RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Diaz, il giorno della verità
Genova, 14 novembre 2008
Diaz, il giorno della verità
Graziano Cetara
È forse il sospiro più lungo e pesante di tutta la vita, quello con il
quale il giudice Gabrio Barone, alle 21 di ieri sera, comincia a leggere
la sua sentenza «in nome del popolo italiano». Inizia dalle condanne,
saranno 13, per un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione per i pestaggi
e le molotov dello scandalo. Ma sono le assoluzioni degli altri 16
imputati che snocciolerà venti minuti più tardi, a dare il senso di tutto,
di 200 udienze, 7 anni di attesa da quella notte in cui la «democrazia fu
sospesa», per usare le parole di chi su quei fatti ha indagato, i pubblici
ministeri Francesco Albini Cardona ed Enrico Zucca; e agenti picchiarono
«persone inermi», le arrestarono in massa e sul loro conto accamparono
«prove inventate».
La polizia, incarnata dai suoi vertici, è stata assolta per l’irruzione
sanguinaria alla Diaz, il centro del Genoa Social Forum, l’ultima notte
del G8 genovese del luglio 2001. È questo che fa gridare le giovani
vittime di quel blitz «Vergogna! Vergogna!» quando l’ultima parola della
giustizia è stata appena pronunciata nel silenzio assordante dell’aula.
Assolti i «generali», scesi sul campo insieme alla «truppa». Francesco
Gratteri, ex capo dello Sco, ora direttore del dipartimento Anticrimine.
Giovanni Luperi, ex vicedirettore dell’Ucigos, ora vertice dell’organismo
che ha sostituito il Sisde, il servizio segreto civile. Assolto Gilberto
Caldarozzi, ex vice direttore e ora capo del Servizio centrale operativo,
l’uomo che sovrintese all’arresto del boss mafioso Bernardo Provenzano.
Non venne da loro l’ordine che mosse i manganelli impugnati al contrario,
per spaccare teste e braccia, squarciare visi e insanguinare la palestra
dell’istituto. Non commisero né calunnia, né falso ideologico, né arresti
illegali. Per quei fatti la condanna più pesante, a 4 anni di reclusione,
è per Vincenzo Canterini, il funzionario che dirigeva il reparto mobile di
Roma, quello dei celerini con il foulard sul viso e i corpetti corazzati,
che entrarono e fecero la «macelleria messicana»: lo disse Michelangelo
Fournier, condannato a 2 anni. È, quest’ultimo, il graduato che provò a
fermare la mattanza gridando «Basta! Basta!», l’unico poliziotto che ha
pagato in prima persona per quei fatti, giocandosi la carriera. Assolti
tutti gli agenti e i funzionari che firmarono i verbali di arresto e di
sequestro delle presunte prove. In particolare Nando Dominici (l’ex capo
della squadra mobile di Genova), Spartaco Mortola (il dirigente della
Digos del capoluogo ligure, oggi vicario a Torino) e Carlo Di Sarro (ex
numero tre della Digos ora al commissariato di Rapallo). Erano accusati di
falso ideologico, calunnia e arresto illegale. Assolto Salvatore Gava,
protagonista insieme al collega Luigi Fazio dell’irruzione “sbagliata”
nella scuola di fronte, il centro stampa del Genoa Social Forum. Per
questo episodio, e in particolare per una singola manganellata, il solo
Fazio è stato condannato a un mese.
Le uniche condanne riguardano ciò che nessuna interpretazione delle
immagini e dei filmati e delle testimonianze è mai riuscita a mettere in
dubbio in questi anni: i pestaggi all’interno della Diaz, che hanno
terrorizzato ragazzi sorpresi nel sonno, presi a manganellate, insultati,
disprezzati. Per le lesioni sono stati condannati il capo dei celerini,
Canterini, a quattro anni. La pena più alta. Tre anni la pena per i suoi
uomini, almeno quelli che la procura è riuscita a identificare nonostante
«l’ostruzionismo della polizia»: Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo
Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro
Stranieri e Vincenzo Compagnone. Il giallo della coltellata da cui tutto
partì, quella all’agente Massimo Nucera, si è concluso con l’assoluzione.
Quello delle false molotov è costato a Pietro Troiani e Michele Burgio
condanne rispettivamente a 3 anni e 2 anni e sei mesi.
Nessuno dei condannati andrà in carcere, nessuno sarà interdetto, nei
fatti, dai pubblici uffici. In appello, per tutti e per la quasi totalità
delle accuse, calerà la scure della prescrizione. Rimarrà l’obbligo del
risarcimento dei danni: 800 mila euro in tutto da dividere fra una
novantina di persone, escluso il Genoa Social Forum. Il giornalista
inglese Mark Covell, quasi ucciso all’ingresso della Diaz, prenderà
quattromila euro solo per essere stato «calunniato» dagli agenti.
L’inchiesta per il suo tentato omicidio non è arrivata all’identificazione
degli aggressori che lo lasciarono a terra agonizzante, sulla soglia della
scuola: «Lo Stato italiano ha coperto i veri massacratori», ha detto al
termine del processo, frenando le ultime lacrime. «Questa è la fine della
Costituzione» la frase di Arnaldo Cestaro, massacrato a sessant’anni
(fratture alle gambe) e risarcito con 12 mila euro. Lena Zuhlke, la
ragazza con i capelli rasta ritratta allora agonizzante sulla barella
fuori dai cancelli (è nelle foto in alto insieme a un altro noglobal
mentre aspetta la sentenza), si associa alle parole degli amici che
provano a leggere un comunicato scritto a penna: «Adesso sanno di godere
della totale impuntità».
Escono i pubblici ministeri, intanto, affiancati a nome del procuratore
capo (assente) dall’aggiunto Vincenzo Calia, e scelgono la strada d’un
silenzio carico di sguardi inespressivi e occhi lucidi, per l’emozione e
lo scoramento, interrotti solo dagli abbracci di molti colleghi. Enrico
Zucca sta per sussurrare qualcosa, quando un altro pm, con un cenno, gli
fa capire che per stasera è meglio di no. Emozioni opposte sono quelle
degli avvocati difensori: «È sconfitto il teorema della procura», commenta
a caldo Alfredo Biondi, legale di Troiani e Fabbrocini. E insiste: «È
comunque una sconfitta dell’accusa». Marco Corini, che ha assistito
Francesco Gratteri (oggi di fatto numero tre della polizia) sorride: «Il
processo ha dimostrato il fallimento del teorema che voleva una sorta di
complotto», mentre Piergiovanni Iunca - legale di Spartaco Mortola - fa sì
con la testa: «È la fine di una gogna mediatica». Silvio Romanelli,
l’avvocato dei “picchiatori”, parla invece di «sentenza sorprendente».
Alle undici di sera il palazzo di giustizia è sbarrato, solo i camion
delle tv e qualche “reduce” riempiono la strada davanti. Sette anni dopo
sono svaniti il sangue, le grida, il rumore degli elicotteri e della
folla. Adesso piove, e c’è semplicemente buio.