RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - «Non si indaga sulla polizia» Così l'inchiesta rischiò lo stop
Genova, 21 maggio 2010
«NON SI INDAGA SULLA POLIZIA» COSI' L'INCHIESTA RISCHIO' LO STOP
nove anni di spaccature per arrivare alla fine del processo sull'irruzione
nella scuola
Una nota segreta permise di iscrivere i superfunzionari sul registro degli
indagati e proseguire
C'è un momento importante, da evocare oggi che le
condanne per l'irruzione alla Diaz mandano in fibrillazione i principali
investigatori del nostro paese. E va ricercato nell'agosto di nove anni fa.
L'inchiesta sui pestaggi nell'istituto dove dormivano i noglobal, sulle
false molotov attribuite ai manifestanti e sui verbali farlocchi a
giustificare il massacro, rischiò di finire nel nulla ancor prima
d'ingranare, perché dai massimi livelli della Procura arrivò una sorta di
veto all'iscrizione dei superfunzionari sul registro degli indagati. Il
pool di magistrati che doveva occuparsi del'affaire G8 e dei tanti rivoli
nei quali si era frammentato il dramma di quei giorni (la morte di Carlo
Giuliani, le devastazioni dei manifestanti, i pestaggi di Bolzaneto e
della Diaz appunto) era infatti coordinato all'epoca da due procuratori
aggiunti: Giancarlo Pellegrino, oggi in pensione, e Francesco Lalla,
attualmente numero uno dei pm a Genova. Il procuratore capo era invece
Francesco Meloni, pure lui attualmente pensionato.
Si avvicina dunque il Ferragosto del 2001 quando, tirando le somme d'un
mese di accertamenti sul comportamento delle forze dell'ordine , i pm
arrivano alla conclusione che vanno messi sott'inchiesta un bel po' di "graduati". E fra loro figurano quelli che, oggi, sono autentici big della
sicurezza italiana: l'attuale numero tre della polizia Francesco Gratteri
(condannato a quattro anni e dirigente del Dipartimento centrale
anticrimine) oppure Giovanni Luperi, al momento capo degli analisti nei
servizi segreti. Hanno firmato il verbale falso successivo all'irruzione,
nei loro confronti andrebbero formulate accuse precise. In quel momento,
quando si deve percorrere la via più ostica, il procuratore Meloni è fuori
Genova. E prima di partire ha fornito indicazioni nette: «Le scelte più
importanti vanno prese con assoluta unità». Eccolo, il problema. Almeno
uno dei due "aggiunti", Francesco Lalla, non è convinto della strada che
si sta per imboccare, per lui quei poliziotti non vanno indagati. È il
momento clou, il bivio davanti al quale rischia d'insabbiarsi l'indagine
che più ha messo in discussione la polizia italiana negli ultimi
vent'anni. Meloni rientra in Liguria, i magistrati del pool G8 gli
scrivono una nota segreta in cui chiedono, formalmente, che quei
superpoliziotti non restino intoccabili. Dopo una riunione di fuoco si
opta per iscrizioni «progressive», un passo alla volta, ma comunque si
procede. Francesco Lalla oggi minimizza: «Io avevo le mie opinioni, le
espressi, ma non svolgevo un ruolo di coordinamento tale da influenzare in
modo così pesante il lavoro d'ogni singolo sostituto. Parlare di frizioni
mi sembrerebbe eccessivo». C'è di più. Una parte degli accertamenti, per
un certo periodo, fu affidata a un «ufficio G8» messo su dalla questura
genovese (questore era ancora Francesco Colucci, che sarebbe stato a breve
silurato) di cui facevano parte alcuni degli investigatori poi finiti
sott'accusa.
È questa, la vera genesi di un'indagine che ha rischiato concretamente di
finire sul binario morto prima di rotolare come una valanga fino alle 26
condanne di martedì. A volte basta un bivio, davvero, per cambiare storie
(parecchio) importanti.