno affrontati nel Public Forum programmato per la settimana del vertice dal GSF. Avviene anche un approfondito confronto sulle giornate delle manifestazioni, presentate agli stranieri (18 manifestazioni 4 e 5 maggio). Il carattere pacifico e non violento delle manifestazioni esce rafforzato dalle discussioni.
Il giorno 8 maggio il GSF riceve per conoscenza una lettera di molti parlamentari liguri inviata al Premier Amato, con la quale essi segnalano l’importanza di dare rilievo ai temi che il GSF intende porre durante le giornate di luglio. Chiedono inoltre che il Governo intervenga nel via libera alle manifestazioni e che contribuisca economicamente per quel che riguarda l’accoglienza dei manifestanti (18bis parlamentari 8 maggio).
Vista l’assenza di risposte da parte del Governo il GSF decide di procedere con richieste formali alle autorità competenti (Prefetto, Questore, Sindaco, Comandante Vigili Urbani) circa accoglienza e manifestazioni il giorno 9/5/2001 (19 richieste 9 maggio).
Il giorno 10 maggio, facendo seguito ai carteggi intercorsi, il Gsf riceve la visita a Genova del Sindaco di La Spezia, Giorgio Pagano. Il sindaco da piena disponibilità e interesse per far sì che alcuni dei relatori previsti al Public Forum del GSF possano intervenire alla Spezia in una serie di eventi che l’amministrazione civica intende realizzare.
Il GSF integra le comunicazioni formali del 9 maggio con un’ulteriore comunicazione sull’accoglienza il giorno 15/5/2001 (19bis accoglienza 15 maggio)
Il GSF inoltra due lettere al Presidente della Repubblica Ciampi e al Premier in pectore Berlusconi il 24/5/2001 (20 Berlusconi2, 21 Ciampi2), segnalando il fatto che da mesi il GSF attendeva risposte in merito alle richieste di cui oramai tutti gli attori coinvolti erano a conoscenza da tempo. Si anticipava, inoltre, l’intenzione di realizzare iniziative in tutta Italia per il 2 giugno – festa della repubblica – a sostegno del diritto a manifestare garantito dalla nostra Costituzione.
Il 2 giugno infatti avvengono presidi davanti alle Prefetture di tutta Italia e anche di fronte a molte ambasciate italiane all’estero. Tutte le iniziative si sono svolte in un clima sereno e assolutamente pacifico.
Il giorno 5 di giugno viene elaborato un ulteriore testo approvato da tutta l’assemblea generale del GSF sul carattere pacifico e non violento delle manifestazioni di Genova (23 Rispetteremo la città).
Il 12/6/2001, il giorno dell’insediamento di Scajola a Ministro degli Interni, il GSF gli invia una lettera chiedendogli un incontro (22 lettera a Scajola).
Nel frattempo il GSF richiedeva e otteneva alcuni incontri con gli EELL genovesi inerenti all’accoglienza. Entrambi gli Enti (Comune e Provincia), tuttavia, non si esprimevano non avendo né il governo precedente, né quello appena insediato dato parere positivo alle manifestazioni e al piano di accoglienza.
Il giorno 24 giugno 2001 (una domenica pomeriggio) il Capo della Polizia Gianni De Gennaro, alla presenza del vice Capo Ansoino Andreassi, aveva convocato (immaginiamo su mandato del Governo) una delegazione del GSF (circa 10 persone). L’incontro durò circa due ore. De Gennaro ci comunicò l’intenzione del Governo di fare svolgere manifestazioni in concomitanza temporale con il Vertice del G8. Non essendo una trattativa, visto che De Gennaro stesso rassicurò circa il fatto che il diritto a manifestare non era in discussione, l’incontro si svolse attorno ad alcune questioni organizzative. Si discusse di come arrivare a Genova (frontiere e trasporti); il GSF avanzò la richiesta che le forze dell’ordine impegnate in prima linea non fossero armate; ed espose la richiesta che la “cosiddetta” Zona Gialla fosse cancellata. La discussione si articolò, ma apparve chiaro che le richieste e gli approfondimenti che ne seguirono avevano bisogno di un terreno anche politico di confronto che quell’incontro non poteva esaurire. Il GSF chiese la sospensione dell’incontro e rilanciò per l’ennesima volta la necessità di un incontro con il Ministro Scajola. Si era infatti a meno di un mese dall’evento e ancora nulla era stato deciso.
Il giorno 28 giugno 2001 una delegazione del GSF è convocata presso la Farnesina ad un incontro con il Ministro degli esteri Renato Ruggiero e il Ministro degli Interni Claudio Scajola. Tra gli altri (circa venti persone) erano presenti De Gennaro, Andreassi, Vattani, Paolini. Per il GSF erano presenti: COBAS – Luciano Muhlbauer, PRC + Giovani Comuniste/i - Beppe De Cristoforo; Rete Lilliput - Fabio Lucchesi, Ya Basta! Italia - Chiara Cassurino, ARCI - Massimiliano Morettini, Carta – Anna Pizzo, Vittorio Agnoletto (Portavoce). La prima parte dell’incontro fu gestita da Ruggiero, il quale avviò un dialogo sui contenuti invitandoci anche a sottoscrivere un documento insieme al Governo italiano da presentare ad un incontro con rappresentanti di Paesi poveri che si sarebbe dovuto tenere a Roma di lì a pochi giorni. registrammo subito nel merito di alcune questioni appena accennate molta distanze nella lettura politica e nella interpretazione di alcune dinamiche dei processi di globalizzazione. Respingemmo pertanto l’invito, segnalando per contro la necessità di avviare – in Parlamento e dopo il G8 – un rapporto stabile e continuo con la società civile organizzata sui temi della globalizzazione. Il Ministro Scajola confermò la decisione del Governo di far svolgere le manifestazioni che il GSF proponeva. Sconfessò il Vice premier Fini che il giorno prima aveva affermato che a Genova si sarebbe usato l’esercito in piazza per fronteggiare i manifestanti; respinse al mittente la richiesta che le forze dell’ordine impegnate in prima fila non fossero armate, affermando che – contrariamente a quanto è successo a Goteborg – “le forze dell’ordine italiane in piazza non sparano, perlomeno sinché io sarò ministro degli Interni “. Accennò inoltre ad alcune strutture da destinarsi all’accoglienza già concordate con gli EELL genovesi in una riunione avvenuta alcuni giorni prima. Sulla Zona Gialla , sulle frontiere e sui dettagli relativi alla viabilità per Genova in quei giorni rimandò ad una riunione di due giorni dopo in Prefettura a Genova.
Il 30 di giugno in Prefettura sono presenti: il Prefetto Di Giovine, il Capo della Polizia De Gennaro, il Questore di Genova Colucci, il capo della Digos Mortola e qualche altro funzionario. Per il GSF sono presenti: Roberto De Montis – Migranti; Angelo Pedrini – CUB; Stefano Kovac - GdL Accoglienza e Logistica; Sergio Tedeschi - Rete ControG8; Massimiliano Morettini – ARCI; Chiara Cassurino - Ya Basta! Italia; Bruno Palladini - Network per i Diritti Globali; Beppe De Cristoforo - PRC + Giovani Comuniste/i; Fiorino Iantorno – ATTAC; Raffaella Bolini – ARCI; Monica Lanfranco - Marcia Mondiale delle Donne; Bruno Manganaro - Lavoro e Società CGIL. L’incontro durò circa cinque ore. Rispetto alle frontiere, De Gennaro comunicò che avrebbe richiesto al Governo di attivare le clausole del trattato di Schengen relative alla riattivazione dei controlli. Il tutto gestito con grande elasticità e dietro segnalazioni mirate. Rispetto alla viabilità stradale non si presentavano grossi problemi, mentre si evidenziarono enormi questioni relative al traffico su rotaia. La chiusura del transito alla Stazione di Principe, infatti costringeva i treni ad un tortuosissimo giro per raggiungere la zona di levante. Unica zona nella quale – ci si disse – si sarebbero autorizzate manifestazioni e si sarebbero concentrati i luoghi di accoglienza. Protestammo per questa limitazione, che poi nei fatti fu cancellata (fu infatti in seguito autorizzato un corteo a Ponente). Rispetto alla cosiddetta “zona gialla”, dopo un’infinita discussione aperta dall’affermazione di De Gennaro – “la zona gialla non è la Bibbia” – si arrivò nei fatti alla conclusione che per tutto quello che concerneva le questioni di ordine pubblico per le quali è necessaria preventiva comunicazione alla Questura (e quindi manifestazioni, presidi, volantinaggi ecc.) la Zona Gialla poteva ritenersi non più esistente.
Tutte le altre autorizzazioni e decisioni necessarie rispetto alle manifestazioni e all’accoglienza si sarebbero discusse – come nei fatti è avvenuto – con le rispettive autorità competenti: rispettivamente la Questura e il Comando dei Vigili urbani e gli EELL, d’intesa con la Questura.
GLI ACCORDI SUGLI ASPETTI LOGISTICI
Per organizzare l’accoglienza il lavoro preparatorio è iniziato già dal mese dicembre 2000 e fin dall’11 aprile 2001 sono state presentate richieste concrete e formali al Governo allora in carica, alla Regione e agli enti locali
Nonostante i numerosi incontri effettuati non e’ stato possibile realizzare nulla di concreto fino alla fine di giugno.
Infatti, sia il Comune che la Provincia di Genova, pur con atteggiamenti diversi, hanno sostanzialmente condizionato ogni risposta ad un via libera governativo arrivato solo con l’incontro fra governo ed enti locali del 28 giugno 2001, con l’approvazione del successivo decreto di impegno dei finanziamenti, che stanziava i fondi e coll’incontro dei ministri dell’interno e degli affari esteri col GSF.
A quel punto iniziò un complesso lavoro per arrivare alla stesura di un piano dettagliato. Si e’ trattato dapprima di identificare una serie di strutture idonee poi di sottoporle all’autorità di PS, di attendere la risposta e quindi poi di effettuare la verifica finale col proprietario del bene (segnatamente comune e provincia); si e’ trattato di circa sei o sette incontri tenutisi in Questura principalmente col dott. Mortola ma a volte anche alla presenza del questore’ e del vice capo vicario della polizia.
Non sempre il percorso è stato semplice e lineare; si vuole qui ricordare il caso macroscopico dello stadio di atletica “Villa Gentile” prima concesso (fu addirittura uno dei due o tre luoghi “promessi” dal ministro degli interni) e poi negato senza una chiara motivazione alla vigilia dell’inizio della predisposizione del sito.
Ad un elenco definitivo si arrivò quindi solamente attorno al 10 di luglio ed i montaggi iniziarono concretamente fra il 12 ed il 13 dello stesso mese. La struttura è funzionante dal 16 luglio tranne alcuni campi per l’accoglienza che vengono consegnati il 17 ed il 18.ed il 19 di luglio.
Vengono predisposti a cura del comune e della provincia 8 siti per l’accoglienza tutti nel Levante della città così come prescritto dal Ministero degli Interni.
Stadio Carlini Tendoni collettivi Stadio Sciorba Tendoni collettivi Campo sportivo Via dei Ciclamini Tendoni collettivi Se.Di Area grigia
Area verde
Palestra Tendoni collettivi
Campeggio per tende individuali
P.le Rusca - Quinto Campeggio per tende individuali Valletta Cambiaso Campeggio per tende individuali Villa Gambaro Campeggio per tende individuali Parchi di Nervi Campeggio per tende individuali accanto a questi vengono allestiti tre siti destinati a :
Via C. Battisti scuola Diaz e Pascoli
Scuola Pertini Centro stampa e uffici Gsf
People’s House P.le V. Veneto e M.L. King Convergency center e spazio spettacoli Giardini G. Govi Public Forum
Dalla domenica 15 luglio cominciano ad arrivare le persone che vengono indirizzate nei centri di accoglienza già pronti (Sciorba, Carlini per le persone sprovviste di tenda e Valletta Cambiaso per quelli dotati di propria tenda).
Mano a mano che passa il tempo vengono attivati gli altri luoghi di accoglienza ma fin dal mercoledì ci si rende conto (ma del resto era già previsto) che iu posti non sarebbero stati sufficienti; infatti dato il vincolo imposto dall’amministrazione della PP.SS. di utilizzare solo le aree a levante e le difficoltà, visti i tempi ristrettissimi di attrezzare altri luoghi, la capienza totale non supera i 25mila posti contro previsioni che superano i 40mila.
Giovedì sera intorno alle 22 comincia a piovere copiosamente e tutti i tendoni collettivi predisposti si allagano La situazione peggiore è quella del SE.DI. dove il tendone è posto in fondo ad una discesa asfaltata verso le 23.30 nel tendone ci sono 40 cm d’acqua. Negli altri campi la situazione non e’ molto migliore e siamo costretti a chiedere l’intervento del 118 per due o tre persone colpite da ipotermia e da sindromi da raffreddamento.
I Vigili del Fuoco intervengono al Carlini mentre le persone che occupano via dei Ciclamini riescono a risolvere il problema da soli .
Alla Sciorba dopo una serie di consultazioni con l’amministrazione comunale vengono aperte le gradinate della piscina (coperte) mentre al SE.DI i Cobas ottengono direttamente dall’assessore Massolo l’apertura della seconda palestra e di un piccolo auditorium.
Con la pioggia molte persone che dormivano nei tendoni allagati o che, sprovviste di tende , dormivano col solo sacco a pelo all’aperto cercano una sistemazione e alcune di loro vengono accolte alla scuola Pertini nella palestra. Vengono richiesti agli enti locali interventi di emergenza (distribuzione di bevande calde e coperte) ma purtroppo ci viene riferito che tali interventi non sono tecnicamente fattibile.
Il Gsf effettua sopralluoghi in tutti i centri di accoglienza e al SE.DI. si nota che alcuni sconosciuti stanno danneggiando la palestra .La situazione è tesa ma apprendiamo che i Cobas (nella persona di Paolo Arado) hanno avvisato l’assessore Massolo di quanto sta avvenendo, e che lo stesso sta giungendo sul posto.
La mattina successiva durante una riunione in Comune alla presenza di vari esponenti dell’amministrazione comunale e provinciale avvertiamo nuovamente l’assessore Massolo di quanto visto la sera precedente e ci viene riconfermato che ne era già a conoscenza.
I GIORNI DELLE MANIFESTAZIONI E I FATTI DI GENOVA
Introduzione
La nostra memoria vuole anche contribuire a una ricostruzione ragionata dei fatti di Genova, basata sull’incrocio delle informazioni tratte da resoconti qualificati forniti da portavoce o esponenti dello staff del Genoa Social Forum, dalle oltre 200 testimonianze e denunce circostanziate di semplici cittadini e cittadine che abbiamo sinora potuto esaminare, delle oltre 400 segnalazioni e testimonianze che sono state raccolte dal GSF o da altre fonti ad esso vicine (liste di discussione come lilliput-g8, cerchiodig8, donnecontrog8, gsf), confrontate con quanto riportato da alcune testate giornalistiche nazionali e locali (Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica, Il Messaggero, Il Giornale, L’Unità, Il Manifesto, il Foglio, Libero, L’Espresso, Panorama, Famiglia Cristiana, Carta, ecc.).
Il nostro intento è quello di fornire, in breve, materiale per la riflessione e spunti per i necessari approfondimenti ai membri della Commissione bicamerale d’indagine conoscitiva sul G8 riguardo agli aspetti più controversi nella ricostruzione degli avvenimenti che vanno in particolare dal 16 al 22 luglio.
Il Genoa Social Forum, ritiene che in occasione del Vertice del G8 di Genova non siano stati garantiti i più elementari diritti dei cittadini e siano stati fortemente limitati i diritti costituzionali di espressione, informazione e manifestazione.
Qui di seguito vogliamo dare un’idea di quali siano i nodi problematici cui ci riferiamo per poi entrare nel merito di alcuni dei momenti/casi più controversi.
Prima di entrare nel merito di quanto successo nei giorni caldi degli scontri del 20 e 21 luglio, vale la pena di ricostruire a volo d’uccello gli scenari in cui si inserisce il percorso istituzionale che porta a concretizzare le iniziative di dibattito e manifestazione di piazza promosse dal GSF e descrivere brevemente il clima del periodo immediatamente precedente a partire dal 16 luglio, inizio tra l’altro del Public Forum organizzato dal GSF (che ha visto 200 relatori provenienti da tutto il mondo, 50 dei quali dai paesi del Sud), sino al 19 luglio, giorno della manifestazione dei migranti.
Per quanto riguarda le strutture di accoglienza e l’organizzazione del Public Forum e dell’area spettacoli e l’indicazione dei percorsi delle due grandi manifestazioni previste il 19 e il 21 luglio, nonostante fossero state presentate alla Struttura di missione governativa, e per conoscenza alla Prefettura, alla Regione Liguria, alla Provincia e al Comune di Genova, specifiche richieste di massima dal 9 febbraio 2001, formalizzate e meglio precisate in tutti i particolari l’11 aprile, anche per quanto riguarda le piazze tematiche previste per il 20 luglio, solo attorno al 30 giugno si riuscì a sbloccare la trattativa e a individuare le risorse economiche, che avrebbero portato alla costruzione delle strutture provvisorie sul litorale del quartiere la Foce e ad allestire i campi e le strutture di accoglienza di Nervi, di piazzale Rusca a Quinto, del SE.DI. e di via dei Ciclamini a Quarto di Valletta Cambiaso, dello Stadio Carlini, di Villa Gambaro, della Sciorba.
Nella settimana precedente lunedì 16 luglio, data di inizio del Public Forum, il GSF dovette coordinare l’allestimento da parte dei servizi tecnici del Comune di Genova, in grande fretta e con comprensibili disagi e preoccupazioni 26 stand 4 x 4 m. tre tendoni – 1 per 700 e 2 per 300 persone -, un palco in un’area che da piazza Caduti di Vittorio Veneto a Punta Vagno, nonché tutte le installazioni e i servizi del Media Center e degli altri uffici del GSF siti nei locali delle scuole Diaz e Pascoli di via C. Battisti.
I ritardi organizzativi e la fretta, in alcun modo imputabili al GSF, in cui si dovettero allestire strutture, i servizi e le e predisporre l’accoglienza delle 200 mila persone previste, di cui perlomeno 40 mila, si avrebbero soggiornato a Genova tra il 19 e il 20 luglio, erano il frutto delle continue dilazioni e tentennamenti delle istituzioni che solo all’ultimo riuscirono a fornire un quadro di certezze operative. Infatti, si deve ricordare che in tutto il periodo, dai primi di febbraio a fine giugno, il GSF fu tenuto sotto pressione dalle continue polemiche e indicazioni contraddittorie di esponenti di Governo e della coalizione di centro-sinistra che a lungo rimasero sul vago riguardo alle strutture e agli spazi da concedere, alle limitazioni del diritto a manifestare e alla chiusura o no delle frontiere: solo il 5 aprile in occasione di un incontro al Viminale gli ultimi dubbi vennero fugati dal Capo di gabinetto dell’allora ministro degli Interni Bianco e dal Prefetto di Genova Di Giovine (come già riferito nell’apposito capitolo dedicato ai rapporti tra GSF e le istituzioni). Il clima peggiorò, durante la campagna elettorale e nei giorni che precedettero la formazione del nuovo governo di centro-destra, cui il GSF chiese immediatamente un incontro indirizzando il 13 giugno una lettera all’appena nominato ministro Scajola, con numerosi dichiarazioni da parte di esponenti della giunta regionale in carica e della maggioranza in Parlamento sulla necessità di “chiudere” la città di Genova impedendo qualsiasi tipo di manifestazione e di impiegare con compiti di ordine pubblico corpi scelti dell’esercito. Solo a quindici giorni dalla partenza delle iniziative di riflessione e spettacolo si cominciarono ad avere alcune certezze, prima con i due incontri del 23 e del 30 giugno a Genova tra la delegazione del GSF e il Capo della Polizia De Gennaro, cui parteciparono anche il Prefetto e il Questore di Genova e, poi, con l’incontro alla Farnesina Roma con i ministri degli Esteri Ruggiero e il ministro degli Interni Scajola del 28 giugno.
Ma, anche dopo questi incontri, rimanevano forti dubbi e reticenze da parte delle istituzioni e delle autorità di polizia sull’articolazione della manifestazione del 20, legati in particolare all’arbitrario provvedimento del Prefetto di Genova che il 3 giugno oltre ad individuare la Zona Rossa, delineava una Zona Gialla, dai confini indefiniti, ma che comprendeva, buona parte dei quartieri che sorgono a levante di Brignole, dove si sarebbero dovuto svolgere i presìdi delle piazze tematiche, nella quale sarebbe stato vietato “qualsiasi tipo di manifestazione, compreso il volantinaggio”.
Questo provvedimento sospetto di incostituzionalità, come ebbero a confermare alcuni autorevoli giuristi, fu di fatto sospeso ma mai annullato formalmente, anche perché la migliore delimitazione della Zona Gialla e l’individuazione dei divieti che dovevano vigere in essa erano rimandati a un successivo atto del Questore di Genova mai emanato.
IL GSF, che aveva dimostrato un grande senso di responsabilità nei confronti delle istituzioni, si trovò a gestire sino all’ultimo un clima di incertezza e di tensione, data la poca chiarezza su quante e quali iniziative fosse possibile svolgere nei giorni del Vertice dei G8.
A parte i ritardi e le disfunzioni, l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti del movimento di contestazione alla globalizzazione neoliberista, che vedeva il GSF attore della contestazione al Vertice del G8 di Genova, è stato contraddittorio e tentennante e ha lasciato spazio a maldestri tentativi di delegittimazione mezzo stampa da parte di apparati dello Stato che non sono stati però mai autorevolmente smentiti. In particolare, questo atteggiamento era stato condizionato da due gravissimi rapporti stilati dal SISDE, anche in cooperazione con altri servizi di intelligence, i cui contenuti filtrano sulla stampa. Del primo, realizzato dal SISDE in collaborazione con i servizi segreti degli altri paesi coinvolti nel Vertice, si ha notizia sull’ANSA il 19 maggio 2001 e indiscrezioni dicono che contenga accuse contro un’imprecisata “ala militarista” che sarebbe disponibile ad attrezzarsi per contestare il Vertice addirittura con bombe al “sangue infetto” e con spray per oscurare le visiere delle forze dell’ordine. Del secondo, redatto a quanto risulta dal solo SISDE, viene data notizia sulla Repubblica del 26 giugno, che riferisce che detto documento contiene affermazioni ancora più gravi che attribuirebbero a un non precisato “movimento antagonista” l’intenzione di “catturare”, durante le manifestazioni di piazza, agenti di polizia, rimasti isolati da usare come “scudi umani” per proteggersi dall’attacco delle Forze dell’ordine.
Queste notizie, su imprecisate frange più estreme dei manifestanti che starebbero meditando di colpire duramente le forze dell’ordine, arrivano agli organi di stampa, mentre si susseguono sui media cronache sugli allenamenti dei reparti mobili della Polizia di Stato nel campo di addestramento di Ponte Galeria vicino Roma e dichiarazioni truculente di singoli esponenti delle forze dell’ordine che vi partecipano.
La tensione, alimentata fino a quel momento in particolare dai dossier del SISDE e dal comportamento ondivago delle istituzioni, viene resa drammatica nei giorni della contestazione dalla catena di attentati che travagliarono la città di Genova, ma anche altri centri come Milano e Treviso nel periodo che va dal 16 al 19 luglio. Per ricostruire in breve quei momenti, si deve ricordare che già nella settimana precedente all’avvio del Public Forum un auto sospetta era stata individuata a piazza Corvetto a poche centinaia di metri della Prefettura e il portabagagli era stato fatto saltare dagli artificieri della Polizia di Stato: l’allarme, che bloccò per oltre un’ora il centro cittadino, era ingiustificato e si scoprì che la polizia municipale aveva segnalato già quell’auto in stato di abbandono. Il 16 luglio, nel giorno dell’avvio del programma dei dibattiti del Public Forum (che apre le manifestazioni promosse dal GSF e che vede tre sessioni di dibattiti ogni giorno dal 16 al 22 luglio), alle 10.30 del mattino un pacco bomba esplode tra le mani del carabiniere ausiliario Stefano Torri in forza alla Caserma dei CC di San Fruttuoso, ferendolo a un occhio e alle mani. Nella mattina del 16 gli artificieri dei carabinieri aprono con una carica esplosiva un furgone sospetto parcheggiato davanti al comando provinciale dell’Arma e dopo l’attentato a Torri viene trovata nella zona di calata Catteneo vicino ai Magazzini del Cotone una finta bomba. Nella serata, sempre del 16, un ordigno incendiario a orologeria viene trovato sotto un camper davanti allo stadio Carlini, centro di accoglienza dove erano concentrate le Tute Bianche, i No Global di Napoli e Rage di Roma. Il 17 luglio si succedono otto i falsi allarmi in varie zone della città che gettano nel panico la popolazione e hanno ampia ricaduta sui media. Gli artificieri delle forze dell’ordine, che dichiarano subito di seguire nelle loro prima indagine la pista “anarchico-insurrezionalista” intervengono, a partire dalla mattina: alla stazione ferroviaria di Principe, a Cornigliano, a via Gobetti a via Cinque Dicembre, di nuovo alla stazione di Principe, a via Giotto, di fronte alla caserma della compagnia San Martino dei Carabinieri, nei pressi dello Stadio Carlini. Il 18 luglio continua la psicosi da attentato con quattro falsi allarmi: alla Foce, in via Chighizola a Sturla, a corso Sardegna e a Ponte Parodi. Il 18 luglio gli attentatori alzano il tiro, questa volta gi ordigni sono veri: vengono recapitate buste esplosive agli studi del TG4 a Milano e alla Benetton a Treviso. Il 19, giorno in cui comincia ad arrivare anche dal resto d’Europa il grosso dei manifestanti, oltre che a Genova (nel Porto Antico), l’allarmismo si estende al confine tra Italia e Francia nell’imperiese, con falsi allarmi a Ventimiglia e Ospedaletti.
Mentre si succedono gli allarmi bomba, il 17 luglio arriva una busta al sindaco di Genova che contiene un messaggio di morte per il portavoce del GSF Vittorio Agnoletto e due proiettili calibro 38 e il 18 luglio è anche il giorno che vide 400 agenti fra Carabinieri e Polizia di Stato presentarsi davanti allo Stadio Carlini e alcuni funzionari effettuare in tutta tranquillità la perquisizione della struttura sportiva già affollata da migliaia di manifestanti delle Tute Bianche, convenuti a Genova per partecipare alla manifestazione internazionale dei migranti del giorno dopo.
Questo è il clima che si respira in città quando nella notte tra il 17 e il 18 luglio quando vengono innalzate barriere di 5 metri di altezza attorno alla zona rossa e vengono predisposti 10 varchi per garantire l’acceso pubblico al centro cittadino (6 pedonali e 4 carrabili), oltre a un’altra decina di varchi di servizio, non resi noti. Varchi che vengono difesi, tenendo nella Zona Rossa circa la metà della forza disponibile (6100 su 12.400 agenti, almeno a quanto risulta), quando, dopo la decisione di difendere con i container la stazione di Brignole i rischi di “invasione” , come dimostreranno poi i fatti, erano ridotta al minimo..
Il 19 luglio fu il giorno della grande manifestazione per i diritti dei migranti e dei rifugiati, con corteo da piazza Sarzano a piazzale Kennedy, che vide, oltre tutte le previsioni dello stesso GSF, circa 50 mila persone, provenienti da tutta Europa, manifestare pacificamente per 3 ore per le strade di Genova.
La splendida e riuscitissima manifestazione del 19 allenta il clima di tensione a Genova anche se le notizie provenienti da altre parti d’Italia, a conclusione della giornata, non sono confortanti: da Ancona viene la notizia che 150 cittadini greci che volevano partecipare alle manifestazioni di Genova sono stati reimbarcati e espulsi in massa con la forza da una carica della Polizia di Stato. Mentre un’altra nave con altri 200 passeggeri viene bloccata fuori del porto.
Premessa
Ma veniamo, dopo aver descritto il percorso intrapreso dal Genoa Social Forum e gli scenari in cui questo si è trovato a operare, a verificare quali e quanti siano gli aspetti di quello “strappo” delle libertà democratiche che emerse in tutta la sua evidenza nelle giornate del 20,21,22 luglio.
Il GSF, in questo sostenuto e confortato dal parere di autorevoli giuristi, dai commenti e dalle prese di posizione di esponenti del giornalismo e della cultura, dagli opinionisti delle più prestigiose testate in ambito internazionale, ritiene che in occasione dei fatti di Genova:
Sospensione e violazione dei diritti democratici
siano da chiarire le responsabilità della Procura della Repubblica, che, a quanto risulta, ha assunto la decisione (che ha avuto le sue conseguenze gravissime nei fatti della caserma di PS di Bolzaneto, ma anche in quel che risulta sia successo a piazzale Kennedy e nella caserma dei Carabinieri di San Giuliano) di sospendere preventivamente e in via generalizzata il diritto ai colloqui tra i fermati e gli arrestati e i loro difensori (artt. nn. 104 e 384 del CPP) per tutto il periodo del loro trattenimento in caserme e commissariati. Un simile atto, che ha avuto come conseguenza a quanto risulta la sospensione del diritto di difesa, per la sua indeterminatezza e generalità prescinde da specifiche, eccezionali esigenze investigative misurate sul caso concreto e si pone perciò in contrasto con le più elementari garanzie di difesa, previste espressamente dal nostro ordinamento e nelle regole penitenziarie europee e dell’ONU. A questo proprio ricordiamo che la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha più volte affermato che il divieto di trattamenti “inumani” (art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo) è assoluto, non consente deroghe “neppure nelle circostanze più difficili, quali la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato e neppure in caso di pericolo pubblico”;
si debbano verificare tutti gli abusi dell’art. 41 TULPS per compiere operazioni di polizia del tutto ingiustificate (in particolare alla scuola Pertini), senza che ricorressero i termini per l’applicazione di questa eccezionale procedura di perquisizione, giustificata solo se si sospetta di poter rinvenire armi o esplosivi, fatto reso ancora più grave dall’assenza di un controllo della magistratura (il Procuratore della Repubblica avrebbe impedito al PM competente di parteciparvi) che, pur avvisata proprio nel caso dell’irruzione del 21 luglio nei locali della Pertini, della Diaz e della Pascoli – per queste ultime non esiste nemmeno un verbale – non ha sentito il dovere di presenziare all’atto di indagine;
si debbano verificare tutti gli abusi compiuti dai corpi di polizia impiegati in funzioni di ordine pubblico (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato) nelle giornate del 20, del 21 e del 22 luglio (anche a manifestazioni concluse), nei luoghi di concentramento e detenzione (piazzale Kennedy e, a quanto sembra, anche nella Caserma/Comando provinciale dei CC di San Giuliano) e nei luoghi di detenzione temporanea la norma della Costituzione (art. 13) che “vieta ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Sempre a questo proposito la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo stabilisce che “nei confronti della persona privata della sua libertà il ricorso alla costrizione fisica che non sia reso strettamente necessario dalla condotta dell’arrestato costituisce in via di principio una violazione dell’art. 3 della Convenzione”;
si debbano accertare tutte le violazioni dei diritti di molti fermati, che hanno subito maltrattamenti (ad esempio a piazzale Kennedy), rilasciati direttamente dalla Polizia di Stato senza alcun passaggio di fronte a un giudice;
si debbano accertare tutti i casi, riferentesi in particolare a cittadini stranieri, di violazione dell’obbligo stabilito dal nostro Codice di Procedura Penale, di dare notizia “senza ritardo” ai familiari dell’avvenuto arresto di una persona. A tre-quattro giorni dagli arresti molti nei consolate e nelle famiglie ignoravano la sorte dei fermati;
si debba capire perché siano stati contestati presunti reati ricorrenti, che fanno sospettare l’uso di cosiddetti “verbali fotocopia” a moltissimi manifestanti in stato di fermo, come dimostrano le numerosissime segnalazioni in merito e come viene confermato indirettamente dal numero eccezionale di arresti non convalidati,
si debba ancora accertare la verità e approfondire le indagini sugli abusi nei confronti di manifestanti che sono ricorsi alle cure ospedaliere. Sono stati denunciati decine di casi in cui manifestanti feriti, che si sono recati nei nosocomi per farsi curare o che sono stati portati nei pronto soccorso dopo il blitz alla Pertini, sono stati trasferiti d’autorità dalla polizia alla caserma dei PS di Bolzaneto o in carcere, senza che ci fosse la preventiva autorizzazione alla dismissione da parte del personale medico (sicuramente fatti di questo tipo si sono verificati agli Ospedali San Martino e Galliera);
si debba chiarire perché il Ministero degli Interni abbia avallato per la generalità degli stranieri una procedura di espulsione che non ha riscontri nel nostro ordinamento. Quando il GIP competente non ha convalidato i fermi dei manifestanti stranieri, non essendovi alcun elemento di prova, a loro carico è stato adottato un provvedimento immediato di espulsione, con accompagnamento alla frontiera, senza distinzione tra stranieri comunitari ed extracomunitari. Anche in questo caso senza che gli avvocati potessero dire una sola parola e senza che fosse garantito il diritto alla difesa. Tale procedura è inaccettabile perché applicata su persone dichiarate come innocenti dalla stessa autorità giudiziaria;
si debba accertare in quanti e quali casi e perché sia stato violato o fortemente limitato il diritto alla informazione con una gestione arbitraria degli accrediti necessari per seguire i lavori ufficiali del Vertice - di volta in volta ritardati o negati ai singoli richiedenti senza alcuna spiegazione in merito - e sia stata messa a rischio l’incolumità degli operatori dell’informazione con la distribuzione a rappresentanti in borghese delle forze dell’ordine di false pettorine stampa (come confermato dall’Ordine dei Giornalisti e dalla FNSI);
si debbano accertare le responsabilità del Governo (in particolare i ministri degli Interni, della Giustizia e degli Esteri) riguardo alla predisposizione e assunzione di gran parte delle misure straordinarie assunte in occasione del Vertice dei G8 di Genova (per quel che riguarda almeno le più gravi, quali: il provvedimento di sospensione del diritto di difesa, l’ampio potere attribuito alla polizia giudiziaria, le procedure di espulsione degli stranieri e la gestione degli accrediti alla stampa) e si debba verificare se queste misure nel loro insieme non possano configurare una sospensione di fatto delle garanzie democratiche in violazione della Costituzione e in deroga alle normative vigenti;
Direttive, operazioni e comportamenti anomali nella gestione dell’ordine pubblico
si debba accertare se il Governo fosse a conoscenza della natura e degli obiettivi delle operazioni di “infiltrazione” condotte dalle forze dell’ordine e in particolare, a quanto sembra, dall’Arma dei Carabinieri;
quali siano le responsabilità del Governo nella decisione assunte riguardo all’impiego di reparti speciali normalmente impiegati nella lotta contro la criminalità organizzata (Servizio Centrale Operativo – SCO della Polizia di Stato e Gruppo Operativo Mobile – GOM della Polizia Penitenziaria), evidentemente impreparati a sostenere tale compito. Decisione che è stata assunta dopo un dibattito che addirittura ventilava l’impiego a Genova con tali funzioni di corpi speciali delle Forze Armate (Folgore, San Marco, Lagunari, ecc.);
si debbano chiarire le responsabilità e le disfunzioni nella catena di comando che hanno portato il Governo, le forze dell’ordine e la magistratura, ognuno per la loro parte, nel concepimento, nell’organizzazione e nella gestione del sistema di luoghi di concentramento temporaneo e detenzione individuati ne: la caserma dei Carabinieri di Forte San Giuliano, il Centro operativo di piazzale Kennnedy, la caserma del VI Reparto Mobile di PS di Bolzaneto;
si debba stabilire se è vero che il Governo, secondo quanto dichiarato dagli altissimi funzionari sotto inchiesta (in particolare dal vicecapo della Polizia e direttore dell’Ucigos Arnaldo La Barbera, dal dirigente del reparto mobile Vincenzo Canterini e dal capo dello SCO Franco Gratteri o dagli stessi dirigenti dei GOM, ma anche dalla dichiarazioni del vicequestore di Genova Angela Burlando), dopo aver avocato di fatto ai vertici nazionali delle forze dell’ordine e ai responsabili dei corpi speciali gran parte delle decisioni operative, non abbia chiarito quale fosse la catena di comando, né stabilito nella gestione di azioni specifiche o di strutture particolari chi fossero i responsabili (come confermerebbero le testimonianze di dirigenti e funzionari coinvolti nel blitz della Pertini e a proposito di Bolzaneto la relazione al Ministero degli Interni del superispettore Salvatore Montanaro);
si debba chiarire come mai il Governo e le forze dell’ordine, pur in possesso di informative in merito: non abbiano condotto alcuna operazione preventiva per scongiurare o circoscrivere l’arrivo a Genova di gruppi neonazi, di gruppi ultras e dei cosiddetti black bloc italiani e stranieri;
le forze dell’ordine debbano chiarire perché abbiano lasciato operare praticamente indisturbati per oltre 5 ore venerdì 20 luglio in tutto il quadrante di Levante che va dalla Foce - piazza Paolo da Novi-Corso Torino-piazzale Kennedy -, a Marassi, a piazza Manin alla cosiddetta Circonvalazione a monte in un’area di alcune chilometri quadrati, tra i 300 e i 500 cosiddetti black bloc, ben individuabili e che agivano perlopiù separati dal resto dei manifestanti (concentrati a Corso Gastaldi, piazza Dante e piazza Manin). Questo anche quando (come nel caso delle devastazioni sistematiche di piazza Paolo da Novi e di Corso Buenos Aires o degli incidenti provocati per tutto Corso Torino, a piazza Rossetti, piazza Giusti, San Fruttuoso e Marassi), i fatti avvenivano a poche decine o centinaia di metri dal consistente presidio di Brignole, dalla Questura, dal centro interforze della Fiera del Mare o addirittura a ridosso di un “obiettivo sensibile” quale il carcere di Marassi;
si debba chiarire come mai il 20 si rilevano tanti casi di interventi indiscriminati e violenti da parte di reparti delle forze dell’ordine su manifestanti isolati e inermi (come testimoniano gravissimi episodi avvenuti nei dintorni della Foce ben prima dei gravissimi fatti di piazza Alimonda, tra cui quello per il quale è indagato il vicequestore Perugini) e nello sgombero della manifestazioni dei nonviolenti come nel grave caso di piazza Manin (dove era in corso un presidio di Rete Lilliput, Legambiente, della Marcia delle Donne e di Rete ControG8) o nella stessa piazza Dante (dove si erano concentrati ARCI, Attac, LILA e Rifondazione Comunista);
si debba accertare come sia potuto accadere che centinaia di cosiddetti BB si siano potuti arrivare in piazza Sturla per disporsi in coda al grande corteo in formazione del 21 luglio;
si debba ancora accertare la verità e si debbano ancora accertare pienamente le responsabilità del Ministero degli Interni in occasione del doppio blitz avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 luglio (dalle 24 alle 2 di notte, tempo necessario per completare l’operazione di trasferimento su cellulari e autoambulanze dei ragazzi della Pertini) e in particolare, visto che la relazione consegnata al Ministero degli Interni da parte del superispettore Giuseppe Micalizio è particolarmente lacunosa e parziale: perché sia stato volutamente ingigantito l’episodio del lancio della bottiglia di birra vuota alle 20.00 circa del 21 quando automezzi della polizia (il giorno dopo gli scontri del 20 e la morte di Giuliani) passavano a velocità sostenuta tra le persone che sostavano ingombrando i marciapiedi e il piano stradale di via Battisti (strada che divide le due scuole – Pertini e Diaz -, site una di fronte all’altra); quali siano i gravi motivi e le informazioni in possesso delle forze di polizia che hanno indotto a organizzare l’operazione che da una semplice perquisizione ai sensi dell’art. 41 TULPS (peraltro ingiustificata come si è visto dall’altissimo numero di persone per le quali non è stato confermato l’arresto: 92 su 93) si è presto trasformato in una violenta irruzione; chi avesse il comando dell’operazione (posto che oltre a Canterini e Gratteri era presente, il vice capo della Polizia e direttore dell’Ucigos La Barbera e il capo della Digos di Genova Spartaco Mortola); perché, come risulterebbe dalle prime ricostruzioni, dopo lo sfondamento del cancello ad irrompere tra i primi nei locali siano stati gli uomini – in borghese e mascherati con passamontagna – dello SCO, reparto normalmente impegnato nella lotta contro il crimine organizzato; perché sia stata accreditata l’idea, totalmente falsa, che i reparti delle forze dell’ordine siano stati colpiti di un fitto lancio di oggetti dai piani superiori della Pertini o della Diaz; perché sia stata accreditata l’idea che, ad eccezione della timida azione di contrasto che è stata improvvisata al piano terra della Pertini, vi sia stata un’accanita resistenza da parte di coloro che, come risulta da numerosissime testimonianze, in realtà dormivano o si stavano accingendo a farlo nei locali della scuola (come testimoniano le riprese); perché il comandante dell’operazione o qualcuno dei responsabili sia intervenuto a mitigare la violenza del blitz, che ha avuto come risultato – come è noto – più di 60 persone che hanno dovuto ricorrere alle cure mediche su 93 fermati; chi ha assunto la decisione di impedire l’accesso alla Pertini ai legali presenti, subito chiamati dagli esponenti del GSF che si trovavano in quel momento nei locali del Media Center nella scuole Diaz/Pascoli; chi guidava gli agenti che hanno fatto irruzione nei locali del Media Center della scuola Diaz/Pascoli; perché c’è stato un particolare accanimento nell’ufficio legale del GSF e nei locali destinati a Indymedia e chi ha dato l’ordine di distruggere i computer e i telefoni dell’ufficio legale e manomettere, tra gli altri oggetti e strumenti, gli hard disk di detto ufficio, le videocassette di Indymedia che documentavano l’irruzione; perché non è stato redatto alcun verbale in merito all’operazione nella sede della Diaz/Pascoli del GSF;
non si sia ancora proceduto a una seria inchiesta su tutti gli episodi di abuso e di arbitrio che hanno messo a rischio la vita degli agenti e dei manifestanti coinvolgendo centinaia di persone e che vanno ben oltre i 13 gravi casi registrati nella sua relazione al Ministero degli Interni dal superispettore Lorenzo Cernetig: oltre alle cariche, ai pestaggi e ai fermi arbitrari (sono decine le testimonianze in merito), si dovrebbe appurare: se, come risulta da molte testimonianze (raccolte il 20 e il 21 in via Nizza, nei dintorni di Piazza Alimonda, via Canevari e piazza Tommaseo) ci siano stati altri episodi di minacciato uso o uso delle armi da parte di agenti in borghese o in divisa; in quanti e quali casi, oltre quelli segnalati (a Corso gastaldi il 20 e a Corso Italia il 21) le forze dell’ordine abbiano fatto uso di blindati lanciati a forte velocità per sgomberare la piazza; chi abbia autorizzato l’impiego di sostanze urticanti, che vengono considerate armi chimiche (bandite dall’uso in guerra dalla relativa Convenzione Mondiale) contenute in spray per l’autodifesa personale e nei gas lacrimogeni in dotazione delle forze dell’ordine a Genova;
si debbano accertare tutti quanti e quali siano stati i compiti anomali di membri delle forze dell’ordine che, anche muniti degli accrediti stampa, il 20 e il 21, abbiano agito da “agenti provocatori”, come testimoniano le numerose segnalazioni raccolte dal GSF in varie zone della città (tra le quali: San Martino, piazzale Kennedy, via de Gaspari, via Casaregis, via Canevari, Corso Italia, via C. Battisti, via Ayroli);
si debba spiegare perché siano state ignorate dalle forze dell’ordine le informative e le segnalazioni relative alla partecipazione di gruppi neonazisti italiani e stranieri e il ruolo svolto dagli ultras delle varie tifoserie, speso legate all’estrema destra;
Presenza di esponenti del Governo a Genova
si debba appurare se il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini e il Ministro della Giustizia Roberto Castelli, presenti rispettivamente, il primo a Genova il 20 e 21 in Questura e a Forte San Giuliano e il secondo nella notte tra il 21 e il 22 luglio a Bolzaneto - testimoni sicuramente qualificati e autorevoli - abbiano fatto tutto quanto in loro potere per garantire il rispetto delle regole democratiche e dello Stato di diritto in quei giorni, quando stavano succedendo in città fatti di gravità eccezionale.
Questi sono i punti controversi che intendevamo segnalare all’attenzione dei membri della Commissione parlamentare, cercando nel prosieguo di questa nostra memoria di entrare nel merito, con maggiore dovizia di particolari, degli episodi e dei fatti più controversi.
La giornata del 20 luglio
Premessa
Ricordiamo che il 20 le iniziative organizzate dal GSF sono state: il presidio di piazza Manin/via Assaroti (organizzato da Rete Lilliput, Legambiente, della Marcia delle Donne e di Rete ControG8); il presidio di piazza Dante (dove si erano concentrati Arci, Attac, Lila e Rifondazione Comunista); il presidio di piazza Paolo da Novi (organizzato da Cobas, Network per i diritti globali e Coordinamento Antagonista toscano). Il corteo da piazza Montano a piazza Di Negro Gastaldi (organizzato dalla CUB e altri) organizzato dai Cub, cui aderisce, tra gli altri, lo Slai-Cobas), il corteo di Corso Gastaldi (organizzato dalle Tute Bianche, dai Giovani Comunisti, da Rage di Roma e dalla Rete No Global di Napoli).
Tutte queste iniziative erano state comunicate a suo tempo alla Questura e in tutte queste zone si registrano le incursioni dei black bloc, tranne che a piazza Portello, unico iniziativa dei gruppi di azione non violenta, non annunciata preventivamente.
Il ruolo dei black bloc
La cifra di questa giornata, oltre che dai gravissimi episodi di piazza Alimonda, che, nel tardo pomeriggio, attorno alle 17.30 portano alla morte di Carlo Giuliani, è caratterizzata dalle scorribande e distruzioni sistematiche di 300-500 cosiddetti black bloc che sono lasciati in grado di operare praticamente indisturbati dalle 11 alle 17 del pomeriggio in un’ampia area della città, di alcuni chilometri quadrati, che va dalla cosiddetta Circonvalazione a mare sino alla zona sovrastante la stazione di Principe, al limitare della Zona Rossa, a ponente e sino a piazzale Kennedy, passando per la bassa Val Bisagno nelle zone di via Montaldo, piazza G. Ferraris,, Corso Sardegna, piazza Giusti, piazza Terralba, via Torti, Piazza Martinez, Corso Torino, via Rimassa, piazza Rossetti e mettendo a ferro e fuoco in tutta tranquillità almeno sei quartieri: Foce, San Fruttuoso, Marassi, Castelletto, San Martino e zone marginali del Centro Storico.
Specifichiamo che l’espressione “cosiddetti black bloc” non è casuale perché in piazza a Genova il 20 e anche il 21 hanno agito sicuramente gruppi che fanno riferimento a questa esperienza diffusa soprattutto nel centro e nord Europa, ma anche gruppi estremi non facilmente identificali, con connivenze nella tifoseria ultras, oppure in contatto con gruppi di teppismo organizzato e squadre neonaziste. Questa galassia della violenza e del saccheggio che aveva come metodo operativo comune la guerriglia urbana realizzata da piccoli gruppi veloci, facilmente individuabili e circoscrivibili (come è avvenuto in tutto il percorso di avvicinamento da piazza Giusti-Corso Sardegna-Marassi-via Montaldo- piazza Manin-Circonvalazione a monte e nella zona di Terralba-via Torti) o, prima della partenza delle azioni da folti gruppi facilmente individuabili (come è avvenuto nel caso dell’inizio devastazioni la mattina del 20 nella zona di via Tolemaide-Corso Gastaldi, ore prima che partisse il corteo del Carlini e la mattina del 21 a Sturla prima che partisse la grande manifestazione promossa dal GSF. Di fatto, questi gruppi sono sfuggiti inspiegabilmente al controllo delle forze dell’ordine, fatto che ha dell’incredibile soprattutto se si tiene conto del massiccio uso di elicotteri delle forze dell’ordine che hanno sorvolato Genova nei tre giorni delle manifestazioni e nei giorni precedenti ad esse).
La sensazione che le forze dell’ordine avessero deciso, più o meno consapevolmente, di “lasciar fare” o comunque abbiano derogato dalle loro funzioni è data da numerosi episodi circostanziati che esamineremo nei dettagli più avanti, ma a cui possiamo subito accennare: l’arrivo armati e la devastazione sistematica di piazza Paolo da Novi, gli scontri a Corso Torino, Via Rimassa, piazza Rossetti e piazzale Kennedy, tutti nella mattinata sino alle 12.30, prima che ci fosse il momento critico dell’arrivo in Corso Gastaldi del corteo proveniente dallo stadio Carlini, tutte azioni promosse da un gruppo di non più di 300-500 cosiddetti BB a ridosso di Brignole (nella notte tra il 19 e il 20 erano stati posizionati a chiusura di via XX Settembre e piazza Verdi, rendendola inaccessibile anche da piazza della Vittoria una doppia fila di container, oltre alle griglie di sbarramento in testa di via XX Settembre), della Questura di Genova e del centro operativo interforze della Fiera del Mare/piazzale Kennedy. Per non parlare poi del gravissimo episodio dell’assalto al carcere di Marassi del gruppo che si era sganciato alla galleria di corso Sardegna. Tutta la tranquilla e indisturbata marcia di avvicinamento di quest’ultimo gruppo a piazza Manin, il superamento della piazza e le devastazioni che sono continuate per la circonvallazione a monte (Corso Armellini, Corso Solferino, Corso Podestà, piazza G. Villa, ecc.).
Proviamo a questo punto a ricostruire con maggiore dovizia di particolari quanto appena descritto sinteticamente.
A partire dalle ore 11 squadre di cosiddetti BB si concentrano a piazza Paolo da Novi scavando nel selciato per munirsi di pietre, strappando delimitazioni metalliche del prato, sradicando segnali stradali, riempiendo cassonetti di questi materiali. Sono in buona parte giovanissimi e stranieri. Alle 11.15 a Corso Buenos Aires, a poche decine di metri dalla zona di Brignole e dallo schieramento della polizia i BB smontano i ponteggi di un cantiere per armarsi di tubi di ferro di fronte ai cordoni immobili dei finanzieri e dei poliziotti, alcuni dei quali dell’antiterrorismo. Poco dopo le 11.30 cominciano, divisi in squadre, l’opera sistematica di distruzione su Corso Torino e Corso Buenos Aires, dove viene distrutta la filiale del Credito Italiano. Su Corso Torino danno fuoco ai cassonetti, rovesciano e svuotano i contenitori delle bottiglie di plastica danno fuoco ai contenitori di rifiuti e ai bidoni della spazzatura, bruciano macchine, infrangono vetrine di negozi, delle fermate dell’autobus , delle cabine telefoniche. Uno di loro si aggrappa alle grate dell’Ufficio Anagrafe del Comune e butta dentro una molotov. Sciamano sino alla fine di Corso Torino e all’inizio di via Rimassa si accaniscono contro l’agenzia della BNL che verrà sistematicamente distrutta a data alle fiamme il giorno successivo. Il primo assalto alla filiale della BNL della Foce, a quanto risulta, avviene sotto gli occhi di un reparto di carabinieri, che non interviene e i BB addirittura si fermano aspettando la reazione delle forze dell’ordine senza che nulla succeda. Gli unici contatti con le forze dell’ordine sono, il primo visivo, con i reparti dei carabinieri dei reparti antisommossa che sbucano circospetti da via della Libertà (poche centinaia di metri di strada che finisce a piazza Paolo da Novi), senza però far nulla; il secondo, è un blando lancio di lacrimogeni su via Pisacane. I BB inoltre attaccano il concentramento improvvisato su Corso Marconi a poca distanza dal centro operativo interforze della Fiera del Mare dai Cobas e dal Network dei Diritti Globali, che, vistisi espropriati, avevano abbandonato il presidio autorizzato di piazza Paolo Da Novi. Dopo le loro scorribande alla Foce, i BB si dividono in diversi gruppi, uno che va verso piazza Rossetti, a poche centinaia di metri dalla Fiera del Mare, e un altro indisturbato, attraversa via Tolemaide, si dirige verso il sottopassaggio che porta su via Archimede nel quartiere di Marassi, per devastare questo quartiere e attaccare il carcere.
Il gruppo che nella tarda mattinata sbuca a via Archimede assalta uffici postali, supermarket e negozi, oltrepassano il ponte sul Bisagno incendiando automobili e poi si dirigono, dopo aver ripassato il Bisagno verso il carcere di Marassi. La descrizione dell’assalto al carcere di Marassi è irreale. I testimoni contano, verso le 14.30, non più di 50 BB che assaltano il carcere tirando sassi contro la porta, incendiano il portone della casa di detenzione, rompono le telecamere esterne, si arrampicano lungo le pareti esterne, sfondano i vetri di due locali, lanciando bottiglie molotov e incendiando gli uffici. L’azione vera e propria dura 15 minuti, ma l’avvicinamento della squadraccia era visibile ad occhio nudo da perlomeno 20 minuti, mentre dagli spalti assistono immobili le guardie carcerarie di sentinella, sotto gli occhi di un reparto di carabinieri munito di tre blindati e due jeep, che addirittura – secondo alcune testimonianze anche filmate addirittura a un certo punto si ritira – e mentre un elicottero delle forze dell’ordine sorvola ripetutamente la zona.
Il gruppo di devastatori, attraversa con tutta calma il torrente Bisagno, e raggiunge con assoluta calma la scalinata Montaldo, prima di avventurarsi sulla scalinata, per poi raggiungere piazza Manin (dove, come vedremo più avanti entreranno in contatto con il presidio di Rete Lilliput e altri di piazza Manin, che li respingerà), bivaccano per circa un quarto d’ora a focaccette e birra.
Dopo l’azione di disturbo che provoca la prima reazione delle forze dell’ordine a Corso Gastaldi il gruppo di presunti BB arriva a piazza Terralba dove si ripete la scena devastazione sistematica, già vista a piazza Paolo da Novi, mentre reparti di polizia stanno a guardare in posizione dominante dalle zone circostanti. I BB mettono a ferro e fuoco sistematicamente per una buona mezz’ora in tutta tranquillità la zona di piazza Terralba, via Torti e piazza Martinez sotto gli occhi delle forze dell’ordine che si tengono a dovuta distanza. Addirittura un cittadino genovese interviene per ostacolare l’azione dei BB, ma viene allontanato, si presume, da un agente in borghese.
Anche se non è emerso sui giornali in grande evidenza, gruppi di presunti BB operano anche attorno alla Zona Di Negro-via Cantore, luogo dove si conclude la manifestazione promossa da alcune realtà sindacali di base tra cui Cub e Slai-Cobas. Per circa un’ora squadracce imperversano, percorrendo a ritroso il percorso del corteo, in via Cantore e via Buranello rovesciando e incendiando Cassonetti e irrompono a piazza Montano dove distruggono cabine telefoniche, vetrate e bancomat delle filiali delle banche Passadore e BNL. Se ne vanno, percorrendo poi via G.B. Monti a nord di via Cantore dove sorge la stazione dei carabinieri di Sampierdarena.
Oltre alle evidenti, colpevoli afasie delle forze dell’ordine appena descritte è opportuno ricordare come le forze dell’ordine che, dovevano conoscere le basi di partenza dei cosiddetti BB.
La quasi assoluta libertà di movimento dei cosiddetti BB ha stupito – come si può riscontrare nelle non poche testimonianze raccolte nei media e girate in rete - gli stessi appartenenti, italiani e stranieri al blocco nero.
Le stesse testimoniane non escludono, come è apparso evidente in piazza che a fianco dei BB del centro e nord Europa agissero gruppi di squadristi, per la stragrande maggioranza italiani, di varia estrazione e provenienza (tifoseria ultras in contatto spesso con gruppi di destra).
Non solo nelle nolo strategie e nelle azioni di piazza i BB, come risulta sempre da testimonianze e dichiarazioni dirette dei loro teorici europei o dalle parole dai membri delle squadre violente che hanno partecipato agli incidenti di Genova, non escludono assolutamente contaminazioni con i gruppi neonazisti.
Come, non trascurabile, aggiungiamo noi., è stata la presenza nelle due giornate di agenti provocatori e squadre in borghese, composte da membri delle “forze dell’ordine” che, come poi vedremo, è continuata anche il giorno 21 luglio.
Gruppi di ultras delle tifosierie e squadracce di destra
La Questura, come si poi scoperto, era in possesso già da luglio di una relazione dal titolo, a quanto risulta “informazioni sul fronte della protesta anti g8”, che conteneva anche circostanziate notizie sulla possibile presenza a Genova di gruppi delle destra estrema legati in particolare e Forza Nuova, Fronte Nazionale e Comunità Politica di Avanguardia (tutti gruppi neonazisti).
Secondo quanto riferito dai giornali, in particolare da Il Secolo XIX del 26 luglio, nella relazione veniva segnalato che “alcuni membri torinesi di Forza Nuova, costruirebbero un gruppo di 25-30 militanti fidati da infiltrare tra i gruppi delle cosiddette Tute Bianche. In particolare, in questo documento si afferma ancora che “Forza Nuova (...) avrebbe come obiettivo di colpire in caso di incidenti, le forze dell’ordine, screditando così l’area antagonista di sinistra.
Testimonianze della presenza a Genova anche di elementi dell’internazionale neonazista vengono raccolte anche da Il Manifesto del 23 luglio 2001 nell’articolo a firma di Augusto Boschi e Loris Campetti dal titolo “”Io, black nazi, a Genova protetto dalla polizia”, che riferiscono la testimonianza di tre giornalisti (Luca Arnaù Mara Queirolo e Mauro Bocci impegnati a fare un servizio per un giornale britannico sulla presenza degli inglesi nella manifestazioni genovesi. Questi giornalisti, a quanto riferito dal Manifesto: “¼ si imbattono il giorno della marcia dei migranti in un ragazzo di Birmingham (...) E’ durante gli scontri del 20 che lo rincontrano ha gli anfibi, i pantaloni di una mimetica, una felpa nera (...) Ma soprattutto brandisce un palo divelto da un cartello stradale ed è completamente ubriaco e disposto a parlare. Dice di chiamarsi Liam Stevens e di avere 26 anni (...). Il volto è nascosto da un fazzoletto bianco sul quale è dipinta in modo artigianale, la Union Jack. Il braccio destro è coperto di tatuaggi: rune celtiche. Strani tatuaggi per un anarchico. E infatti, nel suo semi incomprensibile inglese di Birmingham spiega di no: ‘Nazi, nazi”, battendosi il petto. E cosa ci fa un nazista di Birmingham alla manifestazione del GSF? ‘Non me ne frega un cazzo dei G8’, risponde ‘sono qui per spaccare tutto e mi sto divertendo un sacco’. L’intervista continua (...). Si scopre che Liam ‘Doggy’ Stevens è a Genova da una settimana perché i suoi ‘italian brothers’, i fratelli italiani, hanno detto a lui e al suo gruppo che ci sarà da divertirsi e che non devono avere paura della polizia: non li toccherà e li lascerà fare”.
Dal rullino di due tedeschi incarcerati a Pontedecimo spunta inoltre un rullino fotografico in cui ci sono fotografie di manifestazioni e di un campo di addestramento di neonazisti.
Gruppi stranieri che, come abbiamo visto, sembrano godere di appoggi in Italia e a Genova. Come conferma il dettagliato rapporto datato 12 luglio in cui si parla del rischio di infiltrazioni da parte dell’ultradestra (in cui si parla di 600 infiltrati presenti a Genova) e numerosi sono gli articoli di giornali che sembrano segnalarne la presenza: Biagio Cacciola, leader storico del Fuan e vicepresidente del consiglio comunale di Frosinone, afferma in una dichiarazione al Messaggero, subito smentita dai dirigenti nazionali dell’organizzazione citata, “A Genova eravamo trecento del Fronte Nazionale”.
A parte i militanti “regolari” dell’ultradestra, a quanto risulta da numerosi riscontri avrebbero agito a Genova, sia il 20 che il 21, gruppi legati ai gruppi ultras delle tifoserie, spesso collegati a ambienti di destra.
A proposito delle infiltrazioni di squadracce della destra e dei loro collegamenti con gli ambienti ultras delle tifoserie di calcio, il GSF dichiara di possedere un’importantissima e circostanziata testimonianza, che verrà trasmessa alla magistratura, la quale confermerebbe la presenza a Genova, a partire perlomeno dal 16 luglio, di bande di ultras di squadre di calcio di città del Nord Italia, prezzolate da ambienti di destra.
Ma squadristi di destra legati alla tifoseria ultras non sembrano venire solo dal Nord Italia, F.R. di ritorno dalla manifestazione di Manin incontra un presunto BB isolato che gli chiede una sigaretta e poi, chiacchierando si abbandona a una confessione. A F.R. che gli domanda il perché di quelle distruzioni, risponde: “¼che lui l’ha fatto perché è fascista di Forza Nuova e perché tifa con la Roma¼”.
Al di là delle connivenze e/o le identità tra ambienti politici squadristici ed ultras delle tifoserie, alcuni individui isolati o squadre legate alle tifoserie di varie città italiane e anche cittadine sono stati individuati in piazza, nelle registrazioni video e nelle foto in possesso delle forze dell’ordine.
Ad esempio, il 21 luglio il servizio d’ordine in testa al corteo individua verso le 14.30, all’altezza di Corso Buenos Aires incrocio con Corso Torino, un individuo massiccio, alto circa un metro e novanta, capelli cortissimi, bomber nero, indossato in una giornata caldissima, che indossa al collo una sciarpa di stoffa con i colori dell’Inter.
Piazza Paolo da Novi
La piazza, occupata dai cosiddetti BB viene abbandonata dai Cobas e dagli attivisti del network per i diritti globali che avevano organizzato il presidio preventivamente autorizzato. COBAS e Network si dirigono verso il mare dove improvvisano un concentramento a Corso Marconi all’altezza di piazza Rossetti.
Il concentramento nella piazza tematica doveva avvenire alle ore 12. Nella zona attorno alla Stazione ferroviaria di Brignole durante la notte erano stati disposti sbarramenti costruiti con container.
Reparti in tenuta antisommossa erano disposti a elle, chiudendo la piazza non solo in direzione piazza Verdi (imbocco di corso Buenos Aires), ma anche in direzione mare, in via della Libertà. Successivamente, il reparto in via della Libertà veniva riposizionato.
Tra le 11.30 e le 11.45, mentre stavano arrivando alla spicciolata le prime centinaia di manifestanti e le delegazioni contadine, gli avvenimenti sono precipitati in brevissimo tempo.
Da una parte alcune decine di giovanissimi, senza segni distintivi evidenti, hanno iniziato a lanciare contro il reparto schierato in corso Buenos Aires oggetti, che si erano procurati svellendo le pavimentazioni intorno alle aiuole della piazza e da un cantiere di ristrutturazione.
Nel mentre da corso Buenos Aires sopraggiungeva un corteo di forse 200 o più persone, quasi tutte a volto coperto, che attaccavano le vetrate di una banca nel corso e poi iniziavano a muoversi verso piazza Tommaseo, in direzione contraria rispetto alla Zona Rossa.
A questo punto i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire, quindi i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche, anche se il concentramento non era ancora concluso, hanno dovuto abbandonare la piazza.
Alcune centinaia di essi hanno cercato di allontanarsi insieme, uscendo da piazza Paolo da Novi in un primo tempo in direzione di piazza Palermo, poi, resisi conto che in quella direzione si stavano verificando incidenti, dirigendosi verso piazzale Kennedy attraverso via Casaregis.
Un certo numero di persone vestite di nero (nell’ordine delle decine) hanno tallonato il corteo per farsene scudo e hanno continuato a incendiare cassonetti e infrangere vetrine.
Corso Gastaldi
Alle 13.30 circa parte il corteo dei disobbedienti, il cui preavviso era stato notificato alla Questura di Genova il 16 luglio (vedi allegati) e di cui era stata vietata la parte finale il giorno 19 luglio (piazza Verdi, piazza delle Americhe, piazza della Vittoria e Via XX Settembre) e che risultava quindi regolarmente autorizzato fino alla fine di via Tolemaide.
Sono circa 20 mila i manifestanti che partono dallo stadio Carlini.
Alla testa alcune file di scudi collettivi, montati su strutture mobili e dietro altre migliaia di persone con giubbetti nautici e protezioni individuali, tutti senza strumenti atti ad offendere.
Fino dall’altezza dell’ospedale di San Martino è possibile scorgere dense colonne di fumo ed elicotteri a bassa quota alcuni chilometri più in basso.
Il corteo viene rallentato per comprendere la situazione e avanza con estrema lentezza fino all’incrocio con via Montevideo, dove incontra la carcassa di un’autovettura ribaltata, bruciata e ormai solo fumante.
Il corteo, fin dallo stadio Carlini è preceduto ad alcune centinaia di metri da un “gruppo di contatto”, composto da alcuni portavoce, parlamentari e giornalisti, delegato appunto a prendere contatto con i dirigenti delle forze dell’ordine.
Ma il “gruppo di contatto” non riuscirà a svolgere alcuna funzione pur essendosi spinto fin quasi alla stazione di Brignole, senza incontrare nessun interlocutore. Il corteo arriva a pochi metri dall’incrocio fra via Tolemaide e corso Torino, dove un centinaio carabinieri stava inseguendo un piccolo gruppo di persone che fuggiva verso il tunnel sotto la ferrovia che immette in corso Sardegna. Il gruppo di carabinieri, giunto all’incrocio con via Tolemaide, desiste improvvisamente dall’inseguimento e, sparando lacrimogeni, svolta di 90 gradi nella suddetta via caricando la testa del corteo. Nel giro di pochissimi minuti dalla stazione di Brignole avanzano i cellulari dei carabinieri, fino ad allora fermi, che sostengono l’azione di carica, supportati da un’incessante pioggia di lacrimogeni provenienti anche dai tetti dei palazzi e, in un secondo momento, anche dal ponte della ferrovia.
Da questo punto in poi le cariche saranno continue, mentre il corteo arretra lentamente, e tutto attorno la situazione si fa sempre più confusa.
Il corteo continua ad indietreggiare verso il Carlini, sotto la pressione dei lacrimogeni e l’azione dei mezzi blindati, lanciati ad alta velocità contro i manifestanti (come dimostrano immagini video e foto), mentre nella zona continuano violenti scontri, che porteranno poco dopo la morte di Carlo Giuliani.
A questo punto, in via Tolemaide, avanzano due grossi automezzi della polizia dotati di idranti, usati come arieti contro la testa della manifestazione e nel corteo si diffonde la notizia che le forze dell’ordine hanno usato armi da fuoco e che uno o più manifestanti sono rimasti colpiti.
Poco dopo arriva la conferma della morte di un ragazzo e la voce di altri due decessi. (Solo in serata si saprà il nome e la nazionalità di Carlo Giuliani)
Il corteo indietreggia, incalzato dalle cariche lungo Corso Gastaldi per più di un chilometro.
All’incrocio con via F. Corridoni, alcune centinaia di poliziotti, nonostante parte del gruppo di contatto avesse più volte comunicato che il corteo stava rientrando allo stadio Carlini, si aggiungono alle cariche che cessano solo alcune centinaia di metri prima dello stadio stesso dove il corteo rientra a partire dalle 18.30.
Cariche, pestaggi ed arresti continuano nelle ore successive nei quartieri di San Martino e alla Foce, nei confronti di chi si era perso o attardato.
Piazza Manin
Dalle 9.30 del mattino a piazza Manin è stato organizzato il presidio, comunicato ufficialmente alla Questura e “autorizzato” per tempo, di Rete Lilliput, Marcia Mondiale delle Donne, Legambiente e Rete ContrG8. Ci sono banchetti delle botteghe del commercio equo e solidale, cartelloni sui temi della globalizzazione dei vari nodi territoriali di Rete Lilliput e striscioni delle varie organizzazioni. In questa piazza, che non vede alcuna presenza delle forze dell’ordine che fino al giorno prima la presidiavano, convergono anche gli aderenti al Pink Bloc, ecopacifisti in prevalenza del centro e nord Europa.
Oltre alle autorizzazioni scritte gli organizzatori del presidio di piazza Manin martedì 17 luglio mattina si recano a una riunione operativa in Questura con il capo della Digos Spartaco Mortola, durante la quale si sono chiariti definitivamente gli orientamenti del movimento rispetto alle zone di concentramento dei cortei e dei presidi, una fase interlocutoria durante la quale da parte della Questura è stata assicurata celerità nelle decisioni.
Il pomeriggio stesso, dopo aver fissato un appuntamento, Rete Lilliput nella figura di uno dei suoi portavoce, Alberto Zoratti, incontra nuovamente il capo della Digos per definire in maniera più specifica la zona della circonvallazione a Monte, specificando chi e come avrebbe gestito le diverse piazza tematiche in programma (Commercio Equo, Debito, Pace e Guerra, Tobin Tax).
Giovedì 19 luglio, nel pomeriggio, dopo la comunicazione scritta da parte della Questura riguardo alle piazze concesse e non concesse, Alberto Zoratti di Rete Lilliput e un portavoce di Retecontrog8 comunicano al Capo della Digos Spartaco Mortola i rispettivi recapiti telefonici, così da facilitare i contatti e le comunicazioni in caso di emergenza (operazione di fatto inutile, visto che mai sono stati utilizzati dalla Questura); durante la stessa telefonata e in un’altra successiva si è sollecitata l’individuazione di un responsabile di piazza tra le forze dell’ordine che fungesse da riferimento in caso di necessità.
Alle assicurazioni da parte del Capo della Digos non sono seguiti fatti concreti, tanto meno durante la carica a Manin il giorno 20 pomeriggio. In quella occasione nonostante si richiedesse agli operatori di polizia presenti in piazza chi fosse il funzionario responsabile, gli organizzatori non ricevevano risposte. Contattato a questo proposito al telefono, Mortola rispondeva con uno sconfortante “levatevi di lì”.
Ciò per quanto riguarda i rapporti con la Questura, ma vediamo la dinamica degli eventi in piazza.
Quando, nella tarda mattinata del 20, si concentrano nella piazza circa due-tremila persone, verso le 12.30 si decide di cominciare a scendere per via Assarotti per effettuare un sit in pacifico davanti alle barriere di piazza Corvetto e di piazza Marsala. Giunti alla fine di via Assarotti inizia il sit in e dopo una breve trattativa con le forze dell’ordine cui partecipano, anche Don Gallo e Franca Rame, che nel frattempo hanno raggiunto il grosso dei manifestanti, le forze dell’ordine consentano agli attivisti nonviolenti di attaccare messaggi, striscioni e massaggi alle grate di piazza Corvetto, mentre le esponenti del movimento femminista e il Pink Bloc inscenano un’analoga iniziativa alle barriere di piazza Marsala.
Verso le 13.30 giungono via cellulare a vari manifestanti notizie riguardanti le incursioni dei presunti black bloc e verso le 14, viene segnalato che un gruppo di cosiddetti BB che aveva assaltato il carcere di Marassi si starebbe dirigendo verso Manin prendendo via Peschiera o via Monte Grappa. A quel punto gli organizzatori della manifestazione decidono di far arretrare il grosso dei manifestanti oltre via Peschiera e infine di guadagnare di nuovo piazza Manin dove stazionavano dalla mattina alcuni attivisti a presidio delle strutture, mentre alcune decine di attivisti rimangono davanti alle grate di piazza Corvetto.
Verso le 14.30 irrompono nella piazza, facendo marce e caroselli i presunti BB e altri gruppi armati di spranghe e bastoni. Gli attivisti nonviolenti si frappongono tra i cosiddetti BB e l’imbocco di via Assarotti per impedire loro di imboccarla e mettere in pericolo chi è rimasto davanti alle grate che delimitano la Zona Rossa. Dopo pochi minuti, mentre i presunti BB, stanno sganciandosi incominciando a imboccare Corso Armellini, cominciano a piovere candelotti in piazza contro il gruppo di manifestanti nonviolenti che avevano fatto interposizione. Subito dopo una cinquantina di agenti della Polizia di Stato irrompono nella piazza accanendosi sui banchetti e manganellando gli eco-pacifisti e le femministe. Alcuni dei presenti contano perlomeno una decina di ragazzi e ragazze con la testa insaguinata e ad una ragazza viene fratturata una mano (35 giorni di prognosi).
I presunti BB nel frattempo in tutta calma procedono per Corso Armellini improvvisando barricate con i cassonetti e le campane dei rifiuti e sfasciando le macchine in sosta. All’altezza di piazza San Bartolomeo degli Armeni viene organizzata un’altra barricata e un drappello di una decina di BB attende l’arrivo dei BB: c’è un lancio di bottiglie e di lacrimogeni, e anche gli ultimi BB a quel punto si muovono per raggiungere gli altri lungo Corso Solferino.
I poliziotti, invece di inseguire i BB, deviano verso l’adiacente piazza San Bartolomeo, dove si erano rifugiati un gruppo di pacifisti e li aggrediscono e continueranno la caccia al militante nonviolento anche lungo l’adiacente via Assarotti. I BB nel frattempo agiscono indisturbati lungo via Palestro. Mentre la polizia si attesta immobile a piazza Marsala. L’opera di istruzione dei BB continua in tutta tranquillità anche per Corso Magenta e Corso Paganini.
Nel frattempo, sono ormai le 16.30- 17.00, giunta la notizia che il GSF ha deciso di smobilitare i presidi di piazza e di convocare un’assemblea a piazzale Kennedy il grosso dei reduci di piazza Manin (circa mille persone), imbocca via Monte Grappa e poi scende da una scalinata dietro Brignole sulla sponda destra del Bisagno all’altezza di ponte Sant’Agata, dove arriva alle 17.30. Mentre nella zona i BB stanno mettendo a ferro e fuoco il quartiere di Marassi i pacifisti che vogliono raggiungere piazzale Kennedy trattano con un reparto di polizia che presidia l’uscita della galleria in fondo a via Canevari che gli impedisce il passaggio per circa un’ora. Sempre Alberto Zoratti di Rete Lilliput, in questo frangente cerca di sbloccare quella pericolosa situazione ritelefona a quel punto al capo della Digos Mortola che gli risponde di non poter fare nulla. Alla fine, dopo aver saputo che il reparto di carabinieri che presidiava la galleria di Corso Sardegna faceva filtrare le persone, i mille riescono a guadagnare Corso Torino e in corteo, tra le devastazioni, raggiungono piazzale Kennedy.
Piazza Dante
Intorno ai giorni 16/17 di luglio Arci, Attac (Italia e Francia), Fiom CGIL, Rifondazione Comunista, Unione degli studenti, i Centri sociali di Milano Torchiera, Baraonda, CerchioG8, la LILA – dopo alcuni sopralluoghi – decidono di svolgere le loro iniziative/manifestazioni per il giorno 20 di luglio nelle piazze Carignano e Dante.
Depositano regolare comunicazione alla Questura di Genova circa le proprie manifestazioni in un documento unico in cui erano presenti tutte le iniziative di piazza promosse dal Genoa Social Forum.
Il giorno 19 di luglio al mattino si svolge una riunione delle organizzazioni che sarebbero state presenti nelle piazze Carignano e Dante. Durante la riunione si studiano i modi per organizzare la “protezione” delle piazze per mantenere la piena pacificità delle manifestazioni e si preparano le attività e le iniziative da svolgersi. In particolare si decide di collocare alcune persone in luoghi strategici pronti ad avvisare i responsabili della piazza qualora ci fossero avvisaglie di incidenti o pericoli di infiltrazioni. I luoghi “sorvegliati” erano in particolare: l’imboccatura della galleria che conduce a Piazza Dante, l’inizio di Via D’annunzio e i giardini retrostanti la Piazza Dante, Via Ravasco e le due vie di accesso a Piazza Carignano che circondano la chiesa.
Si fissa il concentramento alle ore 12 in Piazza Carignano. Si decide comunque di avere già una presenza nelle due piazze già dalle 10.30/11 per presidiarle. Attac France sarebbe partita in corteo da Piazzale Kennedy. Le attività prevedono la presenza di due sound-system (camioncini con casse per la musica) uno in ogni piazza; spettacoli di teatro di strada (Living theatre); altre attività creative da svolgersi intorno alla rete presente lungo tutto Piazza Dante (palloncini da far volare oltre le grate, un grosso piede di compensato da buttare oltre la rete, la costruzione di una torre di babele dalla quale far parlare le persone e altre iniziative).
Intorno alle ore 11 del giorno 19 luglio Massimiliano Morettini (Arci) e Fiorino Iantorno (Attac Italia) si recano in Questura da Spartaco Mortola Capo della Digos per informarlo sull’organizzazione di protezione delle piazze Dante e Carignano, sulle attività che vi si sarebbero svolte e sulle organizzazioni che lì sarebbero state presenti. Dopo un breve colloquio il Mortola accompagna Morettini e Iantorno nell’ufficio di Andreassi nel quale era presente anche il Questore di Genova Colucci. Entrambi vengono messi al corrente di tutto quanto già comunicato al dott. Mortola. Vengono rivolte richieste di chiarimento, gli viene risposto. Vengono verbalmente autorizzate tutte le attività proposte. Il tutto in un clima sereno e collaborativo.
La mattina del 20 luglio, già dalle ore 11 circa ci sono presenti nelle due piazze gli organizzatori che cominciano a predisporre le attività per la giornata.
Viene notato un motorino in Piazza Carignano, con alcuni fili scoperti che pareva abbandonato. Il motorino aveva sul serbatoio un adesivo della Polizia di Stato. Viene avvisata la Questura almeno tre volte per venire a controllare che non ci fossero ordigni. Nessun intervento.
Intorno alle ore 12 le due piazze si cominciano a riempire. Nel frattempo cominciano ad arrivare le prime notizie degli incidenti in città. Prima dalla zona di Corso Torino/Piazzale Kennedy, poi Piazza Manin, poi a Brignole/Valbisagno, e via di seguito. Morettini era in contatto telefonico con il capo della Digos Mortola per avere informazioni circa la presenza di cosiddetti black bloc nei pressi delle Piazze Carignano – Dante. Morettini inoltre informava Mortola delle segnalazioni di incidenti che riceveva dai vari responsabili di piazza in città.
In Piazza Dante la manifestazione si svolgeva in modo abbastanza tranquillo. Ogni tanto qualche momento di tensione e qualche attacco un po’ eccessivo alla rete veniva interrotto dai getti degli idranti con acqua urticante. In Piazza c’era musica e si alternavano gli spettacoli di teatro.
Il clima teso che si respirava per quello che avveniva in città ha fatto sì che le organizzazioni presenti rinunciassero a molte delle attività previste (la torre di Babele, il “piedone” e altro), valutando che non ci fossero le condizioni.
Il servizio di sorveglianza della piazza ha funzionato sequestrando ad alcune persone oggetti trovati per strada (qualche bastone, qualche cartellone stradale), allontanando qualche esagitato nei pressi della rete, bloccando persone “sospette” in Piazza Carignano senza farle scendere in Piazza Dante.
Le persone salivano e scendevano continuamente da Via Fieschi facendo la spola tra le due piazze.
Intorno alle quattordici uno dei nostri punti di sorveglianza intorno alla Chiesa di Piazza Carignano ci informa della presenza di incidenti tra Forze dell’ordine e cosiddetti Black Bloc nei pressi di Piazza Alessi. Una decina di persone appartenenti ad Attac e provenivano dal centro città e si dirigevano verso Piazza Carignano. Restano bloccati dagli scontri. Alcuni attivisti di Attac da Piazza Carignano cercano di raggiungerli per guidarli verso la Piazza. L’operazione riesce ma due attivisti di Attac vengono malmenati ed uno viene posto in stato di fermo.
Intorno alle ore 15 il corteo di Globalize resistence/Socialist workers (circa 2000 persone) raggiunge le due piazze.
Intorno alle ore 15.30 il sindaco di GenovaGiuseppe Pericu invita telefonicamente il portavoce del GSF Vittorio Agnoletto, presente in Piazza Dante, ad abbandonare la Piazza Dante per poter permettere ai reparti lì impegnati di dirigersi in altre zone della città nelle quali continuavano a svolgersi incidenti. Il tempo di organizzarsi e intorno alle ore 16/16.30 tutti i presenti in Piazza Dante (in quel momento circa 4000 persone) si dispongono in corteo e in modo ordinato risalgono per via Fieschi e abbandonano la Piazza.
In quel momento – senza motivo alcuno, visto che Piazza Dante era ormai praticamente svuotata – i reparti di polizia collocati in via Fieschi bassa (dietro le grate) lanciano due/tre lacrimogeni sulla coda del corteo ormai incamminato verso Piazza Carignano e caricano i manifestanti che sono rimasti indietro. Si crea un po’ di panico e di disordine, ma in breve tempo la coda si ricompone e la Piazza Dante viene abbandonata attorno alle 17.
Corteo da piazza Montano a piazza Di Negro
Il sindacato di base CUB (Confederazione Unitaria di Base) comunica alla questura ai primi di maggio il corteo con il percorso tradizionale dei lavoratori (da piazza Montano a Fontane Marose – la zona rossa non era ancora stata definita).Negli incontri tra GSF e responsabili della Polizia, Prefettura e Questura si spiegano le ragioni del percorso e le modalità pacifiche. Per tutta una lunga fase non viene data certezza riguardo al corteo a ponente e il capo della polizia De Gennaro nel secondo incontro invita i rappresentanti della CUB a recarsi in Questura per decidere il percorso: Successivamente il capo della Digos di Genova Mortola (Digos) propone di tenere la manifestazione a Levante.
Ancora nella settimana del vertice di fronte alla ultima richiesta generale del GSF non si riesce a sbloccare la situazione per cui lo sciopero generale viene preparato tra i lavoratori e nel paese nella incertezza del percorso.
Nella giornata di martedì la delegazione CUB si reca alle ore 15,00 in Questura e viene ricevuta dal responsabile della Digos Spartaco Mortola e solo dopo vari tentativi di far cambiare percorso si arriva ad una proposta che prevede il corteo ridotto drasticamente nel percorso con partenza da piazza Montano e conclusione a piazza Di negro.
Alle ore 21 circa si interrompe in attesa di autorizzazione definitiva e alla ripresa 22,30 viene proposta una autorizzazione verbale e solo di fronte alle proteste della delegazione del sindacato di base CUB viene autorizzato il corteo con alcune prescrizioni.
In piazza Montano a metà mattinata ci sono già migliaia di lavoratori. Alle ore 12 circa viene fatta una verifica delle modalità della manifestazione con i responsabili di piazza.
Il corteo si svolge regolarmente con la presenza di delegazioni massicce di lavoratori e lavoratrici sotto le bandiere della CUB e dello SlaiCobas. Erano presenti inoltre delegazioni del sindacato USI, del coordinamento Anarchici contro il G8 (prevalentemente FAI) e del Campo Antimperialista.
Per garantire che tutto andasse secondo le previsioni e decisioni degli organizzatori i lavoratori hanno esercitato un’azione di controllo per la durata della iniziativa.
All’arrivo in piazza, la Polizia ha indossato le maschere antigas, come si stesse apprestando al lancio di lacrimogeni, quando la situazione era tranquilla. Dopo una serie di proteste i responsabili delle forze dell’ordine le hanno fatte togliere.
All’ingresso da vie laterali nella piazza di probabili provocatori è stato deciso di accelerare la chiusura della manifestazione in piazza Di Negro e di far tornare il corteo al punto di partenza.
Durante il ritorno in piazza Montano si è avuta notizia, lontano dal percorso del corteo, di episodi di distruzione di Cassonetti, Banche ecc. da parte di presunti BB.
Si notava, tra l’altro, in modo inspiegabile che la sede Fiat lungo il percorso non era più presidiata.
Sono stati necessari ripetuti interventi e richieste di chiarimenti perché le forze dell’ordine a presidio di piazza Montano (in particolare i carabinieri) mostravano una particolare, anche se nella piazza tutto era calmo e tranquillo e i lavoratori erano in attesa dell’arrivo dei pullman per il ritorno.
Gran parte dei manifestanti erano in viaggio alla tragica notizia della morte del giovane Carlo Giuliani.
Episodi inquietanti
A cominciare dal 20 si svolgono in varie parti di Genova alcuni episodi inquietanti (pestaggi e minacce anche armate), che coinvolgono persone isolate, spesso testimoni qualificati di quello che avviene (giornalisti, cine e foto operatori, personale sanitario del GSF), come attestano numerosi organi di stampa e come hanno avuto occasione di documentare la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti, di cui sono responsabili le forze dell’Ordine e che sembrano preparare il clima di violenza generalizzata del giorno successivo.
Questi episodi, che, lo ripetiamo, si riferiscono solo al 20, perché il 21 le cariche indiscriminate, i lanci di lacrimogeni ad altezza d’uomo, dai tetti e dagli elicotteri e l’uso di blindati a alta velocità contro il corteo sono all’ordine del giorno e coinvolgono centinaia se non migliaia di manifestanti, vanno ben oltre i 13 casi segnalati dal superispettore Lorenzo Cernetig, incaricato dal Ministero degli Interni di redigere la relazione sugli abusi commessi in piazza dalle forze dell’ordine.
L’episodio più noto è quello che coinvolge a fine mattinata, attorno alle 13, Marco, un ragazzo di quindici anni che aveva appena partecipato a un sit in all’imbocco di via Barabino, viene bloccato a circa 200 metri di fronte alla Questura di Genova, tra via Diaz e via Finocchiaro Aprile, a ridosso del quartiere della Foce, e pestato a colpi di manganello sino a quando non stramazza a terra anche a seguito dei calci infertigli da Alessandro Perugini, vicequestore di Genova.
Nella tarda mattinata di venerdì all’altezza dell’Anagrafe di Corso Torino, mentre i BB imperversano, vengono picchiati a sangue due membri del servizio sanitario del GSF: l’infermiere Lorenzo Marvelli, 37 anni riporta la frattura del naso e una ferita alla testa, il medico Michele Parodi di 28 anni anche lui viene colpito alla testa e ha contusioni su tutto il corpo.
In piazza Tommaseo, sempre la mattina, P. U., che sta riprendendo con una piccola telecamera, ciò che sta avvenendo nel quartiere della Foce viene fermato senza motivo dalla polizia che lo carica su un cellulare.
Nel pomeriggio sono di nuovi i sanitari a essere nel mirino della polizia di Stato che li rincorre e li assedia nella sede della Croce Rossa Italiana all’altezza del ponte di Terralba, dopo la violenta carica che aveva seminato decine di feriti a Corso Gastaldi.
Sempre sanitari del GSF, che tentano di soccorrere un manifestante ferito in via Tolemaide, vengono malmenati dai poliziotti nonostante si fossero qualificati.
Sempre nella zona la polizia si è accanita anche contro tre ragazze che stavano in via Corridoni all’altezza della Casa dello Studente. Un poliziotto ne butta una giù da un muretto, che, poi a terra, benché abbia subito una frattura (come poi si apprende all’Ospedale San Martino) viene anche manganellata, mentre le altre due testimoni, amiche della ragazza caduta, evidentemente sotto shock, vengono pestate anche loro.
Nei dintorni di piazza Dante a piazza G. Alessi alcuni agenti di polizia di un reparto mobile verso le 13.30 malmenano un ragazzo isolato munito di macchina fotografica sino a farlo cadere e infieriscono su di lui con i calci mentre e a terra.
Sempre alle verso le 13.30 in un vicolo vicino piazza Carignano, a poche centinaia di metri di piazza Alessi, sempre due camionette, probabilmente dello stesso reparto mobile della polizia qui intervenuti, incrociano un gruppo di cinque ragazzi, tra cui R. B., 27 anni dell’associazione per la pace, che stanno dirigendosi al presidio pacifico di Piazza Dante. Dalle camionette, che si fermano bruscamente di fronte al gruppo di ragazzi scendono dieci poliziotti che aggrediscono con spray al peperoncino, manganellate, calci e pugni i ragazzi lasciandoli a terra sanguinanti.
Il pomeriggio, nei pressi di piazza Alimonda, poco dopo la morte di Carlo Giuliani, viene pestato a sangue e arrestato Timothy Ormezzano il figlio del giornalista Gian Paolo Ormezzano che ha l’unica colpa di usare una videocamera.
Eligio Paoni, fotoreporter dell’Agenzia Contrasto, aggredito dai carabinieri viene brutalmente pestato e ferito gravemente alla testa e riporta anche la frattura di una mano mentre tenta di riprendere quanto accade a piazza Alimonda.
Alle 18, all’angolo tra via Nizza via Trebisonda, O. D’A. di Milano assiste alla caduta di un ragazzo in motorino che viene apostrofato da un argento armato di pistola e costretto a seguirlo nei locali della vicina caserma della Polizia stradale.
La FNSI inoltre riferisce che sempre in quel giorno: Pigi Cipelli, fotogiornalista freelance, viene ferito alla testa da una manganellata della polizia., Yannis Kontos, fotogioranlista dell’agenzia francese France Press, viene pestato dalla polizia che gli sequestra anche 20 pellicole; Roberto Bobbio, fotoreporter del Secolo XIX, viene picchiato violentemente dalle forze dell’ordine (10 giorni di prognosi); Jonas Santiago Neches Noevos dell’Aragon Press viene malmenato dagli agenti di polizia, che gli sequestrano anche una telecamera, mentre stava riprendendo il pestaggio di un ragazzo isolato.
Una ragazza isolata, R.B. di 22 anni, viene picchiata, nei pressi dello stadio Carlini dalla Polizia, molto tempo dopo che la manifestazione delle TB si era conclusa.
Nel tardo pomeriggio del 20 tre ragazzi che venivano dal corteo dei CUB e volevano raggiungere lo stadio Carlini raggiungono piazza Portello, dove si stava svolgendo il sit in dei pacifisti, e imboccano via Caffaro dove, all’altezza del civico 21 vengono fermati e picchiati da un gruppo di venti poliziotti senza motivo alcuno.
Nella tarda nottata, addirittura alle 00.45 quando da poco è già il 21 luglio, in una sua testimonianza scritta il senatore del PRC Luigi Malabarba riferisce che mentre si stava adoperando per consentire che fossero lasciati partire una serie di pullman di manifestanti (10 mezzi con circa 500 manifestanti a bordo), che dovevano tornare da piazzale Kennedy ai vari campeggi gestiti dal GSF, è costretto a intervenire, qualificandosi come parlamentare, perché un grande reparto di carabinieri in assetto antisommossa preceduto da blindati minaccia la carica. Solo dopo le sue rimostranze l’azione del tutto ingiustificata viene bloccata
Gli infiltrati
Il fenomeno degli infiltrati delle forze dell’ordine nel movimento di Genova e nei giorni delle manifestazioni, documentato anche con immagini fotografiche e testimonianze, è particolarmente inquietante se si pensa che alcune squadre di agenti in borghese si sospetta che abbiano operato, camuffati da BB come agenti provocatori .
Visti anche i numerosi riscontri della presenza di “agenti” stranieri, che hanno abusato in particolare di falsi accrediti stampa, ma che probabilmente sono stati impiegati anche in azioni di piazza, viene anche da domandarsi quali accordi siano stati presi e quale ruolo abbiano avuto a Genova le polizie di altri paesi.
Qui di seguito riportiamo alcune testimonianze significative a tale proposito:
“La mia testimonianza si riferisce al giorno 20 luglio 2001. Sono arrivato nel parco antistante la stazione di Brignole verso le ore 10. Quella zona divenuta rossa dalla notte alla mattina era occupata da decine di carabinieri, poliziotti, guardia di finanza. Eravamo presenti anche decine di persone che aderivamo alle manifestazioni contro il G8. (...) Il piazzale era stato bloccato verso viale Brigata Bisagno con dei container (due di questi sono arrivati verso le 12). Si è cercato di fare un blocco in questo luogo ma è durato poco (...) Poi ci siamo spostati verso Corso Buenos Aires anch’esso bloccato da automezzi della polizia e da cordoni di poliziotti prima e da membri dei gruppi antiterrorismo (così recitava una targhetta che avevano sulle giacche) della guardia di finanza. Dietro questi cordoni c’era una zona dove operavano come retroguardia plotoni di poliziotti, carabinieri e quant’altro che davano man forte ai loro colleghi schierati all’incrocio con corso Torino dove erano già iniziati gli scontri. Noi, che ci trovavamo all’inizio di Corso Buenos Aires, abbiamo fatto un simbolico sit in quando ci hanno intimato di andarcene. Forse per la presenza di giornalisti e della stessa postazione RAI siamo riusciti a rimanere. Eravamo non più di 50. Attraverso questo cordone non poteva passare nessuno o quasi (una troupe RAI è stata allontanata senza discussioni). Infatti, in tre occasioni abbiamo notato che delle persone di età tra 25 e i 30 anni, molti di loro con indumenti simili a quelli di molti di noi (da manifestanti), arrivano davanti al cordone di guardie di finanza, che erano comandate da un ufficiale delle polizia, presentano un documento e passano indisturbate per dirigersi verso la zona degli scontri. Non potevano essere abitanti del luogo poiché tra la presentazione del documento e l’assenso a passare passavano pochi secondi.(...) Un altro episodio di cui siamo stati in tanti testimoni, non saprei precisare l’ora ma credo fossero le ore 15, è stato lo sparo in rapida successione di tre colpi di pistola, uditi in modo netto da molte persone al di là della galleria che credo porti a via Canevari. Io, in quel momento, mi stavo incamminando verso la galleria quando ho visto una motocicletta con il guidatore che urlava e che con una mano guidava, mentre l’altra era alzata tenendo una pistola. Lui e l’altra persona che aveva a bordo, portavano una pettorina con scritto ‘press’ (...) nel momento dell’episodio c’erano diversi giornalisti e fotografi nella piazza e ho visto scattare foto da molto vicino (...).”
“Slave, ieri 26 luglio ho visto sul TG5 (...) immagine che riguardava due prone di cui uno (...) con pettorina gialla e pistola con una moto Pegaso dell’Aprila, ebbene alcuni giorni prima che venisse chiusa la Zona Rossa, in via Gramsci direzione Sampierdarena, intorno alle ore 12, transitava un autoarticolato per il trasporto di mezzi della polizia con sopra una trentina di queste moto tutte rigorosamente senza targa (...)
Lino – Genova ”
“Nel pomeriggio di venerdì 20 luglio mi trovavo presso gli stands del ‘Coordinamento contadino per un’altra agricoltura” in piazza Rossetti mentre erano in corso cariche dei carabinieri nei confronti dei manifestanti nei pressi dell’antistante palco dei concerti. Tre giovani, due greci e il redattore di Onda d’Urto di Brescia Massimo Alberti venivano fermati e trascinati in direzione della Fiera di Genova, centro operativo delle forze dell’ordine (...). Mi sono avvicinato, dopo essermi qualificato ho chiesto di poter accompagnare i fermati, in particolare Massimo Alberti, che era presente nel corteo in qualità di giornalista (...). Sono stato insultato dai carabinieri, che mi hanno invitato ad allontanarmi. Data la mia insistenza sono stato più volte strattonato, finché grazie alla disponibilità del colonnello Leso, ho potuto accedere all’interno della Fiera dove era allestito il Centro operativo (...).Intanto, il colonnello Leso mi aveva assicurato il rilascio di certo Massimo Alberti, subito dopo l’identificazione. Mi sono trattenuto per questo nel Centro Operativo dei Carabinieri per circa tre quarti d’ora: ed è in questo tempo, trascorso nel centro operativo che voglio rilasciare la seguente (...) testimonianza: oltre al personale in divisa ed agenti italiani in borghese ed al personale tecnico e di servizio si aggiravano gruppi di persone – che entravano ed uscivano regolarmente dal Centro Operativo dei carabinieri – vestiti come manifestanti (indossavano jeans e magliette di vari colori, nere, ma non solo). Alcuni avevano tra le mani tubi di metallo e pezzi di legno, in qualche caso avevano degli zainetti a tracolla. Alcuni gruppi parlavano tra loro in francese, i più numerosi; altri una decina, credo, in tedesco. Il rapporto con i carabinieri era tale da configurare una collaborazione, mentre era da escludere che si trattasse di aderenti alle manifestazioni
Luigi Malabarba – senatore Gruppo PRC ”
“Con questa mail segnalo un ‘curioso fatto’ visto venerdì 20 luglio in corso Italia a Genova, proprio sotto la caserma dei carabinieri poco distante dai tendoni dello spazio sede dei dibattiti (...) comunque ero sul lungomare dopo aver oltrepassato un paio di cordoni di carabinieri tra le 15.30 e le 16.30. mi sono trovato di fronte quattro o cinque personaggi accampati sulla strada, ricordo bene un soggetto con pantaloni neri e un grosso palo tra le mani, altre spranghe nell’aiuola spartitraffico. Un carabiniere in divisa scese una scaletta che arriva a Corso Italia, molto tranquillamente ed ha preso a parlare con i personaggi (...)
C.C. ”
Testimonianza che si riferisce al 21 luglio “Abbandono quindi Corso Italia per una strada in salita, non ricordo se via Zara o la seguente, mi siedo su un muretto a rifiatare e a raccogliere le idee. Arrivo in via De Gaspari e procedo in direzione levante, voglio solo tornare a casa a Camogli; passando sotto il forte di san Giuliano (saranno state ormai le 16.30) vedo la cosa che mi sconvolge di più: le due persone vestite di nero, una con una caschetto nero in mano, l’altra con una maglia nera senza maniche e in mano qualcosa tipo un bastone, risalgono gli scaloni del forte, e arrivano in cima dove stazionano i carabinieri in divisa e si fermano davanti a questi, si cambiano gesti con le mani e cominciano a parlare con loro. Terrorizzato mi allontano.
R.C.”
“Tornando verso Sturla dalla via parallela a Corso Italia (eravamo ancora pochissimi), abbiamo visto anche noi gli infiltrati sulle scale della caserma dei carabinieri. Era la stessa scena che poi ho rivisto nella foto pubblicata. In quel momento però indossavano ancora le bandane sul viso e i passamontagna, uno anche un casco mimetico da moto, dietro di loro ce n’erano alcuni in divisa. Non si sono neppure mossi¼
C. B.”
“Io ho visto il fatto successo il 19 (corteo dei migranti). C’erano due poliziotti vestiti da ragazzotti modello centro sociale che sono stati individuati da alcuni manifestanti che li hanno rincorsi. I due si sono infilati in una traversa prima della galleria e sono stati prelevati al volo da una macchina civile della polizia. Mi pare che l’auto fosse azzurro chiaro.
P.B.”
Anais Ginori, sempre de La Repubblica nel suo articolo comparso il 23 luglio dal titolo “E’ stata una trappola abbiamo le prove” descrive con dovizia di particolari il filmato girato il 21 luglio alle 16 a piazzale Kennedy dal regista Davide Ferrario: “Piazzale Kennedy, angolo via Casaregis. La strada è stata appena messa a ferro e fuoco dai black bloc: ci sono fiamme, barricate, lacrimogeni. I manifestanti sono fuggiti. Un furgoncino della polizia è parcheggiato. Gli agenti chiacchierano con due uomini corpulenti in jeans e maglietta. Il volto è coperto con occhiali da sole e fazzoletto bianco,. Pochi minuti dopo arriva un motorino con un ragazzo e una ragazza. Tutti e due sono vestiti interamente di nero. Sono black bloc o perlomeno ci assomigliano. Si fermano davanti ai poliziotti, chiedono qualcosa ai due agenti in borghese. Loro rispondono, danno ordini e informazioni. I due neri ripartono, superando il furgoncino della polizia e vanno verso la zona degli scontri”.
Curzio Maltese, inviato de La Repubblica cita nel suo articolo del 21 luglio “L’accusa delle tute bianche: la polizia li ha usati” di aver visto una “foto di un gruppo di balck bloc che alla stazione Brignole s’intrattiene con un maresciallo dei carabinieri”.
Il corteo internazionale del 21 luglio
Il 21 luglio è la giornata che il GSF ha dedicato alla marcia di un grande corteo internazionale, aperto dalle delegazioni del sud del mondo, dei movimenti femminili e dei lavoratori delle multinazionali. Il percorso è da tempo depositato alla Questura e prevede la partenza da via Caprera (Sturla), il passaggio per via Cavallotti, corso Italia, svolta in corso Torino, corso Sardegna e conclusione in piazza Galileo Ferraris (Marassi) con alcuni interventi programmati. La scelta del percorso si tiene a distanza da ogni limite della “zona rossa” a conferma della volontà assolutamente pacifica della manifestazione.
La sera precedente il GSF, nonostante la drammaticità dei fatti del venerdì e la forte tensione presente in città, mantiene l’appuntamento per due motivi principali:
i partecipanti o sono già a Genova ( circa 80.000 persone) o sono già in viaggio
se non fosse indirizzata all’interno di una specifica iniziativa corale, la rabbia accumulatasi in molti potrebbe avere sfoghi assolutamente incontrollabili
Il GSF integra l’iniziale impostazione del corteo prevedendo di organizzare un proprio servizio d’ordine lungo i lati per contrastare eventuali tentativi di infiltrazione da parte di gruppi estranei e in particolare i cosiddetti Black Bloc.
Nonostante le difficoltà e i timori, la giornata assume fin dalle prime ore del mattino, quando inizia il concentramento a piazza Sturla, le dimensioni e i colori di un corteo pacifico, variegato e composito, alla fine avranno partecipato tra le 200.000 e le 300.000 persone. Ma assumerà presto anche i contorni di una giornata incredibile, allucinante per molti versi e molti partecipanti, con molti aspetti da chiarire nei comportamenti delle forze dell’ordine.
La sensazione sintetica su quanto è successo, e che qui di seguito è suddivisa in quattro fasi, è che se il venerdì agli interventi delle forze dell’ordine sui manifestanti hanno fatto in qualche modo da “detonatore” i cosiddetti BB, il sabato questo “anello” sparisce e si evidenziano le cariche fatte direttamente e immotivatamente sui manifestanti pacifici, con una brutalità specificata in molti episodi.
La partenza
Il luogo dell’appuntamento è la zona di piazza Sturla, via Caprera, che presto si rivelerà insufficiente a contenere l’enorme flusso di gente e determinerà la partenza anticipata del corteo per consentire comunque un deflusso. Fin dalle prime ore è chiaramente individuabile la presenza sopra la piazza di un gruppo di 5-600 persone vestite di nero, armate di corazze, spranghe e bastoni che sarebbero state facilmente circoscrivibili ma la polizia, in numero esiguo, sta a distanza limitandosi ad osservare e a far girare un elicottero in perlustrazione. A completare questa situazione intervengono due episodi specifici:
nella tarda mattinata, il capo della Digos genovese, Spartaco Mortola, telefona a Massimiliano Morettini, uno dei coordinatori del GSF per avvertirlo che nella piazza ci sono dei gruppi di BB che vogliono accodarsi in fondo al corteo e che il GSF non li faccia inserire. Naturalmente la risposta del coordinatore è di contrarietà al fatto che la Digos telefoni ai manifestanti invece di intervenire e l’invito è che le forze dell’ordine si muovano per prevenire le loro intenzioni. Nonostante questa richiesta non succede nulla;
verso mezzogiorno, all’altezza della scuola Champagnat dove si sono date appuntamento le tute bianche, arriva la notizia dell’arrivo di BB alle spalle della polizia. Due persone del GSF si rivolgono ad un funzionario della PS per avvisarli: “ state attenti, sta arrivando qualcuno che non è dei nostri, e noi non vogliamo che succedano incidenti”. Risposta: “ all’ordine pubblico pensiamo noi. Sappiate solo che se ci tirano addosso due sassi, chiunque ce li tiri, noi carichiamo. E oggi vi massacriamo. Se volete un consiglio, mandate a casa le vostre donne e i vostri figli”.
Numerose testimonianze riportano con ricorrenza di aver sentito rappresentanti delle forze dell’ordine scambiarsi frasi tra lo stupito e l’ironico: “ ma guarda in quanti sono venuti a prendersi delle botte”.
Emergono quindi da subito due aspetti:
la presenza dei cosiddetti BB fin dalla partenza è ben sotto gli occhi, da terra e dall’aria, delle forze dell’ordine che, pur dietro sollecitazioni, non intervengono. Perché ?
emerge come un programma preordinato di attacco al corteo in sé per far fallire la giornata. Lo svolgersi degli avvenimenti successivi assumono in questa ottica una logica altrimenti inspiegabile.
Gli scontri in corso Marconi e piazza Rossetti
Verso le 14, quando una buona parte del corteo sta già svoltando in corso Torino e si dirige a piazza Ferraris, alcuni gruppi di BB si inseriscono nel punto di svolta e cominciano a dirigersi in direzione delle forze dell’ordine schierate in distanza in fondo a corso Marconi, all’altezza dell’ingresso della Fiera del Mare. Dalle testimonianze risulta che buona parte siano quelli presenti al mattino a Sturla che ad un certo punto hanno deviato per via De Gaspari, parallela a corso Italia, sorpassando il corteo.
Alcuni di essi vengono disarmati delle spranghe da parte di esponenti del GSF, ma non desistono. Iniziano le devastazioni lungo il corso, incendiano i locali della Banca distrutta il giorno prima, agiscono per circa mezz’ora del tutto indisturbati ( hanno perfino il tempo di avvisare gli abitanti dell’edificio sopra la banca citofonando a tutti di uscire perché c’è un incendio). Solo dopo una buona mezz’ora dallo schieramento di polizia, rimasto fermo in fondo al corso, partono alcuni lacrimogeni, a cui i presunti BB rispondono con lanci di sassi, incendi di auto e con la costruzione di una barricata fatta di cassonetti, stand sfasciati da p.zza Rossetti e auto. Più indietro il corteo cerca di sfilare tenendosi a distanza, decidendo di non svoltare più in corso Torino ma nella traversa precedente, via Casaregis. Tra chi si ferma a guardare, alcuni fischiano contro i BB.
Dallo schieramento di Polizia, a cui si sono aggiunti alcuni reparti della Guardia di Finanza armati con mitragliette, un paio di poliziotti si avvicina alla rete di cinta di piazzale Kennedy e lancia alla cieca alcuni lacrimogeni all’interno, dove vi sono i tendoni dell’info-point del GSF.
In corso Marconi si svolge ancora per alcuni minuti uno scenario quasi teatrale: forze dell’ordine e in cosiddetti BB si fronteggiano con reciproci lanci, di lacrimogeni o pietre, senza mai avvicinarsi. Nessuna carica viene fatta sui presunti BB.
1° carica al corteo che viene spezzato
Verso le 14,45-15, i BB sciamano in strade laterali lasciando i resti delle barricate che vengono facilmente sgomberate dalla polizia in azione con lancio fitto di lacrimogeni e carica sulla parte di corteo che in quel momento sta svoltando in via Casaregis. Il corteo accelera l’andatura, fa la curva quasi di corsa e in quel punto si spezza in due tronconi: quello più avanti raggiunge via Casaregis in ordine sparso, la parte rimasta dietro arretra su corso Italia cercando di evitare la carica poi decide di sedersi a mani alzate e aspettare che la situazione si calmi.
Dei BB non c’era più alcuna traccia, i luoghi delle loro devastazioni erano già in quel momento preda di curiosi e osservatori, tra cui alcuni poliziotti, che poi di corsa si rivolgono al punto dove è stato caricato a freddo il corteo. (è da rilevare che durante servizi in diretta andati in onda sia sul TG1 che sul TG2 a questo punto la voce di commento comincia a dire: “stanno caricando, ma perché? Perché lanciano tutti questi lacrimogeni?”)
Questa dinamica è marcata e verificata da molte testimonianze: perché i BB hanno potuto agire indisturbati in piazza Rossetti nonostante lo spiegamento di forze dell’ordine fosse loro di fronte?
Perché in un primo momento la Polizia ha dato la versione di non aver voluto attaccarli per non coinvolgere il corteo, quando poi ha effettuato una carica che ha preso di mira proprio il corteo?
Perché si è voluto provocare la spaccatura del corteo con la carica? Per intervenire meglio su piccoli gruppi di manifestanti?
Cosa succede al primo spezzone di corteo
Questo pezzo di corteo, che si trova dietro alla “testa” che ormai ha già passato il ponte della ferrovia, subita la carica riesce comunque a raggiungere, correndo, via Casaregis. Vi arriva sparpagliato, in buona parte cerca di riordinarsi e ricongiungersi a quelli davanti. All’angolo con via Morin ci sono alcuni, anche sanitari che stanno soccorrendo per gli effetti dei lacrimogeni, che danno indicazione di re-immettersi su via Rimassa passando proprio per via Morin, dove finora sono passati gli altri. Il pezzo di corteo imbocca via Morin ma vede che su via Rimassa c’è un fitto cordone di polizia schierato lungo il lato della strada. Si decide allora di procedere con molta lentezza, a mani alzate e ripetendo la parola “nonviolenza” per sfilare davanti a loro senza creare la minima tensione. Giunti all’imbocco di via Rimassa i manifestanti sono investiti da un fitto lancio di lacrimogeni, sparati ad altezza d’uomo, che li disperde nuovamente e li costringe a tornare su via Casaregis. Mentre una parte, pur nella difficoltà di essere sotto i lacrimogeni, cerca di tenersi unita e procede cercando una traversa più avanti per infilarsi in corso Torino ( ci riuscirà poi passando per via Cecchi e raggiungerà piazza G. Ferraris) chi rimane in fondo a via Casaregis isolato o a piccoli gruppi diventa oggetto di una vera caccia all’uomo e di pestaggi da parte della Polizia e della Guardia di Finanza.
Dopo la prima carica, la polizia continua ad accanirsi sul pezzo di corteo rimasto isolato. La coda di questo troncone viene ancora caricata alle spalle, ingiustificatamente, provocando nei manifestanti un panico generalizzato. Altre due cariche, del tutto arbitrarie, si susseguono a via Casaregis nei confronti di chi era stato separato a forza dal corteo di corso Torino.
In tutto questo susseguirsi di momenti, non ve n’è uno in cui siano presenti, nemmeno in lontananza, i BB.
Cosa succede al secondo spezzone di corteo
La seconda parte di corteo è rimasta ferma alla fine di corso Italia, indecisa sul da farsi perché non si riesce a capire il senso della situazione, da cosa sia motivata la carica avvenuta all’incrocio e quindi quali decisioni prendere. Il lancio di lacrimogeni si fa più fitto verso i tendoni di piazzale Kennedy mentre la polizia avanza risalendo lentamente su corso Italia, con le armi puntate, il corteo indietreggia e si crea un fitto assembramento all’altezza di Punta Vagno tra chi indietreggia e chi sta ancora arrivando da dietro. A quel punto, verso le 15,30, parte la carica più pesante, con l’utilizzo di blindati sulla folla.
I lacrimogeni vengono lanciati da più direzioni: oltre a quelli che arrivano davanti, alcuni vengono lanciati dalla caserma del CC di S. Giuliano, posta in alto rispetto a corso Italia, altri dalle pilotine in mare contro chi cercasse rifugio in acqua, altri ancora vengono lanciati, più volte, dai tetti di alcuni palazzi e perfino dagli elicotteri che girano in circolo. E’ chiaro, in considerazione anche del fatto risaputo che un lacrimogeno piovendo dall’alto (in questo caso si parla di 60-70 metri) può arrivare ad uccidere una persona, che questo tipo di operazione non ha nulla di intimidatorio o di preventivo ma è un attacco vero e proprio a tutti gli effetti. Per di più senza alcuna motivazione di ordine pubblico.
A quel punto, nel panico più totale, alcune centinaia di manifestanti cercano rifugio o sugli scogli o su un terrapieno alberato tra corso Italia e il mare ( a monte lungo tutto il corso c’è solo un alto muro). A gruppi i poliziotti si avvicinano dicendo di scendere, che non avrebbero avuto problemi. Chi si fa convincere e scende, viene circondato e pestato da poliziotti ma anche da finanzieri, chi si getta in acqua viene avvicinato dalle pilotine che lo costringono a tornare a riva, bersaglio di inseguimenti. Molti vengono “stanati” dagli elicotteri che, volando a quota bassissima, alzano nuvole di polvere e li costringono ad uscire dai rifugi per non soffocare.
Chi è rimasto in corso Italia viene caricato duramente e picchiato quando è a terra dalle forze dell’ordine, incuranti di chi hanno di fronte, spesso anche persone anziane o famiglie, c’è anche un gruppo con un ragazzo disabile in carrozzella.
Da questi pestaggi molti cercano di scappare tornando indietro, cercando di deviare su vie laterali e qui tutti notano un fatto significativo: le strade che risalgono perpendicolarmente da corso Italia verso l’interno della città, che all’andata del corteo erano libere oppure lasciavano intravedere la presenza di forze di polizia che si tenevano nascoste, suscitando anche lo stupore di molti per un’assenza criticata a fronte della presenza dei BB, adesso sono tutte bloccate da file di camionette che non permettono il passaggio, costringendo la gente a rimanere imbottigliata su corso Italia e subire le cariche.
Oltre a manganelli e calci, le migliaia di persone subiscono il lancio di lacrimogeni al peperoncino e l’uso di spray urticanti, spesso spruzzati direttamente in faccia. Anche un’autoambulanza del servizio sanitario del GSF, che trasporta dei feriti, subisce le conseguenze degli attacchi indiscriminati delle forze dell’ordine, che sparano un candelotto in direzione del mezzo sfondando il lunotto posteriore mettendo a rischio l’incolumità delle persone a bordo.
L’operazione dura circa un’ora, poi pian piano le forze dell’ordine si dispongono ai lati della strada e lasciano che i manifestanti, a mani alzate, feriti, sfilino a ritroso tra le due ali . Anche nelle strade laterali prima bloccate, adesso le camionette lasciano passare, non rinunciando ad accompagnare chi passa con insulti e gesti provocatori che mimano l’atto di sparare o facendo manovre all’impazzata con i mezzi a sfiorare i manifestanti fingendo di investirli.
Intanto, su corso Italia, ormai “svuotato” dei manifestanti, i cellulari e i blindati raccolgono striscioni e bandiere e li buttano a bordo come “trofei”.
Di questo scenario di incredibile violenza, pur non potendo riportarle direttamente in questa sede, possiamo dire che le diverse fonti e testimonianze, di provenienza svariata, sono numerosissime, molto dettagliate e tutte concordi e collimanti su queste fasi salienti e il loro svolgimento.
Chi arriva a piazza G. Ferraris resta sino alla sera, alla fine, dopo le 17, sono in circa 5 mila a cercare di muoversi da lì per raggiungere treni e pullman. Le persone si trasferiscono davanti allo Stadio di Marassi e cercano di muoversi. Quando da un lato e dell’altro del Bisagno si muovono squadre di presunti BB inseguiti dalla Polizia. I cosiddetti BB vengono respinti e isolati dai manifestanti che sostano davanti allo stadio in piazza Caduti. I reparti di polizia scortati da alcuni blindati si attestano sulla riva desta del Bisagno e fanno partire un fitto lancio di lacrimogeni contro i manifestanti pacifici che sono davanti allo Stadio, che non reagiscono in alcuna maniera. Solo dopo questi riescono a defluire passando per via¼
Black bloc, provocatori, infiltrati ed altre “cose strane”
“Quando la polizia taglia il corteo alla svolta tra Corso Italia e via Casaregis, il secondo spezzone rimane isolato da due cordoni di individui mascherati che lo spingevano verso la polizia salvo poi togliersi quando erano vicini e lasciare libero spazio alle forze dell’ordine di caricare indiscriminatamente (...) Un altro episodio accaduto sempre in piazza Kennedy dove ci siamo messi a fare i cordoni per far defluire i manifestanti, prima che avvenisse il primo frazionamento (del corteo ndr). Lì individui mascherati hanno bruciato una banca mentre c’erano compagni che cercavano di fermarli. A un certo punto le file dei ‘black bloc’ si sono aperte, permettendo la carica della polizia e così il primo frazionamento del corteo. Sono evidenti le connivenze di questi gruppuscoli (non più di una ventina di persone per gruppetto) con la polizia”, a conferma di questa testimonianza di Matteo Scali - del coordinamento degli studenti di Torino -, che fa emergere una strategia quasi studiata a tavolino per giustificare le cariche indiscriminate sul corteo, più fonti hanno confermato al GSF che gruppi armati di spranghe e bastoni, vestiti di nero avevano contatti o comunque facilitavano il compito delle forze dell’ordine presenti in divisa (polizia e guardia di finanza) in piazza.
Alla fine di questa giornata, da chi ripassava su corso Italia sotto la caserma del CC di S. Giuliano verso le 17,00 , sono state notate due persone vestite di nero, una con un caschetto nero in mano, l’altra con una maglia nera senza maniche ed in mano una spranga o un bastone. Queste persone risalgono lo scalone del forte, arrivano in cima dove stazionano alcuni Carabinieri in divisa e si fermano davanti a questi, si scambiano gesti con le mani e cominciano a parlare con loro, in modo tranquillo.
Un ultimo fatto “strano”, ripreso anche da alcuni video oltre alle testimonianze, è stata in questa giornata la presenza in certi momenti di ambulanze anomale che non avevano i contrassegni del 118 né quelli più elementari dei mezzi dei sanitari del GSF, e che sono state viste arrivare più volte in velocità come se stessero correndo tra i manifestanti per andare a prendere dei feriti e poi all’improvviso giravano su se stesse con manovre repentine e si allontanavano senza essersi fermate né aver caricato nessuno.
Il “blitz” alla Pertini e l’irruzione al Media Center del GSF
La situazione
Nel tardo pomeriggio di sabato attorno al complesso degli edifici Diaz/Pascoli, dove ha sede il centro stampa e altre strutture del GSF, e Pertini, che invece ha funzione di dormitorio dalla sera del 18, a seguito delle violente piogge, c’è molta gente e molta tensione: dopo aver subito o assistito alle cariche a freddo e ai pestaggi indiscriminati sui manifestanti inermi da parte di Polizia e Guardia di Finanza, le persone sono venute alla scuola cercando informazioni sui treni per tornare a casa o un posto dove riposarsi per ripartire il giorno dopo o semplicemente vogliono mandare un messaggio tranquillizzante a casa.
Per inviare messaggi si utilizza la sala stampa alla Diaz, chi vuole riposarsi viene indirizzato al Pertini, di fronte. Chi è contuso o ferito viene medicato dai sanitari del GSF nella palestra della Diaz/Pascoli (Media Center) attrezzata con brandine. Non corrisponde quindi al vero che nei locali della Pertini, fosse stato organizzato un ospedale da campo. Anche la strada che separa i due edifici, via Battisti, è piena di gente.
In questa situazione, verso le 20.00 passa in strada una gazzella della polizia. Da alcune persone in strada viene lanciata una bottiglia di birra vuota contro la macchina percepita come una presenza provocatoria, ma non vi è alcuna sassaiola o aggressione. Alcuni membri del GSF escono in strada per calmare gli animi, chiedendo alle persone di entrare nei locali e non sostare in strada.
Intanto si viene a sapere che nelle poche pizzerie aperte nel quartiere, in cui parte dei manifestanti sta cercando di rifocillarsi, la polizia compie dei blitz, identificando le persone e in alcuni casi procedendo ad arresti. Vengono avvisati gli avvocati perché intervengano e rimangano a disposizione data la tensione del momento.
Il blitz alla scuola Diaz (sede del centro stampa GSF)
Verso le 00,30 si vedono arrivare dalla strada centinaia di poliziotti e alcune camionette. Alla scuola Diaz si fanno rientrare le persone e viene chiuso il cancelletto esterno e poi la porta a vetri di ingresso. Alcuni restano al piano terra, altri si rifugiano ai piani superiori.
Mentre la polizia sta sfondando e comincia ad entrare, uno dei medici del GSF, Massimo Costantini, avvisa sul cellulare uno degli avvocati, Alessandra Ballerini, di venire immediatamente ed avvisa tutti i presenti, nominando di fatto un legale per assistere alla perquisizione. L’avvocato, che si trova in una strada vicina, arriva immediatamente, trova lo schieramento di poliziotti al cancello e qualificandosi chiede di poter entrare. La polizia glielo impedisce fermandola e dicendole “se entra la ammazziamo come tutti gli altri”. Queste frasi sono distintamente sentite anche da molti residenti che si sono affacciati alle finestre e avvisano chi si avvicina dalla strada “non salite, la polizia vi vuole ammazzare”.
Viene malmenato e fatto andare via un uomo uscito a portare a spasso il cane, preso a manganellate uno che era sceso a spostare la macchina, picchiato un altro venuto a cercare il figlio. Inoltre, (come vedremo più avanti) viene pestato a sangue il giornalista di Indymedia UK Mark Covell
Nella scuola intanto, fatti entrare nella palestra quelli che si trovano al pianterreno, la polizia sale ai piani superiori dove irrompono nelle aule che ospitano i sanitari e gli avvocati del GSF. Si accaniscono soprattutto nel locale degli avvocati dove, sfasciano i computer e manomettono gli hard disk rendendoli inutilizzabili, ma anche al terzo piano dove sottraggono a Indymedia (che avevano filmato l’irruzione della Pertini) alcune video cassette sequestrano documenti legali (denunce, testimonianze sui fatti accaduti) e pongono in stato di fermo il coordinatore Giuseppe Scrivani. Sequestrano poi anche diverse cassette video dai locali di Indymedia.
Nei locali del Media Center del GSF (Scuole Diaz/Pascoli) le persone presenti vengono prima fatte stendere a terra e poi fatte mettere in ginocchio faccia al muro lungo i corridoi (tra loro c’è anche l’economista filippino Walden Bello, che in quel momento sta lavorando a un computer nella stanza adibita a ufficio stampa). Poi vengono fatti sedere per terra mentre i poliziotti rimangono davanti a loro, manganelli alla mano. Nemmeno la presenza dell’europarlamentare Luisa Morgantini, serve a farsi dare spiegazioni su quanto stanno facendo. Alle richieste di un mandato si risponde “ Non siamo in America, facciamo quello che vogliamo”. All’arrivo, più tardi, di Vittorio Agnoletto, alla stessa domanda il capo della Digos genovese, Mortola, dirà che il mandato potrà essere visto entro un mezz’ora. Cosa che non è mai avvenuta.
Alla fine i poliziotti se ne vanno senza neanche aver fatto un verbale di tutto il materiale danneggiato o sottratto: hard disc, videocassette, cellulari, documenti.
L’irruzione alla scuola Pertini (palestra-dormitorio)
La situazione è ben peggiore alla Pertini, il dormitorio di fronte. L’irruzione avviene verso la mezzanotte. Quando arrivano i poliziotti le luci alle finestre sono accese (da immagini video si vede chiaramente).
Mark Covell, 33 anni, giornalista di Indymedia, è il primo pestato mentre è in strada: “ ero in strada, sono arrivati i carabinieri e da quel momento sono diventato una specie di pallone da foot-ball”. Finge di essere morto per fermare le botte. Finisce poi ricoverato, dopo essere stato lasciato a lungo a terra sul marciapiede, con un polmone perforato dai calci e un paio di denti in meno.
Il cancello esterno viene sfondato con una camionetta, i reparti stazionano qualche istante nel cortile poi si apre il portone senza bisogno di sfondamento (viene aperto da qualcuno all’interno?). Vi sono sia agenti in divisa, sia funzionari in borghese, sia poliziotti in borghese ma con casco e fazzoletto a coprire il volto.
Da alcune testimonianze, apparse anche sui media, sembra che nel momento in cui c’è l’irruzione alcune persone, vestite con indumenti neri ma dall’aspetto di militari, escano dalla porta sul retro.
All’entrata della polizia, come confermano video e articoli di stampa, non vi è alcun lancio di oggetti dalle finestre né alcuna resistenza da superare, anzi le persone al piano terra, colte di sorpresa mentre stavano già disponendosi per dormire, hanno cominciato a gridare che erano pacifisti, avevano intenzione pacifiche e non avrebbero opposto resistenza; subito dopo dall’esterno si sono sentite le loro urla per i colpi che venivano inferti. In moltissime testimonianze ricorre una identica sensazione: “gli agenti sembravano comportarsi come delle bestie impazzite fuori di sé”.
La versione ufficiale della polizia parla di agenti che, saliti al primo piano vengono affrontati da una persona armata di coltello che colpisce un poliziotto facendogli un taglio al giubbotto; nessuna delle persone presenti all’interno della scuola ha visto un episodio del genere ed è un fatto che questo “accoltellatore” non venga né individuato né arrestato nonostante una presenza massiccia delle forze dell’ordine che comunque arrestano quasi un centinaio di persone. La realtà che emerge dalle testimonianze è invece quella di una aggressione incredibilmente brutale effettuata sui manifestanti inermi.
I pestaggi vengono fatti con manganelli ma anche con sedie e tavoli lanciati addosso alle persone in terra, nei sacchi a pelo, in procinto di andare a dormire.
Chi si è rifugiato nei bagni viene fatto uscire a forza e manganellato, alla testa e alla schiena, nonostante mostri le mani alzate in segno di non aggressività. Ad alcune persone, messe a sedere e che si riparano la testa con le mani, vengono inferte manganellate sulle dita e sulle braccia.
Nei corridoi comincia una vera e propria caccia all’uomo con chi tenta di fuggire. Diverse ragazze racconteranno di essere state trascinate, già ferite, lungo le scale tirate per i capelli.
I medici e gli infermieri del 118, finite le stecche sanitarie utilizzano le copertine dei libri per bloccare le fratture, soprattutto alle braccia.
Il portavoce Agnoletto, i parlamentari Malabarba e Mantovani, il consigliere regionale Nesci, qualche avvocato tentano di entrare nell’edificio, ma viene loro impedito, davanti al cancello della Pertini c’è un fitto schieramento che non fa passare nessuno. A Malabarba che esibisce il tesserino da senatore viene risposto ”lo arrotoliamo e te lo ficchiamo nel culo” . Arriva un sacco di gente, dal centro stampa scendono in strada. La tensione è alle stelle. La gente staziona sul marciapiede di fronte, a pochi metri lo schieramento: più volte si ha l’impressione che stiano per caricare. Arrivano le autoambulanze, lentissimamente iniziano ad uscire i feriti. Inutilmente si cerca di non far vedere il loro stato ai presenti. Quando portano fuori un grande sacco nero si teme il peggio, partono i cori di “assassini assassini”. Agnoletto e altri responsabili GSF si avvicinano chiedendo di poter vedere il contenuto del sacco ma viene loro negato.
Alla conferenza stampa “blindata” del giorno dopo la Questura sosterrà che il contenuto rinvenuto nella scuola erano una serie di armi, tra esse sono un martello di ferro, mazze da muratore, tubi innocenti, un piccone, delle assi, materiale che – come molte testimonianze attestano - era presente da giorni all’interno della scuola, dietro un pannello di legno malamente inchiodato, perché era ancora aperto un cantiere che stava effettuando riparazioni.
Nonostante la cruenta operazione di polizia le reazioni da parte degli attivisti del GSF presenti in strada e nell’adiacente edificio del Media Center (Scuole Diaz/Pascoli) si limitino agli epiteti, non c’è nessun lancio di oggetti e scontro con i carabinieri rimasti a fare cordone in strada.
Un elicottero gira a quota bassissima, in alcuni momenti non si riesce a parlare per il rumore, e la polvere alzata fa chiudere gli occhi. Riferiranno poi che il vortice d’aria ha addirittura danneggiato i giardini della zona. Arrivano praticamente tutti i giornalisti presenti a Genova, i feriti continuano ad essere portati fuori in barella, è una lunga processione, sembra non finire mai. Chi si regge sulle proprie gambe esce dopo e viene caricato sui cellulari sopraggiunti.
“ La polizia e i carabinieri sono entrati quando io e molti altri stavamo dormendo. Non ho visto, non so cosa sia successo fuori. Ma sicuramente dentro non era successo assolutamente nulla che potesse giustificare l’aggressione, l’uso dei manganelli. Ci sono venuti addosso e hanno cominciato subito a picchiarci. Ero ancora sdraiato e mi sono difeso, proteggendomi il volto con un braccio. Hanno colpito così forte che mi hanno squarciato la pelle. Mi sono qualificato come giornalista. L’ho ripetuto. Non è servito a niente. Hanno continuato a pestarmi. Altri poliziotti picchiavano gli altri ragazzi intorno. Prendevano a calci le nostre borse, le rovesciavano. Mi hanno colpito più volte, perdevo sangue. Poi mi hanno portato via. Credevo di essermi rotto tutte e due le braccia. Invece non ho fratture. Il taglio profondo è stato ricucito” (Lorenzo Guadagnucci, 37 anni, redattore de Il Resto del Carlino e di Altreconomia).
Come molti altri dei feriti, è destinato ad essere direttamente trasferito dall’ospedale al carcere in stato di arresto, ma verrà a sapere di questa sua condizione solo diverso tempo dopo (a volte giorni) capendolo dagli infermieri.
Anche la manovra di “ritirata” della polizia è lentissima. Le forze dell’ordine danno il tempo ai cellulari di allontanarsi arretrando di pochi metri ogni dieci minuti. Si rischia lo scontro, il GSF deve fare un cordone tra quella che è ormai quasi una folla ed i poliziotti. Quando tutto finirà, saranno ormai già le tre.
Mentre si stanno portando via i feriti e gli arrestati, nel cortile della scuola il responsabile dell’ufficio stampa della polizia, Sgalla, rilascia una prima dichiarazione in cui dice che: “ è stata fatta una perquisizione e non è stato toccato nessuno. I feriti e il sangue, già rappreso, che si possono notare sono conseguenze degli scontri del corteo del pomeriggio”. Basterà entrare a vedere dopo che se sono andati per capire che è tutto falso.
Fatti particolari
Viene subito notato un fatto: i cellulari per portare via gli arrestati sono arrivati alle 2, molto tempo dopo delle ambulanze. A questo proposito vanno verificate le notizie riportate dalla stampa secondo cui la questura avrebbe richiesto, prima ancora dell’inizio dell’operazione, la presenza massiccia di autolettighe ma non avrebbe previsto l’utilizzo di cellulari per portare via gli eventuali arrestati di un intervento che doveva essere motivato dalla necessità di perquisire ed individuare elementi sospetti nella scuola..
La citazione dell’articolo 41 TULPS per dare piena autorità a quanto è stato fatto è una versione successiva a quella notte: durante gli avvenimenti a qualunque domanda di vedere un mandato sia i poliziotti sia i funzionari responsabili rispondevano dicendo di rivolgersi ai superiori o che sarebbe stato visionabile successivamente.
Un’ultima considerazione riguarda la magistratura: in tutta l’operazione, che comunque ufficialmente doveva essere una perquisizione per trovare armi o persone sospette, nessun magistrato ritiene di dover essere presente o di effettuare un sopralluogo.
Oltre a ciò, a operazione avvenuta, nessun magistrato – nonostante ripetuti solleciti da parte, fra gli altri, di esponenti del GSF - ha ritenuto di dover mettere i sigilli alla scuola disponendone il sequestro, fino al pomeriggio del lunedì successivo: è stato perciò possibile, tranne i campioni prelevati dai carabinieri, lavare tutto il sangue presente sui pavimenti, muri e caloriferi della scuola, pulire e imbiancare corridoi e muri. Si è reso di fatto impossibile effettuare qualunque contraddittorio o incidente probatorio su quanto è davvero successo.
A Bolzaneto dalla Fiera, da Forte San Giuliano e dagli ospedali
A Bolzaneto (passando prima per piazzale Kennedy e forte San Giuliano o dagli ospedali), vengono portati centinaia di manifestanti che hanno partecipato alle manifestazioni del 20 nella zona San Martino-Foce, alla manifestazione del 21 e sono stati fermati nelle zone circostanti piazzale Kennedy o “trasferiti” nella notte tra il 21 e il 22 dalla scuola Pertini dopo il blitz.
In questa struttura del VI Reparto Mobile della Polizia di Stato, come ormai si sa, operavano sia agenti della Digos, che appartenenti alla Guardia di Finanza che del Reparto Gom della Polizia Penitenziaria.
Le violenze psicologiche e fisiche subite, documentate in decine di dichiarazioni, testimonianze e denunce descrivono un clima di vessazioni e abusi, in cui, a quanto risulta, sembrano ricorrere alcune costanti: stati di fermo prolungati sino alle 24 ore e oltre, senza che i fermati potessero mettersi in contatto con i propri congiunti né godere del diritto alla difesa, costrizione a fermare verbali-fotocopia in cui l’ipotesi di reato veniva attribuita arbitrariamente, cure superficiali per i feriti e mancanza di refertazione medica, torture al momento delle visite mediche, denudamenti e ispezioni corporali, costrizioni fisiche durate una media di 8-10 ore, minacce continue e ripetute, pestaggi nel cortile al momento dell’arrivo, nelle celle e al momento del trasferimento nelle strutture carcerarie.
I racconti particolareggiati usciti anche sulla stampa da parte di “ospiti” della struttura e anche di alcuni appartenenti alle forze dell’ordine o ai servizi sanitari (che ancora oggi emergono) di fatto non vengono purtroppo tenuti nella giusta considerazione nella relazione del superispettore Salvatore Montanaro al Ministero dell’Interno, che lamenta appunto l’inesistenza di referti medici e di riscontri fotografici.
Riteniamo che sia necessario partire proprio dalle dichiarazioni comparse sulla stampa di un tutore dell’ordine, di un infermiere penitenziario e di un fermato per capire quali fossero le “procedure” e quale fosse il clima che si respirava in quella caserma.
Dall’articolo, a firma Marco Preve, comparso su La Repubblica del 26 luglio, dal titolo “Genova un poliziotto racconta cosa è successo nella caserma del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria”: “Un poliziotto che presta servizio al reparto Mobile di Bolzaneto, e di cui La Repubblica conosce il nome e il grado ma che non rivela per ragioni di riservatezza, racconta la ‘notte cilena’ del G8, ‘Purtroppo è tutto vero. ‘Anche di più. Ho ancora nel naso l’odore di quelle ore, quello delle feci degli arrestati ai quali non veniva permesso di andare in bagno. Ma quella notte è cominciata una settimana prima. Quando qui da noi a Bolzaneto sono arrivati un centinaio di agenti del Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria. (...) La trasformazione di Bolzaneto in un ‘ lager’ comincia lunedì con l’arrivo dei Gom, reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde, e già protagonista di un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera. (...) La palestra è stata trasformata nel centro di primo arrivo e di identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono portati qui, chi ha i documenti li mostra, a tutti vengono prese le impronte. A fianco della palestra, sulla sinistra, accanto al campo da tennis, c’è una palazzina che è stata appositamente ristrutturata per il vertice ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio. All’ingresso ci sono due stanzoni aperti che fungono da anticamera. Qui, la notte di sabato fino a mattina inoltrata di domenica stazione il vicecapo della Digos genovese con alcuni poliziotti dell’ufficio e qualche carabiniere. Quello accaduto nella scuola e poi continuato qui a Bolzaneto è stata una sospensione dei diritti, un vuoto della Costituzione. Ho provato a parlare con dei colleghi e loro sai che rispondono, che tanto non dobbiamo avere paura, perché siamo coperti. Quella notte il cancello si apriva in continuazione dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Li hanno fatto stare in piedi contro i muri. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano faccetta nera. Un ragazza vomitava sangue e le kapò dei Gom la stavano a guardare. Alle ragazze le minacciavano di stuprarle con i manganelli (...)’”
Da quanto dichiarato al microfono del giornalista del TG3 Roberto Scardova il 30 agosto scorso da Marco Poggi, bolognese, infermiere penitenziario in servizio nella caserma di Bolzaneto dalle ore 20 alle 08 del giorno 21 luglio e come riportato il 31 agosto sul giornale Il Manifesto: “Ho visto un medico in tuta mimetica togliere un piercing dal naso di una persona che era in quel momento sottoposto a visita medica. Nei giorni del mio servizio, sino alle 15-15.30 del 22 ho anche visto trascinare un detenuto in bagno, da circa tre quattro agenti di polizia penitenziaria (...) e una volta arrivati nell’androne del bagno ho sentito che lo sottoponevano ad un vero e proprio pestaggio.)¼) Ho sentito e visto in un gabbione un agente di stato che dall’esterno, approfittando della finestra aperta con la suoneria del proprio telefono faceva suonare faccetta nera”.
Dal pezzo a cura di Alberto Chiara e Luciano Scalettari uscito sul numero 32/2001 di Famiglia Cristiana dal titolo “Io torturato a Bollzaneto dai colleghi di papà”: “Il figlio: ‘Nella caserma di Bolzaneto ci hanno picchiato selvaggiamente per 16 ore. Lei come la chiama? Io la definisco tortura. Ciò che non scorderò mai è il volto sorridente degli agenti che in pizza prendevano a calci ragazzine di 15 anni (...). Il padre: ‘Ciò che è capitato a mio figlio è assolutamente inaccettabile. E’ la sospensione per quattro giorni di tutti i diritti costituzionali. Nella mia vita ho arrestato una moltitudine di persone ma nessuna di loro può dire di aver subito la minima parte dei soprusi che ha subito mio figlio. Io porto la divisa e ne sono fiero. Ma dopo i fatti di Genova, il rischio è che questa divisa susciti pura, anziché sicurezza.’ Già – continuano i redattori di Famiglia Cristiana - il padre agente di polizia , il figlio tra gli arrestati a Genova. Chiameremo Franco il primo., Riccardo il ragazzo. Conosciamo l’identità di entrambi, ma dobbiamo tutelarne l’anonimato (...) I fatti , Riccardo va a Genova il 18 luglio, giovedì. Non per manifestare (‘Non nascondo le mie simpatie per la destra sociale, non ero là per sfilare’, spiega), ma per aiutare un amico a rintracciare la fidanzata, preoccupato per la sua incolumità (...) i due decidono di cercare tra i manifestanti nel corteo che parte (il 20 luglio) dallo stadio Carlini. Riccardo perde di vista l’amico. Si stacca dal corteo (...). “Ricordo che passando accanto a un tunnel, dall’interno sono sbucati sei agenti che mi sono piombati addosso” , racconta. ‘Mi hanno buttato a terra, ammanettato e trascinato oltre il tunnel, in una piazza (che non conosco, non ero mai stato a Genova), e disteso a terra insieme ad altri nelle mie stesse condizioni. C’era un grande orologio digitale che segnava le 14.20. Saremo stati 15, al massimo 20. Io ne potevo vedere solo alcuni perché mi tenevano con la faccia a terra’. (...) ‘E’ stato un rastrellamento – continua – fin dalla cattura mi hanno picchiato a manganellate e a calci. Ci hanno tenuto lì fino alle 18. Perché? Poi ci hanno trasferito a Bolzaneto, il lager’. (...) ‘Dalle 18 alle 6 del mattino successivo io e latri ragazzi con cui condividevo uno degli stanzoni siamo stati tenuti quasi sempre in piedi a gambe divaricate e sulle punte dei piedi, con la fronte appoggiata al muro. Chi cadeva a terra esausto, veniva picchiato selvaggiamente. Con sistematica regolarità ci arrivavano calci, manganellate sulle reni, botte sulla nuca, per le quali il muro su cui appoggiavo si è presto macchiato di una larga macchia di sangue. C’erano diversi tipi di divisa, ma i più accaniti portavano quelle grigio-verdi’. Riccardo riferisce in dettaglio del pavimento insanguinato, lordato di feci e urine di chi non riusciva a trattenersi per il dolore, o semplicemente perché non era permesso di andare in bagno. ‘Ad alcuni – dice – hanno strappato la carta di identità dicendo: ‘vedi qui tu non sei nessuno, non hai alcun diritto’. ‘Ho chiesto di sedermi- aggiunge – mi hanno risposto che al massimo potevo inginocchiarmi. (...). Ho anche chiesto loro di picchiarmi guardandomi in faccia. Hanno continuato a colpirmi alla schiena’. Nel racconto del ragazzo non manca nemmeno l’imposizione di marciare per il corridoio, facendo il saluto fascista. (...)”
La procedura standard sembrerebbe proprio quella ben descritta da Riccardo come confermano denunce e testimonianze in possesso del GSF e del GLF, di cui riporteremo alcuni riferimenti e l’indicazione delle iniziali e della provenienza delle persone che le hanno redatte o rese.
R.V. di Bologna, che riferisce nella sua e-mail arrivata il 2 agosto, dopo essere stato fermato dai poliziotti e trattenuto per alcune ore nel Centro operativo della Fiera, viene tradotto insieme agli altri fermati su autobus dei carabinieri a Bolzaneto: “¼infine giungiamo in una struttura inquietante¼Erano circa le 17. Ancora con le mani legate, veniamo scaraventati fuori dall’autobus, e manganellati e picchiati tutti, chi più chi meno. Lì erano presenti militi di ogni tipo: poliziotti penitenziari, carabinieri e finanzieri, che erano i più violenti di tutti. Ce n’era uno chiamato ‘tigre’ che colpiva chiunque passasse nel corridoio. Dopo averci slegato le mani e consegnato il documento d’identità veniamo introdotti in un edificio con corridoio centrale e diverse celle enormi ai lati, con alcuni manifestanti appoggiati faccia al muro (...) Dopodiché ci fanno stare in piedi, con la faccia contro il muro, le gambe divaricate e le braccia larghe e alzate (...).Chiunque mostrasse segni di debolezza, lasciava scendere le braccia, staccavo lo sguardo dal muro o stringeva le gambe veniva puntualmente percosso con schiaffi alla nuca, calci ai piedi o alle tibie, pugni ai fianchi o al ventre. (...) In quella posizione ci hanno fatto stare per diverse ore (nel mio caso 15 circa, dalle 17 di sabato alle 8 di domenica”. (...)”.
A.d.M., di Roma, fotoreporter, dalla Denuncia/Querela presentata alla procura della Repubblica: “Nel primo pomeriggio del giorno 21, sabato, egli si trovava nel mezzo degli incidenti occorsi durante una manifestazione e, insieme ad altri colleghi (...) era intento a fotografare gli autori di alcune violenze (...) quando veniva assalito da un folto gruppo di agenti in divisa (circa 20) della Guardia di Finanza (...). Questi si avventavano contro lo scrivente e lo colpivano ripetutamente con i manganelli sulle spalle, sul torace, e, a causa della veemenza dell’impatto fisico, producevano la frattura dell’alluce del piede destro del sottoscritto. (...). Erano le 15.30-16 del pomeriggio e il sottoscritto, insieme ad altre persone anch’esse malmenate, veniva caricato su furgoni della polizia di stato, dove subiva altre percosse e manganellate sul proprio corpo, nel tragitto sino a una rimessa dove vi erano altri furgoni con i colori della PS. Infine veniva condotto presso la Caserma di Bolzaneto, dove veniva trascinato a calci e pugni dentro una cella collettiva, dopo essere passato tra due ali di agenti di varie Armi (carabinieri, Agenti della Polizia di Stato e della Polizia Penitenziaria), che colpivano i fermati con manganellate, calci e sputi (...). Nella cella al sottoscritto veniva ingiunta, ma anche agli altri fermati presenti, di appoggiare la testa contro il muro e le gambe divaricate, lontano dal muro. Lo scrivente, che accusava un forte dolore al piede fratturato, veniva colpito con pugni e manganellate perché non riusciva a mantenere la scomoda posizione, al punto da svenire dopo circa due ore di questo trattamenti. Veniva quindi condotto in un ospedale molto grande, presumibilmente il San Martino di Genova ed ivi , dopo essere stato disinfettato con una doccia fredda (...) veniva visitato e refertato della frattura all’alluce destro, della frattura a una costola del torace dopo aver effettuato rilievi radiografici. Il referto è stato consegnato ad uno degli agenti che accompagnavano il sottoscritto. A seguito dell’accompagnamento in ospedale il sottoscritto veniva riportato nella cella di Bolzaneto e autorizzato a rimanere seduto su una sedia, mentre e altre persone erano ancora con la testa e le braccia al muro (...)”.
La visita del ministro Castelli
E’ proprio nella notte tra il 21 e il 22 in un’ora imprecisata, comunque, dopo il blitz della Pertini, che a Bolzaneto si reca il ministro della Giustizia Roberto Castelli, che a parte quanto detto dai giornali, sembra almeno dalle testimonianze e denunce pervenute, che non si limiti a portare la sua solidarietà alle forze dell’ordine presenti nella struttura ma visiti anche le celle dove erano accalcate 15-20 persone, in piedi, con la faccia al muro, alcuni con evidenti segni di medicamenti o ingessature.
E’ proprio A.d.M., ingessato per la frattura e con addosso un camice verde da ospedale, l’unico nella sua cella a non avere la faccia al muro, che, ad esempio, racconta: “Era già sera inoltrata, quando il sottoscritto è stato condotto a suon di botte in un ufficio per l’identificazione e, poiché era ancora vestito con un camice verde indossato in ospedale (...) veniva appellato con dispregio: ‘Ecco. Mosé è arrivato!’. Più tardi, rientrava, condotto in un’altra cella e sentiva alcuni agenti che dicevano di rimettere tutto a posto, poiché arriva il ministro. Il sottoscritto non era al corrente di chi potesse essere, ma quando è stata aperta la cella, dove al momento c’era quindici persone, uomini e donne, tutti con le mani contro il muro nella posizione prima descritta, è entrato un signore ben vestito, attorniato da altre persone, ha guardato nell’ambiente e si è allontanato: in quel momento lo scrivente ha riconosciuto il Ministro di Grazia e Giustizia, nel signore affacciatosi per primo, il quale pertanto ha visto in quale posizione venivano trattenute le persone fermate”. Anche M.S. di Roma nella sua e-mail conferma che il ministro visita gli incarcerati e aggiunge un particolare inquietante su come sia andata dopo quella visita: “Durante la notte visita al lager di Bolzaneto da parte di un alto esponente del Governo, forse ministro (...). Impossibile pensare solo di poterlo guardare. Dopo la visita del ministro sono tornati i poliziotti che ci hanno ammassati in una cella per pestarci gratuitamente ed insultarci se solo si provava a fare domande, costringendoci a cantare canzoni fasciste (...)”.
Dagli e negli ospedali
A proposito della mancanza di referti sulle percosse e dei prelevamenti di manifestanti direttamente trasferiti dalle forze dell’ordine dagli ospedali genovesi a Bolzaneto senza che, a quanto sembra, ci fossero state dismissioni ufficiali e che quindi l’autorità sanitaria avesse verificato le condizioni fisiche dei ricoverati, si possono citare le seguenti testimonianze e denunce:
G.S. di Genova, dalla Denuncia/Querela presentata alla procura della Repubblica di Genova: “In data 20.07.01 partecipavo al corteo dei manifestanti pacifici contro il G8 all’altezza di Corso Gastaldi, vicino alla Casa dello Studente, venivo brutalmente assalito da agenti dei CC e più volte colpito alle braccia, riportando frattura del collo V metacarpo sinistro e alla schiena. (...) Avendo riportato la suddetta frattura mi recavo, a bordo di un’autoambulanza presso il vicino ospedale San Martino dove venivo con solerzia ingessato. Un agente di PS mi avvicinava e mi sottoponeva a stato di fermo malgrado io gli riferissi di essere stato brutalmente picchiato. L’agente mi accompagnava dopo avermi sequestrato i referti, che non mi sono più stati restituiti, presso il posto di polizia, dove dopo un’attesa di circa un’ora e mezza, venivo caricato su un cellulare (...) presso la stazione di PS di Bolzaneto (...) Lì siamo stati circondati da 30-40 uomini circa, alcuni in borghese. Altri in divisa, e selvaggiamente picchiati con pugni, calci, cascate, bastonate, insultati e riempiti di sputi. Io venivo anche ripetutamente colpito al braccio fratturato, che mi veniva preso, tirato in alto al fine di muovere la frattura. Ad un ragazzo vicino a me fu presa la mano divise le due dita con due mani e tirate in senso opposto, con tanta violenza da lacerargli la mano”.
G.A. di Caltanisetta, dalla Denuncia/Querela: ”Il giorno 20.07.01 mi ero aggregato ai manifestanti che si erano radunati allo stadio Carlini (...) Siamo stati caricati da tutte le direzioni, sparavano lacrimogeni e manganellavano chiunque, spruzzando in faccia bombolette urticanti. Ho visto un ragazzo che cercava scampo arrampicandosi ad una cancellata preso violentemente a manganellate, cadere a peso morto per terra. Ho cercato di andare ad aiutarlo ma non sono riuscito a raggiungerlo. Sono caduto a terra e sono stato picchiato da diversi agenti con calci e manganellate sulla testa e sulle gambe (...) Sono stato nell’immediatezza medicato alla meglio dagli infermieri presenti ma poiché continuavo a sanguinare sono stato portato all’ospedale San Martino dove mi hanno medicato la testa e a una gamba e mi hanno lasciato sulla barella con i miei referti che non ho più riavuto. A questo punto è sopraggiunta una persona con abiti civili che senza proferire parola ha preso i miei referti. Alle mie rimostranze mi intimava di stare zitto perché se non avrebbe finito lui di rompermi la testa e quindi mi mostrava un distintivo ella polizia. Ho dovuto seguirlo, sono stato caricato su un blindato “in stato di fermo” insieme dal atri ragazzi. Siamo stati portati alla Caserma di Bolzaneto. (...) Un poliziotto, che sari in grado di riconoscere, e che mi pare di aver individuato dopo i fatti presso la Croce Verde di Quinto, mi prendeva improvvisamente la mano, allargava le mie dita con le due mani e tirando violentemente mi spaccava in due la carne, aprendomi la mano. Svenivo. Sono stato ricucito alla bene e meglio da un dottore, presumo militare, che non suturava da anni, naturalmente senza anestesia, con la minaccia che se mi fossi mosso mi avrebbe dato il resto (...)”.
Dei trasferimenti “anomali” dagli ospedali cittadini a Bolzaneto si hanno ulteriori, autorevoli riscontri su Il Secolo XIX il 15 agosto nelle parole dell’epidemiologo dell’istituto tumori Massimo Costantini che descrive nei particolari quanto successo al Galliera il 20 luglio e del chirurgo del centro trapianti del San Martino di turno nel nosocomio la notte del Blitz alla Pertini.
Moltissimi gli stranieri che hanno subito abusi e che sono stati prelevati direttamente dagli ospedali nella notte tra il 21 e il 22 luglio, dopo il blitz della Diaz. Di molti di loro dopo le procedure anomale di espulsione rischiamo di non sapere nulla ma c’è, ad esempio – oltre che dichiarazioni alla stampa di francesi, spagnoli e tedeschi – una testimonianza molto particolareggiata di Jonathan Norman Blair, cittadino inglese, che sabato notte era ospite come molti alla Diaz. Blair percosso e ferito superficialmente dalla polizia italiana è in compagnia di un amico neozelandese Dan e Mark Covell, un suo connazionale che sono stati picchiati, soprattutto quest’ultimo ha subito un durissimo pestaggio, all’interno della Pertini e che vengono trasferiti in ambulanza all’Ospedale Galliera. Blair conta altre 12 persone che hanno avuto un referto in cui si stabilisce che debbano rimanere sotto osservazione per 24 ore. Ma tutto il gruppo viene prelevato da una squadra delle forze dell’ordine che li caricano su un cellulare e li trasportano a Bolzaneto. Qui inizia il noto calvario di “torture” che secondo quanto riferisce Blair consistono in: “abusi fisici; privazione del sonno; essere lasciati in locali freddi; privazione dell’acqua e del cibo; impedimento di uscire; forzati a stare in piedi posizioni obbligate; abusi verbali; stato di intimidazione”.
Alle donne viene riservato un trattamento di particolare gravità come risulta dalle denunce annunciate il 6 agosto dall’avvocata Simonetta Crisci del Foro di Roma, di cui dà notizia La Repubblica il 7 di agosto, nell’articolo a firma di Wanda valli “G8, denunce di violenze sessuali”. ‘articolo riferisce: “Adesso Simonetta Crisci annuncia che presenterà cinque o sei denunce per moleste e abuso d’ufficio e omissione da parte dei funzionari che erano lì (a Bolzaneto) e avrebbero dovuto impedire quegli insulti, quelle minacce (...)”.
Dalla Fiera del Mare
Bisogna inoltre che sia approfondita la funzione avuta dalla cittadella della Fiera del Mare, centro operativo delle forze dell’ordine il 20 e il 21. Infatti, in quest’area, come riferisce sulle pagine de Il Secolo XIX del 31 luglio Marcello Zinola, nel suo articolo dal titolo “Violenze anche alla Fiera del mare”: “Gli arrestati ‘posteggiati’ nella cittadella apparterrebbero tutti a gruppi di dimostranti fermati durante le manifestazioni di venerdì e di sabato (...). L’utilizzo della cittadella rappresenterebbe, secondo i legali, una violazione delle procedure in quanto i fermati dovevano essere portati in luoghi ufficialmente deputati all’accoglienza e alla registrazione dei fermati. L’ordine di servizio e il piano organizzativo sulla sistemazione logistica degli arrestati era stato deciso nell’ultimo vertice pre-G8, svoltosi tra procura e forze dell’ordine il 16 luglio scorso. Il piano organizzativo prevedeva che i fermati fossero portati al comando dei carabinieri di san Giuliano o alla caserma del reparto mobile della polizia di Bolzaneto. Da qui, avrebbero dovuto poi essere presi in carico dalla polizia penitenziaria per la matricola e la successiva assegnazione alle carceri”.
Ma è proprio a Kennedy dove, a quanto riferiscono alcune testimonianze, che accadono i primi abusi. Come testimonia R.V. in una e-mail giunta al GSF il 2 agosto scorso, che si riferisce alla giornata del 21, in cui si attesta che a piazzale Kennedy c’è un punto di concentramento dove i manifestanti fermati vengono perquisiti e privati degli oggetti personali, senza che ci fosse alcuna verbalizzazione, ammanettati e fatti stare in piedi per alcune ore. Sempre lo stesso giorno, come riferisce D.B. di Torriglia (Genova) delle ragazze che sono state malmenate violentemente nei dintorni di via Casaregis ed essere state ripetutamente minacciate sui cellulari da agenti di polizia vengono fatte sostare oltre un’ora sotto il sole nel piazzale della Fiera per poi essere lasciate andare senza che fosse compiuta alcuna formalità.
Da Forte San Giuliano
Più gravi a quanto sembra le ingiurie subite da chi è passato per Forte San Giuliano, a quanto risulta dalla circostanziata denuncia di Timothy Ormezzano, 26 anni, figlio del noto giornalista che, a seguito delle percosse subite il 20 anche nella sede del comando provinciale dei carabinieri (ma passerà anche per Bolzaneto) riporta gravi lesioni al volto, 18 punti di sutura e lividi in tutto il corpo. Gravi minacce e abusi, come risulta dalla testimonianza del cittadino irlandese J. M., sarebbero stati compiuti addirittura il 22 luglio, a manifestazioni concluse, dopo che questi veniva prelevato da una macchina dei carabinieri mentre stava passeggiando sul lungomare di Corso Italia.
BREVE MEMORIA DEL SERVIZIO SANITARIO DEL GSF
Premessa generale
Obiettivo del Servizio Sanitario del Genoa Social Forum era l’integrazione dell’assistenza sanitaria ai manifestanti, nel far fronte alle previste emergenze di piazza (colpi di calore, crisi respiratorie, attacchi di panico, percosse, ecc¼).
Profondamente convinti che la salute, e quindi anche l’assistenza sanitaria, è un diritto di tutti, nostra intenzione era di garantire tale diritto anche nei confronti di quei manifestanti che avrebbero potuto rifiutare l’intervento del servizio sanitario pubblico e il ricovero nei reparti di Pronto Soccorso, nel timore di essere identificati dagli organi di Polizia. E’ opportuno ricordare che il trasferimento all’ospedale, come risulta da tutte le passate, analoghe esperienze, e come si é visto fin dai primi incidenti di Venerdì, coincide con l’identificazione da parte della Polizia e quasi sempre con un provvedimento automatico di fermo. In questa occasione, a questo si sarebbe aggiunta, come è emerso da più testimonianze dirette riguardanti i drammatici fatti della Caserma di Bolzaneto, già parzialmente note nella giornata di Sabato, la concreta possibilità di essere sottoposti ad ulteriori violenze.
È stata quindi riservata particolare cautela nella valutazione dei casi che esigevano l’osservazione in ambiente ospedaliero, senza peraltro rinunciare ad insistere fermamente per il ricovero nei casi che lo richiedevano. Numerosi sono stati infatti i trasferimenti di persone ferite alle ambulanze del “118” richiesti dai Sanitari GSF.
Hanno prestato il loro servizio nei giorni 19-20 e 21 luglio circa 150 persone (medici, infermieri e assistenti volontari), che sono stati organizzati in piccole unità mobili atte ad affiancare le manifestazioni di quei giorni. Tutto il personale dei Sanitari GSF indossava magliette bianche con la scritta “Sanitario GSF” in rosso e bene evidente. Queste unità erano coadiuvate da un’ambulanza affittata per l’occasione e due furgoni attrezzati per fungere da posto di soccorso mobile dotato di riserve di materiale per medicazioni ed interventi di primo soccorso. L’intero sistema di soccorso in piazza era coordinato da un’équipe dislocata al Media Center del GSF (Scuola Diaz di via C.Battisti). In questa sede, oltre all’infermeria della scuola, era stato allestito nella palestra un centro di assistenza con 7 brandine dove sono state accolte e medicate persone che, senza necessitare di ricovero ospedaliero, avevano comunque bisogno di osservazione medica. Nello specifico, nella notte tra il 20 ed il 21 luglio, é stato accolta una persona con contusione in ragione orbitaria; un trauma cranico minore; un’intossicazione da gas urticanti; una crisi d’asma, qualche crisi d’ansia imputabile a shock post-traumatico conseguente agli eventi del pomeriggio di Venerdì. Due dei soccorsi erano stati rilasciati dalla caserma di Bolzaneto: un giornalista, picchiato su tutto il corpo e quindi rilasciato senza alcun provvedimento e un ragazzo tedesco con profonda ferita allo zigomo ed un esteso ematoma, prelevato quello stesso pomeriggio dal Pronto Soccorso, trattenuto nella Caserma di Bolzaneto e rilasciato dopo alcune ore. In due occasioni (la sera del 20 per una lombosciatalgia ed il 21 per una frattura scomposta agli AAII) é stato fatto ricorso al “118” per il trasferimento in ospedale.
La notte del 21 luglio non erano accolti presso questo punto di assistenza feriti gravi che necessitassero di osservazione medica: in particolare vi dormivano due uomini, uno con trauma cranico e l’altro con numerose ferite lacero-contuse al capo ed ecchimosi al tronco.
Non è mai stato richiesto il nostro intervento presso la Scuola Pertini, situata a breve distanza dalla Diaz, né sono state viste entrare persone ferite. Non siamo mai stati informati dell’esistenza di una struttura sanitaria in quella scuola e durante un sopralluogo alla stessa dopo il blitz della Polizia non abbiamo rilevato la presenza di materiale sanitario, se non quello, ben riconoscibile, utilizzato dal “118” intervenuto su richiesta delle Forze dell’Ordine.
I Sanitari del GSF hanno effettuato oltre 500 interventi segnalando in più occasioni i feriti più gravi alle ambulanze del soccorso pubblico (“118-Genova Soccorso”, Croce Rossa Italiana e le altre Associazioni volontarie di soccorso), per il trasporto ai reparti di pronto soccorso di tre ospedali cittadini.
Durante le manifestazioni di piazza di venerdì e sabato sono stati fatti continui interventi a seguito dell’uso massiccio di lacrimogeni e di gas urticanti che, oltre agli effetti irritativi sulle mucose e sulla cute, hanno causato numerose crisi broncostenotiche e grave impatto psicologico nell’immediatezza e disturbi gastro-intestinali nei giorni successivi. Sono state inoltre segnalate ustioni al capo e al tronco dovute all’impatto diretto con i candelotti che venivano regolarmente sparati ad altezza d’uomo.
Le ferite riscontrate a seguito delle cariche delle forze dell’ordine ai cortei autorizzati meritano particolare considerazione.
tipo di ferite: ferite lacero-contuse al capo e al volto, ferite e traumi da difesa, spesso con fratture agli arti superiori, ferite da impatto di lacrimogeni al viso e al tronco, traumi presumibilmente da calci all’addome e agli arti inferiori e spesso al volto, molti traumi cranici. Lesioni particolarmente profonde possono essere attribuite all’uso improprio dei manganelli, impugnati al contrario, di cui gli ematomi riproducevano la sagoma. L’uso del manganello “telescopico” ha prodotto lesioni di particolare gravità simili a profonde “frustate”.
numero di ferite: regolarmente le persone aggredite avevano riportato numerose ferite lacero-contuse al capo e contusioni al tronco e all’addome dovute a reiterate percosse con manganello, calci e pugni.
tipo di feriti: erano presenti tra i feriti molti giovanissimi (15-18) e parecchie persone di età avanzata (anche 60-70) oltre ad avvocati, giornalisti e sanitari muniti di evidenti segni di riconoscimento.
La particolare violenza delle cariche e i numerosissimi episodi di violenza esercitata da gruppi di più elementi delle Forze dell’ordine su persone isolate ha provocato pesanti conseguenze psicologiche ed emotive non solo sulle vittime dirette ma anche su chi assisteva agli episodi stessi. Ne risultava l’esigenza di interventi di supporto psicologico e farmacologico (benzodiazepine), talvolta per veri e propri casi di panico. Ricordiamo che a distanza di più un mese dai fatti molte delle persone coinvolte sono sotto trattamento presso centri organizzati ad hoc (ad es. il centro allestito presso il Santuario di N.S. del Monte).
In più di una circostanza lo stato d’ansia provocato dalla violenza delle cariche e dagli episodi di accanimento precedentemente riportati induceva le vittime, pur seriamente ferite, a rifiutare in prima istanza l’intervento del personale sanitario, che poteva a quel punto praticare le cure necessarie solo dopo adeguato sostegno psicologico e dopo la rassicurazione che il ricorso alla struttura ospedaliera sarebbe stato fatto solo se strettamente necessario.
Impedimento all’assistenza sanitaria
Nello svolgimento degli interventi di soccorso i Sanitari GSF hanno dovuto far fronte a serie difficoltà, che hanno pregiudicato in più casi l’obbligo di soccorso ed il fondamentale diritto alla salute di ogni cittadino
In primo luogo l’estenuante uso di gas lacrimogeni ed urticanti ha pregiudicato il subitaneo intervento su casi anche gravi prodotti dagli stessi.
Nelle primissime ore della manifestazione di Venerdì tre Sanitari GSF (un medico, un infermiere ed un volontario) sono stati aggrediti da agenti della Polizia di Stato, riportando ferite che in due casi hanno richiesto il ricovero in ambiente ospedaliero. Altri Sanitari GSF sono stati oggetto di colpi di manganello e calci, senza conseguenze gravi, ma inferte mentre stavano soccorrendo persone ferite.
In altri casi é stato testimoniato l’ostacolo fisico all’intervento di un mezzo di PA su una presunta crisi epilettica e l’impedimento ai nostri sanitari all’accesso ai presidi medici essenziali (guanti e materiale da medicazione). In numerosi casi é stato impedito ai sanitari di avvicinarsi a persone percosse, immobilizzate e caricate sui mezzi delle forze dell’ordine, con la motivazione che le stesse erano in stato di fermo, questo ha impedito la valutazione delle lesioni ed il primo soccorso, anche in casi di apparente gravità.
Il furgone di supporto é stato più volte oggetto di perquisizioni e atti di violenza, fino alla rottura di un finestrino a colpi di manganello e alla conseguente saturazione del mezzo con gas lacrimogeno proveniente da un candelotto esploso a mezzo metro di distanza, mentre vi erano rifugiate alcune persone sottoposte a cure.
In due casi sono stati sottratti a Sanitari GSF, da parte di agenti della Polizia di Stato, i documenti di identità, senza provvedimento di sequestro e senza restituzione ad oggi (31 Agosto 2001)
Tutto questo, insieme agli episodi di violenza verbale, spesso con minacce di carattere sessuale, esercitati nei confronti dei manifestanti, nella maggior parte dei casi donne, ma anche dei Sanitari GSF, ha di fatto delegittimato il nostro ruolo di sanitari, che abbiamo comunque esercitato mettendo a repentaglio la nostra incolumità fisica.
Gli ospedali nel periodo del G8
Che le violazioni dei diritti umani negli ospedali in relazione al G8 ci siano state è un fatto inconfutabile; dalle immagini alle testimonianze raccolte ufficialmente ed ufficiosamente si evince un quadro complessivo di mancato rispetto delle garanzie costituzionalmente protette in Italia ed una violazione di alcuni diritti essenziali della persona e dell’esercizio delle professioni sanitarie.
Nelle giornate del G8, man mano che giungevano i feriti in tutti e tre i nosocomi interessati: Azienda Ospedaliera San Martino, Azienda Ospedaliera Villa Scassi e Ospedale Galliera, veniva impedito, dalle forze dell’ordine, l’accesso in ospedale agli avvocati ed il colloquio con i cittadini, peraltro senza comunicare se gli stessi erano in stato di fermo, di arresto o liberi.
Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie
Al personale veniva impedita la normale attività di comunicazione con i parenti dei ricoverati per informare che i congiunti si trovavano ricoverati al Pronto Soccorso. Ad esempio al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Martino è stata consegnata al personale addetto alle portinerie, la lista di nomi di persone ricoverate, su cui veniva fatto divieto di dare notizia a chiunque ne avesse chieste
Alla domanda del personale se avrebbero dovuto dire di rivolgersi al Posto di Polizia del Pronto Soccorso la risposta è stata negativa.
In più occasioni, comprovate, il personale di polizia (in borghese) si aggiungeva al personale addetto al triage, ritirando documenti e prendendo nota dei nomi dei ricoverati, ritardando le normali operazioni, azioni palesemente illegittime ed ingiustificate.
In alcuni momenti, personale in borghese ed in divisa, casco e tenuta antisommossa, affollava la saletta triage, nonostante il personale sanitario richiedeva continuamente l’allontanamento dei “non addetti” da tali operazioni.
In numerose occasioni le forze dell’ordine, hanno fatto irruzione in gruppo ed armate di tutto punto, dalle 5 alle 20 persone per volta, riversandosi nella corsia del Pronto Soccorso e decidendo di uscire dopo le continue e sollecite richieste di abbandonare la corsia da parte dei responsabili sanitari. Gli stessi avevano gli abiti impregnati di gas lacrimogeni ed urticanti, ma non erano in corsia per sottoporsi ai trattamenti contro i gas, né erano passati dal triage, bensì esercitavano una probabile funzione di occupazione e di controllo del corridoio intralciando barelle, personale sanitario ecc.
In alcune salette entrava anche il personale delle forze dell’ordine insieme al paziente, impedendo la doverosa privacy ed il corretto rapporto medico-paziente.
Anche il personale ospedaliero più esperto e più avvezzo al lavoro di Pronto Soccorso dopo i primi arrivi del venerdì ( in tutti e tre nosocomi) è rimasto sconvolto dall’entità delle ferite e dal numero dei feriti (riferiscono sconvolti di gente massacrata, teste sanguinanti, gemiti, ecc.). Molti arrivano ammanettati e scortati da carabinieri o poliziotti che non si fermano al Posto di Polizia ma si riversano in corsia.
Ad alcuni medici è stato vietato l’accesso a strutture sanitarie (quindi ostacolata l’attività sanitaria) negli ambulatori dove prestano servizio.
Ad esempio, ci sono testimonianze precise circa la massiccia presenza di forze dell’ordine al piano terra del Padiglione Specialità nel corridoio davanti all’Unità di Crisi del San Martino (prospiciente al Reparto Detenuti).
Durante le giornate del G8 è stato alimentato un clima di tensione creato dalle stesse forze dell’ordine che in più occasioni hanno diffuso la voce imminenti di attacchi dei Black Bloc al San Martino (mai verificatisi), per giustificare la permanenza.
Le guardie di piantone in un reparto di degenza vietano esplicitamente ad un medico, nei giorni successivi, di dare informazione ad un ricoverato (di fuori Genova) sulla presenza dei parenti in ospedale. Anzi, dopo tale domanda la guardia è rimasta presente al colloquio tra medico e paziente per controllare che questo non riferisse la presenza dei familiari a Genova.
Nella notte tra sabato e domenica, il primo ferito giunto da Via Battisti al S. Martino alle 00.28 è stato Mark Covell, privo di conoscenza, accompagnato da un’autoambulanza priva di indicazioni e con personale delle forze dell’ordine a bordo. Il graduato, accompagnando la barella, dichiarava che trattatavasi di tossicodipendente in overdose e con AIDS. Dagli accertamenti eseguiti immediatamente dal personale sanitario risultava un emo-pneumotorace con fratture alle costali multiple.
118 e trasporto in ambulanza
Sono numerose le testimonianze di violenze, anche filmate, nei confronti del personale sanitario che svolgeva il diritto-dovere di cura nei confronti di alcuni manifestanti durante le cariche della polizia. Almeno un medico (Michele Parodi) ed un infermiere sono stati oggetto di violenza da parte delle forze dell’ordine pur recando chiara l’indicazione “Sanitario GSF” sulla maglietta.
Un lacrimogeno, sparato ad altezza d’uomo, ha colpito l’ambulanza noleggiata dal GSF ( venerdì pomeriggio) ed il sabato è stato sparato un lacrimogeno dentro il furgone dei sanitari GSF rompendo il vetro.
In Molti e documentati casi, è stato impedito l’accesso delle ambulanze alle “zone di scontro”, altre ambulanze con feriti a bordo, sono state attaccate dalle forze dell’ordine ( Diario, suppl al n. 31 pag. 58, testimonianza di Laura Papini), addirittura rompendo i vetri.
La notte tra sabato e domenica, il 118 Emergenza Sanitaria è stato allertato prima delle 24 di recarsi in Via C. Battisti. Non sono state fatte avvicinare a Via Battisti, ma nella piazza limitrofa, prima delle 00.40.
Erano già sul posto, in via Battisti, alcune ambulanze prive di indicazioni con personale delle forze dell’ordine.
I primi soccorritori entrati nella scuola Pertini, hanno dovuto faticare e discutere animatamente con il personale di polizia per trasportare via i feriti gravi e non, poiché le forze dell’ordine minimizzavano la gravità delle condizioni di salute e l’entità delle ferite (pur non avendone titolo).
BREVE MEMORIA DEL GENOA LEGAL FORUM
Come avvocati aderenti al Genoa Legal Forum, in merito a quanto avvenuto nella città di Genova in occasione del vertice G8 tenutosi nei giorni 20, 21 e 22 luglio riteniamo doveroso portare a conoscenza alcuni degli elementi di maggior rilevanza e interesse riscontrati sul piano giuridico e legale.
Tali elementi possono così essere riassunti e suddivisi:
Attività rilevanti della procura della repubblica precedenti e preordinate al vertice.
Violazioni del diritto di difesa (anche in connessione al punto 1).
Quantità e qualità degli arresti e dei fermi effettuati.
Questioni di legittimità inerenti al comportamento delle forze dell’ordine e della Procura in ordine alla raccolta e all’utilizzo del materiale probatorio.
Questioni di legittimità inerenti l’utilizzo dello strumento dell’espulsione dallo Stato disposta dalla Prefettura di Genova nei confronti dei cittadini stranieri comunitari e non.
Attività rilevanti della Procura della Repubblica precedenti e preordinate al vertice.
Il primo elemento da valutare al fine di comprendere la predisposizione di provvedimenti specifici da parte della Procura nei giorni del vertice è l’interpretazione immediata che viene fornita dagli organi giudiziari e che inscrive anticipatamente e preordinatamene quanto accadrà in quei giorni (segnatamente l’attività dei manifestanti) nella logica dell’emergenza. Con una ridda di voci incontrollate che si diffondono nei quindici giorni precedenti il vertice si giunge da parte degli organi giudiziari ad una serie di decisioni vincolate da una previsione tutta politica e di difficile giustificabilità da parte di un organo giudiziario: una quantità spropositata di arresti fra i manifestanti (che, peraltro, avevano ribadito da mesi la propria volontà di scendere in piazza in modo pacifico).
Immediata conseguenza di tale previsione è l’organizzazione di percorsi e pratiche alternative di immatricolazione degli arrestati, di identificazione e di avvio alle carceri degli stessi. Il pool di magistrati (procuratori e giudicanti) designati dall’ufficio per fronteggiare l’emergenza G8 si costituisce e lavorerà solo in parte a Genova per svolgere invece la maggior parte delle proprie funzioni nel basso Piemonte laddove verranno inviati i manifestanti arrestati (segnatamente a Pavia, Alessandria e Voghera). Sconvolgendo completamente (si noti, ben prima che l’emergenza si manifesti!) la prassi abituale, si decide che i fermati e gli arrestati verranno condotti da Carabinieri presso il comando provinciale di Forte San Giuliano e dalla P.S. ( e da tutte la altre forze) presso la caserma del reparto mobile di Bolzaneto. In queste sedi si sarebbero effettuate le identificazioni e tutti gli atti preordinati all’avvio alle carceri: immatricolazioni, notifiche di eventuali verbali di sequestro etc. Inoltre si dichiara, alla stampa come all’ordine degli avvocati, che le Forze di Polizia così come la Procura e gli uffici dei GIP sfrutteranno al massimo i tempi previsti come massimi dalla legge per l’invio degli atti relativi all’arresto da parte della P.G. al PM (48h) e per la fissazione da parte del GIP dell’udienza di convalida (ulteriori 48h per un totale di 4 giorni di detenzione senza verifica dei presupposti da parte di un giudice). Appare difficilmente comprensibile anche di fronte al riconosciuto diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni la giustificazione addotta dalla Procura per tale prevista dilatazione dei tempi, ovvero la necessità di effettuare le udienze di convalida dopo il termine del vertice, quindi dopo il regolare deflusso dei manifestanti verso i rispettivi Paesi di provenienza, onde evitare “probabili disordini”.
Se questi elementi organizzativi rendono già chiaro il quadro ideale nel quale ci si è mossi, ancora più evidente e grave è un’altra decisione che viene presa dalla Procura della Repubblica di Genova per i giorni del vertice e che non trova precedenti collettivi (suscitando anzi dubbi di legittimità proprio per poter essere, interpretando la lettera della legge, adottato solo “caso per caso” in ipotesi di eccezionalità). Tale provvedimento è il “famigerato” differimento dei colloqui (con avvocati, parenti, etc) degli arrestati fino al momento della loro applicazione agli istituti di pena. Tale provvedimento, assolutamente straordinario e da adottare solo in casi specifici, è stato invece pensato ed adottato sull’intera massa degli arrestati “del G8” rimasti quindi “incomunicati” per ore e ore (fino a DUE GIORNI) dopo l’arresto e, pertanto, nella piena ed esclusiva disponibilità delle forze di Polizia. E’ persino superfluo evidenziare come (naturalmente in modo assolutamente non previsto da parte della Procura) tale provvedimento abbia reso possibili i gravissimi e diffusi casi di abuso e violenza verificatisi nel cosiddetto “lager di Bolzaneto”, piuttosto che negli altri luoghi in cui gli arrestati venivano condotti per identificazione o immatricolazione (o, più semplicemente “parcheggiati” in attesa di traduzione come nella cittadella di Piazzale Kennedy). La gravità dell’atto sopra indicato e la logica nella quale lo stesso è iscritto è facilmente comprensibile quando si pensa che misure di questo tipo sono contenute, nei vari Paesi europei, unicamente nelle leggi antiterrorismo, per permettere alle forze dell’ordine di compiere “indisturbate” atti di indagine necessari quali interrogatori o altro.
Violazioni del diritto di difesa (anche in relazione al punto 1).
Il provvedimento menzionato al punto 1, oltre ad essere di per sé violativo dei diritti di difesa in quanto, per lo meno, differisce l’intervento del difensore in una fase in cui tanto più sarebbe necessaria la tempestività, ha comportato dei veri episodi di abuso da parte delle FFOO e di ostacolo all’esercizio di tale diritto, peraltro chiaramente sancito dalla Costituzione e specificato nel codice. Per citare alcuni degli episodi più frequenti si può vedere come alcuni avvocati non siano stati ammessi all’ingresso delle caserme o dei reparti detentivi degli ospedali (neppure nei giorni successivi all’arresto), ancorché provvisti di regolare mandato difensivo da parte degli arrestati o dei loro parenti. Altri hanno ricevuto risposte evasive, quando non apertamente ingiuriose, a legittime richieste quali dove fossero condotti coloro che erano tratti in arresto nelle strade, perché non venissero redatti i verbali di perquisizione (ai quali peraltro i legali non potevano assistere), perché non fossero stati attesi prima dell’inizio dell’atto (sempre in fase di perquisizione) i legali prontamente reperiti dagli indagati. A questo riguardo l’episodio certamente più rilevante per gravità intrinseca ed evidenza è quanto accaduto durante la perquisizione delle scuole Diaz durante la quale i legali prontamente intervenuti perché avvisati da alcuni presenti all’interno della scuola non solo non venivano ammessi ad assistere all’atto, così come previsto dalla legge, ma venivano altresì raggiunti da frasi ingiuriose e minacciose (tipo “avvocato del c¼ ti ammazziamo come gli altri”).
Quantità e qualità degli arresti e dei fermi effettuati.
Quanto l’atteggiamento delle forze dell’ordine e della Procura sia stato eminentemente rivolto alla creazione di un soggetto da utilizzare come responsabile per gli avvenimenti genovesi è dimostrato altresì dalla quantità e dalla qualità degli arresti effettuati, non solo per le modalità con cui gli stessi si sono manifestati (brutalità e violenze diffuse) ma altresì per le imputazioni attribuite ai singoli o ai gruppi di persone fermate e indagate e la casualità delle attribuzioni.
Se si guarda, infatti, agli arresti effettuati nella giornata di venerdì durante le manifestazioni si può agevolmente notare (con adeguati supporti filmati) quanto le FFOO abbiano arrestato quasi esclusivamente coloro che si trovavano in posizione arretrata rispetto ai cortei o isolati dopo e durante le cariche. Emblematica è a riguardo la situazione che si verificata (peraltro alla presenza di uno dei legali del GLF) intorno alle ore 18.00 in C.so Gastaldi, mentre (dopo la morte di Carlo Giuliani) il corteo dello stadio Carlini veniva respinto indietro dalle cariche dei Carabinieri. In questa situazione si verificavano parecchi arresti di persone che rimanevano indietro e isolate dal corteo. Significativa della assoluta casualità degli arresti effettuati in quella occasione e, più in generale, in fase di svolgimento delle manifestazioni, e della correlata mancanza di elementi fondamentali per l’attribuzione di reati specifici è l’analisi delle risultanze delle prime fasi processuali. La quasi totalità degli arresti effettuati durante le manifestazioni e gli scontri sono, infatti, stati convalidati (dal momento che, data la peculiarità della situazione, le FFOO non erano in condizione di valutare esattamente la situazione) ma con scarcerazione immediata degli indagati sottoposti alla custodia cautelare in carcere in quanto considerati non pericolosi. E’ da tenere in considerazione inoltre il fatto che più della metà degli arrestati “in strada” sia nella giornata di venerdì che di sabato (con le accuse di resistenza a P.U., lesioni e, in alcuni casi, tentato omicidio) sono stati scarcerati in sede di convalida. In tale sede, inoltre, molti degli indagati hanno esposto dichiarazioni chiare e dettagliate sulle modalità del proprio arresto, chiedendo al GIP che le notizie di reato contenute in tali esposizioni fossero immediatamente comunicate alla Procura per gli atti di competenza. Si è quindi delineato un quadro per cui, agevolate dalla caoticità delle situazioni in cui sono intervenute, le FFOO avrebbero effettuato arresti indiscriminati in cui non si teneva conto delle responsabilità individuali e in cui si adducevano, a prova della resistenza a P.U. in occasione del fermo, lesioni denunciate dai fermati stessi come provocate dagli agenti operanti (si noti che molte delle dichiarazioni dei fermati appaiono tanto più credibili se comparate con le decine di filmati che riprendono arresti effettuati con estrema violenza e che scaturiscono da veri e propri pestaggi di gruppo). A conferma di quanto affermato si citano i casi di F.R., arrestato in C.so Gastaldi al termine del corteo del Carlini, che ha riportato, come dichiarato dallo stesso, in occasione del pestaggio preordinato al fermo, la frattura del setto nasale e varie lesioni “da difesa” alle mani ed al capo (con necessità di applicazione di diversi punti di sutura). Nello stesso verbale dei Carabinieri le prove a carico del F.R. sarebbero state un apribottiglie rinvenuto nello zaino e un bastone trovato invece “a terra nelle vicinanze” (!!).
Se ciò è valido per gli arresti effettuati in piazza, analoghe considerazioni possono essere svolte per le persone successivamente tratte in custodia. Sia i 93 presenti alla scuola Diaz che i manifestanti arrestati successivamente mentre si allontanavano da Genova hanno subito l’arresto e la successiva custodia cautelare sulla scorta di un materiale probatorio assolutamente insufficiente, indiziario e rilevante solo se posto in relazione con un disegno specifico da parte della Procura. Infatti, l’imputazione di reato associativo (tutti gli arrestati successivi al pomeriggio di sabato 21 sono infatti accusati di essere membri di un’organizzazione armata denominata ‘black blok’) ha consentito l’elaborazione di u teorema giudiziario che consentisse non solo l’arresto ma altresì l’applicazione della misura cautelare a persone per le quali si era in carenza assoluta di gravi indizi relativamente ai reati effettivamente commessi dai singoli. E’ quindi stato sufficiente il possesso di alcuni abiti neri o di normali attrezzi (di scena per i teatranti austriaci, da campeggio per altri) per determinare l’appartenenza a tale associazione. A tale proposito è necessario rilevare un atteggiamento assolutamente privo di pregiudizi ed indipendente da parte della magistratura giudicante che, in alcuni casi già in sede di convalida, in altri in momenti successivi quali il giudizio di riesame, ha valutato come insufficienti gli indizi presenti ad avvalorare la tesi del reato associativo oltre che dei “reati fine” (devastazioni e saccheggi) a carico dei singoli, provvedendo alla loro scarcerazione. La pericolosità intrinseca dell’applicazione dell’ipotesi associativa a tipici “reati di piazza” sta nelle possibilità che essa aprirebbe di estensione non solo dell’indagine ma di vere e proprie responsabilità personali a tutto il movimento pacifico, senza la necessaria prova della reale partecipazione ad atti di violenza. Va segnalato altresì l’innalzamento dei termini di custodia cautelare (da sei mesi ad un anno) e delle possibili pene finali (arrivando fino ad un massimo che sta fra gli 8 ed i 20 anni di reclusione) che ciò comporterebbe.
A comprova di quanto affermato si veda come dei 329 arrestati nei giorni del vertice o subito successivi, solo 15 persone si trovino ancora in carcere, circa 30 siano state scarcerate in sede di riesame sulla misura cautelare, mentre, in pratica, tutti gli altri sono stati scarcerati già in sede di convalida dell’arresto. Segnatamente ed in modo emblematico si può citare il caso dei 93 arresti effettuati nell’operazione alla scuola Diaz, per la maggior parte dei quali i Giudici di merito non hanno neppure ritenuto di poter convalidare l’arresto in quanto avvenuto in assenza dei requisiti richiesti dalla legge.
Questioni di legittimità inerenti al comportamento delle forze dell’ordine in merito alla raccolta ed all’utilizzo del materiale probatorio.
In relazione a tali aspetti si segnalano, brevemente, alcuni dei fatti verificatisi con maggiore frequenza e che possono iscriversi in un atteggiamento generale di scarsa precisione (spesso tale e tanta da sembrare preordinata) nella raccolta delle prove e degli indizi a carico dei singoli arrestati. A ciò si aggiunga la carente collaborazione con la Procura ravvisabile nei ritardi relativi all’invio di detti materiali e degli atti relativi alla Procura della Repubblica. Nella maggior parte dei casi in cui ciò era possibile, e non si fa quindi riferimento agli arresti effettuati in piazza, non è stato consentito ai difensori di presenziare in modo utile alla raccolta del materiale probatorio effettuata con perquisizione dei luoghi (campeggio di via Redipuglia, scuola Diaz) benché questi fossero prontamente reperiti o addirittura presenti. In molti casi, inoltre, l’accesso ai verbali di sequestro è stato posticipato, il materiale probatorio è stato raccolto senza alcuna attenzione alla pertinenza dei vari oggetti alle singole posizioni anche quando ciò era possibile. I casi più eclatanti di tale atteggiamento da parte della PG si sono riscontrati nella perquisizione alla scuola Diaz (per la quale, ad esempio, non è stato redatto alcun verbale relativo al sequestro o ad altri atti compiuti nella sede organizzativa del GSF e nell’ufficio legale). La situazione sopra descritta ha comportato pesanti ritardi nella realizzazione di una efficace attività difensiva, data l’impossibilità di accedere ad una serie di informazioni fondamentali e di organizzare, conseguentemente, atti di raccolta prove a discarico (o a carico eventuale delle FFOO) come incidenti probatori o interventi di periti. Questione marginale a quella trattata nel punto in oggetto, ma non per questo di minore gravità, è rappresentata da tutti gli oggetti “persi” nel corso di perquisizioni o fermi in piazza. Sono ancora molti, ad esempio, gli effetti personali o i documenti di identità ritirati dalle FFOO e, ovviamente, non formalmente sequestrati, di cui non si riesce ad avere notizia o rinvenimento con danni immaginabili per le persone coinvolte. Sul tema è sufficiente fare un esempio relativo a due sanitari del GSF che, identificati dalla Polizia durante un intervento di emergenza in piazza, si sono visti ritirare documenti di identità (fra i quali un tesserino dell’ordine dei medici) di cui non hanno più avuto notizia.
Questioni di legittimità inerenti l’utilizzo dell’espulsione dallo Stato disposta dalla Prefettura di Genova nei confronti dei cittadini stranieri comunitari e non
Molte sarebbero le riflessioni possibili sul tema delle frontiere “virtuali”, che è stato prepotentemente lanciato da questo vertice soprattutto rispetto all’Unione Europea. Infatti, mentre in precedenza i confini nazionali erano qualcosa di immanente e quasi materiale, oggi ci troviamo di fronte a limiti virtuali che, normalmente invisibili, ridiventano vere e proprie muraglie in alcune occasioni specifiche. Rimandando gioco forza, una più seria e puntuale riflessione politica e giuridica sull’argomento, si possono però segnalare alcuni degli aspetti più evidenti con i quali ci siamo dovuti confrontare nei giorni precedenti e successivi al Vertice.
Infatti, come era già avvenuto in occasione di altri appuntamenti internazionali, l’Italia ha sospeso, nei giorni del Vertice, l’operatività del Trattato di Schengen, laddove prevede l’abbandono delle frontiere nazionali. Tale “chiusura delle frontiere” ha comportato il ripristino dei controlli d’identità ai confini e, pertanto, la possibilità di individuare e respingere gli indesiderati e i sospetti.
Molti dei respingimenti, che ci siamo trovati ad affrontare in quei giorni, la maggiorparte per cittadini comunitari, erano relativi a persone che rientravano nei casi previsti dall’art. 2, comma 2, del Trattato di Schengen, ovvero inserite in una lista (segreta e inaccessibile anche da parte degli interessati) di individui ritenuti indesiderati perché pericolosi per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico. Occorre notare, peraltro, come per essere inseriti in tale lista, sia sufficiente essere stati oggetto di una mera segnalazione informativa da parte delle forze dell’ordine del paese di appartenenza, anche senza essere sottoposti a veri procedimenti penali o condanne.
Il risultato è che il 99,9% delle persone a diverso titolo coinvolte nei movimenti nazionali o internazionali può essere inserita in tale lista e, quindi, considerata indesiderata e respinta al confine. In merito a tali provvedimenti, si segnala altresì una grave confusione da parte delle forze dell’ordine italiane e dello stesso Ministero degli Interni dal momento che in realtà, quando le persone in oggetto (tra le quali molti giornalisti, anche con accrediti di testate insospettabili quali il New York Times) venivano fermate i comportamenti e i provvedimenti variavano a seconda dei luoghi. Non solo, i fermati già presenti sul territorio nazionale non possono essere respinti e accompagnati alla frontiera se comunitari, ma solo segnalati e sottoposti alla vigilanza (non si sa in che termini e modi) da parte del Ministero. Inoltre, gli stessi respinti alle frontiere terrestri, portuali o aeroportuali ricevevano provvedimenti diversi, che peraltro – solo in alcuni casi – hanno potuto comunicare o avvalersi dell’assistenza di un legale.
Nei giorni successivi agli arresti, invece, l’elemento sicuramente più rilevante è stato rappresentato dai decreti di espulsione comminati agli arrestati che venivano (in qualsiasi modo: convalida, decisione del P.M., riesame) scarcerati. In questi casi abbiamo assistito a vere e proprie “mostruosità giuridiche”. Infatti, tutti i decreti di espulsione, sia che riguardassero cittadini comunitari che non, sono stati emessi per ragioni di “sicurezza nazionale ed ordine pubblico”. Molte sono le ragioni, a nostro avviso evidenti, di nullità e violazione aperta di legge in merito. Fra i tanti possiamo segnalare come più evidenti sul piano formale il fatto che tali decreti, proprio per le motivazioni per cui sono stati emessi, sarebbero dovuti ricadere nella competenza del Ministero degli Interni e non del Prefetto della Provincia di Genova e che sia stato disposto per tutti i destinatari del provvedimento l’accompagnamento coattivo alla frontiera che, secondo la legge italiana, può sussistere solo per i cittadini extracomunitari mentre ai comunitari viene concesso un termine di 30 giorni per allontanarsi autonomamente dal territorio nazionale. Sul punto in esame vale la pena attardarsi per descrivere le ormai note modalità di esecuzione dei provvedimenti: le persone scarcerate (quindi ormai libere per la legge italiana da qualsiasi provvedimento restrittivo della libertà personale, sono state prelevate da automezzi della Questura già dentro gli istituti di pena e condotti presso i posti di Polizia per la notifica del provvedimento, e, quindi, ai posti di frontiera per l’esecuzione materiale dello stesso. Tutto questo senza che, seppure in assenza di alcuna determinazione legittima, le persone suddette potessero contattare non solo i legali ma neppure gli amici, i parenti o le autorità del proprio Paese in attesa fuori dagli istituti di pena. Sul piano del merito occorre invece segnalare, anche perché determinante nell’osservazione di un atteggiamento particolare da parte delle Autorità Italiane, come le ragioni di ordine pubblico e sicurezza nazionale, che andrebbero specificate in motivazione sul caso singolo e concreto, siano state al contrario nei casi in esame addotte come sussistenti di per sé ed in modo collettivo, per il solo fatti di aver partecipato alle manifestazioni antiglobalizzazione tenutesi a Genova ed essere stati, per questo, arrestati. In quasi tutti casi, infatti, si tratta di persone che, seppur arrestate, sono state considerate dagli stessi giudici di merito “non pericolose”, tanto da non essere sottoposte ad alcuna misura cautelare in ordine ai procedimenti penali (si pensi al caso dei 93 arrestati della scuola Diaz o ai 25 della compagnia di teatro austriaca). E’ quindi chiaro come i provvedimenti di espulsione siano stati comminati in modo assolutamente svincolato da reali esigenze di tutela della sicurezza relative al comportamento personale dei singoli ma piuttosto sulla base di una presunzione di pericolosità che riguarda tutti i partecipanti alle manifestazioni antiglobalizzazione.
Se si osserva pertanto quanto accaduto sia prima del vertice sia successivamente in materia di controlli di frontiera o di rapporti con i cittadini stranieri, appare chiaro come sia assolutamente necessaria una verifica istituzionale, eventualmente anche a livello europeo, che imponga limiti, controlli e procedure definite di legge sia riguardo alla circolazione delle informative di Polizia sulla pericolosità individuale (in merito, soprattutto, alla formazione delle cosiddette “liste nere” di indesiderati) sia alla possibilità di operare respingimenti ed espulsioni sulla base di presunzioni di pericolosità rilevate dalla semplice partecipazione a libere associazioni o manifestazioni di pensiero.