RASSEGNA STAMPA

IL SECOLO XIX - Il ritorno dei black bloc

Roma, 15 dicembre 2010

Il ritorno dei black bloc
COME A GENOVA, UNA GENERAZIONE DOPO

IL PRECEDENTE DEL G8 COME A GENOVA, MA A QUELL’EPOCA ERANO BAMBINI
Stessi metodi, stessi piani, altra generazione

MARCO MENDUNI

LI CHIAMANO black bloc per l'abbigliamento e soprattutto per le strategie sulla strada, quelle che riescono a mettere alla corda anche schieramenti possenti di divise, scudi e manganelli.
Mai ragazzi vestiti di nero che ieri hanno devastato il centro di Roma, anche se ne hanno imparato il modo d'agire, non sono quelli che portarono il caos nelle strade di Genova al G8. Non sono le Tute nere che assaltarono la zona
rossa al summit dei Grandi nel luglio 2001, per poi riservarsi ancora qualche sporadica apparizione ai vertici internazionali (come quello di Evian in Francia dell'anno successivo) per poi sparire quasi completamente, e misteriosamente, nel nulla.
Questi sono ragazzi giovani, giovanissimi e forse quel che è accaduto quasi dieci anni fa l'hanno solo letto. Vent'anni. Anchemeno, diciotto. Ancora meno: molti minorenni. Sono l'ultima leva dei centri sociali più intransigenti
e arrabbiati. Si spingono oltre. Spesso in contestazione, nemmeno velata, con la vecchia guardia, quella che ha scelto una contrapposizione più soft al sistema, quella che in molti casi ha allacciato anche rapporti, confronti, mediazioni con le istituzioni. Sicuramente dei vecchi black bloc hanno mutuato la strategia di attacco e ieri, per la prima volta dopo un decennio, si sono riviste le scene che a Genova mandarono in tilt lo schieramento delle forze dell'ordine.
Le piccole squadrette che si staccano, colpiscono per poi rientrarenei ranghi. Gli improvvisi blitz per poi disperdersi a grappolo e riunirsi in un'altra zona. E la conoscenza perfetta del reticolo di strade e stradine intorno alle "strade del potere" della Capitale. Guidati da quegli "sherpa" visti in azione anche a Genova, che ne conoscevano a mena dito la topografia. A guidare la rivolta di ieri sono stati "i romani", come li chiama chi, nell'intelligence, conosce e analizza i fenomeni. E l'assalto è stato studiato e pianificato fin dai giorni precedenti. Intorno a loro gli estremisti di casa hanno raccolto la partecipazione, a volte pianificata, più spesso spontanea, di decine di altri giovani incappucciati.
Sulla perfetta conoscenza delle strade, delle vie, delle piazze, di ogni vicoletto e scorciatoia, punta, oggi come dieci anni fa, la strategia di attacco. Oggi come ieri a Genova, quando per vie laterali e scalinate il blocco nero arrivò anche a dar l'assalto al carcere di Marassi. E dopo ogni azione, la via di fuga era garantita. Una facilità di scappare che fece anche nascere il sospetto che i violenti godessero anche di protezioni (in)sospettabili e che molti di loro fossero provocatori infiltrati. C'erano anche stranieri ieri a Roma? C'è chi racconta di aver sentito alcuni ragazzi darsi indicazioni in inglese. La "lingua universale" è utilizzata anche dai giovani stranieri che, in Italia, si sono aggregati alle comunità insurrezionaliste e che si muovono rapidamente sul territorio, ospitidi gruppi spontanei che utilizzano appartamenti (ma a volte cascine, come in Toscana, a volte anche ruderi, come in Liguria) sparsi un po' in tutta Italia. All'inizio dei cortei di ieri mattina si sono viste sventolare numerose bandiere della Grecia (dove sono attivi i gruppi insurrezionalisti più virulenti) e dei movimenti autonomi tedeschi, questi ultimi considerati i progenitori dei black bloc.
Nel cuore degli scontri c'era anche Francesco Caruso, leader storico della protesta antiglobalizzatrice in Italia. «Da vent'anni partecipo a manifestazioni spiega Caruso al Secolo XIX e non ho mai visto nulla del genere. C'erano ragazzi giovani, vent'anni al massimo, davvero indignati ed esasperati per quello che sta succedendo nei palazzi della politica. Questi ragazzi hanno espresso le forme più dure e radicali per dare voce al loro dissenso». Prosegue Caruso: «Io penso che definirli black bloc sia il solito modo di voler incasellare tutto quel che accade in luoghi comuni. E non è certo questo il modo per capire che cosa sta accadendo. Anzi, in qualche modo è il sistema di depotenziare la protesta. È come dire: tanto sono i soliti noti a fare casino, sono sempre gli stessi, non è il caso
di stupirsi. Questo è un errore gravissimo, vuol dire fare un'analisi riduttiva che si rifiuta di comprendere la realtà». L'indignazione, insiste Caruso, è stato il vero motore di quello che è accaduto ieri mattina nella Capitale: «È un'indignazione che cresce e diventa anche esasperata di fronte almuro di indifferenza di questo governo».
Caruso si rende conto, però, anche dell'effetto negativo di certe proteste esasperate: «Non c'è dubbio che forme così estreme possano diventare anche autolesioniste. Il movimento si deve interrogare, deve capire quel che esprimono questi giovanissimi, ma dovrebbe anche darsi un po' di ordine dall'interno».