RASSEGNA STAMPA

IL GIORNALE - Vincenzi, Burlando e il G8

Genova, 15 novembre 2008

VINCENZI, BURLANDO E IL G8
NOT IN MY NAME
di Massimiliano Lussana

Non amo particolarmente l’inglese. Meno che mai gli slogan inglesi. Ma ho scelto questo titolo perchè credo che possa essere compreso da tanti politici di sinistra e da tanti vicini ai no global che sfilavano dietro striscioni con questa scritta ai tempi delle marce pacifiste e delle bandiere arcobaleno, quando ancora andavano dimoda. «Not in my name», non nelmio nome.
Ecco, lo dico anche aMarta Vincenzi e a Claudio Burlando che hanno criticato, in vario modo, la sentenza sul G8. A partire da un’osservazione, che riguarda non solo e non particolarmente sindaco e governatore, ma tutti coloro - fra i politicie i giornalisti -cheprendonoper oro colato un’intercettazione o un avviso di garanzia e poi si scagliano contro una sentenza della magistratura giudicante. Com’è che funziona? I pm sono bravi se dicono quellochepiace sentirsi direei giudicisono cattivi se non emettono la sentenza attesa?
Conosco gente che si eccita per una chiacchiera da bar contro qualcuno, meglio se messa su un giornale, e poi difende a spada tratta condannati «sai, è gente tanto perbene ». Ame questo modo di fare dà i brividi.
Veniamo quindi a Burlando, improvvisatosi giurista e storico, e alla Vincenzi, che è andataaddiritturain aulaadaspettare lasentenza.
Probabilmente convinta che i cittadini genovesi questo voglianoda un(a) sindaco: non che faccia mettere a posto le buche delle strade colabrodo;noncheilComuneforniscabuoniservizi ai cittadini; non che il decoro urbano renda migliore la qualità della vita; non che si tengano in ordine il verde pubblico e i parchi, frequentati dalle categorie più deboli della società, anziani, bambini e gente che non ha giardini pensili sul terrazzo o regge di Versailles davanti alle finestre. No, i cittadini genovesi, secondo Marta, non vogliono queste ed altre cose, ma hanno come priorità unica e insopprimibile quella di chiosare i giudici che hanno emesso la sentenza sui poliziotti al G8.
Per Marta - che torna a chiedere la commissione parlamentare di inchiesta, altra urgenza impellente e ineludibile per il futuro della città - l’importanza della sentenza dell’altra sera era tale da farle mollare tutto e stare quasi tre ore in aula di Palazzo di Giustizia ad aspettare la lettura del verdetto.
Burlando, dal canto suo, se l’è presa molto più comoda ed ha atteso la sentenza nel suo ufficio. Ma anche lui si è sentito in dovere di rilasciare dichiarazioni all’agenzia di stampa Ansa sul processo, sottolineando i suoi dubbi sull’operato della giuria.
Ecco, io credo che Burlando e Vincenzi farebbero meglio a cercare di governare bene Genova (e farlo in modo migliore di quanto lo facciano oggi, non è certo un’impresa particolarmente difficile, credetemi), anzichè dedicarsi alle sentenze della magistratura. E, soprattutto, credo che Claudio e Marta che avevano come slogan in campagna elettorale rispettivamente «La Liguria di tutti» e il «sindaco di tutti» dovrebbero cercare di riempire di significato questi slogan. Ricordandosi che sono il presidente della Regione e il sindaco anche di coloro che non li hanno votati. Anche di coloro che rispettano la magistratura giudicante e non solo quella inquirente. Anche di coloro che avrebbero apprezzato una presenza della Vincenzi in aula anche alla lettura della sentenza del processo per devastazione e saccheggio, quello in cui alcuni degli imputati sono stati ritenuti responsabili di aver messo a ferro e fuoco Genova, una città di una bellezza straniante, ferita e offesa da gruppi di violenti. Quel giorno, invece, non ricordo particolari mobilitazioni.
In particolare, a ferire, è il mancato rispetto della sentenza. Anche se qui, obiettivamente, Marta c’entra poco perchè non ha criticato i giudici. Ho sempre detto che un uomo in divisa che sbaglia è forse ancor più colpevole perchè disonora quella divisa. Ma gli attacchi o i distinguo arrivati contro i giudici di Genova, contro cui si è attivato a difesa persino il Csm, sono qualcosa che va oltre ogni limite. Soprattutto, se arrivano da persone con cariche istituzionali.
Non più tardi di una settimana fa Marta Vincenzi era con Alessandro Repetto sul palco del comizio di Antonio Di Pietro che parlava di magistratura come baluardo civile. Cos’è cambiato in una settimana? Fra l’altro, già che ci siamo, a che titolo erano sul palco? Se il sindaco era affascinata dalla galleria fotografica estiva di Tonino, con trattore e bicipiti, possiamo capirla: trattasi del fascino del macho. Così come capiamo Repetto (apprezzabile il suo silenzio sulla sentenza) se era affascinato dal fascino tout court di Marylin Fusco, consigliera comunale dell’Italia dei valori. Ma, sinceramente, anche se si trattava del comizio di un alleato, andarci non era così indispensabile.
Comunque, si diceva, Tonino predicava il sacrosanto rispetto della magistratura. E allora, a memoria anche di chi lo applaudiva e di chi lo affiancava, forse vale la pena di ascoltare con attenzione l’intervista rilasciata dal presidente del collegio giudicante Gabrio Barone ad Alberto Pastanella per il Tg5: «Il nostro codice - ha spiegato il giudice (quello con gli occhiali, la barba e i capelli bianchi e il viso da vecchio saggio, per intenderci) - prevede che si possa condannare solo quando la responsabilità è accertata oltre ogni ragionevole dubbio».
Parole che sono l’abc del diritto e che ci danno per l’ennesima volta fiducia nella magistratura e l’emozione di vivere nella patria di Beccaria. Sempre e comunque, non solo quando lo decidono quattro giornalisti, tre comici, due conduttori televisivi o un milione di manifestanti. «Capisco il risentimento di chi è stato picchiato - ha spiegato Barone, commentando le proteste seguite alle 16 assoluzioni - ma le persone dovrebbero prima leggere gli atti. Il nostro codice prevede che si possa condannare quando la responsabilità è accertata oltre ogni ragionevole dubbio. Questa sentenza colpisce le persone sulle quali abbiamo ritenuto ci fossero prove certe di responsabilità». Chapeau.
Si chiama garantismo. Merce rara, a Genova, oggi.