RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - Di Pietro lancia l'inchiesta che Costantini affondò

Roma, 15 novembre 2008

CAMERA Il no decisivo fu del candidato in Abruzzo
Di Pietro lancia l'inchiesta che Costantini affondò

Andrea Fabozzi

Adesso Antonio Di Pietro vuole la commissione di inchiesta sul G8 «per accertare le responsabilità politiche». In realtà Di Pietro aveva già detto di non essere contrario «ma purché indaghi a tutto campo e non si trasformi in un processo alla polizia». I voti del partito dell'ex pm (ed ex poliziotto) erano però stati decisivi nell'affossare la commissione d'inchiesta l'unica volta che il parlamento era andato vicino ad approvarla, il 30 ottobre 2007. La commissione era nel programma del governo dell'Ulivo, Di Pietro però insieme a Mastella e ai socialisti si sfilò all'atto del voto decisivo alla camera. L'inchiesta parlamentare morì quella mattina. Tanto che oggi tutta la sinistra attacca Di Pietro, accusandolo di «ipocrisia» e di essere «un sepolcro imbiancato»: doveva votare sì allora. A votare no in commissione, però, non fu Di Pietro ma il deputato dipietrista Carlo Costantini. Proprio il signore che tra tre domeniche, un anno e un mese esatti dopo aver affondato la commissione sul G8, correrà per la presidenza dell'Abruzzo con il sostegno del Pd e di tutta l'indignata sinistra: Prc, Pdci, Sinistra democratica e Verdi.
«I giudici hanno fatto il loro dovere», dice adesso Di Pietro a commento della sentenza del tribunale di Genova sull'assalto alla scuola Diaz. «Se qualcuno non è convinto - aggiunge il leader dell'Italia dei valori - può fare appello, ma a sentenza emanata si può ragionare anche sulla commissione di inchiesta parlamentare perché c'è una responsabilità politica enorme». L'argomento si chiude immediatamente perché il presidente dei senatori del Popolo delle libertà, Maurizio Gasparri, un attimo dopo aver festeggiato le assoluzioni di Genova perché «si conferma la trasparenza e la credibilità dei vertici della polizia di stato», chiarisce che «una commissione parlamentare di inchiesta sul G8 non ci sarà mai, non avrà mai i voti della maggioranza». Fine del discorso se qualcuno ci avesse mai creduto. Non più la sinistra extraparlamentare che infatti ripete le sue accuse a Di Pietro. «Stupito» per il voltafaccia dell'Italia dei valori, Claudio Fava di Sd dice che «il giudizio su quei fatti rimarrà per sempre impresso nei ricordi di chi c'era». Mentre il segretario del Prc Ferrero dice che «se oggi arriva questa sentenza è anche colpa del centrosinistra e dell'Idv che non hanno voluto fare chiarezza quando si poteva».
Dalla maggioranza invece solo reazioni di giubilo, uno di quei rari momenti in cui il centrodestra riesce a stringersi intorno alla magistratura. «E' stata pronunciata una sentenza che ha dato un responso chiaro su quanto è successo», riesce a dire il ministro della giustizia Angelino Alfano quando è proprio la «chiarezza» a fare difetto a una sentenza che trascura le responsabilità dei vertici della polizia. Molto più timido il partito democratico. Nulla dichiara il segretario Veltroni, il commento è affidato al responsabile del settore, il ministro «ombra» della giustizia Lanfranco Tenaglia: «In questo momento c'è un certo amaro in bocca per la decisione, ma le sentenze della magistratura si rispettano e anche in questo caso credo che i giudici abbiano fatto il loro dovere». Tutto qui. Un certo amaro in bocca e poi tocca inseguire Di Pietro e la sua conversione sulla commissione d'inchiesta. Ma l'ex pm aveva già detto tutto su Genova il 23 luglio 2001, il giorno dopo la fine del G8. Criticando la decisione del consiglio comunale di Milano di aprire la seduta con venti secondi di silenzio. «Mi sembra improprio - disse allora Di Pietro - utilizzare una sede istituzionale per ricordare una persona che stava compiendo una serie di reati». Parlava di Carlo Giuliani.