RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA - Il coraggio della verità
Roma, 16 novembre 2008
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
GIUSEPPE D´AVANZO
Il capo della polizia Antonio Manganelli non si volta dall´altra parte.
Non chiude gli occhi. Non sceglie un comodo silenzio. Decide di guardare
in faccia la realtà e la realtà è che i pestaggi della Diaz ? come le
torture di Bolzaneto ? sono una frattura tra lo Stato e la società, tra le
forze dell´ordine e una giovane generazione.
Sarebbe desolante se ora la disponibilità del Capo della Polizia a
ricostruire quei fatti non venisse raccolta.
Una macchia nella storia dell´istituzione che governa. È un´ombra
incancellabile. Manganelli sembra saperlo, ma dichiara la sua
disponibilità a collaborare «senza alcuna riserva» per ricostruire quella "pagina nera" nella convinzione che un´opera di verità possa, per lo meno,
evitare che le violenze poliziesche si ripetano in un futuro.
Come è naturale, il capo della polizia non accetta che la sua istituzione
possa essere soltanto sospettata di infedeltà costituzionale. Con orgoglio
e consapevole dignità, ricorda il quotidiano sacrificio di migliaia di
uomini in divisa che fanno il loro lavoro («sottopagato») al servizio
della sicurezza dei cittadini. E tuttavia Manganelli ha il coraggio di
dire quel che, nelle ore seguite alla pessima sentenza di Genova, nessuno
nell´establishment ha accettato anche soltanto di ipotizzare: quel che
«realmente accadde a Genova» deve essere ancora esplorato, ricostruito,
raccontato. La verità di quei giorni di violenza non può essere rinchiusa
in un´aula giudiziaria; spenta nella rete delle responsabilità personali e
delle sanzioni penali che guidano un processo; soffocata dalle timidezze
della magistratura o annullato dai difetti dei codici. Manganelli rivela
quel che, per quanto nella sua disponibilità, ha messo su per migliorare
(«correggere») il lavoro di strada dei Reparti Mobile, della Celere,
affidati a «persone pulite». In ogni caso, il capo della polizia si assume
fin da ora «la responsabilità per gli errori che i suoi uomini possono
commettere». Già è accaduto che, dopo «l´avventatezza» omicida di un
agente della Stradale, Manganelli si sia assunto la responsabilità della
morte di Gabriele Sandri, ucciso un anno fa da un colpo di pistola
nell´area di servizio di Badia al Pino Est dell´A1. Uno stile assai
diverso dal suo subordinato Vincenzo Canterini, comandante nel 2001 della
Celere di Roma e del VII nucleo antisommossa (i picchiatori della Diaz):
un ufficiale che, dopo avere gettato il sasso (un´arrogante lettera di
velate minacce, di richiami all´omertà di gruppo, di propositi di
vendetta), nasconde ora la mano.
Quel che più conta nella lettera di Manganelli sono un paio di righe: «?
il Paese ha bisogno di spiegazioni su quel che accadde a Genova e
l´istituzione, attraverso di me, si muove e muoverà senza alcuna riserva,
non attraverso proclami stampa, ma nelle sedi istituzionali e
costituzionali».
Ora toccherebbe alla politica, al parlamento inaugurare, se non ci sono,
quei luoghi istituzionali dove rendere concreta la possibilità di
ricostruire ? al di là dell´accertamento penale (o nonostante i suoi
mediocri esiti) ? quel che è accaduto a Genova; come, con la
responsabilità di chi, perché si sia aperto nei giorni del G8 un "vuoto di
diritto" che ha inghiottito ogni garanzia costituzionale e consegnato la
nuda vita delle persone a una violenza arbitraria e indiscriminata.
Dovrebbe essere la politica a battere ora un colpo, ma la scena che si
scorge è avvilente. L´opposizione parlamentare appare afona e quando trova
la voce, come con Antonio Di Pietro, è soltanto contraddittoria senza
imbarazzi (l´Italia dei Valori bocciò la nascita della commissione
parlamentare d´inchiesta che oggi pretende). La maggioranza mostra un
volto prepotente fino all´insolenza. Maurizio Gasparri rifiuta ogni
ipotesi di commissione d´inchiesta: «Non la voteremo mai. La maggioranza
non ha alcuna intenzione di permettere una speculazione in Parlamento ai
danni delle forze dell´ordine». Il presidente dei senatori della destra
non si accontenta di sbattere la porta. Dimentico dei 93 arresti abusivi,
delle prove artefatte, dei verbali truccati, degli 82 feriti, dei tre
disgraziati in fin di vita, si dice convinto dell´innocenza di Canterini e
del VII Nucleo antisommossa (per il tribunale di Genova sono i picchiatori
della Diaz). Sarebbe davvero desolante, oltre che politicamente grave per
la qualità della nostra democrazia, se la disponibilità del capo della
polizia non venisse raccolta; se l´opportunità di ricostruire "i fatti di
Genova" non trovasse alcun luogo istituzionale per essere acciuffata
nell´interesse di una riconciliazione tra le forze dell´ordine e una
generazione. Quale reticenza, quale viltà, quale convenienza potrebbe
giustificarlo?