PROCESSO DIAZ - La sentenza
13.9 Ricostruzione dei fatti > > > > > > > > > | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 |
Irruzione nella scuola Pascoli
Dalla deposizione del M.llo Russo, che eseguì un sopralluogo nel corso delle indagini, e da numerose testimonianze di persone che frequentarono la scuola Pascoli nei giorni del vertice G8 emerge come venne utilizzato tale edificio, concesso dal Comune al Genoa Social Forum.
Al piano seminterrato aveva sede, nella palestra, la sala stampa, mentre il piano terra (in realtà sopraelevato rispetto alla strada) non era stato utilizzato, perché costituito in prevalenza da locali attigui alla sottostante palestra. Al primo piano erano situati l’infermeria, di fronte all’ascensore, e lungo il corridoio, le aule ove erano sistemati il Mediacenter, sede della redazione dei giornali e della carta stampata, nonché la sala avvocati. Al secondo piano erano collocati gli uffici di Radio Gap e la redazione de “Il Manifesto”, “Carta”, “Liberazione”. Al terzo piano aveva sede Indymedia.
Nella notte tra il 21 ed il 22 luglio 2001 l’ingresso delle forze dell’ordine all’interno della Scuola Pascoli ebbe luogo poco dopo l’irruzione nella Scuola Pertini, come emerge dalle deposizioni dei vari testimoni, ospiti della prima scuola, che dapprima sentirono rumori e grida provenienti dalla strada, assistettero dalle finestre all’avanzare della Polizia e infine si avvidero che questa era entrata anche nella Pascoli.
Gli operatori della Polizia di Stato che si diressero verso l’edifico Pascoli appartenevano alla Digos di Genova ed a Squadre Mobili di diversa provenienza, per cui molti di loro non si conoscevano. Taluni inoltre erano in borghese e privi di segni di riconoscimento. I testi occupanti la scuola hanno infatti descritto poliziotti in uniforme, poliziotti riconoscibili dalla pettorina con la scritta “Polizia di Stato”, poliziotti muniti di casco e fazzoletto, poliziotti armati di manganelli ed infine poliziotti in abiti civili.
Il teste dr. Salvemini, che svolse indagini successive, accertò che alcuni uomini appartenevano alla Squadra Mobile: otto di Genova al comando del dr. Dominici, venti di Roma al comando del dr. Di Bernardini, quattro di La Spezia al comando del dr. Ferri, sette di Nuoro al comando del dr. Gava. Otto facevano parte del Reparto Prevenzione Crimine Calabria al comando del dr. Fabbrocini, almeno cinque della DIGOS di Genova. Questi ultimi vestivano in borghese, gli appartenenti alle Squadre Mobili indossavano la pettorina con la scritta Polizia sugli abiti civili, gli altri erano in divisa atlantica con cinturone nero, giubbotto di Gore-Tex, casco, manganello. I funzionari non indossavano uniforme.
La teste Mascia [59] ha riferito che, quando riuscì ad introdursi nella scuola per protestare contro l’irruzione ed invitare la Polizia ad allontanarsi, chiese di parlare con il responsabile dell’operazione. Conferì dunque con una persona in borghese, che non si presentò, ma che doveva essere il dr. Gava, come riferito dagli agenti, Galistu Tonino, Bellu Massimiliano, Mannu Antonio, Mele Salvatore, che erano sotto il suo comando.
Dalle loro concordi testimonianze [60] emerge che il gruppo entrò per ultimo, insieme col suo comandante, al seguito di altri colleghi. Non incontrò ostacoli, proprio perché gli eventuali impedimenti erano stati rimossi da chi era entrato prima. Ai piani inferiori erano già presenti altri colleghi, per cui gli appartenenti alla Squadra Mobile di Nuoro salirono sino al secondo piano, ove trovarono alcune persone (una quarantina). Alla richiesta di talune del motivo della loro visita, risposero che avrebbero eseguito una perquisizione.
Alberti Massimo, Galeazzi Lorenzo, Salvati Marino, Curcio Anna, Clementoni Francesca, Podobnich Gabriella, Morando Daniela, redattori, e Gallo Alessandra, traduttrice [61], si trovavano nella stanza di Radio GAP, al secondo piano,ove si erano radunati nel timore dell’irruzione della Polizia, trasportandovi i propri oggetti, dopo avere visto dalle finestre la Polizia avanzare in via Cesare Battisti e sfondare il cancello della scuola Pertini. Qualcuno, impaurito, aveva accatastato banchi e sedie dinanzi alla porta di quell’aula. Sentirono rumore di oggetti che cadevano, quindi irruppero nella stanza alcuni poliziotti con viso coperto da fazzoletti, forse in uniforme, armati di manganelli che brandivano. La Morando ha raccontato che colpivano i banchi, spaventando i presenti.
Secondo la Curcio non diedero spiegazioni: intimarono di stare fermi, abbassare le tende, non avvicinarsi alle finestre, preparare i documenti. La Clementoni afferma che annunziarono una perquisizione e risposero che non occorreva un “mandato”. Anche Salvati rammenta che fu chiesto se ne fossero muniti, ma un agente rispose di non preoccuparsi e se ne andò. Tornarono i suoi colleghi, chiesero i documenti, che non guardarono neppure – come ricorda anche Alberti, fecero un controllo rapido degli zaini e si allontanarono. Galeazzi ha dichiarato invece che un poliziotto si tolse il casco e raccomandò di stare tranquilli. Nel frattempo - riferisce la Curcio - fu permesso l’uso del telefono, per cui vennero contattati parlamentari ed avvocati.
La trasmissione radiofonica in corso proseguì, salvo una breve interruzione, ma venne cambiato il programma, essendosi presentata la necessità di riferire in diretta gli accadimenti di quella notte. I poliziotti si allontanarono senza dire nulla, dopo l’arrivo della parlamentare Mascia.
I testi appartenenti alla Polizia di Stato negano che una perquisizione sia avvenuta ed infatti non vennero neanche compiuti gli atti prodromici di identificazione dei presenti, tramite l’esame dei loro documenti. Costoro furono invitati a sedersi (testimonianza Bellu e Mannu) o forse lo fecero spontaneamente (testimonianza Gallistu). Avevano libertà di movimento, tanto che fu consentito che si recassero in bagno e telefonassero, ma vennero richiesti di attendere per allontanarsi.
I testi suddetti hanno dichiarato che l’obbiettivo dell’operazione di polizia, sommariamente indicato dal dr. Gava prima della partenza, era l’individuazione all’interno di una scuola di pericolosi sovversivi, autori di disordini a Genova durante le manifestazioni anti G8 nei giorni e nelle ore precedenti. Non era stato dal funzionario specificato il nome dell’edificio, che non avrebbero saputo comunque individuare, perché non conoscevano la città. Erano stati accompagnati sul posto dalla locale Questura (dr. Domicini della Squadra Mobile e personale della Digos) ed avevano seguito gli altri colleghi che stavano entrando in quella struttura. Nel buio e nella confusione di quella notte taluno non si era neppure accorto (Mannu) dell’altro edificio scolastico che sorgeva di fronte e si trovò alla Pascoli, senza compiere alcuna scelta né eseguire un ordine preciso.
Si deve altresì sottolineare che sulla targa marmorea affissa all’ingresso della Pascoli era scritto “Scuola Elementare di Stato Armando Diaz”, mentre il nome Pascoli era del tutto ignorato, come risulta dall’ingrandimento della foto n. 9, scattata dai CC.
Hanno spiegato ancora i predetti testi che non procedettero a perquisizione e restarono in attesa di disposizioni, poiché nell’edificio non trovarono alcun elemento che inducesse a sospettare la presenza delle persone pericolose che avrebbero dovuto cercare. Hanno più volte ribadito che la situazione era “tranquillissima”. I presenti stavano mangiando e continuarono a farlo. I poliziotti ricordano un pentolone ove era stata preparata la pasta e persone che la consumavano, utilizzando sedie di legno della scuola come piatti. Riscontro di questa cronaca - definita invece dal PM un irreale, perciò non credibile, momento conviviale - è offerto dai filmati (Rep. 192. 20 p III min. 8,40 – estratto) che ritraggono giovani per nulla spaventati, sorridenti e dialoganti fra loro, nonché dalle dichiarazioni rese dal teste Hayton William circa una pentola di pasta che la polizia offriva. Né vi sarebbe stata ragione – se davvero le Forze dell’Ordine avessero seminato il panico all’interno della Pascoli – di nascondere la prepotenza della Polizia e la paura appena vissute, ma logico e umano sarebbe stato informare direttamente e nell’immediatezza la troupe televisiva, con la certezza della massima diffusione della notizia sui soprusi patiti.
La Polizia consentì infatti l’accesso alla Pascoli al giornalista del TG3 Chartroux [62], il quale, ricevuta una telefonata allarmante da Manolo Luppichini, ospite della Pascoli, aveva interrotto la cena e vi si era precipitato nel termine di un quarto d’ora con gli operatori Cangemi e Alfieri. Il teste visitò il piano terra e quelli superiori. Notò gran confusione, “evidenti segni di una attività che aveva provocato rovesciamento, caduta, rottura di varie cose”, computer a terra, computer e dischi “fracassati”. Una giovane chiese ai giornalisti RAI di non allontanarsi, convinta che potessero dare protezione. Chartroux ha tuttavia dichiarato che non assistette ad atti di coercizione ad opera delle Forze dell’Ordine. A nessuno vietarono, al suo cospetto, di muoversi; i presenti erano seduti lungo il corridoio, non sembravano soddisfatti di trovarsi in quella posizione, ma non veniva loro intimato di non muoversi. Fu permesso di parlare con la troupe della RAI.
Fra le persone che si trovavano al secondo piano, soltanto il teste Fletzer [63], giornalista pubblicista, in quei giorni collaboratore de “Il Manifesto”, ha dichiarato di essere stato vittima della violenza della Polizia. Si era portato in una stanza all’inizio delle scale, erano quindi arrivati i poliziotti, che, rimasti indifferenti dinanzi al cartellino ed alla casacca gialla, in dotazione ai giornalisti, che indossava in quei giorni, gli lanciarono una panca sul capo e lo colpirono con i manganelli, gettandolo a terra. Il cellulare cadde e si aprì, ma Fletzer riuscì a ricomporlo ed a proseguire le concitate conversazioni con i vari interlocutori, fra cui il presidente dell’Ordine dei giornalisti di Genova, Lugli, ed altre persone cui raccontava quanto stava accadendo. Il giornalista venne nuovamente colpito dagli stessi uomini in divisa blu scuro.
In ordine a tali violenze non è stata formulata alcuna imputazione, perché gli autori non furono identificati.
Il dr. Gava non indossava uniforme e non vi è prova che abbia in qualche modo partecipato o assistito a quella condotta illecita.
Gli appartenenti alla Squadra Mobile di Nuoro, secondo quanto riferito dai testi, si trattennero all’interno della scuola Pascoli dai quindici ai trenta - quaranta minuti; nessuno di tali testi può essere preciso in proposito, perché la risposta è basata sulle impressioni del momento e sul ricordo di tanti anni dopo. Non fu comunque un tempo troppo lungo, né venne avvertito dagli ospiti come tale.
Si presentò infine l’on. Mascia ed il dr. Gava, dopo aver conferito con lei, chiamò i suoi sottoposti, ordinando loro di allontanarsi. Il gruppo scese ed uscì dalla scuola, notando la presenza di colleghi agli altri piani.
Il dott. Gratteri ha dichiarato che si accorse della presenza di appartenenti alla Polizia di Stato nella Pascoli, edificio non interessato all’operazione di perquisizione, dunque invitò il dr. Ferri ad entrarvi per richiamarli. Gava conferma questa versione dei fatti.
Anche gli Isp. Sascaro [64] e Apicella [65] della Digos di Genova hanno reso testimonianza che avvalora la tesi difensiva dell’errore di obiettivo. In ogni caso il dr. Gava diede ordine di lasciare l’edificio ed uscì con i suoi uomini.
Secondo le testimonianze rese da coloro che si trovavano al secondo piano, in effetti non vi fu compiuto alcun atto riconducibile neppure ad un “perquisizione embrionale”, per usare la terminologia del PM: non soltanto le persone non vennero identificate, ma nulla fu cercato e nulla fu spostato. Il dr. Gava non si mosse da quel piano, non salì a quello superiore.
Nemmeno negli altri piani fu eseguita alcuna perquisizione in senso proprio, nonostante la condotta non conforme ai doveri istituzionali da parte di alcuni appartenenti alla Polizia di Stato, descritta da alcuni testimoni.
Campbell filmò il pestaggio di Mark Covell e l’irruzione della Polizia nella Pertini dal terrazzo, al quarto piano della Pascoli. Poi, nel timore di essere sorpreso dalla Polizia, interruppe la ripresa e scese due piani. Quando vide un poliziotto e capì che le Forze dell’Ordine erano entrate anche nella Pascoli, corse velocemente verso il terrazzo, urlando che c’era la Polizia. Si rifugiò, insieme alla collega Marion, in uno sgabuzzino sul tetto; attraverso una finestrella continuò la ripresa filmata. Uscì quando la situazione si era normalizzata ed intervistò alcuni “sopravvissuti”.
L’ingresso della Polizia viene descritto, tra gli altri dai testi Brusetti [66] e Pavarini [67].
I poliziotti vestivano uniforme da ordine pubblico, erano muniti di caschi e manganelli. Furono seguiti da altri che indossavano la pettorina. I primi arrivati non risposero neppure ad un giovane che chiedeva se fossero muniti di “mandato”. Brusetti venne colpito. Tutti i presenti dovettero stendersi a terra con le mani dietro alla nuca. Gli autori di tali violenze non sono stati identificati ed il PM non ha elevato contestazioni in merito.
Nell’infermeria del primo piano si trovavano il dr. Cordano, il dr. Costantino e le infermiere Battifora, Bianchi e Schiavo. Costoro, mentre si allarmavano per i rumori di plastica e vetri infranti che sentivano, videro entrare un poliziotto con casco e manganello. Costui chiese loro chi fossero; risposero “medici”. L’agente si fece consegnare i documenti e li portò con sé, uscendo dalla stanza. Rientrò, raccomandando di tenere le finestre chiuse per il pericolo che entrassero gas lacrimogeni. Arrivò poi una poliziotta bionda con un collega, che chiese al medico di seguirlo per dare soccorso. Nella palestra il dr. Costantini trovò due giovani che erano stati colpiti.
Diversa fu invece la condotta tenuta da appartenenti alla Polizia di Stato nei locali in uso al Mediacenter ed agli avvocati, sempre al primo piano della Pascoli.
Bria Francesca racconta che, mentre assisteva dalla finestra all’avanzata della Polizia verso la Pertini, sentì rumori provenire dal basso, poi irruppero alcuni poliziotti, taluni in uniforme, altri in borghese con pettorine. Urlavano: “Giù per terra! faccia a terra!”. La teste li vide rompere un computer e colpirne altri. Fu percossa con un manganello. I presenti vennero poi condotti nel corridoio ed obbligati a rivolgersi verso il muro. Dopo una decina di minuti fu ordinato di sedersi per terra. Arrivarono infine gli On. Mascia e Morgantini che protestarono, chiedendo se la Polizia fosse autorizzata ad entrare nella scuola.
Stesso racconto ha reso Galvan Fabrizio, il quale fu colpito da una cassa acustica, mentre i poliziotti sfasciavano i computer, e Lenzi Stefano, il quale non trovò più il suo telefono, quando rientrò nell’aula. Più drammatica è la ricostruzione dei fatti di Minisci Alessandro, perché, oltre a descrivere con maggiori dettagli i gesti di devastazione che attribuisce ad un numero da cinque a otto poliziotti, dichiara che essi chiedevano urlando dove fossero armi e droga. Riferisce inoltre di un colpo inferto da uno di loro ad un giovane. Minisci stesso venne schiaffeggiato da un poliziotto.
All’On. Morgantini, che si trovava sempre al primo piano, fu consentito di telefonare. Quando uscì nel corridoio vide giovani in ginocchio rivolti verso il muro. Si recò nella stanza dei legali ove notò che tutti i computer sulla sinistra erano rotti.
Appartenenti alla Polizia di Stato salirono anche al terzo piano, ove aveva sede Indymedia. Dinanzi alla porta a vetri, posta sul pianerottolo della scale, erano stati accatastati alcuni banchi. Ai presenti fu ordinato di sedersi per terra lungo il corridoio. Hanno reso testimonianza in merito: Trotta Marco, Hayton Willliam, Neslen Arthur, Campbell Hamish, Luppichini Manolo, Valenti Matteo, Plumecke Tino, Forte Mauro, Messuti Raffaele, Testoni Laura, Halbroth Anneke, Huth Andreas.
Trotta si stava dirigendo verso la scuola Pertini, quando si rese conto dell’arrivo della Polizia. Si allarmò e tornò precipitosamente alla Pascoli; raggiunse il terzo piano, ove dialogò con persone che vi aveva conosciuto in quei giorni o con le quali aveva lavorato. Ebbe il tempo di sistemare un microfono ed attivare una telecamera, mentre sentiva la Polizia rimuovere gli ostacoli dinanzi alla porta, fra cui – secondo Trotta – anche un armadio, su cui i poliziotti battevano con i manganelli. Quando entrarono, intimarono ai presenti di disporsi nel corridoio con le parole: “Tutti a terra!”. Zittivano chi ne chiedeva la ragione, osservando di essere giornalista. In particolare uno di loro puntò il manganello contro un giovane, di cui successivamente il teste apprese il nome: Huth Andreas. Alle sue proteste, lo portò via. Perquisirono le aule, raccogliendo materiale in scatoloni che lasciarono nel corridoio. Arrivò una persona che interloquì arditamente con loro e quindi abbandonarono il terzo piano, lasciando i locali in disordine. C’erano cavi staccati, carte per terra, oggetti rovesciati, ma non danneggiati. Trotta ritrovò la sua telecamera, ma la videocassetta che aveva montato era sparita.
Ha raccontato Hayton che, colto dal panico, scese forse al primo piano, ove vide la Polizia trattare bruscamente alcune persone e colpire con un manganello una che protestava. Preferì tornare al terzo per rifugiarsi in un’aula da cui telefonare alla BBC, ma venne interrotto da un poliziotto, il quale gli intimò di non usare il telefono. Ai presenti fu ordinato di disporsi lungo il corridoio. Hayton pensa di essere rimasto con le mani appoggiate al muro per circa un quarto d’ora. Il collega Neslen protestò, fu picchiato con un manganello e portato via, furono inutili le rimostranze dell’Hayton.
Neslen dal terzo scese al piano terra, ove alcune persone avevano barricato la porta. Qualcuno gli suggerì di risalire per avvertire gli altri di mantenere la calma. Forse fra il primo e il secondo piano vide giovani nel corridoio in ginocchio e poliziotti che alzavano manganelli, senza colpirli. Raggiunse il terzo piano, la cui porta era stata barricata con un tavolo, che la Polizia gettò di lato con ira. Gli fu ordinato di disporsi con gli altri lungo il corridoio rivolto al muro con le mani alzate. I poliziotti si aggiravano nelle aule, prendendo oggetti. Neslen cercò di confortare una giovane colta da crisi d’asma, ma fu redarguito dall’urlo di un poliziotto che lo prese per il collo e lo trascinò lungo le scale. Lo colpì al fianco col manganello. Alla domanda del perché, Neslen fu nuovamente colpito.
Luppichini e Valenti erano nella sala video del terzo piano con Raffaele Vizzuti, Andrea Masu e Sara Menafra, giornalista del Manifesto, quando videro la Polizia arrivare in via Battisti, sfondare il cancello della Pertini, colpire le persone. Effettuarono riprese filmate, che dovettero interrompere, quando arrivò la Polizia nella Pascoli. Nascosero le telecamere, mentre sentivano rumore di oggetti rotti provenienti dai piani inferiori. La Polizia raggiunse il terzo piano, intimò loro di uscire nel corridoio e sedersi per terra. Quando si allontanò, Valenti rientrò nella stanza, ritrovò la sua telecamera priva della videocassette contenente le riprese filmate. Non ebbe notizia del sequestro. Riconobbe la videocassetta come propria durante le indagini preliminari.
Forte e Messuti videro poliziotti che portavano alcune videocassette. Forte ricorda che uno di loro rinvenne un foglio contenente nomi e numeri di telefono, che alcuni avevano tentato di bruciare ed avevano gettato nel water. Secondo questo teste gli ostacoli davanti alla porta sarebbero stati rimossi, prima dell’arrivo della Polizia, da coloro i quali li avevano posti, perché si resero conto della loro inutilità.
La teste Halbroth ebbe l’impressione che la Polizia portasse via videocamere o macchine fotografiche nonché un pittoresco casco disegnato e munito di un sostegno per una luce.
Gli agenti Bassani, Pantanella e Garbati della Digos di Genova – come spiegarono durante le indagini al dr. Gonan – videro dalla strada qualcuno che filmava dall’interno della Pascoli e salirono senza riuscire ad identificarlo. Presero peraltro in consegna i filmati, che portarono in Questura e consegnarono a loro colleghi insieme ad altro materiale; successivamente venne redatta una relazione in proposito [68].
Plumecke [69] e Huth [70] erano insieme in una stanza al terzo piano e stavano seguendo alla finestra quanto accadeva in via Battisti, quando li toccò ad una spalla un poliziotto, armato di manganello, ordinando di andare in corridoio con atteggiamento minaccioso, in particolar modo nei confronti del giovane che era con loro, perché si era girato di scatto. Vi trovarono persone stese, sedute e inginocchiate per terra. Ricevettero l’ordine di mettersi in questa posizione ed Huth reagì, osservando che erano giornalisti. L’altro lo minacciò col manganello, pronunciando parole in lingua italiana. Sopraggiunse un altro poliziotto, che sembrava impartire ordini ai colleghi, più anziano (di circa cinquant’anni), capelli grigi e barba di qualche giorno, che indossava jeans e pettorina. Costui afferrò Huth, lo colpì tre volte al viso, pronunciò parole di minaccia, lo spinse verso le scale, gli torse un braccio provocandogli dolore, lo costrinse in un angolo appartato dove nessuno poteva vedere, lo scosse e gli strappò la pettorina gialla. Infine lo condusse nel seminterrato, ove lo obbligò ad inginocchiarsi e si allontanò. Huth si rialzò, quando un altro poliziotto che sorvegliava andò via. Ritrovò l’amico Plumecke e gli raccontò l’accaduto.
Moser Nadine [72], quando si trovava al terzo piano nel corridoio, notò il poliziotto più anziano portare via Huth, premeva con la propria mano la testa del giovane e scomparvero verso le scale.
Le indagini volte all’identificazione dell’appartenente alla Polizia di Stato, autore delle percosse nei confronti di Huth, portarono alla sua identificazione. La prima ricognizione fotografica non ebbe effetto positivo, poiché il teste soffermò la sua attenzione sulle fotografie n. 56, 59 e 60 del fascicolo, che ne conteneva duecentonovantadue. Quelle che indicò effigiavano tre diverse persone. Tale esito è tuttavia del tutto giustificato, poiché al teste furono mostrate fotografie di epoca assai risalente. Nel corso della ricognizione successiva, eseguita invece su fotografie polaroid più recenti, Huth indicò con certezza Fazio Luigi. La ricognizione di persona, eseguita con le forme dell’incidente probatorio, ha dato altresì esito assolutamente positivo, poiché il riconoscimento da parte della persona offesa è stato del tutto certo.
Atti di turbolenza avvennero altresì nella stanza avvocati del primo piano ed isolatamente altrove ebbero luogo anche condotte violente nei confronti delle persone presenti nell’edificio scolastico.
Le immagini su fotografie e video costituiscono ulteriore conferma dei danneggiamenti alle apparecchiature informatiche. La dr.ssa Spagnolli, dirigente del Comune di Genova, ha dichiarato che furono acquistate dall’ente pubblico al prezzo complessivo di circa 500 milioni; vennero collocate a disposizione del GSF all’interno della scuola elementare, consegnata ad un suo rappresentante, Brusetti Ronny. Tale testimone ha confermato di aver preso in consegna l’edificio scolastico e quanto conteneva, in assenza di rappresentanti del GSF. Per tale motivo se ne sentiva moralmente responsabile e non si allontanò mai, se non per un’ora il sabato 21 luglio. La domenica successiva a mezzogiorno il funzionario comunale suddetto si recò nella scuola Pascoli per prenderne visione e riscontrò che i computer in funzione al primo piano erano stati gravemente danneggiati: sembrava fossero stati colpiti “a randellate”. Decise di trasferire in giornata le apparecchiature ancora recuperabili e custodirle altrove; la sera della domenica alcuni tecnici del Comune si recarono dunque per il ritiro. Costoro la contattarono dalla scuola per telefono, allo scopo di informarla della richiesta di non provvedere proveniente da persone presenti, qualificatesi come avvocati. Ma la dr.ssa Spagnolli non poté modificare la sua decisione, in quanto la consegna era scaduta alla mezzanotte, al termine del vertice, e la scuola risultava abbandonata dal GSF.
Non sono state identificate le persone fisiche autrici degli atti vandalici sul materiale informatico, compiuti soltanto nella sala avvocati del primo piano della scuola Pascoli. Benché alcuni testimoni abbiano riferito di avere sentito o anche visto appartenenti alla Polizia di Stato accanirsi su tali apparecchiature e quindi possa ritenersi che almeno qualche gesto sia loro attribuibile, si può dubitare che una programmata attività di distruzione e soprattutto di asportazione di pezzi possa essere ricondotta soltanto alla brutale e dissennata azione dei poliziotti. La rimozione degli hard - disk è infatti un’operazione che richiede competenza, attrezzi idonei e tempo sufficienti e non può avvenire semplicemente distruggendo il “case”. Non si comprende inoltre perché la violenza distruttiva si sia accanita proprio e solo sui computer in uso agli avvocati, nella cui memoria è presumibile fossero immagazzinati dati delicati, che le Forze dell’Ordine, impegnate nella ricerca di pericolosi sovversivi, non avrebbero invece avuto interesse a sopprimere.
Va anche osservato che il danneggiamento dei soli computer in uso ai legali, mentre altri posti sul lato opposto della stessa sala rimasero intatti, non trova spiegazioni certe. Diverse sono le ipotesi che è possibile formulare in proposito, ma nessuna confortata dai necessari elementi probatori.
Certo è che se da un lato potrebbe essere evidente l’interesse delle forze dell’ordine a recuperare i dati raccolti dai legali è altrettanto evidente l’interesse di questi ultimi o comunque di coloro che si trovavano nella Pascoli a impedirne il rilevamento.
Resta dunque il dubbio che semplici agenti o sottufficiali di Polizia abbiano potuto repentinamente e precipitosamente procurare tutti i danni riscontrati al materiale informatico ovvero impossessarsi degli hard – disk, anche tenuto presente che ben difficilmente avrebbero potuto sapere quali fossero i computer in uso ai legali.
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[59] “ … Ci recammo in macchina sul posto; lasciata la macchina ci avvicinammo a piedi; vi era una gran confusione ed una tensione altissima; Mantovani e Nesci si avviarono alla Pertini ed io e Giacomo Conti ci recammo nella scuola Pascoli … salii le scale di corsa mostrando il tesserino rosso da parlamentare; vi erano molti poliziotti che andavano avanti e indietro; cercai di parlare con qualcuno che mi potesse dire chi aveva la responsabilità dell’operazione. Un poliziotto mi si presentò, invitandomi a parlare ed io gli chiesi i motivi dell’operazione senza ottenere risposte; gli dissi quindi di uscire dalla scuola perché non vi era alcuna ragione per restarvi. Dopo circa un quarto d’ora la polizia si allontanò”.
[60] Galistu Tonino: “… All’epoca ero distaccato a Genova alle dipendenze del dr. Gava. La sera del sabato il dr. Gava ci chiamò dicendoci che vi era un servizio da effettuare. Dalla Questura ci recammo alla Pascoli. Io non conoscevo i luoghi e le scuole; soltanto successivamente seppi che la scuola in cui eravamo entrati era la Pascoli. Seguimmo le auto degli altri colleghi. Eravamo in sette. Entrammo nella scuola al seguito dei colleghi; salimmo al secondo piano perché nei primi vi erano già altri colleghi. Il nostro compito per quanto ne sapevamo era di cercare le persone che avevano determinato i disordini dei giorni precedenti. Tutte le persone al secondo piano erano tranquillissime, continuarono a cenare. Successivamente arrivò una euro parlamentare e poi il dr. Gava ci disse di andare via. Non vidi effettuare alcun atto di perquisizione, né violenze. Il dr. Gava ci inviò poi all’ospedale per identificare i feriti provenienti dalle scuole. Nelle aule non vidi oggetti o computer rotti. Non ricordo se quando uscimmo rimase sul posto altro personale, probabilmente qualcuno rimase. Non ho visto lanciare oggetti dalle finestre della scuola. Non vidi troupe televisive; sentii probabilmente qualche urlo quando entrammo ma poi tutto divenne tranquillo. Riconosco i luoghi visibili nel filmato che mi viene mostrato (Rep. 234 p I min. 21.34.00 – estratto); quando arrivammo sulla strada vi erano già diversi mezzi. Il corridoio visibile nel filmato (Rep. 192.20 p. III min. 05.30 - estratto) mi pare simile a quello in cui sono entrato; non ricordo l’aula. Nel corridoio in cui sono entrato vi erano persone sedute in terra con alcune sedie davanti che venivano utilizzate come piatti. Non sono salito al terzo piano. Il dr. Gava rimase sempre con noi, ne sono sicuro”.
Bellu Massimiliano: “ … All’epoca ero distaccato a Genova con tutta la squadriglia antisequestro, alle dipendenze del dr. Gava. Ci dissero che dovevamo recarci a controllare un luogo in cui si trovavano persone che avevano determinato i disordini dei giorni precedenti; seguimmo i colleghi e arrivammo sul luogo. Sempre seguendo i colleghi entrammo tra gli ultimi nella scuola sulla destra scendendo. Salimmo al secondo piano; quando arrivammo trovammo le persone già nel corridoio; controllammo che nelle aule non vi fosse nessuno e facemmo sedere coloro che si trovavano nel corridoio. Alcuni continuarono a cenare. Non effettuammo né vidi effettuare alcun atto di perquisizione. Arrivò poi una parlamentare europea che parlò con il dr, Gava; dopo poco il dr. Gava ci disse di uscire, rivolgendosi a noi di Nuoro. Scendemmo sempre insieme al dr. Gava e uscimmo dalla scuola; poi il dr. Gava ci disse di recarci all’ospedale per identificare i feriti che giungevano dalla scuola ... Non ricordo l’aula visibile nel filmato che mi viene mostrato (Rep. 192.20 p. III min. 05.30 - estratto); quando noi arrivammo nelle aule non vi era nessuno. Mi pare che salimmo quattro rampe di scale. Non vidi colleghi raccogliere oggetti o portare scatole. Restammo nella scuola una ventina di minuti circa. Non vidi persone con telecamere”.
Mannu Antonio: “ … All’epoca ero distaccato a Genova con tutta la squadriglia di Nuoro; eravamo alle dipendenze del dr. Gava. La sera del 21 il dr. Gava ci disse che dovevamo recarci in una scuola a controllare alcuni manifestanti. Al seguito di colleghi arrivammo presso la scuola; ero alla guida e parcheggiai vicino alla scuola; sempre seguendo i colleghi insieme al dr. Gava entrammo nella scuola; salimmo al secondo piano perché al primo vi erano già altri colleghi. Non riconosco bene né la strada né l’edificio visibile nel filmato (Rep. 234 p I min. 21.34.00 – estratto) anche perché era buio e noi entrammo subito; non ricordo però mezzi sulla strada. Le persone nel corridoio erano tranquille; le facemmo sedere a terra; continuarono a cenare. Non vennero eseguiti atti di perquisizione. Arrivò poi una signora che parlò con il dr. Gava. Dopo un po’ il dr. Gava ci disse: “Nuoro fuori” e così uscimmo tutti insieme. Poi ci recammo all’ospedale per identificare i feriti provenienti della scuola. Quando entrai nella scuola non sentii grida o rumori particolari”.
Mele Salvatore: “… La sera del 21 il dr. Gava ci disse che dovevamo andare in Questura per effettuare un servizio. Alla Questura ci disse che dovevamo recarci in una scuola, ove si trovavano dei black block, che si chiamava Diaz Pascoli. Ci recammo sul posto, e arrivati, un collega di Genova ci disse di andare nella scuola a destra, la Pascoli; eravamo in sei oltre al dr. Gava. Entrammo nell’edificio e salimmo al secondo piano, salimmo quattro rampe di scale, perché al piano terra ed al primo vi erano già alcuni colleghi, entrati poco prima di noi. Il dr. Gava ci disse di presidiare le persone che erano già sedute nel corridoio; rimanemmo finché arrivò una parlamentare europea, che parlò con il dr. Gava. Dopo un po’ il dr. Gava ci disse che dovevamo andare via. Non vidi alcun atto di perquisizione né alcuna violenza; le persone che si trovavano al secondo piano continuarono a mangiare e parlare tra loro. Quando andammo via non ci fermammo ai piani inferiori e non so dire quindi se vi fossero oggetti rotti nelle stanze. Noi entrammo per ultimi; davanti a noi erano entrati altri colleghi, credo anche della squadra mobile di Roma, non li conoscevo. Quando arrivammo al secondo piano tutte le persone erano nel corridoio; nelle aule e nei bagni non vi era nessuno; dicemmo a tutti di sedersi. Mentre noi eravamo sul posto non vidi alcuna troupe televisiva. Rimanemmo sul posto pochissimo tempo; quando uscimmo su ordine del dr. Gava, all’interno rimasero altri colleghi. Non sentii grida e rumori di colpi. Oggi non ricordo i locali visibili nel filmato che mi viene mostrato (Rep. 192. 20 p III min. 5,30 - estratto); le persone erano sedute così; ribadisco però che nelle aule non vi era nessuno. Durante la nostra presenza non ho visto colleghi prendere oggetti o portare scatole”.
[61] Alberti Massimo: “… Ero a Genova per le manifestazioni contro il G8. La sera del 21 ero alla scuola Pascoli ove lavoravo per radio GAP … Poiché le segnalazioni circa gli interventi della polizia aumentavano, ci convincemmo che in effetti vi sarebbe stata un’irruzione. Decidemmo che in tal caso non ci saremmo allontanati; portammo quindi tutte le nostre cose nei locali di Radio GAP. Vidi un mio collega, Fletzer, porre una panca contro l’ingresso e gli dissi che era inutile. Quando arrivò la polizia negli studi di Radio GAP noi alzammo le mani; io misi un microfono davanti ad un poliziotto dicendogli che stavamo trasmettendo. I poliziotti, un uomo ed una donna, non erano in uniforme, avevano il casco ed il viso coperto da un fazzoletto. L’uomo ci disse che ci avrebbero soltanto controllato i documenti, si scoprì il volto e si tolse il casco. Poi si allontanarono senza neppure controllare i nostri documenti. A noi non furono arrecati danni; non venne toccato nulla. Ho visto poi alcuni poliziotti, non in divisa, che scendevano dal terzo piano, portando pezzi di computer e hard disk. Scesi al primo piano ed entrai nella sala dei legali ove vidi i computer in terra rotti … Le nostre trasmissioni non sono state interrotte; abbiamo soltanto dovuto cambiare i programmi perché abbiamo riferito quanto ci stava accadendo”.
Galeazzi Lorenzo: “… Ero a Genova quale conduttore radiofonico di Radio GAP … Le sale assegnate a Radio Gap si trovavano in fondo al corridoio del secondo piano. Una sala era adibita a riunioni e preparazioni e l’altra alla trasmissione … Ad un tratto ho iniziato a sentire un certo trambusto e grida sulla strada. Mi sono affacciato alla finestra ed ho visto le forze dell’ordine che scendevano da sinistra verso le scuole … La polizia entrò poi nella Pascoli; sentii diversi rumori provenire dal basso e quindi dopo poco i poliziotti entrarono nella sala da dove stavo trasmettendo. La porta del corridoio era stata bloccata con banchi e sedie. Nella sala di trasmissione saremo stati circa una trentina; tutti erano con le mani alzate ed i documenti in mano. Entrarono tre o quattro poliziotti; uno si tolse il casco e disse di stare tranquilli che non ci avrebbero fatto niente. Disse anche che la scuola era “occupata” da noi. Io cercai di proseguire la trasmissione. La trasmissione si interrupe subito dopo l’ingresso delle forze dell’ordine, probabilmente per un guasto tecnico. La voce maschile udibile nella riproduzione del nastro che mi viene fatto ascoltare è la mia; l’interruzione è dovuta alla caduta dello streaming, di cui noi non ci accorgemmo. La voce femminile è quella di Daniela (Morando) e l’altra maschile è quella di Massimo Alberti. Non vidi alcuna perquisizione”.
Salvati Marino: “… La sera del 21 ero nella scuola Pascoli, ove svolgevo attività di programmatore informatico per radio GAP. Mentre ero nei locali di radio GAP arrivò qualcuno che disse che c’era la Polizia in strada; mi affacciai e vidi che in effetti la via era piena di persone in divisa … Mi preoccupai insieme agli altri di radunare le nostre cose e trasportarle nella stanza del mixer … Nella stanza del mixer in cui mi trovavo vi erano numerose persone alla finestra. Stavamo trasmettendo in diretta; alcuni chiusero l’ingresso del corridoio con banchi e sedie; dopo poco arrivò la Polizia; entrarono due agenti che ci chiesero che cosa stessimo facendo ed alla domanda di qualcuno se avessero un’autorizzazione, risposero di non preoccuparci che sarebbe arrivata; spensero il mixer, interrompendo così la trasmissione; soppesarono gli zaini guardandoli dall’esterno e ci dissero di preparare i documenti. Dopo un po’ circa 15/20 minuti ci salutarono e si allontanarono; noi riaccendemmo il mixer e riprendemmo la trasmissione. Durante il periodo in cui i poliziotti rimasero vicino alla porta sentii dal piano superiore, ove si trovavano i locali di Indymedia, diversi rumori di oggetti che cadevano e venivano rotti. Gli agenti erano in divisa antisommossa senza casco in testa; mi pare si trattasse di carabinieri ma non ne sono affatto sicuro. Quando la Polizia lasciò l’edificio, scendemmo per andare a vedere che cosa stesse accadendo nell’altra scuola; al primo piano vidi che nella sala degli avvocati vi erano alcuni computer smontati e danneggiati … La divisa degli agenti che entrarono nella stanza della Pascoli dove mi trovavo, mi sembra molto simile a quella visibile nella foto A2, che mi viene mostrata; non ricordo nelle divise visibili nelle foto A2 e B2 la cintura chiara che certamente mi avrebbe colpito; ricordo che la divisa era scura”.
Curcio Anna: “… Il 21 sera mi trovavo presso la scuola Pascoli perché lavoravo nella redazione di Radio Gap, che era un’emittente che si occupava del G8 … La radio stava trasmettendo. Poi ci accorgemmo che i telefoni fissi non erano più collegati e così ritengo che la trasmissione si sia interrotta, dato che utilizzava le linee telefoniche. Soltanto dopo circa un’ora le linee telefoniche tornarono in funzione. Ci eravamo riuniti nell’ultima stanza del corridoio al secondo piano. Arrivarono alcuni poliziotti, tre o quattro, con fazzoletti che coprivano il viso e brandendo i manganelli. Mi pare che fossero in divisa, anche se altri hanno detto che erano in borghese. Ci dissero in modo assai violento di stare fermi, abbassare le tende, non avvicinarci alle finestre e preparare i documenti, dato che poi sarebbero venuti a prenderci. Nessuno spiegò che cosa stesse accadendo né il motivo dell’irruzione nella scuola Pascoli, o almeno io non ho sentito nulla del genere. Ci siamo messi in contatto tramite i telefoni cellulari con qualche parlamentare o avvocato. In strada nel frattempo erano arrivati parlamentari, giornalisti, avvocati. I poliziotti che erano rimasti nel corridoio si erano allontanati e così uscimmo dalla Pascoli. Nel filmato Rep. 192.20 (dal min. 9,23 - estratto), che mi viene mostrato, riconosco la porta con il poliziotto davanti, all’inizio del filmato, e le persone (due ragazze, Daniela con la maglietta azzurra e Gabriella che si intravede poco prima) che lavoravano in redazione … Sulle scale della Pascoli vi era uno sbarramento e soltanto chi era in possesso di un pass poteva salire ai piani superiori”.
Clementoni Francesca: “… Ero a Genova dalla domenica precedente, quale giornalista, anche se non ufficialmente riconosciuta, di una radio associata a radio GAP … Verso mezzanotte sentii il rumore di una marcia sulla strada e affacciatami vidi circa un’ottantina di poliziotti in divisa antisommossa che da destra cioè dal mare si dirigevano verso la Diaz, dietro agli agenti a piedi vi erano mezzi blindati e per quanto ricordo ambulanze … Temendo che la polizia entrasse anche nella Pascoli, ponemmo davanti al portone d’ingresso alcuni banchi ed altri oggetti, al fine di ritardare l’eventuale ingresso delle forze dell’ordine in attesa che intervenissero le persone che avevamo chiamato. Abbiamo trasportato tutte le nostre cose nella sala di trasmissione. La trasmissione era in corso tenuta da Massimo Alberti e Lorenzo Galeazzi. Arrivarono quindi i primi agenti che erano in divisa antisommossa scura; poi entrarono altre due persone, nella stessa tenuta, una della quali, togliendosi il casco, disse: “State tranquilli” e rivolta agli altri poliziotti: “Fermi, fermi è tutto a posto”. Gli chiedemmo se avessero un mandato e ci rispose che non era necessario e di preparare i documenti. Dopo un po’ salì nei nostri studi l’On. Mascia. Successivamente la Polizia lasciò l’edificio”.
Podobnich Gabriella: “… Sono giornalista pubblicista e lavoravo per radio GAP nei locali della scuola Pascoli … Verso mezzanotte sentimmo rumori e grida sulla strada … Decidemmo di restare tutti insieme nella sala trasmissione. In diretta stava trasmettendo Lorenzo Galeazzi che raccontava quanto stava accadendo. La polizia entrò anche nella Pascoli ed arrivò al secondo piano ove mi trovavo; vi era molta confusione e paura; i poliziotti in divisa antisommossa (così almeno mi pare), casco e manganello, entrarono nella stanza; mi diressi verso di loro, dicendo che eravamo del tutto pacifici e che stavamo trasmettendo in diretta. Riuscii in tal modo a fermarli. Con Daniela (Morando) uscimmo dalla stanza e ci recammo al primo piano, ove vidi nel corridoio alcune persone sedute in terra; guardammo in diverse stanze; in alcune e soprattutto nella sala del GSF vi erano computer rotti; vidi anche un poliziotto che portava via un hard disk. Vi erano poliziotti in divisa, altri in borghese, una donna, alcuni con una pettorina; ci recammo anche al piano dove si trovavano i locali di Indymedia poi siamo scesi al piano terra. Durante tale percorso abbiamo registrato quanto vedevamo. Vi era ancora la polizia; stranamente noi non siamo stati bloccati. La situazione era caotica. Quando venni sentita dal P.M. produssi un CD su cui è registrato il servizio giornalistico, che abbiamo poi redatto, sui fatti avvenuti nel corso dell’irruzione della Polizia, nel quale è riportato quanto registrato. Capii che la persona che portava via l’hardware era un poliziotto, anche se era in borghese, dal suo atteggiamento; l’involucro che portava con sé sarà stato di circa 40 centimetri; non sono esperta di computer; preciso che ho visto un pezzo di computer che poteva essere un hard disk o altro hardware”.
Morando Daniela: “… Lavoravo per una radio presso la scuola Pascoli … Ad un tratto sentii forti rumori provenire dalla strada; quindi grida e rumori dalla stessa scuola. Stavo trasmettendo in diretta, quando sentii che la porta del corridoio veniva aperta e poi vidi aprirsi anche la porta dell’aula in cui mi trovavo ed entrare alcuni poliziotti. La maggior parte delle persone che si trovavano nella stanza si era posta vicino al muro alle mie spalle; avevamo preso le nostre cose personali e chiuso la porta. Qualcuno aveva chiuso anche la porta del corridoio ponendovi davanti alcuni banchi. I poliziotti circa cinque o sei in tenuta antisommossa con il casco entrarono nell’aula; chiedemmo che cosa stesse succedendo e dicemmo che eravamo in diretta e che c’era un milione di persone che ci ascoltava. I poliziotti continuavano a ruotare i manganelli e a colpire i banchi senza darci alcuna risposta o dirci qualcosa. Eravamo molto spaventati. C’era un poliziotto che ci guardava in modo particolare e che quando io dissi di non farci del male, mi guardò con aria molto stupita. Non mi pare che ci siano stati dati ordini se non forse di non uscire dall’aula. All’interno rimasero tre o quattro poliziotti, gli altri entravano ed uscivano. Dopo circa dieci minuti uscirono dall’aula; ci interessammo subito di capire se la trasmissione si era interrotta e così apprendemmo che per qualche minuto o secondo, proprio in corrispondenza dell’ingresso dei poliziotti si era in effetti interrotta, ma non ne conosco le cause … Feci poi un giro per la Pascoli. Salii al terzo piano, ove vidi tutte le persone sedute nel corridoio e controllate dai poliziotti, che avevano pettorine con la scritta “Polizia”. Ero con un’altra collega e circolavamo abbastanza liberamente. Nel filmato Rep. 192.20 p. 3 min 9,16 (estratto) mi riconosco nella persona con la maglietta azzurra, ero nella stanza assegnata al legal forum; i poliziotti mi stavano chiedendo perché stessimo girando ed io rispondevo chiedendo che cosa stesse accadendo. Nella stanza dei legali vi era una grande confusione: i computer rotti e senza gli hard disk, cumuli di carte sui tavoli ecc. Riconosco la mia voce nella registrazione della trasmissione in diretta che mi viene fatta ascoltare (Sgombero)”.
Gallo Alessandra: “… Il sabato ero alla scuola Pascoli, ove svolgevo attività di traduttrice presso il Media Center per Radio GAP … Mentre ero nei locali di Radio GAP, sentii alcuni rumori dall’esterno e affacciatami, vidi che dalla sinistra stavano arrivando diverse persone in divisa; vidi che una persona che si trovava sul loro percorso nonostante avesse alzato le mani, venne travolta e malmenata. Qualcuno disse di chiudere le finestre perché potevano essere lanciati i lacrimogeni. Chiusi alcune finestre e poi guardai nuovamente all’esterno; sentii alcune urla dai piani inferiori. Alcuni posero qualche scrivania ed altre cose davanti alla porta d’ingresso. Ero, se ben ricordo, nell’ultima stanza del corridoio al secondo piano; uno della radio trasmise in diretta quanto stava accadendo. Sentii altri rumori e quindi vidi arrivare nella stanza due poliziotti. Non ricordo se indossavano caschi, mi pare che almeno uno l’avesse. Mi pare che uno fosse più giovane e l’altro sui 45/50 anni un po’ più grasso. Dopo un po’ arrivò una parlamentare di Rifondazione che era ferita; successivamente la rividi in televisione e per quanto ricordo era l’On. Mascia. Vidi anche un giovane ferito, biondo con gli occhi azzurri, che disse di essere stato aggredito e picchiato con una panca. Uno dei due poliziotti rimase vicino alla porta e l’altro fece un giro all’interno … Ricordo che nella sala degli avvocati era sparito il foglio con i nomi delle persone di cui non si avevano più notizie e non si sapeva dove fossero finite; vi erano alcuni computer danneggiati. Mi pare che i locali di Indymedia fossero a soqquadro”.
[62] “Sono giornalista Rai. All’epoca del G8 ero a Genova inviato dal TG3 per seguire il vertice. Verso la mezzanotte del 21, mentre ero a cena ricevetti una telefonata da Manolo Luppichini, che si trovava nella scuola Pascoli, il quale mi disse che stava avvenendo un’irruzione della polizia nel complesso scolastico. Insieme agli operatori Stefano Cangemi e Nino Affieri mi recai immediatamente sul posto, ove arrivai dopo circa una quindicina di minuti. Entrammo nella scuola e iniziammo le riprese; al piano terra vi era un gruppo di persone in prevalenza straniere che ci diedero un primo quadro di quanto era avvenuto; poi salimmo ai piani superiori; alcuni poliziotti ci chiesero chi fossimo e poi, appreso che eravamo giornalisti Rai, ci fecero passare. Ricordo che nelle sale c’era un gran confusione; computer a terra e segni evidenti di azioni violente. Una ragazza ci chiese di non andare via perché riteneva che la nostra presenza fosse una garanzia per la loro incolumità. Vi erano persone sedute nei corridoi; era evidente che si stava svolgendo un’ispezione nei locali; non ho assistito ad episodi di costrizione nei confronti delle persone all’interno che erano sedute in terra. Dopo qualche minuto i poliziotti ci dissero di allontanarci perché l’azione di polizia era ancora in corso; chiesi di parlare con qualche dirigente, ma mi dissero di non sapere chi era il responsabile dell’azione. C’era sia personale in divisa sia in borghese Ricordo di aver visto nella Pascoli poliziotti in uniforme estiva ma non in divisa antisommossa. Riconosco il filmato che mi viene mostrato: è il servizio andato in onda; si tratta delle riprese all’interno della scuola Pascoli; non ricordo l’arrivo di Agnoletto. Giunsero altre troupe della Rai: Giovanna Botteri e Gianfranco Botta del TG3 … Constatai di persona la rottura dei computer visti nella Pascoli, ma non posso dire se in effetti mancassero parti dei computer. Ho riconosciuto tra le persone sedute Walter Bellow che conoscevo e mi salutò. Confermo che quando entrai nella sala al piano terra della Pascoli sentii un forte odore di lacrimogeni; l’odore di cipolla era perfettamente avvertibile anche se non v’era traccia di fumo”.
[63] “… Collaboravo con il Manifesto, Radio K Centrale ed altre testate straniere. Sono riuscito ad avere l'accreditamento per il G8, ma soltanto su ingiunzione della magistratura per il sabato … Ho visto dopo un po' una carica di oltre 150 tra poliziotti e carabinieri che "assalivano" la scuola Diaz … Temevo che vi sarebbe stata un'irruzione anche nella Pascoli. Mi sono spostato dalla redazione di Radio Gap in un'altra aula all'inizio delle scale. Sono arrivati alcuni poliziotti ai quali ho detto che era la redazione del Manifesto e che potevo mettermi in contatto con alcuni giornalisti di Genova (ero in contatto telefonico con Attilio Lugli, Presidente dell’ Ordine dei giornalisti di Genova, che mi diceva di stare calmo) ed anche con la Federazione della Stampa. Gli agenti si sono inalberati e mi hanno colpito sulla testa con i manganelli. Sono caduto per terra colpito da una panca; ho quindi ricomposto il cellulare che era caduto a terra e si era aperto. Portavo una casacca gialla ed un cartellino che mi identificavano quale giornalista. Sono poi tornati gli stessi poliziotti che mi hanno nuovamente picchiato. Io ero appunto al II piano nella redazione di Radio Gap. Ho visto che alcuni poliziotti, un po' più tranquilli e con una pettorina con la scritta Polizia, erano nella redazione di Radio Gap (Global Audio Project); al piano di sopra nella sala di Indymedia ho visto che alcune persone erano state fatte stendere a terra. Dopo circa mezzora i poliziotti hanno cominciato ad andarsene … I poliziotti che mi hanno colpito avevano un casco, non erano mascherati, avevano manganelli ordinari, non tonfa, ed una divisa blu”.
[64] “Sono Ass. presso la Questura di Oristano; all’epoca ero in servizio presso la Questura di Genova. La sera del 21 mi venne comunicato, mi pare dall’Isp. Apicella, il mio capo, che avremmo dovuto recarci ad effettuare una perquisizione presso un edificio occupato. Ero in macchina con l’Ass. Capo Coletta ed un altro di cui non ricordo il nome. Seguivamo la colonna di veicoli. Siamo scesi ed arrivati di fronte ad una delle due scuole vidi che i colleghi stavano cercando di aprire un cancello. Dalla scuola venivano lanciati oggetti vari, bottiglie, lattine ecc. Indossai infatti il casco ai primi rumori di oggetti che cadevano. Seguii i colleghi che entravano nella scuola Pascoli e salii le scale, giungendo al primo o al secondo piano, ove entrai in una sala in cui si trovava una stazione radio. Il mio capo pattuglia era l’Isp. Apicella, ma dopo essere entrato con lui nella scuola lo persi di vista e quindi seguii il dr. Gava che conoscevo ed avevo visto all’interno della scuola. Cercammo di aprire una porta che era ostruita da banchi e sedie; quando entrai trovai una situazione del tutto diversa da quella che mi aspettavo; tutto era tranquillo, vi era una quarantina di persone; c’era una radio e stavano trasmettendo in diretta. Dicemmo di stare tranquilli, che dovevamo fare una perquisizione. Una volta entrati non avendo trovato persone violente non eseguimmo la perquisizione perché ci convincemmo che non era il luogo in cui avremmo dovuto farla”.
[65] “La sera del 21 arrivai da via Trento seguendo il corteo dei mezzi; scesi da piazza Merani; inizialmente entrambe le scuole avevano il cancello chiuso; io mi diressi verso la scuola a destra, la Pascoli. Avevo ricevuto indicazioni dalla Digos e gli scout sul posto mi indicarono la scuola a destra. Appena entrato capii che vi era stato un errore perché all’interno vi erano soltanto persone accreditate per il G8, giornalisti ecc. Nel cortile mi cadde vicino un bicchiere. I rapporti con i presenti furono del tutto civili. Uscii e informatomi dal dr. Ferri e Gava risalii e diedi disposizioni ai miei uomini di uscire”.
[66] “ … Mi sono diretto verso il seminterrato della Pascoli ed entrati abbiamo posto alcuni banchi vicino alle porte a vetri per rallentare l’irruenza, che avevamo notato nella Polizia. Ho visto poi arrivare un giovane sanguinante, che io identifico in Sebastian (Zehatschek), e che feci entrare, chiedendomi da dove arrivasse. Sentii poi il rumore della polizia che scendeva le scale con notevole irruenza; cercammo di porre alcuni banchi vicino alla porta, ma i poliziotti entrarono, lanciarono via i banchi ed iniziarono a picchiarci con i manganelli. Indietreggiammo dicendo che non c’era motivo di picchiarci ed i poliziotti ci dissero di andare in palestra, dove ci fecero stendere a terra con le mani dietro la nuca. Alla richiesta di alcuni di farci vedere un mandato, i poliziotti risposero che non era un telefilm e che ci avrebbero “massacrato”. Tutti quindi ci sdraiammo a terra … I poliziotti avevano la divisa da ordine pubblico con imbottiture, casco e manganelli. Ne ho visti poi anche in abiti civili con una pettorina con la scritta Polizia …
Ad un tratto improvvisamente i poliziotti andarono via”.
[67] “… vidi una folla di persone che rientrava velocemente nella Pascoli; mi fermai sul portone e poi chiusi la porta di vetro interna con la catena; quindi arrivarono gli agenti di polizia. Rimasi nella palestra insieme a circa un’altra decina di persone e poco dopo dalle scale entrarono due agenti che colpirono con i manganelli due persone che si trovavano a loro più vicine. Poi ci fecero stendere a terra dicendoci di restare zitti. Entrò quindi un terzo poliziotto; restammo sdraiati a terra con la faccia a terra per circa una ventina di minuti. I poliziotti poi si allontanarono e così potemmo riprendere a muoverci”.
[68] Bassani Anacleto: “… Su un tavolo c’erano quattro cassette abbandonate che ho recuperato; le portai in Questura e le riposi insieme ad altro materiale, come qualcuno, che non ricordo, mi disse di fare. Feci una relazione su richiesta del dr. Di Sarro, mi pare qualche giorno dopo, perché mi disse che non c’era nulla circa il recupero delle cassette. Vedendo la mia relazione mi accorgo che la data è l’8 agosto”.
Pantanella Giovanni: “… Tornati in Questura nel nostro ufficio al secondo piano trovammo nel corridoio alcuni colleghi che non conoscevo che ci dissero di lasciare a loro le cassette e che avrebbero provveduto loro a redigere il verbale e a repertarle. Feci una relazione di servizio insieme al collega Bassani, che provvide a redigerla materialmente; io la sottoscrissi. La relazione venne redatta l’8 agosto … Noi le cassette le abbiamo date alla collega e la collega ha detto: ‘Dai qua che facciamo noi il verbale e i reperti”.
[69] “ … Mentre eravamo alla finestra arrivò un poliziotto che ci toccò sulla spalla e che ci disse che dovevamo recarci in corridoio; aveva un atteggiamento minaccioso, teneva il manganello in alto; nella stanza vi era anche un’altra persona contro cui si diresse con uno scatto quando questa si girò. Nel corridoio ci erano diverse persone, alcune in ginocchio altre stese ed altre sedute; il poliziotto ci disse che dovevamo inginocchiarci; Andreas disse in italiano: “Siamo giornalisti” ed in tedesco: “Perché ci dobbiamo inginocchiare?”. Il poliziotto lo minacciò con il manganello, dicendo qualcosa in italiano. Poco dopo arrivò un altro poliziotto più anziano che chiamò Andreas vicino a sé e poi lo condusse giù lungo le scale … Il poliziotto che portò via Andreas indossava i jeans ed aveva una pettorina, non aveva il casco; era un po’ anziano, capelli abbastanza grigi e una barba grigia folta, era di corporatura normale”.
[70] “… Mentre ero alla finestra qualcuno mi toccò sulla spalla e, voltatomi, ho visto un poliziotto con casco e manganello; la terza persona che si trovava all’altra finestra si girò di scatto ed il poliziotto gli si avvicinò con atteggiamento aggressivo; ci disse che dovevamo uscire nel corridoio e così abbiamo fatto; nel corridoio vi erano persone inginocchiate ed altre sdraiate in terra; ci hanno fatto sedere; vicino a me vi era una coppia che teneva le braccia dietro la nuca. Dicemmo loro che non dovevano restare in tale posizione; feci vedere ad un poliziotto il mio pass ed il mio tesserino di giornalista, e gli chiesi perché dovevamo restare seduti; mi indicò ad un altro poliziotto che mi fece segno di alzarmi. Sono andato nel corridoio ed ho visto un poliziotto più anziano che sembrava desse ordini agli altri. Questo mi afferrò, mi colpì tre volte al viso e mi disse qualcosa di minaccioso, di cui ho capito solo la parola “cazzo”; mi spinse contro la parete, poi mi fece scendere le scale; mi pose in un angolo delle scale, mi scosse e mi strappò la pettorina gialla della stampa. Mi portò quindi nel seminterrato, ponendomi le mani dietro la schiena, tirandole verso l’alto e provocandomi dolore … Il poliziotto che mi percosse e mi portò nel seminterrato non era molto alto circa un metro e settanta, magro anche nel viso poteva avere circa cinquanta anni e aveva capelli grigi corti; aveva la barba lunga di qualche giorno; non aveva un’uniforme ma una pettorina blu scura con la scritta “Polizia”. Mi pare portasse guanti neri, ma non ne sono sicuro. Non aveva il casco, gli ho visto i capelli. Ho riconosciuto in alcune fotografie tale poliziotto. Lo riconosco nelle foto allegate all’incidente probatorio (numeri finali 3817, 3818 e 3819), che mi vengono mostrate”.
[71] “… Vidi Andreas (Huth), che chiese ai poliziotti perché dovevamo stare seduti, e che eravamo giornalisti internazionali; parlò con un poliziotto piuttosto robusto, che già appariva arrabbiato, il quale chiamò un altro poliziotto; quest’ultimo andò con Andreas nel vano delle scale; vidi che aveva una mano sulla sua testa e lo teneva giù. Il secondo poliziotto era più vecchio, aveva la barba grigia, era in abiti civili, non so dire se portasse un casco … Il poliziotto più robusto che parlò con Andreas aveva un fazzoletto rosso al collo ed il casco e chiamò quello più anziano … Il poliziotto aveva la mano sulla sua testa e lo ha spinto verso il basso; da quel momento non l’ho più visto; probabilmente ho immaginato che gli avesse spinto la testa in terra come ho dichiarato al P.M..”.