RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - «Non me ne vado». E il generale “resiste” come De Gennaro
Genova, 28 dicembre 2010
AI VERTICI DELL’INTELLIGENCE, MA CONDANNATI. ECCO LA STORIA DEL CORTOCIRCUITO TUTTO ITALIANO
«NON ME NE VADO». E IL GENERALE
“RESISTE” COME DE GENNARO
MATTEO INDICE
STRANO PAESE, l’Italia. Dove lo
Stato mette nel mirino alcuni dei
suoi pezzi più “pregiati”, e però dall’altra parte “resiste” fin quasi alla
morte, a dispetto d’ogni delegittimazione. Ve l’immaginate gli Usa con i
vertici dell’Fbi e della Cia condannati, uno in primo grado l’altro in Appello, con motivi che a leggerli fanno
accapponare la pelle? Da noi accade.
In Italia succede che il Reparto destinato alle inchieste più delicate dei carabinieri sia in mano a un alto ufficiale (Giampaolo Ganzer) con 14 anni di
galera sul groppone per traffico di
droga: «Una personalità preoccupante in grado di commettere gravissimi reati». I magistrati ce lo dicono
giusto una settimana dopo aver definito l’attuale coordinatore dei Servizi segreti, l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, un mestatore deciso a
dribblare i tribunali, facendo mentire i sottoposti «per salvarsi» dallo
sfacelo del G8 di Genova. Altro processo in questo caso la condanna è a
un anno e quattro mesi per istigazione alla falsa testimonianza e spiegazione da brividi depositata il 17 dicembre.
«Io non me ne vado» dice oggi Ganzer, come ribadì De Gennaro il giorno
in cui i suoi avvocati uscirono malconci dall’aula. Cosa c’è che non quadra? Il denominatore comune è certo
il senso d’impunità (protezione) che
potrebbe aver pervaso molte azioni
dei servitori, incrinato a un certo
punto dal cedimento di qualche pesce piccolo. Così la vede chi li ha puniti, così racconta buona parte del profilo del militare finito nella polvere
(ma domani parteciperà, anomalie
tutte italiane, a un supervertice pugliese sulla criminalità organizzata,
seguendo pure in tempo reale gli aggiornamenti sulla strage di Vibo Valentia, ndr).
La storia va dunque riallacciata
agli anni ‘90, quando la smania di
Ganzer, allora guida della sezione antidroga del Ros, si sarebbe declinata
in un minestrone di abusi, ricatti, arricchimento personale, malaffare
diffuso. La legge permette ai suoi uomini di fare quel che vogliono e lui,
nello spazio di dieci anni, sale la scala
gerarchica alla velocità della luce: dal
Reparto investigativo all’Analisi,
quindi vicecomandante del Ros (subordinato al generale Mario Mori
che finirà nei guai per la trattativa
con la mafia, una maledizione), quindi capo assoluto nel 2001, l’anno in
cui ne resterà traccia pure al G8 del
capoluogo ligure. Ma com’è arrivato
così in alto? I giudici dicono oggi che
le maxiinchieste sarebbero state costruite spesso sulla carta. Che il suo
Raggruppamento addirittura organizzò compravendite milionarie, e
internazionali, di coca, schiacciando
a un certo punto la responsabilità sui
megaspacciatori più facilmente utilizzabili come trofei. Cosa succede
quando lo mettono sott’inchiesta?
Ganzer chiede d’essere trasferito a
Brescia, accanto all’ufficio del pm
che su di lui sta indagando. Certificando, come dire, una certa sicurezza
in se stesso e nei politici che gli decretano incondizionata fiducia (l’ultima
l’ha incassata ieri dal Pdl). Ma nessuno si stava accorgendo di quanto accadeva nella capitale? Quanto era
tranquillo, il generale più ambizioso?
«Io non me ne vado», insiste. È la
stessa frase che pronunciò il giorno
della condanna, il 12 luglio scorso. A
distanza di ventiquattr’ore scattò il
più grande, ed efficace, blitz che il Ros
abbia mai condotto sulla ’ndrangheta, trecento arresti, boss assortiti e il
capo di quei carabinieri di nuovo sull’altare. Ganzer resiste, De Gennaro
all’intelligence pure. In un posto dove nessuno si fa mai, garbatamente,
da parte se non altro per opportunità,
poi succedono cortocircuiti da film.