RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Il pm Zucca: «La polizia ci propose di venire a patti»
Genova, 31 ottobre 2008
Il pm Zucca: «La polizia ci propose di venire a patti»
«Trattati con arroganza perché non siamo scesi ai patti proposti». Così il
pm al processo a 29 poliziotti per il G8 di Genova
Zucca: «Non scendemmo a patti con la polizia»
processo g8, la rivelazione del pm genovese
«Ci furono proposti, li rifiutammo. Così fummo trattati con arroganza». I
magistrati chiudono la loro arringa. Il 12 la sentenza
«Siamo stati trattati con arroganza solo perché non siamo scesi a
patti. E patti ci erano stati proposti». Il pubblico ministero Enrico
Zucca scandisce le parole con fredda indignazione. «Non cedete
all'arroganza», si appella alla corte che dovrà decidere. Sono
dichiarazioni che risuonano come colpi di sciabola, nell'aula che in
questi mesi ha visto dispiegarsi, sul caso dell'irruzione nella scuola
Diaz durante il G8, uno dei processi più laceranti e clamorosi della
storia giudiziaria degli ultimi anni. Il processo a 29, tra singoli agenti
e funzionari della polizia, accusati a vario titolo di falso in atto
pubblico, lesioni aggravate e calunnia in seguito alla brutale irruzione
nella sede del Genoa Social Forum la notte del 20 luglio 2001, dopo il G8.
Dalle udienze sono scaturite altre due inchieste, altrettanto scottanti:
quella relativa alla sparizione delle bottiglie molotov, usate come false
prove contro i noglobal arrestati, e quella incentrata sull'accusa di
falsa testimonianza rivolta all'ex questore di Genova Francesco Colucci,
che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati anche dell'ex
capo della polizia Gianni De Gennaro.
Il pm Zucca e il collega Francesco Albini Cardona hanno chiuso così il
loro durissimo atto di accusa. Con una replica alle arringhe che ha
aggiunto nuove rivelazioni. Come quella dell'agente di polizia in
borghese, «con una coda di cavallo e il volto coperto da un fazzoletto»,
ripreso nel luglio 2001 mentre tira un ragazzo per i capelli nella scuola
Diaz e lo picchia con il manganello, identificato dal pm durante il
processo. È stato il pm a rivelarlo: «All'accertamento della verità si è
opposta la reticenza e la falsità di alcuni - ha esordito Zucca - Perché
non sappiamo i nomi degli agenti con i volti coperti? Un agente con la
coda di cavallo è stato individuato da poco dal pubblico ministero. Oggi
ha un nome che non figura negli elenchi eppure spesso ha frequentato
quest'aula» durante il processo. «È stato l'ultimo affronto - ha ribadito
Zucca - l'ultima beffa».
Quanto accaduto nella scuola Diaz «è stata la più grave violazione di
diritti umani in un paese democratico dal dopoguerra. Voi non potete
accettare nemmeno come paradosso che la sospensione del diritto si sia
avuta perché la polizia è stata costretta a fuggire. Questo è un
concentrato di arroganza». Zucca, che ha citato quanto disse Amnesty
International sui fatti avvenuti dentro la scuola, ricorda quanto asserito
da alcuni dei difensori dei 29 imputati: «I poliziotti non sono fuggiti
per la voce di possibili attacchi con le molotov. La fonte di quei
movimenti era una fonte giornalistica. E se un esercito fugge per alcune
voci è una situazione farsesca».
La replica del pm ha scatenato tensione in aula, con i difensori a
ribattere e il presidente a moderare i toni. Zucca è stato durissimo nello
«stigmatizzare» le parole pronunziate da alcuni avvocati chiedendo «umiltà
anche da parte della polizia». E poi, rivolto all'avvocatura di Stato, che
rappresenta il Viminale come responsabile civile, ha aggiunto: «Nel
processo di Bolzaneto l'avvocatura ha chiesto scusa. Non credo in questa
occasione di aver sentito le stesse scuse. L'avvocatura ha detto che non
vi è danno in un falso formale? Il falso è un reato plurioffensivo». Zucca
ha passato in rassegna percosse, violenze, gesti. E ne ha scelto uno per
tutti. «Un agente che si tocca la patta davanti a una ragazza in terra
sanguinante la sta stuprando». L'udienza è stata aggiornata al 6 novembre
e al 12 per la sentenza.