RASSEGNA STAMPA
IL MANIFESTO - Se ripartissimo da Genova ...
Roma, 5 luglio 2008
COMMENTO
Se ripartissimo da Genova...
Vittorio Agnoletto
Sono passati sette lunghi anni, ma alla fine in un'aula di tribunale un magistrato ha confermato quello che il Genoa social forum e tutto il movimento avevano sempre detto. Alla Diaz quella notte del 21 luglio 2001 vi fu un massacro. Un massacro, null'altro. Non vi fu alcuna sassaiola, alcuna provocazione, nè tanto meno alcuna cospirazione o reato associativo. Forse non sapremo mai il nome di chi ha massacrato nel sonno una ragazza poco più che ventenne e di chi ha ridotto in fin di vita il mediattivista Mark Cowell; i loro aguzzini si sono nascosti dietro l'anonimato di una divisa che avrebbe dovuto invece rappresentare per ogni cittadino una garanzia. La garanzia che chi ha scelto di «servire lo Stato» dovrebbe avere come primo obiettivo la difesa della libertà e dei diritti conquistati con la Costituzione.
Oggi sappiamo che non era così. Non solo. Coloro che, secondo i pubblici ministeri genovesi, ordinarono l'irruzione, coloro che costruirono le prove false, coloro che cercarono di contrastare le indagini con l'omertà e con l'induzione alla falsa testimonianza, sono stati tutti promossi. La nostra sicurezza, in nome della quale oggi si approvano leggi razziste e xenofobe, è nelle loro mani. E io non mi sento sicuro.
Il governo Berlusconi II prima fu il suggeritore e il regista di quelle violenze, poi ne premiò gli autori. Oggi il Berlusconi IV cerca di bloccare il processo attraverso un effetto non collaterale, ma pervicacemente ricercato, della norma salva premier. Tra un anno, quando forse il processo potrà riprendere se non si dovesse riuscire a salvarlo dalla mannaia del bloccaprocessi, le verità emerse avranno perso molto di quel drammatico realismo evidenziatosi dalle testimonianze ascoltate udienza dopo udienza per tanti anni. Sempre che il procedimento possa rincominciare e che nel frattempo non venga spostato un magistrato o non si verifichi qualche altro «casuale» intoppo.
Ma se siamo giunti a questo punto lo dobbiamo anche al governo Prodi, che ha sotterrato la commissione d'inchiesta e ha completato la promozioni dei soliti noti. Genova è una ferita che continua a sanguinare; la solitudine che respirammo in quelle giornate quando oltre il 90 per cento dello schieramento istituzionale fuggì davanti alle proprie responsabilità costituzionali, è più attuale che mai.
Allora, il 18 luglio 2001, sfilavamo a Genova coi migranti, vittime predestinate della violenza di una feroce globalizzazione liberista. Oggi con loro vediamo rinchiusa per 18 mesi nei Cpt ogni speranza di cercare una vita migliore e nelle impronte dei bambini raccolte in qualche schedario delle nostre prefetture abbiamo la triste conferma di quanto avessimo ragione. E forse siamo ancora un po' più soli, scomparsa quella rappresentanza istituzionale che allora seppe essere al nostro fianco e che negli anni seguenti non fu invece capace di capitalizzare la forza e la coerenza seminate in quelle giornate e rilanciate un anno dopo al social forum europeo di Firenze. Ma se c'è un punto dal quale possiamo e dobbiamo ripartire non c'è dubbio che quel punto ha un nome: Genova. Lì ci sentimmo comunità, insieme con tutte le nostre differenze, ma con la consapevolezza che potevamo dare un contributo affinché la storia dell'umanità non precipitasse in quella tragedia che oggi ci appare sempre più incombente.