RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA -
La linea Manganelli "Tutti al loro posto fino alla Cassazione"
Roma, 20 maggio 2010
La linea Manganelli "Tutti al loro posto fino alla Cassazione"
La promessa: "Al lavoro per evitare errori"
Rinviato alla fine del processo il giudizio sulle scelte di ordine
pubblico di quei giorni
Inalterati dopo il verdetto i destini professionali dei tre imputati di
maggior peso
C´è piena fiducia nei magistrati Abbiamo imparato la lezione di Genova e
stiamo rispondendo con i fatti al Paese
CARLO BONINI
E ora? Quando è ancora primo pomeriggio, la domanda con cui il
Dipartimento di Pubblica Sicurezza si è risvegliato da una notte
complicata, convince il capo della Polizia Antonio Manganelli a offrire
una risposta. Che, a suo modo, svela cosa accadrà di qui in avanti e il
giudizio su ciò che è accaduto sino a ieri. E che a ben vedere traccia un
perimetro più accorto e articolato rispetto al segno politico delle prese
di posizione del ministro dell´Interno Roberto Maroni e del suo
sottosegretario Alfredo Mantovano. «Innanzitutto - dice Manganelli a "Repubblica" - voglio ribadire la nostra incondizionata fiducia e serenità
nel lavoro della magistratura. Così come la convinzione, valida ieri e a
maggior ragione oggi, che questa amministrazione, nelle sue scelte, debba
attenersi al rispetto del principio costituzionale che vuole un cittadino,
chiunque esso sia, innocente fino alla sentenza definitiva». Quindi, il
punto chiave: «Faccio questa premessa, che evidentemente non vuole essere
né una clausola di stile, né un escamotage per sfuggire al merito delle
questioni poste dal processo di Genova, perché ritengo la presunzione di "non colpevolezza" a maggior ragione cruciale in questa vicenda. Quello
che oggi vediamo, infatti, è che due diversi giudici di merito, posti di
fronte a un identico quadro probatorio, hanno raggiunto conclusioni
diametralmente opposte, quantomeno rispetto alla posizione di alcuni
imputati. Questo dimostra la complessità nella ricostruzione delle
responsabilità di quanto accaduto quella notte e la complessità dei fatti
che sono stati oggetto di accertamento. E tutto questo, lo ripeto, mi fa
allora dire che solo una sentenza definitiva della Cassazione ci
autorizzerà a tirare una linea definitiva su questa vicenda e ci
consentirà di prendere delle eventuali decisioni amministrative».
La sentenza di appello di Genova, dunque, lascia inalterati, quantomeno
fino alla sentenza di Cassazione, i destini professionali e il ruolo nel
Dipartimento dei tre imputati di maggior peso del processo. Gli allora
funzionari (e oggi dirigenti) responsabili della catena di comando nella
notte della Diaz. Quelli che hanno visto ribaltate in condanne le
assoluzioni di primo grado, dando così un nuovo giro e soprattutto un
nuovo segno alla vicenda processuale. Francesco Gratteri resterà alla
guida della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi continuerà
a dirigere il Servizio Centrale Operativo (Sco), Gianni Luperi, già
Ucigos, proseguirà nel suo lavoro all´Aisi, la nostra intelligence
domestica, dove è da tempo ormai transitato. Manganelli - lo abbiamo visto
- rivendica la scelta appellandosi a un dato non soltanto formale (nessun
provvedimento amministrativo prima di una pronuncia della Cassazione), ma
sostanziale quale la «perdurante incertezza nell´accertamento delle
responsabilità». E nel farlo, punta a un doppio risultato. Il primo: non
abbandonare al loro destino dirigenti sui quali, da capo della polizia, ha
scommesso e della cui innocenza è personalmente convinto. Il secondo: non
riaprire prima del tempo un eventuale redde rationem all´interno
dell´Amministrazione per la ferita mai rimarginata nel Paese del G8 di
Genova.
Manganelli è del resto assolutamente consapevole che di quei giorni del
luglio 2001 resta infatti un convitato di pietra, l´allora capo della
Polizia e oggi direttore del Dis (l´organismo di coordinamento e di
vertice dei nostri Servizi di intelligence) Gianni De Gennaro. E se è vero
che nel Dipartimento di Pubblica sicurezza di oggi siedono uomini che di
quella stagione ormai lontana nove anni non sono più l´espressione, è
altrettanto vero che quando il processo genovese troverà una sua
conclusione sarà inevitabile che il giudizio pubblico torni a interrogarsi
su quel nome. Sulle sue scelte di ordine pubblico che segnarono la vigilia
e i giorni del G8 di Genova. E non sarà un passaggio indolore.
Un anno e mezzo fa, il 16 novembre del 2008, all´indomani della sentenza
di primo grado di Genova per i fatti della Diaz, Manganelli, rispondendo a
una sollecitazione di "Repubblica", scrisse una lettera aperta a questo
giornale. «Credo anche io - si leggeva - che il Paese abbia bisogno di
spiegazioni su quel che realmente accadde a Genova. L´Istituzione,
attraverso di me, si muove e si muoverà a tal fine senza alcuna riserva,
non attraverso proclami via stampa, ma nelle sedi istituzionali e
costituzionali. Si muove, e si muoverà, inoltre, con i fatti. Abbiamo ai
vertici dei reparti, investigativi e operativi in genere, persone pulite.
Io sono il loro garante e mi assumo, come ho già fatto, la responsabilità
per gli errori che possano commettere. Sto scrivendo l´ultimo capitolo
della mia storia professionale e non lo macchierò certo per reticenza, per
viltà o per convenienza». Ebbene, oggi, Manganelli torna a ricordare
quelle parole per «ribadirle» e per «rivendicare la coerenza dei fatti che
ne sono seguiti». «Da più di un anno - dice - abbiamo per la prima volta
nella storia della Polizia una scuola dove si sta insegnando e
sedimentando una nuova cultura dell´ordine pubblico. Dove si mostrano
attraverso i video girati dai nostri operatori le buone ma anche le
cattive pratiche di governo della piazza, proprio perché gli errori non si
ripetano. Questo per me vuol dire aver imparato la lezione di Genova e
rispondere con i fatti al Paese, facendo il mio mestiere. Questo è il
motivo per cui continuerò ad attendere con serenità e fiducia che la
magistratura concluda il suo lavoro».