RASSEGNA STAMPA

LA REPUBBLICA - Perché tante mele marce nella polizia

Genova, 13 febbraio 2009

Perché tante mele marce nella polizia
SALVATORE PALIDDA*

LA VICENDA degli agenti della polizia di stato arrestati insieme a una decina di spacciatori di cocaina (resa nota ieri da Repubblica con un articolo di Massimo Calandri) è purtroppo l´ennesimo episodio in cui si scopre che degli operatori delle cosiddette forze dell´ordine sono diventati delinquenti se non criminali abituali. Sono passati pochi mesi dal precedente episodio riguardante altri della narcotici genovese che da più di dodici anni sequestravano per loro stessi droga e danaro, si circondavano di confidenti fidati a cui affidavano anche lo spaccio dei loro sequestri, avevano il conto a Montecarlo ma non mancavano di mettere in scena delle belle operazioni con sequestri di droghe e arresti di qualche pusher. E´ quasi certo che alcuni dirigenti diranno subito che "non bisogna fare di tutta l´erba un fascio" e che, si sa, ci sono sempre delle "mele marce" anche nelle buone famiglie. Tuttavia se si analizzano i diversi fatti di corruzione, abusi, violenze e altri reati commessi da agenti e dirigenti delle forze di polizia nazionali e locali, stando solo ai fatti noti che sicuramente sono solo una parte del fenomeno, e provando anche a fare un raffronto con quanto succede in altri paesi democratici, si possono ricavare le seguenti considerazioni.
1) La devianza se non della criminalità grave di operatori delle forze di polizia si riproduce da sempre, ma ci sono periodi e luoghi in cui può accentuarsi.
2) Le autorità politiche e i vertici non hanno mai predisposto né il monitoraggio, né un serio studio, né progetti di prevenzione, repressione e risanamento adeguati.
3) Le abituali "indagini interne" che a volte sembravano voler sradicare la "malapianta" (si ricordi fra le altre il rapporto Serra sulla questura di Bologna dopo la scoperta della "uno bianca") si sono sempre risolte in ben pochi e banali provvedimenti lasciando "tutto come prima" (sono parole di agenti che hanno vissuto da vicino queste vicende).
4) Periodicamente alcune questure o commissariati, caserme, comandi dei CC o altre strutture anche della GdF o di polizie locali (si pensi ai recenti fatti della "panda nera" di Calcio in cui sono stati coinvolti operatori di tutte le polizie e alla vicenda degli agenti razzisti e vigliacchi di Parma) si rivelano particolarmente "infetti" di tale "male" (per nulla oscuro). E´ questo anche il caso di Genova non solo per quanto è successo al G8, ma anche per la costellazione dei vari altri fatti (fra i quali non va dimenticato neanche il coinvolgimento di dirigenti di Ps nella struttura illegale creata da Saya, per non parlare prima delle performances del colonnello Riccio e di altre storie "liguri", per finire ai delinquenti della narcotici).
Così come fu evidente nel caso della "Uno bianca" di Bologna, se per tanti anni alcuni operatori perpetuano atti criminali è quasi certo che l´"ambiente" in cui lavorano se non è complice, oscilla fra indifferenza (che non è ammissibile) e tolleranza (che è parente della complicità passiva e che può diventare attiva, cioè correità). Allora perché non è mai stato pensato un progetto di risanamento di tali ambienti?
5) In tutti i paesi democratici esistono delle strutture di controllo per prevenire, reprimere e risanare la delinquenza nelle forze di polizia.
Teoricamente anche in Italia; ma, anche quando qualche dirigente democratico ha tentato di proporre misure esemplari, i vertici hanno optato per l´insabbiamento abituale e qualche banale punizione di pesci piccoli.
6) Ovviamente la responsabilità di tutto ciò non è solo dei vertici delle polizie ma innanzitutto delle autorità politiche che si sono sempre
preoccupati di prostrarsi a difesa dell´onorabilità della "forza pubblica" di cui peraltro non hanno mai osato auspicare neanche un minimo di razionalizzazione democratica (e forse non a caso). Fra i paesi che dopo il 1945 hanno provveduto al risanamento democratico delle istituzioni, l´Italia è l´unico Paese in cui manca ancor oggi un minimo effettivo controllo democratico delle forze di polizia nazionali e locali (mentre, ahinoi, si istituzionalizzano anche le ronde).
7) Un´altra responsabilità della riproduzione della delinquenza fra le polizie appartiene anche all´autorità giudiziaria quasi sempre ultra timida sino alla legittimazione di fatto dell´impunità dei rèi (ben nota per i fatti del G8 di Genova). E´ vero che disporre di una polizia giudiziaria effettivamente indipendente è assai difficile e che parte della magistratura partecipa a giochi di potere e quindi di scambio di favori, che passano anche attraverso lo scambio di coperture. Ma non sarebbe indispensabile l´impegno comune dei democratici che comunque ci sono nei ranghi delle polizie e della magistratura quantomeno per resistere a derive in cui, non a caso, si mescola corruzione, abusi, autoritarismo e razzismo?
8) Infine, dov´è la mobilitazione dei democratici della società locale (quelli che rivendicano civismo) per la trasparenza democratica delle forze di polizia e la gestione della sicurezza?

*docente di sociologia della devianza e del controllo sociale Università di Genova