RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Sparito il video del massacro alla Diaz
Genova, 5 luglio 2008
Sparito video sulla Diaz dura requisitoria al processo g8
Il pm Cardona Albini: «Fu un massacro non giustificato: i manifestanti non opposero resistenza». Un giornalista filmò tutto
Il film del "massacro"è sparito, ma ciò non basta a nascondere quanto accaduto. Ferite gravi, fratture di arti, ematomi, contusioni, traumi cranici: è lungo l'elenco delle "lesioni gravi" riportate dai manifestanti "pestati" dalla polizia all'interno della scuola Diaz durante il G8 e ricordate, nell'aula bunker di Palazzo di Giustizia di Genova, dal pm Francesco Cardona Albini che ieri ha proseguito la requisitoria, iniziata giovedì dal collega Enrico Zucca, nell'ambito del processo sulla sanguinosa irruzione nell'edificio di via Cesare Battisti durante il G8 del 2001 a Genova. «Fu un pestaggio - ha sottolineato il magistrato - e non venne mai fornita alcuna prova che vi fosse una giustificazione al comportamento degli uomini che entrarono alla Diaz, ai quali non fu opposta alcuna resistenza da parte dei manifestanti».
«Sparito il video del massacro alla Diaz»
i giorni del g8 a genova
Dura requisitoria del pm Cardona Albini al processo. Un giornalista filmò le violenze: la cassetta non si trova
«Le immagini del massacro appena compiuto furono riprese e immortalate da uno dei giornalisti aggrediti alla Diaz quella notte. La sua telecamera è ancora conservata nell'ufficio dei corpi di reato. La videocassetta misteriosamente è sparita». La voce del pubblico ministero Francesco Albini Cardona risuona nel silenzio dell'aula bunker, amplificata dai microfoni di palazzo. Nessuno fiata, tra la schiera degli avvocati. E dagli altoparlanti non esce nemmeno il solito fruscio.
È uno dei momenti chiave della seconda giornata di requisitoria al processo ai 29 tra poliziotti e funzionari accusati di aver fatto irruzione nella sede del Genoa social forum, le scuole Diaz e Pertini, la notte del 21 luglio del 2001 al termine del G8 di Genova. Giovedì era toccato al pm Enrico Zucca, raccontare dell'«omertà della polizia» nel corso delle indagini, delle difficoltà a ricostruire persino la composizione della pattuglia da cui tutto sarebbe nato, il gruppo di agenti bersagliato da una sassaiola «mai dimostrata». «L'irruzione nella sede del Gsf fu decisa per salvare l'immagine della polizia dopo i fallimenti dell'odine pubblico dei giorni precedenti - aveva detto Zucca - servivano arresti e serviva un'azione più incisiva. Fu decisa dall'alto e messa in pratica alla Diaz».
Ieri questa irruzione è andata in scena nuovamente nel giorno della seconda puntata dell'atto di accusa finale. Senza filmati. «Non servono» ha spiegato il pm: «Le parole dei protagonisti bastano e avanzano. Ascoltare le loro testimonianze è come vedere».
E sembra di assistere alla proiezione di un film, appena il pm Albini Cardona comincia la narrazione: «Quando la polizia è entrata chi era nella scuola ha cominciato a fuggire. Chi dalle finestre, usando le impalcature. Chi nascondendosi in uno sgabuzzino, chi scappando verso i piani alti, alla ricerca di un'aula o un laboratorio nel quale rinchiudersi».
I primi agenti del reparto mobile di Roma incontrano un gruppo di no global spagnoli: «Erano inginocchiati con le mani alzate. Pronunciavano frasi non violente. Sono stati presi a calci, pugni, a colpi di manganello impugnato a martello, sono stati investiti da un lancio di sedie». È il primo atto di un pestaggio vero e proprio, dove il "bastardi" urlato dagli agenti con casco e tute imbottite si sovrappone alle urla di dolore e paura delle vittime. Nel primo dei locali dove tutto comincia si accalca un numero di poliziotti superiore alla quantità di ragazzi, inermi.
«Ma cosa volevano fare quegli agenti? - si è chiesto il pubblico ministero - continuavano a colpire alla testa e a dire "Nessuno sa che siamo qui, vi ammazziamo tutti. "Adesso piangete, ieri pensavate di essere forti in piazza"». Una ragazza ha raccontato di «sentirsi una cittadina onesta» e di aver accolto gli agenti con la carta di identità in mano:â??«L'hanno colpita con un calcio in faccia».
Il pm ha proseguito elencando il bollettino di guerra delle ferite subite dai no global picchiati alla Diaz. È un elenco di fratture, agli arti e alla testa, di ematomi, contusioni, traumi cranici, ferite. Un lungo elenco di manifestati colpiti anche quando erano a terra sanguinanti e inermi. «Mi coprii la nuca perché sapevo che la testa era l'unica cosa che potevo salvare per sopravvivere. So cosa vuol dire sopravvivere, la mia famiglia che è ebraica me lo ha insegnato dopo aver evitato le camere a gas», è una delle testimonianze ricordate in aula.
Una ragazza «fu sollevata da terra dopo essere stata colpita in ogni modo, sbattuta contro i ganci di un attaccapanni, presa a ginocchiate nell'addome, e poi gettata dalle scale. Sentivo la polvere di un estintore, usato su un altro ragazzo, farmi bruciare le ferite».
Melanie Jonasch, 28 anni nel 2001, studentessa berlinese di archeologia, fu quasi uccisa. Fu il suo corpo esanime in un lago di sangue a indurre il funzionario di polizia Michelangelo Fournier a urlare basta ai colleghi nel tentativo di fermare «la macelleria messicana». A qualcuno erano già state tagliate delle ciocche di capelli, come uno scalpo. «Quello che ci è stato raccontato non era incredibile. - ha detto allargando le braccia il pm Albini Cardona - stentavamo a credere alle nostre orecchie, ma fummo convinti dell'attendibilità di quelle testimonianze».
«Fu un pestaggio - ha sottolineato il magistrato - e non venne mai fornita alcuna prova che vi fosse una giustificazione al comportamento degli uomini che entrarono alla Diaz. Non fu posta alcuna resistenza da parte dei manifestanti, non ci fu ancun lancio di oggetti e non c'è alcuna prova sul luogo specifico del ritrovamento di armi all'interno della scuola. Anzi - ha sottolineato il pm - abbiamo provato la provenienza esterna delle due molotov. Non solo. Nei verbali di arresto, nei resoconti ufficiali della polizia su quella sera non c'è traccia di quanto raccontato da testimoni esterni alla scuola o ripreso dalle telecamere».
«Quanto accaduto in quei giorni rappresenta una ferita ancora da cauterizzare nella coscienza civile del Paese. È una ferita che si può sanare solo con il pieno accertamento della verità, sia nelle aule giudiziarie, sia in altre sedi», ha spiegato a margine Ermete Realacci (PD), commentando la requisitoria. Il Verde Paolo Cento«Le violenze alla scuola Diaz furono una pagina vergognosa per la nostra Repubblica».
Graziano Cetara