RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA -
La rabbia dopo la sentenza: mi dimetto ma una telefonata di Letta lo frena
Roma, 18 giugno 2010
La rabbia dopo la sentenza: mi dimetto ma una telefonata di Letta lo frena
La tentazione di lasciare il suo ruolo al Dipartimento Informazioni per la
Sicurezza
"L´ex capo della Polizia sente un obbligo morale con chi è ancora imputato
per il G8"
CARLO BONINI
E ora? Ora che farà Gianni De Gennaro? Alle due del pomeriggio di
ieri, quando la seconda sezione della Corte di appello di Genova pronuncia
la parola «colpevole», le parole che il direttore del Dis (Dipartimento
Informazioni per la Sicurezza) consegna al suo avvocato Franco Coppi
sembrano annunciare una decisione irrevocabile. «Io, adesso, saluto tutti
e me ne vado», dice. E in fondo, quello scatto racconta una verità.
L´assoluto stupore per una sentenza che capovolge l´assoluzione di primo
grado a fronte di un materiale probatorio rimasto immutato. L´insofferenza
di vedersi improvvisamente precipitato in una condizione di oggettiva
debolezza, tanto più insopportabile per un uomo che per indole e storia
professionale non è abituato al passo dell´anatra zoppa. La consapevolezza
che il restare al proprio posto macchiato da una sentenza di condanna, sia
pure non definitiva, possa essere letto non come l´ostinazione legittima
di chi si professa innocente, ma come la risposta cinica di chi intende
aspettare la sentenza definitiva forte del proprio ruolo e peso
istituzionali.
Epperò, De Gennaro non è uomo di pancia. E la voglia di sbattere la porta
si stempera prima nei consigli del professor Coppi («L´amarezza è
comprensibile, ma certe decisioni vanno prese con freddezza e soprattutto
valutando quali sono i presupposti. E qui i presupposti sono soltanto
quelli di una sentenza che mi appare sconcertante»), quindi nel volo che
lo riporta a metà pomeriggio nei suoi uffici in Largo di Santa Susanna,
dove si chiude protetto dal filtro della sua segreteria. Raccontano di un
affettuoso sms del capo della Polizia Antonio Manganelli. Di una
telefonata del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta,
che nel comunicargli la fiducia del governo (che, per altro, in serata
verrà manifestata pubblicamente e con accorta sincronia dal ministro
dell´Interno Roberto Maroni e da quello della Giustizia Angiolino Alfano)
deve comunque prendere atto di un «ragionamento» che annuncia una mossa
possibile (molti dicono «scontata, conoscendo l´uomo») delle prossime ore.
Mettere in ogni caso a disposizione del presidente del Consiglio il
proprio incarico perché così impongono la sensibilità istituzionale e la
necessità di sgomberare il campo dall´idea che il Dis possa o debba
diventare una prigione in cui attendere l´ultimo verdetto.
«Due anni fa non ho cercato la nomina a direttore del Dis. Mi è stato
chiesto e ho accettato per puro spirito di servizio. Il giorno in cui non
dovessero esserci più le condizioni, non resterò un minuto di più», ha
ripetuto spesso in attesa della sentenza d´appello Gianni De Gennaro. Oggi
– racconta chi gli è più vicino – a maggior ragione questo torna ad essere
vero. E se il governo, a cominciare dal presidente del Consiglio, non
sembra neppure prendere in esame la possibilità di provarsi di De Gennaro,
va anche detto che il passaggio dovrà comunque avere un suo momento
pubblico. Non basterà insomma una telefonata.
Al netto delle intenzioni (per altro non misteriose) di Palazzo Chigi, c´è
comunque un secondo argomento che lascia immaginare che Gianni De Gennaro
resterà al Dis. Che se dimissioni ci saranno, queste non usciranno dallo
stretto sentiero dell´opportunità e del galateo istituzionale di chi
ritiene che una fiducia del governo, a questo punto, vada pubblicamente
riconfermata. E questo secondo argomento è tutto nel modo in cui la
Polizia ha attraversato il deserto giudiziario per le vicende genovesi del
G8. All´indomani della notte del 19 luglio 2001 (l´irruzione nella Diaz),
De Gennaro, da capo della Polizia, scelse di non rimettere il proprio
incarico, di non deflettere da una linea (per altro confermata dal suo
successore Antonio Manganelli) che rimandava alle aule di giustizia non la
responsabilità della Polizia, ma quella, «eventuale», di suoi singoli
appartenenti per singoli episodi. De Gennaro spiegò che i poliziotti e non
la Polizia si sarebbero fatti processare. Che la presunzione di innocenza
fino all´ultimo grado di giudizio sarebbe valsa anche per chi indossava
un´uniforme. Di quella scelta di allora - per altro compiuta anche in
forza di solidissimi legami bipartisan in Parlamento che nel tempo ne
hanno fatto una «riserva della Repubblica» - De Gennaro, in questi nove
anni, è stato consapevole. Non l´ha mai dissimulata. Ne ha al contrario
spesso rivendicato «l´opportunità» e «la correttezza». A lungo ne ha
tratto dei vantaggi. Da qualche tempo comincia a pagarne dei costi. E
cambiare rotta oggi sarebbe complicato. «De Gennaro – rifletteva ieri
pomeriggio un alto dirigente del Viminale – ha continuato e continua a
sentire un obbligo morale con chi, come lui, è ancora imputato nei
processi del G8 e attende una sentenza definitiva. Escludo che possa mollare tutto ora. Perché De Gennaro è un uomo molto intelligente e
comprende quale effetto simbolico avrebbero le sue dimissioni sull´onda di
una sentenza come quella che ora lo condanna. Non l´ho mai visto prendere
una decisione spinto dal solo istinto. Non lo farà neanche questa volta».