RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Dal G8 a Gaza, il regista che inchiodò la polizia
Genova, 3 giugno 2010
Dal G8 a Gaza, il registache inchiodò la polizia
il romano luppichini filmò la diaz e svelò la manipolazione delle prove
Per "screditarlo" fu rivolta un'interrogazione al ministro
graziano cetara e matteo indice
I soldati israeliani fronteggiano
in mare i pacifisti, gli spari e le urla e il massacro sulla "Mavi Marmara" sono il preludio d'una giornata di arresti e di morte.
I poliziotti italiani inseguono i ragazzi dentro una scuola, a Genova, il
manganello impugnato al contrario, sangue ovunque anche se non ci sono
vittime, ma i diritti sono «sospesi» in quel momento. Ecco, c'è un filo
sottile che lega la strage della "Freedom Flotilla" e il raid all'istituto
Diaz dopo il G8 del 2001. Sono gli occhi di Manolo Luppichini, il regista
romano liberato ieri insieme ad altri cinque connazionali. Luppichini è
l'uomo che, nove anni fa, realizzò alcune fra le principali riprese
dell'irruzione nell'edificio dove furono pestate oltre 90 persone, una di
loro ridotta in fin di vita. Luppichini non era alla Diaz, ma nel palazzo
di fronte, dove aveva sede il media-center degli antagonisti. Perquisito e "sgomberato", riuscì a nascondere e conservare la cassetta con i frame che
hanno rappresentato uno dei pilastri dell'accusa al processo sul blitz.
Quello che si è chiuso in Appello con la condanna dei più alti graduati
della polizia nel nostro Paese.
Non solo. Proprio per la delicatezza del suo resoconto, sempre lui finì
poco più di due anni fa al centro d'un caso politico e di
un'interrogazione parlamentare, poiché ne fu messa in discussione
l'attendibilità. Ancora: Luppichini è uno dei supertesti che permisero di
scoprire la «manipolazione» di alcuni filmati decisivi, finiti nelle mani
delle forze dell'ordine prima che dei magistrati.
Da Gaza a Genova, il film si riavvolge parecchio ma sono sempre ore di
apnea. 22 luglio 2001: gli agenti sfondano il cancello della scuola,
massacrano il giornalista inglese Mark Covell lasciandolo in coma.
Luppichini è alla finestra, la telecamere a infrarossi fissa sequenze
impressionanti. Poi succede qualcosa. Gli agenti piombano nella sala dove
si trova con altri operatori, pur essendo un altro edificio. Fanno uscire
tutti, li obbligano a sdraiarsi per terra. Il regista imbosca videocamera
e cassetta in un borsone, che conserverà poiché lì non lo arrestano. Su un
tavolo del media-center restano invece altri nastri, con altre
preziosissime immagini, che la polizia preleva senza mai farne risultare
il sequestro.
Attenzione, adesso. Il dossier di Luppichini finisce integro in Procura. E
racconta parecchio, sulle violenze. Le altre quattro cassette saranno al
contrario «restituite» dai poliziotti un po' "tagliate", dopo che la Digos
le aveva spedite in Germania «per farle sviluppare meglio». Cos'è sparito
dai filmati? Soprattutto: la polizia italiana è entrata «per errore» al
centro giornalistico (come hanno sempre dichiarato i suoi funzionari) o
voleva distruggere le prove di un'operazione sciagurata?
Anche su quest'aspetto, Luppichini è uno dei testimoni-chiave al processo
G8. Chiamato a deporre nell'estate 2006, fa capire chiaramente che di
fronte alla Diaz andò in scena una «perquisizione», che le altre
telecamere furono prese con uno scopo ben preciso. E la sua deposizione
demolisce quella di due agenti della Digos genovese interrogati un anno
dopo, sui quali i pm chiedono d'indagare per falsa testimonianza. È a
questo punto che Luppichini diventa pure un caso politico. L'11 ottobre
2007 il deputato Angelo Compagnon (Unione democratico-cristiana,
all'opposizione con il centrodestra mentre governa Romano Prodi) presenta
un'interrogazione al ministro della Giustizia Clemente Mastella, con il
solo obiettivo di mettere in dubbio le parole - pesantissime - del
regista: «Un rapporto del Ros - dice in sintesi Compagnon - lo individuava
nel 2002 come "anarchico", siamo sicuri di volergli credere quando mette
sott'accusa i nostri agenti?». Il ministero chiede alla Procura genovese
di spiegare e la risposta è semplice: primo, Luppichini è un incensurato e
per questo il suo racconto è considerato «puro» (termine tecnico).
Secondo, svariati elementi certificano il vero obiettivo del raid nel
media-center.
Altre riprese fondamentali "sparirono" misteriosamente in quei giorni (fra
tutte, l'unica realizzata all'interno della Diaz dal lussemburghese
Michael Gieser, che la polizia dichiarò di aver perso «per errore»). La
testimonianza del regista Manolo Luppichini da Roma, quello di cui s'erano
perse le tracce per due giorni in Israele, consentì di decifrare davvero
come andarono le cose. Senza morti ammazzati, certo. Ma per l'Italia era
(è) una storia importante.