RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Gratteri: alla Diaz sospesa la Costituzione

Genova, 9 ottobre 2008

Gratteri: alla Diaz sospesa la Costituzione

«Sono d'accordo con i pubblici ministeri: la notte della Diaz furono sospese le garanzie costituzionali». Al processo sull'irruzione della polizia nella scuola genovese che ospitava i no global durante il G8 del 2001, la difesa gioca in contropiede. L'avvocato di Francesco Gratteri, oggi numero tre della polizia e allora capo del Servizio centrale operativo, ha ammesso che quella notte, a Genova, fu sospeso l'articolo 27 della Costituzione («la responsabilità penale è personale»).
La sfida è aperta.

«Garanzie costituzionali sospese»
g8, l'irruzione alla diaz

L'avvocato dell'ex capo dello Sco Gratteri sferra un duro attacco nel corso dell'arringa
«Sono d'accordo con i pubblici ministeri: la notte della Diaz furono sospese le garanzie costituzionali». Il giorno della sfida è arrivato. Dopo le accuse, pesantissime e argomentate, costruite e sostenute di fronte al mondo dai due pubblici ministeri genovesi Francesco Albini Cardona ed Enrico Zucca, ieri la difesa ha giocato la carta dell'attacco. In contropiede. L'ha estratta l'avvocato Marco Corini, difensore di Francesco Gratteri, l'attuale capo della Direzione centrale anticrimine, in pratica il numero tre della polizia, ai tempi del G8 capo del Servizio centrale operativo: «Sono state sospese le garanzie costituzionali perché la Polizia è stata costretta a fuggire, perché una pattuglia è stata aggredita. Tutto questo in uno scenario di guerra e quindi in una sospensione di fatto dei diritti costituzionali».
Secondo l'avvocato Corini, questo contesto «deve valere per tutte le comparse in teatro». Per il difensore di Gratteri così come era falso dire che tutti i manifestanti facevano parte del blocco nero «non è possibile dire che tutta la polizia, tutti coloro che portavano la stessa divisa, abbiano avuto le stesse responsabilità di pochi esaltati». Questo clima, secondo il legale, ha di fatto portato a una «sospensione dell'articolo 27 della Costituzione», l'articolo sulla responsabilità penale. «La responsabilità penale in questo processo non è più personale ma è per gruppi. Sta di fatto che l'articolo 27 è stato tradito e questo tradimento ha inquinato l'approccio all'inchiesta».
Una strategia difensiva durissima che non può che scontrarsi con una mole di accuse altrettanto granitiche, al centro del processo contro i 29 poliziotti (agenti e funzionari) imputati per il blitz al quartier generale dei noglobal avvenuto la notte del 21 luglio 2001 (i reati contestati vanno dalle lesioni gravissime al falso, alla calunnia, al porto di armi da guerra). La polizia non scappò affatto, considerando che si fermò alla Diaz fino alle due. E di fronte all'assenza di feriti tra le forze dell'ordine, a parte un giubbotto tagliato (e contestato dalle perizie dell'accusa) assurto a emblema di un'aggressione di fatto non argomentata (proprio come quella della sassaiola ai danni della prima pattuglia che si trovò a passare tra le due scuole del Genoa social forum), tra i manifestanti i feriti usciti dalla scuola furono una settantina, di cui tre gravissimi.
La difesa è andata oltre, toccando il cuore del processo ai vertici della polizia: la formula ambrosiana del `non poteva non sapere´ nega «l'accertamento del giudice» e il valore della prova: «Questa formula è il nulla». È stata la tesi dell'altro avvocato di Francesco Gratteri sulla cosiddetta responsabilità di comando, entrato in scena nel pomeriggio di ieri. Parlando davanti alla prima sezione del tribunale, D'Ascola ha incentrato il suo intervento sulla «responsabilità per posizione».
Ricordando le due sentenze della Corte costituzionale sull'ignoranza della legge penale e sull'addebito soggettivo della responsabilità, D'Ascola ha sottolineato come per attribuire un fatto, un reato «si debba provare una contribuzione volontaria e consapevole. Intenzione e consapevolezza determinano il dolo». Sul punto, D'Ascola ha ricordato la sentenza Sommers, già citata dai pubblici ministeri: «La Cassazione in quella sentenza disse che la responsabilità penale era determinata da un ordine.
Non è il nostro caso».
In effetti i due pm Zucca e Albini Cardona, nella loro memoria, non ipotizzano per i vertici della polizia una responsabilità oggettiva, ma una responsabilità diretta che si è manifestata nei momenti cruciali con «l'espressione di una potestà decisionale». Furono i vertici, secondo l'accusa, ha decidere cosa fare e come.
La sfida è aperta. E minaccia nuove scintille fino alla sentenza, che potrebbe arrivare per la fine del mese.

Graziano Cetara