RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA - Diaz, la notte nera della democrazia il giorno del giudizio per 29 poliziotti
Genova, 10 novembre 2008
Diaz, la notte nera della democrazia il giorno del giudizio per 29
poliziotti
GIUSEPPE D´AVANZO
«Uno Stato che vessa e maltratta le persone private della libertà non è
uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non per impedire
reati, ma per commetterne, non può essere considerata "forza dell´ordine".
Fatti di questo genere distruggono la credibilità delle istituzioni più di
tanti insuccessi dei poteri pubblici». Valerio Onida, giudice emerito
della Corte Costituzionale. Sono parole che bisogna tenere a mente ora che
il processo per le violenze della polizia nella scuola "Diaz", durante i
giorni del G8 di Genova, è prossimo alla sentenza.
Pestaggi, violenza, verità negate. In settimana la sentenza per i 29
poliziotti accusati delle violenze nella scuola di Genova nel 2001
Il 21 luglio del 2001 è il giorno più tragico del G8 di Genova. È morto
Carlo Giuliani in piazza Alimonda in una città distrutta dai black bloc ?
che riescono inspiegabilmente a colpire indisturbati e a dileguarsi senza
patemi. Per tutto il giorno, Genova è insanguinata dai pestaggi della
polizia, dei carabinieri, dei "gruppi scelti" della guardia di finanza
contro cittadini inermi, donne, ragazzi, anche anziani, spesso con le
braccia alzate verso il cielo e sulla bocca un sorriso. Ora, più o meno, è
mezzanotte. Mark Covell, 33 anni, inglese, giornalista di Indymedia.uk,
ozia davanti al cancello della scuola Diaz, diventato un dormitorio dopo
che i campeggi sono stati abbandonati per la pioggia. Covell si accorge
che la polizia sta "chiudendo" la strada. Avverte subito il pericolo.
Estrae l´accredito stampa, lo mostra, lo agita. I poliziotti, che lo
raggiungono per primi (sono della Celere, del VII nucleo antisommossa del
Reparto Mobile di Roma), lo colpiscono con i "tonfa" o "telescopic baton",
più che un manganello un´arma tradizionale delle arti marziali: rigido e
non di caucciù, a forma di croce: «può uccidere», se ne vanta chi lo usa.
Colpiscono Mark senza motivo. Come, senza ragione, un altro poliziotto con
lo scudo lo schiaccia ? subito dopo ? contro il cancello mentre un altro,
come un indemoniato, lo picchia alle costole. Gli gridano in inglese: «You
are black bloc, we kill black bloc» («Tu sei un black, noi ti uccidiamo»).
Covell cade finalmente a terra. E´ semisvenuto, in posizione fetale.
Potrebbe bastare anche se fosse un incubo, ma per Mark il calvario non è
ancora finito. Tutti i "celerini" che corrono verso la scuola lo
colpiscono a terra con calci (il pestaggio di Covell è ripreso da una
videocamera). Covell rimarrà, esanime, circondato dall´indifferenza, in
quell´angolo di via Cesare Battisti, al quartiere di Albaro, per oltre
venti minuti. Ha una grave emorragia interna, un polmone perforato, il
polso spezzato, otto fratture alle costole, dieci denti in meno. Quando si
sveglia in ospedale, viene arrestato per resistenza aggravata a pubblico
ufficiale, concorso in detenzione di arma da guerra e associazione a
delinquere. (E´ ancora aperta l´indagine per individuare i poliziotti che
lo hanno quasi ucciso. L´accusa: tentato omicidio).
* * *
Distruggere. Annientare. E´ con questo obiettivo che, dopo aver abbattuto
con un blindato Magnum il cancello, le prime tre squadre del Reparto
Mobile di Roma (trenta uomini) invadono, a testuggine, il pianoterra della
scuola. Arnaldo Cestaro, «un vecchietto», è sulla destra dell´ingresso.
Viene travolto. Lo gettano contro il muro. Lo picchiano con i "tonfa". Gli
spezzano un braccio e una gamba. Ora ci sono urla e baccano. Nella
palestra, ai piani superiori ragazzi e ragazze - anche chi si è già
infilato nel sacco al pelo per dormire - comprendono che cosa sta
accadendo. Tutti raccolgono le loro cose, il bagaglio leggero che si
portano dietro da giorni. Si sistemano con le spalle al muro; chi in
ginocchio; chi in piedi; tutti con le braccia alzate in segno di resa; chi
ha voglia di un´ultima "provocazione" mostra al più indice e medio a V.
Daniel Mc Quillan, quando vede le divise, si alza in piedi e dice: «Noi
siamo pacifici, niente violenza». «Come se fossero un branco di cani
impazziti, sono su di lui in un istante e lo colpiscono, lo colpiscono, lo
colpiscono?», dicono i testimoni. La furia dei celerini si scatena contro
chiunque e dovunque, irragionevolmente, con furore (si vede uno che mena
colpi con una specie di mazza da baseball). Melanie Jonach racconterà di
essere svenuta subito al primo colpo che la raggiunge alla testa. Gli
altri, che vedono la bastonatura inflittale, ricordano i suoi occhi aperti
ma incrociati, le contrazioni spastiche del corpo. Anche in queste
condizioni, continuano a picchiarla e a prenderla a calci. Un ultimo
calcio sbatte la sua testa contro un armadio: ora è "aperta" come un
melone. Il comandante del VII nucleo, a quel punto, grida «Basta!».
Raggiunge la ragazza. «La tocca con la punta dello stivale. Melanie non dà
segni di vita e quello ordina che venga chiamata un´autoambulanza».
(Melanie Jonach ci arriverà in codice rosso con una frattura cranica nella
regione temporale sinistra). Nicola Doherty ancora piange in aula mentre
racconta: «Hanno cominciato a picchiarci immediatamente. C´era gente che
piangeva e implorava i poliziotti di fermarsi. Anch´io piangevo e chiedevo
che la smettessero. Uno mi è venuto vicino e con fare dolce mi ha detto "Poverina!" e mi ha colpito ancora. Sembrava che ci odiassero. Ho visto un
poliziotto con un coltello in mano, bloccava le ragazze, i ragazzi e
tagliava una ciocca di capelli con il coltello». Voleva il suo personale
trofeo di guerra. Altri continuano a gridare, dopo aver picchiato duro:
«Dì, che sei una merda». Mentre colpiscono gridano: «Frocio!»,
«Comunista!», «Volevate scherzare con la polizia?», «Nessuno sa che siamo
qui e ora vi ammazziamo tutti!».
Lena Zulkhe, colpita alle spalle e alla testa, cade subito. Le danno calci
alla schiena, alle gambe, tra le gambe. «Mentre picchiavano, ho avuto la
sensazione che si divertissero». La trascinano per le scale afferrandola
per i capelli e tenendola a faccia in giù. Continuano a picchiarla mentre
cade. La rovesciano quasi di peso verso il pianoterra. «Non vedevo niente,
soltanto macchie nere. Credo di essere per un attimo svenuta. Ricordo
soltanto - ma quanto tempo era passato? - che sono stata gettata su altre
due persone, non si sono mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non
hanno risposto, sono stata sdraiata sopra di loro e non riuscivo a
muovermi e mi sono accorta che avevo sangue sulla faccia, il braccio
destro era inclinato e non riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si
muoveva ma non ero più in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e
pensavo che sicuramente mi avrebbero ammazzata».
Dei 93 ospiti della "Diaz" arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati
ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee (alle
mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli zigomi, al
setto nasale, al cranio).
* * *
Che cosa ha provocato questa violenza rabbiosa e omicida? Come è stata
possibile pensarla, organizzarla, realizzarla. Il 22 luglio, il portavoce
del capo della polizia convoca una conferenza stampa e distribuisce un
breve
comunicato che vale la pena di ricordare per intero: «Anche a seguito di
violenze commesse contro pattuglie della Polizia di Stato nella serata di
ieri in via Cesare Battisti, si è deciso, previa informazione all´autorità
giudiziaria, di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava
numerosi giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie
con lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92
giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61 con evidenti
e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello stabile sono stati
sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro materiale che ricollegano il
gruppo dei giovani in questione ai disordini e alle violenze scatenate dai
Black Bloc a Genova nei giorni 20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati
tratti in arresto per associazione a delinquere finalizzata alla
devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. All´atto
dell´irruzione uno degli occupanti ha colpito con un coltello un agente di
Polizia che non ha riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti
i feriti sono stati condotti per le cure in ospedali cittadini». Il
portavoce mostra anche le due molotov che sarebbero state trovate
nell´ingresso della scuola, «nella disponibilità degli occupanti».
* * *
Il processo di Genova ha dimostrato ragionevolmente (e spesso con la
qualità della certezza) che nessuna delle circostanze descritte dal
portavoce del capo della polizia (capo della polizia era all´epoca Gianni
De Gennaro) corrisponde al vero. Quelle accuse sono false, quelle ragioni
sono inventate di sana pianta. Si dice che l´assalto (la «perquisizione»)
fu organizzato dopo che un corteo di auto e blindati della polizia era
stato, poco prima della mezzanotte, assalito in via Cesare Battisti con
pietre, bottiglie e bastoni. Il processo ha dimostrato che non c´è stata
nessuna pattuglia aggredita. Si dice che gli ospiti della Diaz fossero già
feriti, quindi coinvolti negli scontri in città. Nessuno dei 93 arrestati
era ferito prima di essere bastonato dai "celerini". Poliziotti,
comandanti, dirigenti hanno riferito che, mentre entravano nella scuola,
c´è stata contro di loro una sassaiola e addirittura il lancio di un
maglio spaccapietre. I filmati hanno dimostrato che non fu lanciata alcun
sasso e nessun maglio. Il comandante del Reparto Mobile di Roma ha scritto
in un verbale che ci fu una vigorosa resistenza da parte di «alcuni degli
occupanti, armati di spranghe, bastoni e quant´altro». Assicura che nella
scuola (entra tra i primi) sono stati «abbandonati a terra, numerosi e
vari attrezzi atti ad offendere, tipo bastoni, catene e anche un grosso
maglio». Nella scuola non c´è stata alcuna colluttazione, nessuna
resistenza, soltanto un pestaggio. Nessuno degli occupanti ha tentato di
uccidere con una coltellata il poliziotto Massimo Nucera. Due perizie dei
carabinieri del Ris hanno smentito che lo sbrego nel suo corpetto possa
essere il frutto di una coltellata. Nella scuola non c´erano molotov. Come
ha testimoniato il vicequestore che le ha sequestrate, quelle due molotov
furono ritrovate da lui non nella scuola la notte del 22 luglio, ma sul
lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente. La prova
falsa, manipolata, è stata inspiegabilmente distrutta, durante il
processo, nella questura di Genova.
* * *
In settimana il tribunale deciderà delle responsabilità personali dei 29
imputati (poliziotti, dirigenti, comandanti, alti funzionari della polizia
di Stato) accusati di falso ideologico, abuso di ufficio, arresto illegale
e calunnia. Quel che qui conta dire è che la responsabilità non penale, ma
tecnico-politica di chi, impotente a fronteggiare i black bloc, si è
abbandonato (per vendetta? per frustrazione? con quali ordini e di chi?) a
pestaggi ingiustificati e indiscriminati, non può e non deve essere
liquidata da questa sentenza. Centinaia di agenti, sottufficiali,
ufficiali, dirigenti di polizia, funzionari del Dipartimento di pubblica
sicurezza hanno mentito durante le indagini e al processo. E chi non ha
mentito, ha negato, taciuto o dissimulato quel che ha visto e saputo.
Dell´assalto alla "Diaz" non inquieta soltanto il massacro di 93 cittadini
inermi diventati in una notte «criminali» a cui non si riconosce alcuna
garanzia e diritto. Quel che angoscia è anche questo silenzio arrogante,
l´omertà indecorosa che manipola prove; costruisce a tavolino colpevoli;
nasconde le responsabilità; sfida, senza alcuna lealtà istituzionale, il
potere destinato ad accertare i fatti. Le apprensioni di sette anni
raddoppiano ora che, decreto dopo decreto, si fa avanti un «diritto di
polizia». Il Paese ha bisogno di sapere se il giuramento alla Costituzione
delle forze dell´ordine non sia una impudente finzione. Perché quel che è
accaduto a Mark Covell e ai suoi 92 occasionali compagni di sventura rende
chiaro, più di qualsiasi riflessione, come uno Stato che si presenta nelle
vesti di sbirro e carnefice fa assai presto a diventare uno Stato
criminale quando il dissidente, il non conforme, l´altro diventa un
«nemico» da annientare.