RASSEGNA STAMPA
CORRIERE SERA -
«Due verdetti opposti senza un elemento nuovo Aspetto la Cassazione»
Roma, 20 maggio 2010
ANTONIO MANGANELLI IL CAPO DELLA POLIZIA: VEDREMO LE MOTIVAZIONI
«Due verdetti opposti senza un elemento nuovo Aspetto la Cassazione»
Presunzione d' innocenza «Rispetto ogni sentenza e credo nei magistrati. Ma vale il principio della presunzione d' innocenza per tutti fino alla pronuncia definitiva»
«Confermo il massimo rispetto per ogni sentenza e la piena fiducia nell' operato della magistratura». Una frase così può suonare rituale e di maniera. Ma se a pronunciarla è il capo della polizia, che prima di arrivare al vertice dell' istituzione ha lavorato per decenni al fianco dei pubblici ministeri e tante volte ha deposto davanti a tribunali e corti d' assise, c' è da ritenere che non sia una pura formalità. Tanto più se il prefetto Antonio Manganelli aggiunge una considerazione nel merito della specifica vicenda: «Siamo di fronte a una pronuncia d' appello che ribalta quella di primo grado, senza che sia stato riaperto il dibattimento. Cioè senza che siano emersi elementi nuovi. In sostanza, due diversi collegi hanno letto in maniera differente le stesse carte, e valutato in modo opposto gli stessi elementi. Questo sta a dimostrare la complessità della vicenda, e dunque l' opportunità di attendere prima le motivazioni della sentenza d' appello e poi la pronuncia della Cassazione. Anche perché il principio della presunzione d' innocenza fino alla pronuncia definitiva vale per tutti». Nel frattempo, il clima di rinnovata fiducia nei confronti dei più alti funzionari condannati in appello dopo l' assoluzione di primo grado nel processo per le violenze alla scuola Diaz e i tentati depistaggi su ciò che accadde (non per sottovalutazione della gravissima vicenda, ma perché considerati non responsabili), viene puntellato dalle dichiarazioni del ministro dell' Interno e altri esponenti della maggioranza. Quella di Manganelli ha però il sapore di una decisione non fondata esclusivamente sulla «copertura politica» assicurata - almeno apparentemente, e in questa fase - dai rappresentanti dell' esecutivo. Sembra una scelta meditata già prima del nuovo giudizio, preceduta dalle opportune distinzioni. Gli atti dell' inchiesta e dei processi sono noti da tempo e, a prescindere dalle valutazioni dei giudici, chi è avvezzo alle investigazioni come il capo della polizia ha avuto modo di cogliere la diversità delle posizioni portate alla sbarra. E dunque a considerare diversamente, ad esempio, chi ha ammesso di aver fornito le due bottiglie molotov con le quali sono state montate le false prove a carico dei «no global» picchiati a sangue (ma non ha voluto dire per ordine di chi, e forse durante le indagini non gli è stato nemmeno chiesto con troppa convinzione), e chi invece s' è trovato con quella versione di comodo già confezionata, ed è stato indotto a prenderla per autentica. Oppure a ritenere di dover attendere in che modo i giudici di secondo grado motiveranno la condanna per falso e calunnia nei confronti di chi non ha firmato i verbali di perquisizione e di arresto, o ha sottoscritto solo il secondo basandolo sul primo, predisposto da altri colleghi. Perché avrebbe dovuto presupporre l' imbroglio costruito a tavolino? E come si può includere nell' ideazione del complotto chi, nei momenti precedenti alla sciagurata perquisizione, aveva espresso parere contrario all' intervento notturno, proponendo lo slittamento al mattino successivo? Tutti questi elementi - che riguardano posizioni di rilievo sia nell' attuale organico della polizia che nel processo dove ora sono fioccate le condanne, come quelle del direttore centrale dell' Anticrimine, Francesco Gratteri, e del responsabile del Servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi - hanno pesato, pesano e peseranno nelle decisioni del prefetto Manganelli. Chiamato a confrontarsi con la gestione dei propri uomini, ma anche con la drammatica ferita aperta quella disgraziata notte di nove anni fa, niente affatto rimarginata.
Giovanni Bianconi