RASSEGNA STAMPA
L'UNITA' - G8, la Procura fa appello: «Non è stata fatta giustizia»
Roma, 4 aprile 2009
G8, la Procura fa appello:
«Non è stata fatta giustizia»
La Procura di Genova fa appello
contro la sentenza che ha assolto
16 dei 29 imputati, i vertici
della polizia accusati per l’irruzione
alla Diaz e le prove false.
Appello anche della Pg. Prescrizione
nel 2014.
CLAUDIA FUSANI
«Non è stata fatta giustizia». Non è
una frase scritta sui muri o su un
volantino ribelle. Sono le parole
con cui i pm Enrico Zucca e Francesco
Cardona Albini chiudono il ricorso
in Appello con cui chiedono
di fare un nuovo processo ai 29 poliziotti
che la sera del 21 luglio
2001 fecero irruzione nella scuola
Diaz massacrando di botte 93 manifestanti
sorpresi in pieno sonno.
«Il sangue versato e la sospensione
del diritto in quella notte richiedono
più adeguata ricerca sugli autori
e sulle cause» scrivono i magistrati.
Su 29 imputati, sedici sono stati
assolti a novembre scorso dopo tre
anni di processo e otto di indagini.
Erano all’epoca dei fatti, e sono tutt’oggi,
i massimi vertici della polizia.
Chiudere gli occhi, accettare
quella sentenza, accusano i pm,
«avrebbe conseguenze assolutamente
nocive sul piano istituzionale». Quelle assoluzioni, in buona sostanza,
creano un «precedente giuridico
gravissimo»: quello per cui la
polizia può sospendere il diritto, confondere
le acque e far sparire le prove,
fabbricarne addirittura di false,
falsificare gli atti e farla franca. Un
precedente che sarebbe grave si consolidasse
proprio alla vigilia di un
nuovo G8 italiano e mentre tornano
le minacce e a Londra un manifestante
del G20 muore in strada.
Zucca e Cardona Albini impiegano
109 pagine per smontare le motivazioni
della sentenza pronunciata
dal presidente del tribunale Gabrio
Barone che invece ha spiegato l’assoluzione
con l’assenza di prove («esistono
solo indizi e non univoci»).
I pm accusano il tribunale di aver
evitato «la responsabilità di motivare» l’assoluzione di 16 dei 29 imputati,
un lavoro «solo compilativo» in
cui «non ha valutato a dovere i mezzi
istruttori» e «le dichiarazioni testimoniali». Per l’accusa la notte della
Diaz non può essere solo colpa di
qualcuno a cui è scappata la mano;
quella notte, dopo la morte di Giuliani
e due giorni di delirio, finito il vertice,
fu deciso un cambio di strategia.
Lo ha spiegato al processo il prefetto
Ansoino Andreassi, fino alla
mattina del 21 luglio 2001 responsabile
della sicurezza del G8: «Ci fu
una decisa virata nella politica della
gestione dell’ordine pubblico proveniente dal vertice del Dipartimento
della pubblica sicurezza mirante
all’accentuazione dell’aspetto repressivo
(...) tanto che nel pomeriggio
del 21 viene inviato a Genova il
prefetto La Barbera, capo dell’antiterrorismo». Una deposizione «decisiva
- si legge - per la ricostruzione della
catena di comando» e invece
valutata «in modo asettico» dal
tribunale. Tribunale che «scarta
apoditticamente l’idea che l’agente
Nucera abbia potuto togliersi il
giubbotto per colpirlo col coltello».
E’ una delle tante prove false fabbricate
per motivare la reazione degli
agenti. «Nucera - si legge nell’appello
- (che in un primo tempo aveva
detto di essere stato aggredito
da un no global ndr) è più credibile
quando aggiusta a posteriore la
sua versione, dopo aver saputo che
la consulenza del Ris lo sbugiarda». Durissimo il capitolo dedicato
alle due bottiglie molotov, reperto
chiave la cui presenza nella scuola
Diaz aveva motivato l’irruzione e
che poi invece risultano essere state
portate a posteriori da Troiani e
Burgio, tra i sedici condannati con
gli uomini del Reparto mobile guidato
da Canterini. Troiani e Burgio
hanno agito da soli? Impossibile,
dicono i pm, «ricostruendo la gestione
del reperto si prova il pieno
coinvolgimento e la consapevolezza
di tutti gli imputati ciascuno con
il proprio ruolo corrispondente alla
gerarchia e funzione». Si tratta
di Gratteri, attuale n°2 della polizia,
Gianni Luperi, n°3 dell’Aisi, e
poi Calderozzi, Ferri, Di Bernardini,
Dominici e altri, assolti in I grado
perchè il fatto non sussiste.
Quelle molotov poi sono scomparse
dall’ufficio reperti «per opera
del personale Digos che si sarebbe
portato via il corpo del reato». Una
vicenda su cui il Tribunale non ha
mai voluto scavare fino in fondo
tanto che i pm contestano «l’omessa
pronuncia».
«Questo drammatico panorama
di violazioni diffuse - si legge nell’appello
- si è riprodotto davanti a
un Tribunale che non ha ritenuto
di stigmatizzare questi comportamenti». Non solo, un Tribunale
che «neppure è intervenuto sui numerosi
testimomni reticenti e imprigionati
da codici omertosi».
Anche la Procura generale, eccezzionalmente,
ha presentato appello.
C’è tempo fino al 2014 per
arrivare ad una nuova sentenza.