RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Una sentenza imbarazzante per la polizia

Genova, 15 novembre 2008

Una sentenza imbarazzante per la polizia
editoriale

Il difensore di alcuni tra i poliziotti indagati per il blitz nella scuola Diaz, chiacchierando la sera di mercoledì, quella precedente la sentenza, diceva: «I bookmaker danno noi a uno e Zucca a dieci». Intendendo con quella battuta che le assoluzioni sarebbero fioccate e la linea del pm Enrico Zucca (c'era accanto a lui il collega Francesco Cardona, ma Zucca è l'uomo simbolo della procura di Genova e l'identificazione scatta spontanea) sarebbe stata sconfessata. È andata proprio così.
Non perché l'avvocato l'avesse letto nella palla di cristallo, ma perché il legale conosce bene, molto bene, i giudici e i loro ragionamenti.
Un passo indietro. Al primo grande processo per i giorni del G8, quello per gli scontri di piazza, contro i (pochi) violenti identificati tra chi sfasciò la città. L'unico processo "vinto" dalla procura, come si usa dire tra magistrati. In quel caso i due pm, Anna Canepa e Andrea Canciani, hanno utilizzato una tecnica di iper-concretezza che ha lasciato ben poco spazio alla poesia ma ha ottenuto i suoi effetti. Un'inchiesta fatta solo di foto, filmati, documenti, riconoscimenti, contatti telefonici. Eccolo, il vandalo che sfascia una vetrina. Ed eccolo il giovane dal volto mascherato che rovescia un cassonetto: pochi fotogrammi dopo, il volto è riconoscibile. È proprio lui. Pezzo dopo pezzo Canepa e Canciani hanno tracciato una tela sicuramente prosaica, quasi noiosa nella sua struttura compilativa, ma molto efficace davanti ai giudici.
Certo, i processi per quel che è avvenuto a Bolzaneto e alla Diaz erano molto più difficili. Il primo forse ancora più del secondo perché della caserma-carcere non esisteva nemmeno un'immagine. Eppure la sentenza, che pure è stata molto al di sotto delle aspettative dei pm, ha comunque riconosciuto che qualcosa di sgradevole accadde tra quelle mura, anche se non furono quelle "torture" di cui il mondo no-global ha parlato per anni. 
La condanna è arrivata, con motivazioni molto nette, per chi era al vertice della caserma. Un ispettore di polizia penitenziaria, sicuramente non uno dei "grandi nomi" che qualcuno attendeva. Ma una responsabilità precisa è stata comunque individuata.
Il discorso sul terzo maxi-processo, quello appena concluso, quello sul blitz alla scuola Diaz, non è diverso. I giudici, anche in questa occasione, si sono attenuti esclusivamente ai fatti dimostrati. Anzi, in questo senso hanno fatto un passo avanti. Perché hanno comunque condannato i capi diretti degli agenti picchiatori. Per dirla tutta: se il tribunale si fosse attenuto, interpretandolo in modo stringente, al principio della responsabilità personale, non sarebbero arrivate neppure queste condanne. 
Perché i veri manganellatori, coperti dai caschi, non sono mai stati riconosciuti.
È ingeneroso affermare, come si dice in queste ore, che i pm della Procura abbiano sbagliato l'impostazione dell'indagine. Ingeneroso nei confronti dell'impegno profuso da Zucca e da Cardona alla ricerca del "livello superiore" e nei confronti della loro ricostruzione. Lucidissima, sicuramente verosimile, ma giudicata dal tribunale non sufficientemente provata. Il problema sta, semmai, nel fatto che questo processo si è concluso esattamente come si sarebbe potuto concludere nei mesi immediatamente successivi al G8. Con la condanna del comandante Canterini e degli uomini del reparto mobile di Roma che fecero irruzione. Stop. Una soluzione su cui la polizia intera avrebbe messo la firma sin dall'inizio. 
Sin da quando la "testa" di Canterini e dei suoi uomini fu portata in procura per proporre una sorta di "scambio": tenetevi loro, come colpevoli, e lasciate perdere tutti gli altri.
Questo processo si conclude con una verità giudiziaria che potrà sicuramente alleviare le pene di chi è stato imputato e si è visto assolto. Ma nei fatti dice un'altra cosa. È possibile che, nella polizia italiana, abbiano potuto agire gruppi di esaltati senza che nessuno della scala gerarchica superiore ne sapesse nulla e senza che potesse far nulla per evitarlo. E, al di là del sospiro di sollievo con cui la decisione è stata accolta, anche per la polizia questa è una sentenza piuttosto imbarazzante.

marco menduni