RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - Diaz, celerini sicuri di restare impuniti ma per i giudici non fu rappresaglia

Genova, 11 febbraio 2009

Sentenza Diaz, soltanto qualche eccesso da stress

Checchino Antonini
E' vero, la polizia fu disumana oltre ogni misura, e omertosa nelle indagini su quella sua ferocia. Una polizia stressata e suggestionabile, quella notte, ma che agì nella consapevolezza dell'impunità. Ma, tutto sommato, il massacro della Diaz non fu una rappresaglia contro il più grande movimento sociale da trent'anni in qua.
Più di trecento pagine di motivazioni per sostenere questa traballante impalcatura, l'ossimoro inquietante che scandalizzò la piccola folla che ascoltò la lettura della sentenza che assolveva i vertici e condannava i capisquadra dei celerini nella certezza che la prescrizione avrebbe risparmiato loro ogni grana.
Depositate ieri le motivazioni della sentenza sulla "notte cilena" che chiuse tre giorni di inaudita violenza su manifestanti perlopiù inermi. Una sentenza che dice più di quanto spieghino le condanne lievissime e che non convince sulle clamorose assoluzioni.


Depositate a Genova le motivazioni della sentenza che ha assolto le menti e condannato il braccio violento della notte cilena
Diaz, celerini sicuri di restare impuniti ma per i giudici non fu rappresaglia

Era il 13 novembre dell’anno scorso quando il tribunale di Genova pronunciò la sua sentenza sulla mattanza alla Diaz. La piccola folla di vittime, testimoni, attivisti e cittadini la accolse impressionata ritmando la parola «vergogna». Sette anni prima, nella notte tra il 21 e il 22 luglio, centinaia di agenti irriconoscibili fecero irruzione nelle due scuole del quartiere genovese della Foce, via Battisti, che ospitavano, una di fronte all’altra, il quartier generale del Genoa social forum e il dormitorio dei manifestanti sfollati dai campeggi dopo il nubifragio di due notti prima. Più di quaranta persone furono ferite anche molto gravemente, 93 gli arresti mai convalidati perché illegittimi. Servivano a coprire il massacro con la versione ufficiale di una caccia maldestra ai black bloc. Per questo furono fabbricate prove false da esibire a un’opinione pubblica scossa dai massacri di strada delle ore precedenti e dall’omicidio di un ventitreenne che provava a difendersi dalla pistola spianata di un carabiniere.
Gabrio Barone, presidente della prima sezione penale del tribunale di Genova, ha depositato ieri le motivazioni sull’assoluzione di 16 degli imputati e delle 13 condanne per un totale di 35 anni e 7 mesi. Gli assolti sono pezzi da 90 della polizia di stato come Francesco Gratteri, il più alto in grado quella notte come direttore dello Sco, e Giovanni Luperi, vice di La Barbera all’Ucigos. I condannati sono quasi tutti Canterini boys, i capisquadra del responsabile dei reparti mobili in azione nei giorni del G8 più lo stesso Canterini.
Dunque non fu «un complotto ai danni degli occupanti», scrive il giudice nella motivazione. Né «spedizione punitiva », né «rappresaglia». Carenza di prove concrete ma, soprattutto, «appare assai difficile che un simile progetto possa essere stato realizzato e portato a compimento con l’accordo di un numero così rilevante di dirigenti, funzionari e operatori». Piuttosto si ritiene «che i dirigenti fossero convinti che l’operazione avrebbe avuto un rilevante successo e si sarebbe conclusa con l’arresto dei responsabili delle violenze e delle devastazioni dei giorni precedenti».
«Quanto accadde all’interno della scuola Diaz Pertini fu al di fuori di ogni principio di umanità, oltre che di ogni regola ed ogni previsione normativa, anche se fu disposta in presenza dei presupposti di legge - si legge ancora - quanto avvenuto in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti di cui diversi anche gravi tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione ad “una macelleria messicana”. Appare di notevole gravità sia sotto il profilo umano che legale. In uno stato di diritto non è accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell’ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tali entità, anche se in situazioni di particolare stress». «Non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni» ma c’era «la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati». I giudici osservano inoltre come «non sia del tutto incredibile che l’inconsulta esplosione di violenza abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione tanto da provocare, anche per il forte rancore sino ad allora represso il libero sfogo all’istinto determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale, nonchè dell’addestramento ricevuto».
Non ci sono prove certe, invece, «ma semplici indizi non univoci» sulla consapevolezza «della falsità del ritrovamento delle bottiglie molotov». Gli elementi indicati dall’accusa da un lato possono «determinare il sospetto circa la consapevolezza della falsità» ma è anche vero «che non possono valere a provarla con la dovuta certezza
trattandosi di semplici indizi non univoci».
Sull’intero impianto pesa «un atteggiamento di distacco» da parte della polizia, «nell’individuare gli autori delle violenze e nell’accertare le singole responsabilità». Quel distacco «ha contribuito ad avvalorare la sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza che seppure infondata o comunque rimasta del tutto sfornita di prove ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento sotto il profilo probatorio ». Si citano «la mancata identificazione dell’agente con la coda di cavallo; l’invio al pm per la loro identificazione delle foto dei funzionari all’atto del loro ingresso in polizia anzichè quelle recenti; il fatto che per individuare gli agenti entrati alla Diaz si sia dovuti ricorrere ad indagini peritale».
«La giustificazione di un simile atteggiamento - scrivono i giudici - potrebbe rinvenirsi in un malinteso senso di tutela dell’onore dell’istituzione» e «la mancata individuazione delle singole responsabilità potrebbe ledere l’onore di tutta la polizia». Non ci sono prove, insomma, che Gratteri e Luperi (entrambi assolti) fossero consapevoli di quanto stava avvenendo nella scuola Diaz, mentre il comportamento omissivo e il silenzio sulle violenze degli agenti del VII nucleo, di Vincenzo Canterini, condannato a quattro anni, e di Fournier (il suo vice, condannato a due anni) confermano l’esistenza di una sorta di accordo volto a garantire l’impunità di questi ultimi in caso di comportamenti illeciti e violenti».
Fin qui le anticipazioni di un documento che sarà letto con attenzione sia dai pm, Zucca e Cardona Albini, sia dai legali delle difese e delle parti civili per la pioggia di ricorsi più utili per i processi civili che per altro vista la prescrizione che cancella quasi tutti i reati.
Per Haidi Giuliani, la mamma di Carlo Giuliani, si tratta di una motivazione «ancora più triste e meno coraggiosa della sentenza perché non si vuole o non si può attribuire responsabilità ai livelli apicali.
Una sentenza difficilmente comprensibile». Vittorio Agnoletto, eurodeputato Prc all’epoca portavoce del Gsf, la definisce «democristiana»: «Non potendo negare l’evidenza hanno piegato la realtà alle esigenze politiche. E’ incredibile dire, di fronte ai verbali e ai filmati, che manchino le prove!».
«Sono stati assolti sul piano penale - scrive il comitato Verità e giustizia che raggruppa le vittime della Diaz - ma sono pienamente responsabili sul piano etico e professionale: non si accorsero dei falsi, non fermarono le violenze, non hanno nemmeno partecipato alla ricerca della verità». Per questo le vittime della Diaz tornano a chiedere le dimissioni dei vertici del Viminale.