RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA - G8, le foto dello scandalo
Genova, 12 novembre 2008
Nel documento un poliziotto che deposita il sacchetto nella scuola.
Telecamere riattivate per presidiare il tribunale in occasione del verdetto
G8, le foto dello scandalo
Immagini inedite sulle molotov alla Diaz. Domani la sentenza
UN FOTOGRAMMA inedito. Inquietante. Alla vigilia della fine del processo
Diaz? la sentenza potrebbe essere letta domani sera in un tribunale
blindato - ecco l?immagine-simbolo di quella notte maledetta: un
poliziotto in borghese che indossa un casco blu e porta all?interno
l?istituto il sacchetto azzurro con le due molotov, la «regina» delle
prove false.
MASSIMO CALANDRI
In una ricostruzione della Bbc si vede un uomo che introduce nella
scuola le bottiglie incendiarie
L'ultima immagine dello scandalo ecco l?uomo che porta le molotov
Il falso ritrovamento e l?imbroglio ricostruiti in 4 anni di udienze
I due funzionari indicati nel documento sono Luperi e Spartaco Mortola
MASSIMO CALANDRI
ECCOLA, la fotografia-simbolo di quella notte maledetta. Inedita.
Oscura. Inquietante. È stata estrapolata da un filmato girato da un
operatore Rai e depositato dalle parti civili il mese scorso. Nel
mosaico riportato qui a fianco, è il quadrato sulla destra in alto. Si
riconoscono il cortile della scuola Diaz, le sagome dei funzionari di
polizia che si allontanano dopo aver chiacchierato a lungo intorno al
sacchetto azzurro con le due bottiglie incendiarie. Sullo sfondo le
grandi finestre dell?istituto, le stanze illuminate. E a sinistra -
piccolino, cerchiato di rosso - il profilo di un uomo sulla soglia
dell?ingresso laterale. È di spalle, in borghese, indossa un casco
protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Sì. È il sacchetto
azzurro delle molotov. Accanto riporta una didascalia in inglese, perché
l?immagine fa parte di un?inchiesta giornalistica della Bbc di prossima
pubblicazione: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». Si tratta
cioè del fantomatico ispettore della Digos di Napoli che introduce
materialmente nella scuola le molotov della vergogna, una della prove
fasulle - la "regina" delle prove false - con cui la Polizia di Stato
avrebbe voluto "giustificare" il massacro e le manette ai 93 no-global.
Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato
rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze
dell?ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora
di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e
bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l?orrore -
aggiungendo alla carneficina l?ingiustizia della prigione - piuttosto
che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d?altro
canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni
avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata.
Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?
La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro
anni di dibattimento e centocinquanta udienze. L?agente Michele Burgio
prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio
durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale
Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli
specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile
della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario
le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo
Gilberto Caldarozzi, l?uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato
alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il
sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e
mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa,
di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l?hanno
raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi,
attuale direttore dell?ex Sisde, ricorda di aver chiamato una
funzionaria che stava all?esterno della scuola. Perché mai? Per
affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi
successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene:
Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E
la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un
ispettore della Digos di Napoli». Credo, dice. Non ne conosce il nome,
non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos
napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello
indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina
all?entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e
gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi
giustificato l?intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una
cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno
allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell?"arsenale" sequestrato
ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile
anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli
assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta
passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un
vicino cantiere.
Alla storia si aggiunge oggi quest?ultima immagine. Quella
dell?ispettore Digos di Napoli (?) che entra nella scuola. C?è poi un
altro fotogramma che ritrae lo stesso uomo mentre esattamente cinque
minuti prima entra nella scuola, un camicione blu fuori dai pantaloni di
colore beige. È quello in basso a sinistra. A fianco, nel terzo
riquadro, l?ispettore leaving - che la lascia - la Diaz. La visiera del
casco ben calata a nascondere il volto. Sono trascorsi altri quattro
minuti. Nove in tutto. Per entrare, piazzare le bottiglie e andarsene.
Ma tornando al riquadro lassù in alto, quello dell?ingresso delle
molotov nella scuola, vale la pena di sottolineare i due funzionari
indicati dalla Bbc. Uno è appunto Luperi, oggi ai vertici del ministero
dell?Interno. Nel processo ha rifiutato di essere interrogato,
preferendo le "dichiarazioni spontanee". Senza contraddittorio. Ha
spiegato che quella sera lui era tutto sommato rimasto ai margini
dell?operazione. Era soprattutto preoccupato di portare i colleghi a
cena, ricordava. L?altro era Spartaco Mortola, adesso questore vicario a
Torino, allora capo della Digos di Genova. L?ufficio cui vennero
affidate per la custodia le molotov, il reperto trasformatosi in un
boomerang per la Polizia di Stato. Le bottiglie furono "accidentalmente"
distrutte dagli stessi agenti. Questa è un?altra storia, verrebbe da
scrivere. Ma purtroppo la storia è sempre la stessa.