RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - La rabbia di Canterini
Genova, 15 novembre 2008
La rabbia di Canterini
«Io e i miei uomini capri espiatori». Il giudice: «Si condanna solo con
prove certe»
È la resa dei conti, ai vertici della polizia, tra l'unico dei
graduati condannati, Vincenzo Canterini, e tutti gli altri, felici e
assolti: «Non ci tapperanno la bocca, andremo in appello e rinunceremo
alla prescrizione. Vogliamo essere giudicati e riconosciuti innocenti -
svela l'ex capo del Reparto mobile di Roma, il nucleo dei "picchiatori",
assistito dall'avvocato Silvio Romanelli e condannato a quattro anni di
reclusione, tre per i suoi uomini - Forse qualcuno pensa che condannando
solo noi, con la prescrizione alla fine saremmo stati contenti. Invece no.
Siamo innocenti e vogliamo poterlo dimostrare nel processo di secondo
grado. In questo momento mi sento come un capro espiatorio e mi dispiace
per i miei uomini, che mi hanno seguito in questa incredibile vicenda e
ora pagano per me. E gli altri imputati assolti? Non posso che essere
felice per loro. Ma se qualcuno pensa di averci tappato la bocca con
questa sentenza, si sbaglia di grosso».
Eccolo l'ultimo atto del processo Diaz, quello per l'irruzione nella sede
del Genoa Social Forum il 21 luglio 2001. Il procedimento - chiuso con 13
condanne "minori" e 16 assoluzioni, comprese quelle di tutti i
super-funzionari finiti alla sbarra - per la «macelleria messicana» come
la definì Michelangelo Fournier, l'unico funzionario non promosso dopo il
G8 e condannato a 2 anni e mezzo di reclusione. Per i 93 arresti finiti
nel nulla, per gli 82 ragazzi pestati a sangue e mandati all'ospedale, tre
dei quali in gravissime condizioni. Per le prove confezionate ad arte, tra
cui due bottiglie molotov portate dall'esterno ed esibite come il
risultato della perquisizione dell'istituto.
È una resa dei conti anche nel palazzo della legge, che è uguale per
tutti, come sta scritto in ogni aula del tribunale, ma che non unisce anzi
divide, come dimostra la sentenza di giovedì sera. Da una parte il giudice
che ha pronunciato il verdetto, Gabrio Barone: «Capisco il risentimento di
chi è stato picchiato, ma si dovrebbero prima leggere gli atti e vedere le
prove. Poi si può criticare. Lo dice il codice: si condanna quando la
responsabilitàè accertata oltre ogni ragionevole dubbio e la nostra
sentenza colpisce solo le persone su cui abbiamo ritenuto ci fossero
conferme oggettive di responsabilità».
Dall'altra ci sono i due pubblici ministeri che hanno indagato, tra mille
difficoltà ambientali e l'ostruzionismo della polizia, e sono arrivati al
processo, Francesco Albini Cardona ed Enrico Zucca. «Rispettiamo
l'autorità della sentenza del tribunale - dice il pm Zucca -. Quando le
leggeremo, si vedrà se potremo riconoscerne l'autorevolezza». Sulla
contestazione in aula dopo la lettura dell'ultimo nome degli assolti,
commenta: «È stata una reazione che esprimeva un senso di insoddisfazione
comprensibile». Rispetto all'assoluzione dei vertici della polizia il
magistrato è lapidario: «Sono stati tutti assolti dall'imputazione più
grave. Ma era prevedibile. I processi contro i poliziotti nel mondo
finiscono così».
Non sempre, però, alla sentenza di un giudice si scatena la bagarre tra
condannati e assolti. La maggior parte dei legali della difesa nei
commenti immediatamente successivi al pronunciamento, cantava vittoria.
Ieri alla reazione di Canterini, ha risposto Marco Corini, legale di
Francesco Gratteri (di fatto numero tre della polizia italiana e uscito
indenne dal processo): «Chi ora profila dichiarazioni imbarazzanti, nei
mesi scorsi ha avuto la possibilità di rispondere in aula alle domande
della Procura. In quella sede avrebbe potuto dire tutto». «Mi sento come
se salissi verso il cielo» si è invece lasciato andare in modo pindarico
Massimo Nucera, l'agente accusato della falsa coltellata.
In aula le schermaglie non si sono risparmiate. E tra gli avvocati che
hanno guidato le fila della difesa c'è Maurizio Mascia, che aveva
assistito inizialmente Spartaco Mortola e in seguito Nando Dominici, i
dirigenti Digos e squadra mobile di Genova (assolti). É suo l'intervento
che ha portato, secondo una interpretazione della sentenza ancora "a
digiuno" delle motivazioni, all'assoluzione per i "capi". La svolta è
arrivata con la scoperta dell'episodio delle mostrine capovolte di Pietro
Troiani (condannato per aver portato le molotov alla Diaz); in questo modo
fu reso irriconoscibile il suo ruolo di funzionario agli occhi di Mortola.
Perciò l'aver maneggiato le bottiglie incendiarie poteva risultare in
buona fede, poiché lo stesso Mortola pensava di averle prese da un
poliziotto qualunque e che provenissero davvero dall'interno dell'istituto.
Graziano Cetara
Matteo Indice