RASSEGNA STAMPA
LIBERAZIONE - Impunità per chi ha dato gli ordini Che democrazia è?
Genova, 15 novembre 2008
La mattanza assolta in tribunale e premiata fuori
Impunità per chi
ha dato gli ordini
Che democrazia è?
Giuliano Giuliani
Giovedì sera ero a una iniziativa di un
bellissimo circolo Arci del bolognese.
Presentavamo con l’autore il bel libro di
Mario Portanova, Inferno Bolzaneto. E
proprio dalla sentenza sulle torture di
Bolzaneto voglio partire. Perché mi dichiarai
contrario (lo sosterrei anche oggi,
nonostante tutto) alle critiche che vennero
sollevate su quella decisione del tribunale:
condannati solo un terzo degli
imputati, condanne fortemente ridotte
rispetto alle richieste dei pubblici ministeri.
Argomentai, allora, che la rilevanza
non stava nel numero di anni erogati:
in ogni caso, tra indulto e prescrizione,
nessuno avrebbe scontato neppure
un’ora di carcere. Stava nella qualità:
erano stati assolti quelli della bassa truppa,
e condannati invece gli appartenenti
al quadro intermedio, che le mostruosità
commesse nella caserma avevano
quanto meno permesso, se non addirittura
ordinato e praticato. Una condanna,
quindi, al principio di responsabilità,
che è tanto più forte quanto più si sale
nella scala gerarchica.
Venne a sostegno della tesi da me sostenuta
la requisitoria dei coraggiosi pubblici
ministeri che si sono occupati della
Diaz. Lì la bassa truppa non era neppure
inquisita, perché gli autori materiali della
mattanza non erano stati riconosciuti
in quanto travisati da caschi, sciarpe, fazzoletti;
cioè i capi non avevano voluto
fornire le generalità dei sottoposti, assolutamente
noti in quanto facenti parte
dei reparti da loro diretti. No, le richieste
di condanna, quattro anni in media, riguardavano
inquisiti che andavano dai
quadri intermedi in su, fino ai gradi più
alti della polizia. Mancavano solo il capo
di allora, De Gennaro, e il suo vice, il
prefetto Arnaldo La Barbera, che era
morto nel 2002.
Il giudizio che mi permisi di avanzare era
che la sentenza di Bolzaneto e la richiesta
di condanne per la Diaz chiarivano le
responsabilità di appartenenti alla polizia,
ma che restavano fuori dalle inchieste
i reparti speciali dei carabinieri, che
pure a Genova non erano stati meno responsabili:
un omicidio, cariche ingiustificate
e violente al corteo di via Tolemaide,
blindati lanciati a folle velocità contro
i manifestanti, trattamenti disumani
all’interno del Forte San Giuliano, “aggiustamenti
alla pratica del morto”, cori
fascisti per l’accoglienza a Placanica al
suo rientro serale, e via degradando.
Poi, dall’armadio, è uscita la sentenza
vergogna. Capovolta una logica: qualche
condanna alla bassa truppa (in quel contesto
lo sono anche i quadri intermedi),
assoluzione piena «perché il fatto non
sussiste» nei confronti dei quadri alti e altissimi.
Travolta qualunque teoria in tema
di livelli di responsabilità. Riproposizione
dello scandalo dell’impunità (un
ragazzo, al Circolo Arci, traduceva in impunibilità).
Una squalificata estensione
dell’insopportabile e, si spera, incostituzionale
lodo Alfano. Ce n’è abbastanza
per vedere ridotta la propria fiducia nelle
istituzioni e per dubitare delle garanzie
democratiche del paese.
Mi permetto solo di ricordare alcuni dettagli
su quella triste vicenda. Il prefetto
La Barbera, integerrimo poliziotto antimafia
e autore di arresti eccellenti, arriva
a Genova sabato 21 luglio 2001 alle
16.15. I manifestanti stanno rientrando,
integri e pestati, ai luoghi di provenienza,
qualcuno è in ospedale, un bel numero
a Bolzaneto, qualcuno nelle patrie galere.
La “brillante” operazione di disordine
pubblico è compiuta. Che ci viene a
fare, a Genova, a quell’ora, il numero
due della polizia? E’ una sua iniziativa?
De Gennaro non lo sa? «Ma a chi vogliamo
darla a bere questa fandonia», ha detto
giustamente in tribunale un avvocato
della difesa al carabiniere Cavataio, autista
del defender sul quale c’è chi spara a
Carlo, che sostiene di non aver sentito gli
spari! Briefing concitato in questura e assunzione
del comando da parte di La
Barbera. Che cosa succede di rilevante a
Genova, dopo quell’ora? La “perquisizione
legittima” alla Diaz. E per evitare che
la si potesse considerare una operazione
di normale “disordine”, con La Barbera
alla Diaz ci vanno proprio tutti. Poi,
quando c’è l’irruzione, La Barbera se ne
va, forse per evitare che il suo prezioso
curriculum venga macchiato. Ma gli altri
restano, condividono, discutono, si gingillano
con il sacchetto azzurro con dentro
le molotov, entrano e escono dalla
scuola. Ma «il fatto non sussiste», sentenzia
il collegio giudicante.
«Il capo sarà contento», dice al telefono
Colucci, l’allora questore di Genova, che
in tribunale smentisce quello che aveva
sostenuto in parlamento nel 2001, e cioè
che De Gennaro fosse al corrente di tutto.
Colucci ha guadagnato recentemente
un alto incarico prefettizio, sollevando
persino le proteste dell’associazione dei
prefetti. De Gennaro, oltre alle varie ulteriori
promozioni, sembra aver guadagnato
un rinvio a giudizio per istigazione
alla falsa testimonianza. Sembra, perché
se ne discuterà a metà dicembre.
Sembra, ma l’aria che tira induce a pensare
che non debba tornare a occuparsi
di questa immondizia.