PROCESSO AI 25 MANIFESTANTI - Le motivazioni
5. I reati contro l’ordine pubblico
I reati contro l’ordine pubblico
1. La dottrina distingue il concetto di “ordine pubblico generale”, costituito dall’ordine completo
interno ed esterno della collettività, che consente a questa di vivere e di prosperare, dall’ “ordine
pubblico” preso in considerazione dal diritto penale e precisamente nel titolo V del libro II, articoli
da 414 a 421 del codice penale.
Quest’ultimo ha il più ristretto significato di regolare e ordinato svolgimento della vita sociale, di
armonica e pacifica coesistenza dei cittadini sotto la sovranità dello Stato e del diritto, in primis
delle norme e delle libertà garantite dalla Costituzione.
In questo senso “ordine pubblico” è, secondo l’opinione tradizionale, sinonimo di “pace pubblica” e
nei cittadini corrisponde al senso della tranquillità e della sicurezza: ordre dans la rue.
Se tutti i reati producono un turbamento dell’ordine pubblico, quelli di questa parte del codice lo
danneggiano in modo diretto e immediato perché ne pongono in dubbio la stessa esistenza.
“Invero, i reati che rientrano nella categoria di cui parliamo ledono l’ordine pubblico non in qualche
suo speciale aspetto, ma in sé, menomandolo nella sua essenza; in essi difficilmente è dato rinvenire
una obiettività giuridica immediata e distinta dal pericolo sociale che cagionano: la lesione
dell’ordine pubblico, in altri termini, non è conseguenza di altra particolare violazione dell’ordine
giuridico, ma si delinea come un effetto a sé stante, che investe direttamente ed esclusivamente la
pace pubblica” (così la Relazione ministeriale al progetto del codice penale, vol. II, 202).
Oggi viene comunemente riconosciuto come il concetto tradizionale di ordine pubblico sia stato
profondamente modificato alla luce dei principi espressi dalla carta costituzionale del 1948.
Capovolgendo l’impostazione previgente, la Costituzione pone al centro dell’ordinamento (non lo
Stato bensì) la figura dell’uomo i cui diritti definiti come inviolabili vengono riconosciuti e garantiti
fin dai principi fondamentali (art. 2) e quella del cittadino, dei cui diritti e doveri si occupa la parte
prima.
L’ordinamento viene qui concepito in senso “dinamico” perché è volto a consentire al singolo di
“svolgere” la propria personalità non solo come singolo ma anche come parte integrante di
formazioni sociali a ciò finalizzate, fino a quella più ampia comunità alla quale appartiene la
sovranità.
Proprio il divenire del singolo all’interno della società costituisce la parte essenziale, il vero e
proprio “motore” della democrazia ed appare strumento idoneo a garantire appieno i diritti
inviolabili dell’uomo.
Tale divenire ha bisogno del confronto delle idee, della contrapposizione dialettica di diverse
posizioni “politiche”.
Su queste basi il concetto di “ordine pubblico” o pace sociale non può essere inteso quale mera
conservazione e tutela dell’esistente - concezione anche questa che astrattamente mira a garantire
una pace sociale - bensì deve essere inteso quale situazione idonea a favorire la pacifica evoluzione
dei cittadini e della società, paragonabile in ciò alla dinamicità dell’intero ordinamento previsto
dalla Costituzione.
La conseguenza è che se l’essenza della democrazia è la dialettica delle idee e quindi anche la
manifestazione del dissenso, quest’ultimo di per sé solo non può integrare al tempo stesso anche la
negazione dell’intero sistema sotto la specie della violazione della pace sociale o ordine pubblico.
Il concetto tradizionale di “pace pubblica” va dunque aggiornato nel segno dell’”equilibrio” e del
rispetto tra diverse posizioni giuridiche soggettive quali riconosciute e tutelate dall’ordinamento
democratico.
Per essere conformi ai principi ed alle libertà costituzionali le norme dedicate dal codice penale ai
reati contro l’ordine pubblico devono essere pertanto lette nel senso di punire solo quelle condotte
che pongano in concreto pericolo la pubblica tranquillità, suscitando violente reazioni contro
l’ordine pubblico (così la Corte Costituzionale, sentenza 23/4/1974 n. 108, in relazione alla
compatibilità della seconda parte dell’art. 415, pubblica istigazione all’odio tra le classi sociali, con
i principi costituzionali).
Si tratta, in altri termini, di condotte che devono essere idonee, per violenza, minaccia o insidiosità a
creare timore ed insicurezza nei cittadini, a violare il patto sociale fatto del reciproco
riconoscimento di diritti, a porre in dubbio l’esercizio di questi e con ciò della stessa “pacifica”
convivenza.
2. L’art. 419 del codice punisce i “fatti di devastazione e saccheggio” commessi fuori dalle ipotesi
previste dal precedente articolo 285, cioè non diretti allo scopo di attentare alla sicurezza dello
Stato.
Si tratta, considerata la pena edittale, di fatti gravi idonei a turbare il tranquillo e ordinato
andamento della vita sociale, l’ordine pubblico in senso stretto, ma non diretti né idonei a sovvertire
l’ordinamento giuridico statale.
Questo costituisce il limite “verso l’alto”, nella scala di gravità dei comportamenti punibili, della
fattispecie in questione: i fatti di cui all’art. 419 non pongono in dubbio i fondamenti né l’esistenza
dello Stato.
La natura fattuale delle ipotesi considerate le avvicina, “verso il basso”, ai più semplici reati di
danneggiamento e di furto dai quali però le distingue l’entità, l’intensità, la portata progressiva e la
complessità della manifestazione che le rende idonee a ingenerare nel pubblico un sentimento di
insicurezza (non individuale ma) collettiva, un turbamento profondo, durevole e diffuso che non si
verifica in occasione di singole violazioni dei precetti contenuti negli articoli 635 e 624 del codice
penale.
Il pericolo per l’ordine pubblico deve essere concreto per le modalità del fatto e non meramente
ipotetico ed è ravvisabile solo in condizioni di effettiva minaccia per la vita collettiva (Cass. sez. I
5/3/1990 n. 5166, Chiti).
Si tratta di un reato plurioffensivo perché bene giuridico tutelato è oltre all’ordine pubblico anche il
patrimonio.
Senza una grave, estesa, economicamente cospicua lesione del patrimonio non si possono infatti
ipotizzare né la devastazione né il saccheggio.
La giurisprudenza ritiene compresi tra i fatti di cui all’art. 419 c.p. anche quelli che hanno una
portata “locale” ed una manifestazione temporalmente limitata, come le violenze contro le Forze
dell’Ordine e le strutture di uno stadio in occasione di eventi sportivi (cfr. Cass. sez. 1 8/3/2001 n.
26830, Mazzotta e Cass. sez. 1 16/4/2004 n. 25104 P.M. in procedimento Marzano ed altri).
A maggior ragione vi rientrano fatti che sono tali da sconvolgere la vita dei cittadini, tali a volte da
“mettere in ginocchio” una città.
La diffusione sempre più veloce e capillare delle notizie e dell’allarme sociale non rappresenta un
elemento essenziale della fattispecie che sussiste anche se il turbamento della tranquillità sociale è
spazialmente circoscritto ad una realtà locale.
Per aversi “devastazione e saccheggio” è sufficiente che la vita di una città, a volte anche solo di
alcuni quartieri sia messa in dubbio nel suo scorrere quotidiano e comune, che i cittadini non
abbiano il coraggio di uscire di casa per non incontrare chi sta sistematicamente distruggendo e
depredando esercizi pubblici, uffici, arredi urbani, veicoli e tutto quanto incontra sul suo percorso.
Elemento distintivo dalle più lievi fattispecie di danneggiamento e di furto aggravati pare dunque
essere la sistematicità delle condotte, la reiterazione organizzata che porta a compiere atti lesivi
vasti e profondi, indiscriminatamente diretti contro tutto ciò che esiste in una data area.
Il turbamento dell’ordine pubblico si verifica evidentemente quando non si tratta di autori o di
azioni isolate, ma quando il numero degli agenti e degli episodi di danneggiamento e di furto, le
modalità violente di questi, i risultati quantitativi e qualitativi in termini di distruzione e di
depredazione appaiono cospicui (cfr. Cass. 25/1/1973 n. 4135, Azzaretto).
Questo rappresenta la sistematicità delle condotte: gli agenti fanno tabula rasa di quanto c’è loro
intorno e così generano insicurezza nei cittadini.
Per aversi devastazione e saccheggio non è sufficiente “sommare” aritmeticamente gli episodi di
danneggiamento e furto, ma è necessario che la loro considerazione unitaria produca,
geometricamente, un ulteriore risultato, il turbamento dell’ordine pubblico.
Questo si raggiunge quando le condotte appaiono ampie, gravi, plurisoggettive e sistematiche.
In un solo caso la Corte di Cassazione ha ritenuto di poter prescindere dalla pluralità degli agenti
così come dalla sistematicità delle condotte.
Si tratta della sentenza della Sezione I, 28/4/1983, Alunni con la quale è stato ritenuto che:
“L'esplosione di un ordigno ad alto potenziale dinanzi ad un edificio (nella specie, commissariato di p.s.) va qualificata come delitto di devastazione per la indiscriminata potenza distruttiva del mezzo impiegato e per la specifica lesione dell'ordine pubblico, quale bene giuridico tutelato dall'art. 419 c.p.”.
Con questa decisione la Corte ha inteso superare il requisito della pluralità dei “fatti” richiesto dalla
lettera della norma e lo ha fatto a causa della “indiscriminata potenza distruttiva del mezzo
impiegato”, cioè per l’ampiezza e la gravità delle conseguenze dannose che questo poteva
provocare, anche se in concreto era stato diretto contro un unico obbiettivo, nel caso di specie
l’edificio che ospitava il Commissariato di P.S..
L’orientamento della Corte proprio perché supera il dettato letterale della norma appare costituire
eccezione rispetto alle altre pronunce e richiede, prima di poter trovare applicazione nel singolo
caso concreto, la puntuale verifica della effettiva misura del turbamento dell’ordine pubblico
indotto da una singola condotta.
Secondo alcuni autori sarebbe necessaria anche l’eccezionalità delle condizioni generali in cui viene
tenuta la condotta de qua e questi reati sarebbero ipotizzabili in situazioni di guerra o quando si
verifica un terremoto o un’altra calamità naturale.
Questo dato non sembra attenere agli elementi costitutivi della fattispecie, perché una situazione
eccezionale può fondare solo la oggettiva difficoltà di intervento da parte di chi ha il compito di
mantenere o a posteriori di ripristinare l’ordine pubblico.
Quest’ultimo però rappresenta l’in sé della civile convivenza, qualcosa che esiste, deve esistere a
prescindere dalla presenza o dalla facile raggiungibilità di un ufficio locale di Polizia.
Va ricordato infatti come le attribuzioni dell’autorità locale di sicurezza pubblica siano esercitate
dal capo dell’ufficio di pubblica sicurezza del luogo o, in mancanza, dal sindaco (art. 1 comma 4
R.D. 18/6/1931 n. 773), quindi l’ordine pubblico esiste e può essere turbato anche se in loco non vi
è un presidio di polizia.
L’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, consistente nella consapevolezza di porre in
essere fatti che superano la gravità ordinaria del delitto che lo costituisce (danneggiamento),
involgendo l’ordine pubblico (Cass. sez. 1 8/3/2001 n. 26830, Mazzotta).
La violazione dell’ordine pubblico non fa parte degli elementi costitutivi del reato, ma ne
costituisce una conseguenza per così dire necessaria.
Infatti per potersi dire raggiunti gli estremi oggettivi della devastazione e del saccheggio è
necessario che i sottostanti fatti di danneggiamento e di furto raggiungano una complessità,
un’entità, un’intensità ed una portata tali da porsi come minaccia rispetto all’ordine pubblico, da
rendere cioè inevitabile il sorgere in quella situazione concreta di un problema di civile convivenza.
Prefigurarsi e volere fatti di devastazione e di saccheggio non può allora prescindere dalla
consapevolezza della portata delle proprie condotte, quindi dell’allarme sociale provocato, anche se
l’agente non è direttamente o indirettamente interessato a mettere in pericolo l’ordine pubblico.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 419 c.p. il delitto è aggravato se il fatto è commesso su armi o
viveri esistenti in luoghi di vendita o di deposito.
La definizione di ordine pubblico quale pace sociale nell’equilibrio dei diritti garantiti
dall’ordinamento consente di formulare un corollario, che come si vedrà appare di un certo rilievo
nella ricostruzione e nella conseguente valutazione dei fatti oggetto di indagine.
L’ordine pubblico è per così dire lo “stato normale” della civile convivenza, se ne avverte la
mancanza solo quando esso viene turbato da condotte di tipo positivo che lo mettono in pericolo.
In quanto “stato” l’ordine pubblico una volta turbato viene ristabilito in due modi diametralmente
opposti tra loro il primo dei quali è certamente attivo e si verifica quando lo Stato tramite le Forze
dell’Ordine occupa nuovamente la zona in pericolo ad esempio allontanando un gruppo di
devastatori.
Il secondo modo per ristabilire l’ordine pubblico è invece di tipo passivo e si verifica
spontaneamente quando cessa la causa stessa del turbamento.
Tornando all’esempio di cui sopra si può dire che l’ordine pubblico si ristabilisce da solo senza
l’intervento ripristinatore quando i devastatori si allontanano abbandonando la zona devastata.
Ciò che questi ultimi lasciano dietro di sé non è più l’attualità del fatto ma solo i suoi effetti
materiali e morali, effetti che vengono progressivamente rimossi man mano che i cittadini si
riappropriano degli spazi e torna lo stato di normalità.
Questa “normalità” coincide ovviamente con l’ordinato esercizio dei diritti dei cittadini.
Si tratta non solo dei diritti connessi alla libertà di movimento, a quelli all’incolumità fisica o anche
alla proprietà fino a poco prima messi in pericolo dalla situazione di turbamento dell’ordine
pubblico.
Si tratta anche dei diritti politici, il cui esercizio può essere individuale o collettivo.
Pertanto se in una data area devastata, dopo che i devastatori l’hanno abbandonata, ma prima di un
intervento delle Forze dell’Ordine, vi entrano altre persone che, pacificamente, esercitano un diritto
costituzionalmente garantito quale ad esempio quello di riunione e di manifestazione del pensiero,
si deve concludere che ciò solo basti a far ritenere ristabilito l’ordine pubblico.
Come si vedrà, a Genova nei giorni del Vertice G8 si sono verificati in diverse occasioni gli estremi
costitutivi del delitto contestato.