RASSEGNA STAMPA
L'UNITA' - Genova, quelli che l'hanno fatta franca
Roma, 10 dicembre 2008
Genova, quelli che l'hanno fatta franca
di Paola Zanca
Hanno fatto un golpe, e l’hanno fatta franca. Per tre giorni di luglio, a
Genova, la Costituzione italiana è diventata carta straccia. A farla a pezzi
fu il governo Berlusconi. E chi ha scelto di non sapere cosa è successo
davvero sette anni fa. Provano a farlo ora Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio
e Mario Portanova in un film-inchiesta che sabato 13 dicembre esce in
allegato a l’Unità. «G8 2001. Fare un golpe e farla franca». Titolo forte.
Ma ad ascoltare quelle voci, per nulla eccessivo.
Perché le questioni in ballo non sono solo quelle su cui la magistratura ha
cercato – con i risultati che conosciamo – di indagare. Ci sono questioni
che probabilmente non hanno rilevanza giudiziaria, ma che hanno risvolti
politici per nulla inferiori alla questione morale di cui si dibatte in
questi giorni.
«G8 2001. Fare un golpe e farla franca», spiega uno degli autori, Beppe
Cremagnani, «è il primo tentativo di ricostruire la catena di comando che va
dalla piazza e arriva fino ai vertici più alti della politica». Nomi e
cognomi: Gianfranco Fini, nel luglio 2001 vicepresidente del Consiglio.
Considerando che il presidente Berlusconi in quei giorni era chiuso
nell’enclave della zona rossa, Fini era in quel momento capo effettivo del
governo. Ed esercitò per dieci ore le sue funzioni dalla caserma dei
carabinieri di Genova. Insieme a lui, un altro uomo di An, Filippo Ascierto,
che in quella caserma ci rimase addirittura due giorni. Il generale Nicolò
Bozzo, allora capo della polizia municipale di Genova, ma in passato a capo
dell’antiterrorismo al Nord, non ricorda di aver mai visto un episodio
simile in tutta la sua carriera.
Fatti mai visti, come le botte da orbi che volarono in quei giorni.
Indiscriminatamente. L’episodio più eclatante è quello del pestaggio alla
Diaz: fuori da quella scuola c’erano i vertici della polizia, gente che ha
fatto centinaia di perquisizioni. Ma, ricorda Cremagnani, «non s’è mai visto
un mafioso uscire da un blitz con un occhio nero».
Per capire che tutto questo rispondeva a una «logica militare golpista»,
basta guardare a come ci si è organizzati: 18 mila poliziotti schierati, tre
carceri svuotate per fare posto a cinquemila possibili arresti, duecento
body bags (sacchi per cadaveri) comprate, un ospedale attrezzato a camera
mortuaria, un decreto che sospendeva ogni possibilità di colloquio tra i
fermati e i loro legali.
La mattanza di Genova, dice Enrico Deaglio, «è stata preparata e poi è stata
attuata». Il punto è che nessuno ha avuto voglia di capire perchè: «I
partiti politici – dice ancora Deaglio – hanno liquidato la vicenda in poche
battute. Non si è nemmeno riusciti a fare la commissione parlamentare
d’inchiesta. E Antonio Di Pietro, quello che ora la chiede a gran voce, nel
passato governo ne fu un tenace affossatore. Sembra che gli unici che ancora
la chiedono siano quelli di Famiglia Cristiana».
«G8 2001. Fare un golpe e farla franca» riapre una ferita che fa ancora
paura. Con la crisi economica, avvertono gli autori, si avvicinano
inevitabilmente momenti di tensione sociale. Il governo, e chi è rimasto
impunito, potrebbe avere bell’è pronto un modello collaudato a cui
ispirarsi. E magari farla franca un'altra volta.