RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Il cinema stregato ancora da Genova
Roma, 3 maggio 2010
VIOLENZA E POLITICA
OSSESSIONE G8
IL CINEMA STREGATO
ANCORA DA GENOVA
I fatti del luglio 2001 sono lo
scenario del film “Due vite per
caso” di Alessandro Aronadio
MARICLA TAGLIAFERRI
Non si vede e non si nomina
mai. Eppure, quando nel finale di
“Due vite per caso”, si confrontano
direttamente le esistenze che il giovane Matteo avrebbe potuto scegliere, diventare giardiniere un po’ rassegnato o carabiniere aggressivo, è
inevitabile pensare alla morte di
Carlo Giuliani. A quel tragico 20 luglio del 2001, momento più drammatico del G8 a Genova. L’associazione
non è fatua. Lo conferma l’esordiente Alessandro Aronadio, 37 anni, che
ha affidato il ruolo del protagonista a
Lorenzo Balducci, figlio di quell’Angelo Balducci in carcere per corruzione nell’inchiesta su un altro G8,
quello dell’Aquila, indagato a sua volta per riciclaggio. Passato al Festival
di Berlino, interpretato anche da Isabella Ragonese, Ivan Franek e Riccardo Cicogna, prodotto da Anna
Falchi, il film sarà sugli schermi da
venerdì.
Aronadio, perché il G8 2001?
«È un lutto non elaborato, che ha
segnato profondamente la mia generazione. Per noi esiste una vita prima
e una dopo quei giorni. Per la prima
volta abbiamo assistito a una guerra
civile e ancora non ne abbiamo una
spiegazione. Non abbiamo avuto
nessuna possibilità di parlarne, di
chiedere, di capire come sia potuto
accadere. I media, la politica, ci sono
passati sopra e l’hanno accantonato.
Ma a noi torna in mente ogni volta
che vediamo una manifestazione di
piazza».
Mentre fanno anticamera film
che ne parleranno più direttamente, come i due che sta preparando Daniele Vicari, lei ha scelto
una via quasi poetica.
«Volevo inserire un episodio che
evocasse anche l’opposto di quello
che è successo a Genova, come la
morte del poliziotto Filippo Raciti o
quella del tifoso Gabriele Sandri.
Delle loro uccisioni, a posteriori, si
danno sempre spiegazioni superficiali, si parla di raptus di follia, se non
di incidente. Secondo me invece dietro c’è tutto il disagio dei giovani che
non trovano spazio in questo Paese,
davvero “un paese per vecchi”, dove i
ragazzi accumulano rabbia e frustrazione, diventando una pentola sotto
pressione che può scoppiare alla prima occasione, anche banale».
Controluce c’è Pasolini e la sua
poesia dopo gli scontri di Valle
Giulia, nel marzo ’68, in cui prendeva posizione a favore dei poliziotti, figli del popolo odiati dai
giovani borghesi universitari.
«Certamente. Pasolini l’abbiamo
letto anche noi ed è diventato nostro.
Ciò che si dibatteva
nel ’68 si è sedimentato, dà ancora frutti, non credo che la
sua generazione abbia perso. Io mi sono impegnato a osservare, senza giudicare, i lati della
barricata, dove senso di costrizione e
insoddisfazione sono uguali. Vale per
loro ciò che nel film
Tatti Sanguineti dice a proposito del
fermoimmagine
finale di “I 400 colpi” di François
Truffaut: “Con che
diritto mi giudicate?”. Come si fa a dire chi è buono e chi è cattivo, se nessuno ti dà modo di esprimerti?
Eppure ci mostra due poliziotti
che sono decisamente cattivi.
«Esistono, perché non parlarne? A
parte il fatto che il novanta per cento
del cinema americano non esisterebbe senza poliziotti cattivi e corrotti, i
miei sono due mele marce, due teste
calde, per i quali vale l’antico detto
italiano “a che serve il potere se non
se ne abusa?”. Non mi scaglio né accuso le forze dell’ordine in generale».
Però di questi tempi, da noi è
politicamente
scorretto.
«Lo so, specie in
tv sono sempre di
una bontà totale,
aiutano le vecchiette ad attraversare la
strada, salvano i
gattini dagli alberi.
A me pareva più
scorretto trattarli
da bambini belli e
un po’ scemi. Mi è
sembrato molto più
rispettoso mostrarne anche le
ombre».
Si sentono poco
questi discorsi,
nel cinema italiano. Perché ?
«Sapesse quante
porte mi hanno sbattuto in faccia. I
produttori avrebbero preferito una
commedia carina e divertente. Con
tutto il rispetto per chi le fa, credo
che esistano argomenti più importanti. Non dia retta a chi parla della
mia generazione come una massa di
rincretiniti. Fa comodo, ci controllano meglio, ma io conosco tanti giovani incavolati neri che cercano di incanalare la propria rabbia, di renderla
creativa e non depressiva.
Come sarebbe, “porte in faccia”? Non si fa che ripetere quanto sia super raccomandato Lorenzo Balducci.
«Contro Lorenzo c’è un vero e proprio assalto. Mi fa quasi ridere, perché lui è il ragazzo più disponibile e
sensibile che conosco, un professionista che si è messo in gioco totalmente e ha un suo curriculum. Prima
di recitare per me, ha fatto una ventina di film, ha lavorato con Carlos
Saura in “Io, Don Giovanni” e con Krzysztof Zanussi in “Il sole nero”. Non
ce li vedo due grandi registi come loro a prendere un raccomandato. E
poi, senta: noi abbiamo fatto domanda per ottenere i fondi ministeriali
nel 2007, abbiamo aspettato tre anni. Le sembrano i tempi di una corsia
preferenziale?».