RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - «Ma quella coltellata l'ho presa»

Genova, 16 novembre 2008

«Ma quella coltellata l'ho presa»
g8: l'agente
Massimo Nucera ricorda l'episodio del corpetto tagliato nella scuola Diaz.
È stato assolto. «E ora rivoglio quella divisa»

«E adesso ridatemi quella divisa»
intervista all'agente accusato di «aggressione inventata»
G8, parla Massimo Nucera: «L'ho usata per 17 anni, la rivoglio con quel taglio sul petto»

«Rivoglio indietro la mia divisa, quella con il taglio sul petto. 
La rivoglio perchéè quella con cui ho lavorato per diciassette anni sulla strada e con la quale intendo continuare a lavorare». Massimo Nucera, romano, 35 anni compiuti proprio ieri, è il poliziotto della coltellata alla Diaz, l'aggressione «inventata», secondo la procura di Genova, per giustificare quanto avvenne nella scuola occupata dal Genoa Social Forum la notte della «macelleria messicana», il 21 luglio 2001. Il tentato omicidio «deciso a tavolino», come sostenne in parte la perizia del Ris di Parma sul corpetto "sfregiato", circostanza accampata a sostegno dei 93 arresti e della violenza con la quale gli agenti agirono, infierendo su 86 ragazzi inermi.
L'agente, assistito dall'avvocato Silvio Romanelli, è stato assolto e il legale ancora non può credere «alle sentenze scritte in questi giorni da alcune grandi firme del giornalismo italiano, confondendo responsabilità personale e collettiva, senza conoscere una sola virgola non solo del processo ma persino dello stesso diritto penale».
Ora che il processo di primo grado è finito con la condanna per i pestaggi dei capisquadra del Reparto mobile e del loro capo Vincenzo Canterini, Nucera esce allo scoperto con un'obiettivo preciso: «Ricostruire la mia immagine di poliziotto e uomo onesto» dice e sottolinea: «Italiano, italiano di Roma. Né cileno né messicano. Ci sono poliziotti che hanno esagerato è innegabile, perché le ossa e le teste non si spaccano da sole. 
Ma io non ho fatto del male a nessuno e non ho mentito. Mai».
Il giudice dopo sette anni ha creduto alla sua versione.
«Io e l'ispettore Panzieri (il poliziotto che, con Nucera, era accusato della "falsa aggressione" e che come lui è stato assolto, ndr) abbiamo sempre detto la verità. Solo che ce l'hanno fatta dire tardi, altrimenti ci saremmo risparmiati sette anni di calvario».
Cosa vuol dire?
«Dico che prima abbiamo dovuto rispondere ad altre domande e non a quella fondamentale sulla veridicità dell'episodio della coltellata».
Ci ripeta come andò.
«Non saprei dire in quale punto della Diaz, visto che non mi è stato permesso di tornare in quella scuola a rendermi conto di dove ero stato qualla notte. So solo che c'era semibuio. Ho aperto con la forza una delle tante porte spalancate da me e dai miei colleghi. Una persona, non saprei dire se un uomo o una donna, era all'interno. Si è difesa, penso si sia difesa per paura o perché nascondeva qualcosa. Ha teso un braccio».
E lei?
«Io ho reagito come centinaia di altre volte in 17 anni. Ho neutralizzato l'aggressore. Ho fatto un solo errore nell'applicazione della tecnica: ho esposto troppo il torace e ci siamo incrociati le braccia».
Ed è stato accoltellato.
«Sì ma non me ne sono reso conto, in quel momento. È questo il punto. 
Quella persona è stata portata via ma non arrestata, visto che non aveva commesso alcun reato ai nostri occhi. Io ho raccolto un coltellino, lungo pochi centimetri. Ma solo dopo, quando Fournier per radio ha detto che dovevamo lasciare l'edificio, uscendo alla luce ho notato che il corpetto era tagliato, mentre posavo il tonfa nel cinturone. Solo lì mi sono reso conto di quanto era avvenuto».
Lei ha sempre dato la stessa versione?
«Certo. Sono stato il primo poliziotto interrogato dal procuratore capo Francesco Lalla. E questa ricostruzione dei fatti è rimasta lì depositata per sette anni, mentre tante falsità venivano dette e scritte sul mio conto: del tipo che ero stato accoltellato all'ingresso e per questo ci saremmo voluti vendicare. Io non sapevo di essere stato colpito fino al momento dell'uscita dalla Diaz, per questo il mio aggressore non è stato identificato».
La mattina dopo è stato firmato un verbale per tentato omicidio.
«Io non ho scritto e firmato quell'informativa. Io non mi occupo di questo. Su quanto era riportato su quel documento non dovete chiedere a me ma a chi lo ha redatto. Dico solo una cosa: se io avessi voluto fare un falso lo avrei fatto comodamente».
E come?
«Avrei preso un nome a caso tra i ragazzi stranieri presenti alla Diaz e gli avrei fatto firmare un falso verbale di arresto. Invece non l'ho fatto».
È quanto il pubblico ministero imputava ai suoi superiori, tutti assolti. 
Come giudica la sentenza?
«La sentenza non si giudica ma si rispetta. Posso solo dire che sono contento per chi è stato assolto e tristissimo per Canterini e i suoi uomini. So che persona è lui e il ruolo che ha rivestito alla Diaz. Non era lui a decidere».
E i capisquadra?
«So solo che non possono essere gli autori materiali della "macelleria messicana"».
Chi l'ha compiuta allora?
«Io so solo quello che ho vissuto io. Quello che è stato fatto da altri non lo so. Eravamo oltre trecento poliziotti. Non so che cosa è successo là dentro. Non lo so e non lo voglio sapere. Ora voglio solo pensare a ricostruire la mia reputazione di poliziotto e uomo onesto che è stata distrutta in tutti questi anni. Hanno scritto dei libri su di me, persino degli sketch teatrali. Adesso rivoglio la mia dignità e già che ci siamo rivoglio pure la mia divisa strappata».

Graziano Cetara