RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Decisive le intercettazioni: «Tifo da stadio dopo le bugie»
Genova, 18 giugno 2010
DECISIVE LE INTERCETTAZIONI: «TIFO DA STADIO DOPO LE BUGIE»
In una raccolta di 152 file audio la prova del “disegno” per dribblare ogni
accusa
Questa è una storia di telefonate, che intrecciano forse il
peggio della storia recente della polizia italiana.
E con ogni probabilità hanno convinto i giudici a escludere la «buona fede»
di De Gennaro e Mortola.
Solo riannodando i fili di 150 file audio, infatti, si può capire su cosa
davvero si sono pronunciati ieri imagistrati genovesi.
Ovviamente c’è la madre di tutte le intercettazioni, in cui Colucci si
“tradisce” (28aprile2007): «Ho parlato con il capo (De Gennaro), devo
rivedere un po’ ... e fare marcia indietro».
Colucci si apprestava a testimoniare sul processo Diaz.
E spiegava all’amico ed ex comandante Digos a Genova Spartaco Mortola, quel
che avrebbe dovuto dire a distanza di pochi giorni in aula per tenere De Gennaro
fuori dai guai. «Il capo mi ha detto»: qui sta l’induzione alla falsa
testimonianza.
Ma ci sono centinaia di conversazioni registrate dopo, che non chiamano in
causa direttamente l’attuale numero uno dei servizi segreti e però devono
aver fatto parecchia presa sulla Corte.
Perché dimostrano come la (falsa) testimonianza di Colucci fosse considerata
da superfunzionari sparsi ovunque un punto d’onore, nella “battaglia”
contro la Procura che s’era permessa di accusare la polizia.
E sebbene Colucci fosse stato a un certo punto pure indagato, doveva andare
avanti nell’interesse del Corpo (o più probabilmente per un interesse
corporativo).
Il 7 maggio del 2007, per dire, “Ciccio” come lo chiamano gli amici, incassa
la solidarietà d’un pezzo (molto) grosso. Gli telefona Francesco Gratteri,
oggi guida del Dipartimento anticrimine, in pratica il numero tre della
pubblica sicurezza nel nostro Paese. «Quando si dicono le cose giustamente
e correttamente, come le hai dette tu, è doveroso rendere omaggio».
Gratteri con l’affaire De Gennaro non c’entra, ma è stato condannato in
Appello per aver firmato i verbali farlocchi del’irruzione alla Diaz.
Il telefono di Colucci, dopo che ha ritrattato su input di De Gennaro, diventa
una specie di centralino delle congratulazioni.
Lui se ne compiace, ma osservate una dietro l’altra quelle pacche sulle
spalle fanno (parecchio) pensare.
«Mi hanno detto “hai fatto una cosa grandiosa”.
M’ha chiamato pure Luperi (altro superpoliziotto), per congratularsi.
Ecco, la cosa che più mi dà soddisfazione è che ho dato una grossa mano ai
colleghi, perché gli avvocati possono invalidare tutto».
Nuovo riferimento a De Gennaro, e siamo sempre a maggio 2007: «M’ha
ringraziato, ho vanificato il processo Diaz che sta facendo da sei anni Zucca
(il pubblico ministero) sulle sue ipotesi del cazzo». La voce del «capo» non compare mai. Ma tutti i complimenti che Colucci dice di
aver ricevuto direttamente da lui, per la Corte sono stati alla fine
sufficienti.
Senza dimenticare un’altra, incredibile, intercettazione della quale s’è
sempre parlato pochino.
Nella sequenza di tributi a Colucci che s’è immolato «per il capo», spunta
a un certo punto Achille Serra, ex prefetto di Roma e oggi senatore del
Pd. Habitué del Viminale, chiama “Ciccio” e commenta la sua acrobatica
testimonianza. «Mi fai schifo dice Serra a Colucci, che vorrebbe vantarsi
non toccare questo tasto, mi fai incazzare». Perché Serra lo dice?
Perché di De Gennaro pensa che è «uno schifoso» ed evidentemente
non voleva fosse salvato.
Ancora.
Ci si è mai chiesti perché il telefono del dirigente Digos di Genova
era sotto controllo, quando Colucci lo chiamò pronunciando le frasi
che hanno inguaiato DeGennaro?
Mortola era nel mirino per la “sparizione” delle molotov dalle casseforti
della questura, dove dovevano essere conservate per tutta la durata delle
udienze Diaz (sono le prove principali delle “bugie” raccontate dalle
forze dell’ordine sul raid). E come erano arrivati a sospettare della
Digos? Intercettando un artificiere coinvolto in un’altra indagine, che
rivelò di aver avuto in consegna le bottiglie incendiarie e di aver mentito
sulla loro “ sparizione” previa indicazione della “squadra politica”.
Insomma. Non c’era solo una confidenza de relato («il capo m’hadetto
di fare marcia indietro») nelle mani dei giudici.
Ma un’intera, e lunghissima, catena di depistaggi con annesso tifo da
stadio per chi riusciva a farlimeglio. Difficile, molto difficile non ne
abbiano tenuto conto.
G.CET. M.