RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Un passo per non vedere lo Stato come un nemico
Genova, 21 luglio 2008
Un passo per non vedere lo Stato come un nemico
david bidussa
Il ritorno in piazza Alimonda sette anni dopo i fatti del G8 di Genova ha
sicuramente un valore diverso che non quello degli anni passati. In mezzo
non c'è solo il tempo, c'è una sentenza di tribunale per alcuni timorosa,
per altri troppo dura. In ogni caso un capitolo della Storia italiana
recente ha trovato una risposta e forse, al di là di tutti i fatti
personali e le vicende, per la prima volta si ha l'impressione che
affrontare in pubblico i fenomeni controversi della Storia nazionale, le
scadenze e le vicende scioccanti, non costituisca un tabù.
In questo senso non è fuori luogo chi sottolinea il fatto che la sentenza
dei magistrati genovesi abbia un valore straordinario. È importante che
l'abbia detto il sindaco della città, Marta Vincenzi, e anche Giuliano
Giuliani, il padre di Carlo, il ragazzo che in piazza Alimonda è stato
ucciso durante gli scontri del G8. Ed è importante che, per bocca di
Vittorio Agnoletto, lo abbia riconosciuto anche una parte considerevole
del movimento no global che in questi anni è cresciuto intorno alla
memoria di Carlo Giuliani e ha trovato una propria memoria pubblica in
relazione al rancore o alla propria "rabbia" per i fatti della scuola Diaz.
È importante preliminarmente per la Storia del nostro Paese. Ricordiamolo.
In quarant'anni di fatti controversi, spesso contrassegnati da episodi di
sangue in cui la maggior parte dei caduti e degli uccisi sono stati
cittadini inconsapevoli, noi non abbiamo sputo molto. Una parte della
Storia d'Italia continua a essere ignota, comunque coperta da qualcosa che
evidentemente è troppo pesante per essere detto. Noi non sappiamo ancora
esattamente che cosa sia accaduto il pomeriggio del 12 dicembre 1969 a
Milano, quando sono morte 16 persone perché si trovavano dentro una banca;
non sappiano ancora perché 81 persone siano morte su un aereo Itavia il 27
giugno 1980 dalle parti di Ustica; ancora ignoriamo chi siano i mandanti e
come sia avvenuta una strage come quella del 2 agosto a Bologna. Noi della
nostra Storia non sappiamo tutto e spesso quando i fatti che hanno segnato
la nostra memoria pubblica sono entrati in un'ala di tribunale, ne sono
usciti senza che fosse chiara la scena.
Non è solo il problema di conoscere tutto. E non è solo un problema di
cose che si possono o non si possono dire. Quando i "non detto", le
reticenze, gli "omissis", come si dice in gergo, iniziano a essere più
numerosi dei fatti, l'effetto è quello dello scollamento tra Paese reale e
Paese legale, tra istituzioni e cittadini. Quella condizione rinvia a una
questione che non riguarda più la verità, ma chi quel sistema politico
riconosca come cittadini cui rendere conto del proprio operato e, in caso
di errore, scusarsi. Ma vale anche il reciproco. Una volta che si è
consumato pubblicamente quell'atto, anche chi si è rappresentato fino a
quel momento come anti-Stato deve riflettere sulla propria fisionomia
politica e sulla propria "lealtà".
È un passaggio che implica molte cose e che ha lasciato un segno in tutti
i sistemi politici nei quali la convinzione era che lo Stato e la cosa
pubblica fossero il nemico principale: il momento di una possibile
riconciliazione. Perché, non nascondiamolo, per una parte consistente per
quanto minoritaria dell'opinione pubblica - nel luglio del 2001 in Italia,
a Genova e non in una qualsiasi "nolandia" senza fisionomia - ciò che è
accaduto è stata una "vacanza dello Stato di diritto".
Dentro quelle scene si collocano molte responsabilità. Sia chiaro: non da
una sola parte (anche perché quello della scuola Diaz è un episodio in una
moltitudine di fatti che ancora attendono una ricostruzione serena).
Tuttavia chi rappresenta la legge può esigere solo se dimostra che sta
dentro i confini della legge. Ha in breve un obbligo. La sentenza di
Genova ha esattamente questo valore, più che uno spirito punitivo.
È un bene che gran parte del movimento l'abbia capito, anche se non è
ancora chiaro se tutti siano consapevoli che quella sentenza, così come
riconosce un torto subìto, vincola tutti gli attori in campo - in prima
istanza l'area dei movimenti - ad assumere un diverso atteggiamento, prima
di tutto a non vedere lo Stato come il nemico.