RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA - Canterini: "Io e i miei uomini martiri paghiamo per tutti ma non ci arrendiamo"
Roma, 15 novembre 2008
Parla il poliziotto che guidava il VII Reparto mobile, condannato a 4
anni. Ha scritto ai suoi agenti una lettera
Canterini: "Io e i miei uomini martiri paghiamo per tutti ma non ci
arrendiamo"
CARLO BONINI
Il questore Vincenzo Canterini, ex comandante del VII Nucleo mobile
nei giorni del G8, condannato, insieme ai suoi capisquadra, a 4 anni di
reclusione dal Tribunale di Genova per la mattanza della "Diaz", sta
rientrando a Bucarest, al suo ufficio di dirigente Interpol. Ha in mano
una lettera, che pubblichiamo qui a fianco. Dice: «L´ho appena finita di
scrivere ai miei ragazzi. Quelli che, da giovedì sera, pagano per tutti.
Dei martiri civili».
Di martiri civili e senza processo, alla "Diaz", ce ne sono stati 93.
Donne, uomini. Giovani, anziani. Erano inermi e innocenti.
«In questi sette anni, non c´è stato un solo giorno in cui non mi sia
associato al giudizio che di quella notte venne dato dal mio vice,
Michelangelo Fournier. Disse: "È stata una macelleria messicana". E lo
disse la prima volta che, insieme, fummo sentiti dal procuratore aggiunto
di Genova, qualche giorno dopo i fatti. Cosa doveva dire di più? Il punto
è che non sono io, non siamo stati noi i macellai di quella notte».
Chi è stato allora?
«Me lo ha già chiesto in passato e glielo ripeto: non lo so. So però, e il
processo lo ha dimostrato, che in quella scuola c´era una macedonia di
polizia. Più di 400 tra agenti e funzionari. Il professor Silvio
Romanelli, il mio avvocato, in aula, ha giustamente parlato della "notte
del volontario". Di decine, centinaia di agenti arrivati nella scuola
comandati da non si sa bene chi e perché. Ma, in sette anni, si è
preferito che il faro rimanesse puntato soltanto sul VII nucleo».
È colpa forse della Procura o del metro di giudizio del tribunale se non
si è riusciti a sfondare questo muro di omertà, o non invece di chi questo
muro lo ha eretto proprio tra voi poliziotti? Di chi non sa, non ricorda,
non ha visto.
«Non sono abituato a discutere il lavoro e le scelte dei magistrati e
tanto più le sentenze che pronunciano. Dico però che se questo doveva
essere l´esito, allora sono orgoglioso di aver ricevuto la condanna più
alta. Perché è giusto che sia io a rispondere dei miei uomini. Anche di
quello che non hanno fatto. Anzi, le dispiace se le leggo un brano della
lettera che ho scritto ai miei uomini?».
Legga.
«Il 21 luglio del 2001, dopo 18 ore di servizio, ci è stato ordinato di
entrare in piena notte, in un edificio che non conoscevamo, e ci è stato
detto che, probabilmente, vi avremmo trovato occupanti pericolosi ed
armati. Io e voi sappiamo benissimo cosa è successo, ci siamo guardati più
volte negli occhi. E guardandoci abbiamo capito la nostra professionalità,
il nostro cameratismo, la nostra dignità».
Mentre intorno a voi dei civili diventavano degli invalidi, ad esempio.
Questo non lo ricorda.
«Guardi, io non ho intenzione di rifare il processo. Di ricordare in quale
piano della scuola erano i nostri capisquadra e i nostri uomini. Cosa
erano in grado di vedere o di impedire. Ma forse è utile sapere che per
fare 93 feriti sono stati impiegati 4 minuti, il che è difficile per un
reparto di 70 uomini. È utile sapere che all´interno di quella scuola io
non sono neppure entrato. Che, quella sera, non indossavo neppure il
casco. Non avevo il tonfa. Non avevo la pistola. Che il mio vice, entrato
nella scuola, si tolse il suo di casco per gridare a uomini che non erano
del VII di interrompere le violenze. Diciotto testimoni tra gli aggrediti
presenti nella scuola, hanno riferito in aula che uomini del VII si
adoperarono per soccorrere i feriti. Questa è forse una spedizione
punitiva?».
L´odio di quella notte avrà pure dei padri. Non crede?
«Io non odio nessuno. A Genova, abbiamo avuto i nostri feriti, i nostri
ustionati e, come ho ricordato ai miei uomini, seguendo un istinto che
forse trascendeva dal semplice dovere istituzionale, abbiamo buttato il
cuore oltre l´ostacolo. Contro individui mascherati, violenti ed
organizzati, quanto e forse meglio di noi».
Alla Diaz, nessuno era mascherato e violento. I travisati e i violenti
erano i poliziotti.
«Voglio solo dire che, in 41 anni di carriera immacolata, non sono mai
caduto nella trappola dell´odio che chiama odio. Ai miei uomini del VII,
oggi, dico questo. E mi scusi se leggo, ma anche a 60 anni, non ho perso
la capacità di emozionarmi: "Abbiamo perso una battaglia. Ci siamo sentiti
umiliati e forse traditi. Ma quante volte chi ci aggrediva pensava di
averci sopraffatto e poi si accorgeva che invece eravamo vivi e fieri di
esser noi. (?) Lasciamo tutte queste persone nei loro passamontagna e con
i loro bastoni. Diamogli l´illusione di avere vinto e facciamogli vedere
che alla lunga saremo noi a vincere perché potremo guardarli negli occhi
non con l´odio, che si riserva ad un nemico, ma con la serena
consapevolezza della nostra innocenza. Coraggio ragazzi il vostro
comandante vi è vicino ed ancora indossa il casco insieme a voi. Ancora
non ci hanno messo a terra"?».
«Il vostro comandante indossa il casco con voi». È una minaccia?
«Per carità. È orgoglio e fratellanza con i miei uomini».
Chi sono "tutte queste persone nei passamontagna" a cui si riferisce? I
suoi colleghi di quella notte?
«Chi vuole capire, capisca. Dico solo che i celerini saranno anche
ignoranti, ma non sono stupidi».