PROCESSO DIAZ - La sentenza

13.4 Ricostruzione dei fatti > > > > > > > > > | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 |

Irruzione nella scuola Diaz Pertini

Dopo l’apertura del portone centrale, gli agenti si accalcano per entrare, dovendolo liberare da quanto era stato posto all’interno per bloccarlo; tale fase è ben visibile nel filmato Rep. 198 (elab. RIS) dal min. 0,50 (estratto), ove si possono notare i caschi sia opachi sia lucidi indossati dai poliziotti, appartenenti i primi al VII Nucleo e gli altri ad altri reparti, come riferito anche dall’imputato Canterini [30].
Quanto avviene all’interno della scuola è riferito da tutti coloro che vi si trovavano, le cui dichiarazioni sono state già riportate nella parte relativa allo “svolgimento del processo”. In nota si riportano comunque i passi più rilevanti di tali dichiarazioni, sempre raggruppandole secondo i diversi piani dell’edificio in cui avvenne il contatto dei testi con le forze dell’ordine [31].
Tali dichiarazioni, sostanzialmente conformi, rese da soggetti di diverse nazionalità e lingue, in situazioni che escludono la possibilità di un preventivo accordo e riscontrate altresì dai certificati medici emessi da strutture pubbliche circa le lesioni dai medesimi riportate, devono ritenersi del tutto attendibili, almeno in ordine al complessivo comportamento delle forze dell’ordine, come del resto già affermato dal GIP nel decreto di archiviazione emesso nei loro confronti [32].
Le divergenze riscontrabili in tali dichiarazioni, peraltro relative a particolari secondari, sono sicuramente giustificabili con ricordi imprecisi dovuti principalmente all’agitazione e alla tensione del momento. Deve in proposito ricordarsi che si tratta pur sempre di persone o direttamente vittime delle violenze o comunque a queste vicine e che una simile situazione, con numerosi feriti che si lamentavano e macchie di sangue sparse su pareti e pavimenti, non poteva non incidere sulla lucidità dei presenti e quindi sulla precisione dei loro ricordi.
Non può d’altra parte neppure escludersi con assoluta certezza che qualche episodio di resistenza attiva sia in effetti avvenuto.
A parte invero le dichiarazioni rese in proposito dagli imputati capi squadra [33] e l’episodio narrato dall’Ag. Nucera, di cui si dirà in seguito, resta il fatto che diversi operatori delle forze dell’ordine riportarono in effetti lesioni, seppure non gravi, come risulta dai certificati del Pronto Soccorso.
Va inoltre rilevato che la diversa entità delle lesioni e del numero dei feriti tra le forze dell’ordine e coloro che si trovavano nella Diaz, non può far ritenere del tutto inattendibili le dichiarazioni dei capi squadra, tenuto presente che gli agenti erano specificamente addestrati ed adeguatamente equipaggiati proprio per far fronte ad atti violenti eventualmente posti in essere nei loro confronti.
La pubblica accusa ha posto in rilievo alcune contraddizioni e incongruenze in particolare circa le dichiarazioni rese da Zaccaria e Basili nonché in ordine alle circostanze in cui gli agenti avrebbero riportato le lesioni lamentate.
Deve peraltro riconoscersi che la notevole confusione creatasi in tutti i piani della scuola, la mancata conoscenza dei luoghi e l’agitazione del momento potrebbero aver determinato una certa imprecisione ed anche falsi ricordi circa le esatte circostanze e modalità di quanto avvenuto e che, inoltre, non può neppure ragionevolmente ritenersi, e comunque non sussiste in proposito una prova certa, che tutti gli agenti che hanno affermato di aver subito lesioni fossero d’accordo per riferire il falso in ordine alle circostanze in cui le stesse erano state causate.

 

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[30] “Nel filmato Rep. 198 elab. 1 RIS min. 01 (estratto) si vede che il primo ad entrare è del mio reparto; tutti coloro che portano caschi opachi sono del mio reparto, gli altri no, si vedono anche operatori con cinturoni bianchi e quindi non del mio reparto; gli scudi quadrati mi sembrano del mio reparto, vi sono anche alcuni però non del mio reparto con cinturoni bianchi. Si vedono anche alcuni operatori con scudi alzati che si dirigono verso l’ingresso di sinistra”.

[31] Guadagnucci Lorenzo: “… Mi ero sistemato nell'angolo sinistro entrando nella palestra (segno sulla piantina il punto); vicino a me vi erano due ragazzi stranieri. Mi addormentai; mi svegliai poi per forti rumori che venivano probabilmente dall'esterno. Poco dopo vidi entrare diversi poliziotti in gruppo compatto. Vi erano alcune persone in piedi ed altre sedute come me nei sacchi a pelo, che tenevano le braccia in alto. Alcuni urlavano "no violenza". I poliziotti si diressero subito contro i primi che si trovarono davanti e li presero a calci; urlavano "questo è l'ultimo G8 che fate", "ora vi aggiustiamo noi", e li insultavano. Si rivolsero contro la coppia che si trovava vicino a me, colpendo con un calcio in faccia la ragazza, e quindi verso di me, che mi ero protetto con le braccia; ricevetti diversi colpi con manganelli sulle braccia, all'addome e alla schiena. Perdevo sangue dalle braccia. Questo "pestaggio" è durato un po' e quindi gli agenti si diressero verso il centro della palestra. Non capivo il perché di quanto stava accadendo e credo anche di averlo chiesto ai poliziotti. Vi erano persone ferite che piangevano e cercavano di aiutarsi l'una con l'altra. I poliziotti portavano divise scure con caschi azzurri. Mi si avvicinò poi un poliziotto, che portava invece una camicia bianca e che passando colpiva quelli che si trovavano già a terra, e colpì anche me sulla schiena con il manganello. Altri poliziotti lo fermarono, dicendogli che ormai era finito tutto …”
Bruschi Valeria: “… Dopo un po' sentii forti rumori, urla, vetri infranti e qualcuno disse che stava arrivando la polizia. Io non vedevo direttamente l'ingresso, mi trovavo sul lato esterno della palestra, angolo sinistro, entrando. Cercai qualche via d'uscita, ma le porte erano chiuse. Molti si misero vicino alle pareti. Vidi quindi un gruppo di poliziotti che entrò nella palestra correndo e che iniziò a colpire con manganelli tutti quelli che vi si trovavano, e ad  insultarci, dicendo: "Nessuno sa che siamo qui adesso vi ammazziamo tutti; siete voi i black block". I poliziotti erano in divisa imbottita scura con il casco azzurro ed avevano un fazzoletto che copriva il volto. Io ricevetti solo qualche colpo, perché ero praticamente protetta da altre persone. Ho visto una signora davanti a me che riportò la frattura di ossa ed un ragazzo che perdeva sangue. C'era un gran caos ed io ho avuto una gran paura, ero terrorizzata. Poi entrarono alcuni poliziotti in abiti civili con una pettorina con la scritta "Polizia". Mi chiesero i documenti e poi raccolsero i nostri zaini e le borse, dopo averli svuotati ed averne rovesciato il contenuto in un mucchio a terra. Non ho visto mazze o bastoni. Uno di quelli entrati, che portava un giubbino estivo, ci disse "bambini cattivi"; ne ricordo anche un altro, con gli occhiali ed una giacca blu, che a distanza di tre giorni a Vercelli, in carcere, vidi al telegiornale rilasciare una dichiarazione; lo rividi anche l’anno scorso, all’apertura dell’udienza preliminare, ed il mio Avvocato, su mia richiesta, mi disse che era Luperi. Quando sono arrivati questi funzionari, le violenze nella palestra erano terminate, però alcuni poliziotti stavano ancora trascinando e picchiando giù per le scale alcuni giovani”.
Cestaro Arnaldo “… Mi sono svegliato, sentendo un certo trambusto. Si aprì la porta e vidi che era la nostra polizia. Ho alzato le mani. Lo hanno fatto anche gli altri. I poliziotti hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli. E’ stata una cosa miserevole. Avevano divise scure, caschi, manganelli. Mi hanno dato pedate e manganellate. Sono tornato a casa in sedia rotelle con le ossa rotte. Non posso dire che cosa urlassero; dicevano di fare silenzio. E’ una cosa che non posso dimenticare. Sono stato il primo a prendere le botte e sono stato l’ultimo prelevato per essere portato all’Osp. Galliera. E’ durato circa 30 minuti. Quando sono finite le botte sono entrati i barellieri”.
Nogueras Chabier Francho Corral: “… Ho visto gli agenti della Polizia entrare, ma non ho visto come abbiano sfondato il blocco. Noi abbiamo continuato a gridare: “No violenza”. Prima che la porta venisse sfondata ho visto che i poliziotti rompevano i vetri delle finestre e mi sono molto spaventato. Il primo poliziotto ci ha lanciato contro una sedia, che io sono riuscito a deviare con un piede; poi sono entrati diversi poliziotti che hanno iniziato a picchiare. Uno ci lanciò contro una panca. Noi eravamo tutti fermi; gli unici che si muovevano erano i poliziotti; molti stavano dormendo al momento dell’ingresso della polizia. Tutti i poliziotti picchiavano indistintamente  tutti quelli che si trovavano all’interno. I poliziotti avevano pantaloni celeste chiaro, giubbotto blu scuro, casco celeste chiaro e fazzoletti rossi sul volto, altri erano in jeans con un giubbotto con la scritta “Polizia”. I poliziotti picchiavano con i manganelli ed anche con calci. Io e i miei amici spagnoli ci siamo raggruppati a forma di pigna in modo da attutire i colpi e ripararci nelle parti più esposte (fegato e testa). Sentivo urlare i miei compagni e solo alla fine aprii gli occhi e vidi i miei compagni insanguinati, in particolare il  mio amico Miguel. Io venni colpito continuamente nella parte sinistra del corpo. Quando il pestaggio cessò vennero accese tutte le luci e i poliziotti iniziarono ad aprire e perquisire gli zaini. Entrarono molti altri poliziotti, uno con una fascia tricolore altri in borghese; quelli in uniforme aprivano gli zaini lasciando in terra il loro contenuto. Nessuno ci chiese nulla ed ho la sensazione che non cercassero nulla di preciso. Non ho visto prendere qualche oggetto”.
Madrazo Francisco Javier Sanz: “… Ho sentito colpi alla porta e grida “Polizia”. Sono uscito dal bagno e mi sono recato vicino ai miei compagni. La sala dove dormivamo era al buio, mentre verso il portone nel corridoio la luce era accesa ... Quando la Polizia è entrata noi eravamo seduti con le mani alzate e gridavamo: “Non violenza”. I poliziotti sono entrati ed hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli; noi ci eravamo stesi a terra per proteggerci. Mi hanno colpito con vari colpi nella gamba; ho visto, quando i poliziotti si sono ritirati ed hanno acceso tutte le luci, che avevano i manganelli. Il poliziotto che mi ha picchiato colpiva contemporaneamente anche il mio vicino, Sicilia Josè, che poi ho visto era tutto insanguinato tanto che ho pensato fosse morto. Colpiva con il manico del manganello; aveva stivali, pantaloni celesti, un giubbotto, un casco … Quando hanno smesso di picchiarmi si sono accese tutte le luci, ho visto alcuni poliziotti in borghese con il casco ed una pettorina con la scritta Polizia; hanno preso gli zaini e rovesciato a terra il contenuto. Ho sentito rumori che io ho interpretato come quelli di computer che venivano rotti”. 
Moret Fernandez David: “… Immediatamente si sono spente le luci e sono rimaste accese soltanto quelle di emergenza; la luce entrava dalle finestre sul cortile. I vetri delle finestre che davano sul cortile si sono rotti – ho visto i vetri cadere – ed il nostro gruppo si è portato verso il muro a sinistra delle porte bianche … Ho sentito alcuni colpi e quindi ho visto entrare due poliziotti – uno aveva una mazza in mano – poi si sono spalancate le porte e sono entrati numerosi poliziotti; ci hanno scaraventato contro una sedia; c’era una ragazza che non conoscevo, ma che era con un ragazzo nordamericano, in ginocchio ed un poliziotto che le diede un calcio in testa, buttandola per terra. In quel momento ci siamo raccolti; un poliziotto ha iniziato a colpirci; ho sentito un colpo sul braccio, che mi ha provocato una piccola frattura del gomito; un forte colpo alla testa; ho cercato di ripararmi la testa con un oggetto preso da terra; mi hanno rotto un dito. Sentivo tante urla e dopo un po’ sentii qualcuno gridare e ripetere: “Basta, basta, basta” e i poliziotti subito dopo (trenta secondi) smisero di picchiarci. Ci hanno intimato di tenere la testa rivolta a terra. Si sono quindi accese le luci; la Polizia ci ha raggruppato vicino al muro ed ho visto alcune persone in giacca e cravatta vicino alla porta: qualcuno aveva sul petto qualcosa, un distintivo dorato a forma di scudo, e mi sembrava che desse ordini, ma non posso assicurarlo … Ho visto diverse persone ferite, poi soccorse da alcuni infermieri. La Polizia, trascorso un po’ di tempo, ha raccolto gli zaini ed ha iniziato a svuotarli sul pavimento, piuttosto disordinatamente.
Martinez Ferrer Ana: “… Ad un tratto ho sentito qualcuno che urlava “Polizia Polizia”. C’è stato un momento di tensione; subito o comunque poco dopo si sono spente le luci, sono rimaste quelle di emergenza e la luce che proveniva dall’esterno; vi saranno state una trentina, quarantina di persone … I poliziotti, che portavano pantaloni blu, meno scuri dei giubbotti anch’essi blu, caschi, imbottiture sulle ginocchia, non appena entrati ci hanno lanciato contro una sedia e poi hanno iniziato a picchiare tutti quelli che si trovavano all’interno. Ho sentito anche che alcuni poliziotti si dirigevano verso la zona ove si trovavano i computer. Noi eravamo disposti a semicerchio, ci hanno circondato in sette; io tenevo una sedia sopra di me che mi ha protetto dai colpi almeno inizialmente, poi mi hanno tolto la sedia e mi hanno colpito con i manganelli nelle braccia e nella mano con circa 4 o 5 colpi. Ho visto colpire le altre persone con i manganelli e con calci; ricordo che alcuni manganelli avevano una forma a “t” minuscola.. Il pestaggio durò alcuni minuti finché non si sentirono gemiti ed urla. Poi qualcuno, un poliziotto, disse “basta” e gli altri smisero di picchiare. Non ci lasciarono alzare la testa e ci dicevano in inglese “look down”, evidentemente stavano picchiando qualcuno e non volevano che noi guardassimo. Poi si accesero le luci ed entrarono alcune persone in giacca, con una fascia tricolore. Quindi iniziarono a prendere gli zaini e a svuotarli al centro della sala, lontano da noi. Ho solo visto che separavano i capi di abbigliamento neri. Ho visto diverse persone con il volto insanguinato, alcuni tremavano …”   
Balbas Ruiz Aitor: “… Sentii rompersi vetri e quindi colpi sulla porta, finché non si aprì. Entrano quindi alcuni poliziotti in uniforme che si dirigono verso di noi, che alziamo le braccia e indietreggiamo contro il muro; un poliziotto ci lancia contro una sedia; ci circondano e iniziano a colpirci con manganelli e calci. Ho visto due poliziotti che colpivano Felix, che peraltro non si stava proteggendo la testa, con il manico del manganello che aveva la forma di “t”. Il manganello veniva impugnato dalla parte lunga e questo è il particolare che mi ha colpito. Io ho visto picchiare soltanto Felix. Poi hanno picchiato anche me e gli altri del mio gruppo. Mi pare che i poliziotti fossero vestiti di blu ma non sono in grado di precisare nulla in proposito; erano in uniforme. Ho visto anche due poliziotti molto alti e grossi in abiti civili, caschi da moto e mazze da baseball, che peraltro io non ho visto usare; mi pare comunque che ci abbiano colpito anche loro. L’illuminazione era scarsa ma non eravamo totalmente al buio: c’erano le luci di emergenza e dalle finestre filtrava la luce. Ad un tratto hanno smesso di picchiarci e noi ci siamo alzati; così ho visto due persone in abiti civili che si muovevano nella sala e dalle quali gli altri poliziotti sembravano ricevere ordini. Dopo un po’ di tempo sono arrivate le ambulanze e quindi è entrato il personale sanitario. I poliziotti hanno preso gli zaini e ne hanno svuotato il contenuto sul pavimento in un’altra zona della sala”.
Sicilia Heras Josè Luis: “… ho sentito rompersi i vetri delle finestre vicino all’ingresso, in particolare di quella a sinistra sempre dall’esterno. Non ho sentito dire nulla da parte della Polizia prima dell’irruzione. Subito dopo la porta è stata sfondata e sono entrati i primi poliziotti. Noi eravamo seduti a terra con la mani alzate e gridavamo: “No violenza”; un poliziotto ci lanciò contro una sedia e poi ci circondarono ed iniziarono a colpirci; io mi sono accucciato riparandomi la testa; ho sentito colpi in tutte le parti del corpo, un dolore intenso ed ho avuto molta paura di morire. Ho ricevuto anche dei calci, perché ero nella parte esterna del gruppo. mentre i miei compagni erano più protetti all’interno. Non sono in grado di dire quanto tempo sia durato, forse cinque dieci  minuti, ma per me è stato eterno. Quando la situazione si è calmata ho alzato un po’ la testa ed ho visto Francisco Madras che si lamentava e così quello che gli stava sotto; si sentivano provenire lamenti da tutte le parti. Ho alzato gli occhi ed ho visto che vi erano anche poliziotti non in uniforme, ma con jeans camicia e fazzoletti che coprivano il volto, casco, ed uno che portava una mazza da baseball. Sono quindi entrati altri poliziotti ed una persona in abito civile ed una fascia tricolore; subito dopo i poliziotti ci hanno chiesto chi fosse ferito e noi lo abbiamo segnalato; sono poi entrate alcune persone in camice bianco e la Polizia ci ha fatto alzare in piedi
Marcuello Felix Pablo: “… Ho sentito il rumore dei vetri della finestra a destra della porta principale, che venivano rotti con i manganelli e ciò nonostante la finestra fosse anche protetta con sbarre; quindi la Polizia ha sfondato la porta. In quel momento le persone che avevano chiuso la porta si sono allontanate e sono salite sulle scale verso i piani superiori. Nella palestra vi saranno state circa 25 persone. Ho visto entrare diversi poliziotti con uniformi e caschi; noi eravamo seduti con le mani alzate urlando: “No violenza”. Un poliziotto ci ha lanciato una sedia o una panca, ed uno del nostro gruppo l’ha deviata con il braccio; subito dopo ci hanno circondato ed hanno iniziato a colpirci con manganelli, calci e pugni per circa cinque dieci minuti. Ho subito numerosi e forti colpi alla nuca ed ho avuto paura di morire. Ho cercato di proteggermi, ma ho riportato una lunga ferita alla testa. Quando i poliziotti smisero di picchiarci, rimasi alcuni minuti con la testa rivolta a terra; i poliziotti ci insultavano; quando ho potuto alzare la testa, vidi che eravamo tutti insanguinati. Vi erano altri poliziotti che erano vestiti in abiti civili, camicia a quadri, pantaloni di jeans, un fazzoletto che copriva in parte il volto e casco. Ricordo una di queste persone con una fascia tricolore, che dava istruzioni ai poliziotti che lo ascoltavano. I poliziotti svuotavano gli zaini come se cercassero qualcosa, ma non so che cosa”.
Scala Roberta: “… Ad un tratto venni svegliata da un certo trambusto; il mio ragazzo chiese ai vicini che cosa stesse accadendo e questi rispose “Police”; ero tranquilla mi rivestii e presi la mia carta d’identità. Entrò quindi un poliziotto che si scagliò immediatamente contro le persone che si trovavano nei sacchi a pelo al centro della palestra un po’ spostate verso sinistra. Un altro poliziotto si diresse verso di noi e con il manganello mi colpì alla coscia, mentre ero seduta sul sacco a pelo con le mani in alto e la carta d’identità in mano; anche il mio ragazzo venne colpito. Ci intimarono di non guardare, tenere gli occhi bassi e stare zitti. Ci dissero “bastardi”.  Ci scagliarono contro una sedia che colpì Enrico. I poliziotti avevano la divisa blu e i caschi. Dopo un po’ ci dissero di alzarci e di avvicinarci agli altri che si trovavano nella parte opposta alla nostra. Vidi che c’era molto sangue in terra; molte persone erano ferite e si lamentavano. Arrivarono poi altri ragazzi che scendevano dal piano superiore e anche tra loro vi erano feriti. Non ricordo che vi fossero poliziotti non in divisa, ve ne erano alcuni che portavano una pettorina con la scritta Polizia. Un poliziotto che oggi non ricordo se avesse la pettorina, come dichiarai a suo tempo, o fosse in divisa, ci disse: “Nessuno sa che siamo qui e adesso vi finiamo”. Ho avuto molta paura. I poliziotti prendevano gli zaini e ne rovesciavano il contenuto in terra; ho visto prendere alcune macchine fotografiche”.
Herrmann Jens: “… Ho sentito forti rumori verso l’ingresso; vicino a me vi era una sola persona, un po’ più anziana. Le persone presenti si sedettero vicino al muro. La porta venne infine aperta violentemente. Ho visto volare nella sala le panche ed i tavoli che la bloccavano e quindi entrare i poliziotti. I primi si recarono subito verso il gruppo più numeroso a sinistra; poi un poliziotto si accorse che anche sulla destra vi erano alcune persone e cioè io e la persona più anziana di cui ho detto. Ho visto i poliziotti colpire i giovani a sinistra e quindi quelli che si erano diretti verso di noi iniziarono a picchiare prima il signore più anziano e poi si rivolsero verso di me; io avevo in mano il contrassegno da giornalista e continuavo a ripetere “Press”; un poliziotto iniziò a colpirmi in particolare sulla mano che teneva il contrassegno. Ero seduto accovacciato; ho ricevuto molti colpi sulle mani e sull’avambraccio. Il poliziotto urlava contro di me: “Dov’è Carlo Giuliani … dov’è Manu Chao”, appariva come invasato; lasciai cadere la tessera, ma continuai a ricevere colpi. Non riuscivo più a proteggermi la testa contro cui sembrava che il poliziotto volesse dirigere i suoi colpi. Infatti non appena ho abbassato il braccio sono stato colpito sull’orecchio e sono caduto a terra. Ho ancora ricevuto altri colpi su tutto il corpo. Arrivò un altro poliziotto che non aveva un manganello nero, ma uno marrone che sembrava di legno. I due poliziotti mi colpirono anche con calci e continuarono finché non rimasi steso inerte. Vidi che nel resto della palestra i poliziotti, che saranno stati circa una trentina, picchiavano tutti coloro che vi si trovavano. I poliziotti indossavano uniformi scure, caschi blu con una visiera ed avevano fazzoletti rossi davanti al viso. Successivamente quando smisero di picchiarmi, dissero di spostarmi nella parte opposta della sala vicino ad altri feriti; i poliziotti che avevano picchiato vennero richiamati e ne entrarono altri, che non picchiavano ed apparivano più calmi; questi raccoglievano gli zaini e ne svuotavano il contenuto in un mucchio nel centro della sala, dal quale poi raccoglievano diversi oggetti (ad esempio il mio termos di metallo); tutto sembrava molto strano; non sembrava che seguissero un preciso sistema o che cercassero qualcosa di specifico. Vidi entrare due poliziotti, non in divisa di cui uno in giacca e cravatta, quasi calvo o con capelli molto corti, che disse: “Basta” e tutti smisero di picchiare; quando entrò, infatti, erano ancora in corso le violenze”.  
Di Pietro Ada Rosa: “… mi sono diretta con il mio cane e con un ragazzo che non conoscevo verso i bagni che si trovavano dopo alcuni gradini. I poliziotti sono entrati sfondando il portone e si sono diretti verso di noi, dicendoci di metterci seduti e di non muoverci. Sentii diversi rumori di colpi e grida; dalla posizione in cui mi trovavo non potevo vedere quasi nulla. Dopo circa una decina di minuti i poliziotti sono tornati da noi e ci hanno portato nella palestra insieme ad altre persone, probabilmente prelevate dai piani superiori. Vi erano alcuni che erano sdraiati in terra, alcuni che si lamentavano alcuni sanguinavano. Ho visto i poliziotti che colpivano diversi giovani vicino a me con i manganelli e con calci; io non sono stata colpita. Tutto sarà durato circa una mezzora, quaranta minuti. Quando arrivarono i soccorsi le violenze cessarono”.
Tomelleri Enrico: “… Verso mezzanotte ho sentito qualcuno gridare che stava arrivando la Polizia e poco dopo vi è stata l’irruzione; saranno passati un paio di minuti. Ero sistemato nella palestra vicino al termosifone sul retro, a destra entrando, nel luogo visibile nella foto  20, che mi viene mostrata. Le luci erano spente ma vi era una discreta visibilità per la luce che entrava dalle finestre. Ho visto che alcune persone entravano in un vano a sinistra dell’ingresso. I poliziotti entrarono gettando le panche che si trovavano davanti alla porta d’ingresso verso il centro della sala. Un poliziotto venne verso di noi e cominciò a colpirmi con il manganello. I poliziotti indossavano un’uniforme blu scura, tenuta antisommossa, casco, avevano anche tutti un fazzoletto che copriva il volto; non so se la cintura fosse bianca o nera. Riconosco nella foto B2 la divisa, non so però se la cintura fosse bianca. Quando tutto finì venimmo raccolti sul lato opposto della palestra (a sinistra entrando) insieme ad altre persone che erano state portate giù dai piani superiori. Ci fecero accucciare in terra a gambe incrociate e ci venne detto di tenere la testa bassa. Alcuni di noi vennero nuovamente insultati con il termine “bastardi”. Poi arrivarono gli infermieri ed io conoscendo il tedesco feci da interprete tra questi ed i feriti.  Ricordo che erano entrati nella palestra alcuni poliziotti in borghese, alcuni con una pettorina con la scritta Polizia. I bagagli vennero svuotati, ma non so dire che cosa cercassero i poliziotti”.
Villamor Herrero Dolores: “… Ad un tratto venni risvegliata da alcuni voci “Polizia, arriva la polizia”; riorganizzai quindi le mie cose; le persone erano comunque tranquille. Dalla mia posizione non potevo vedere la porta d’ingresso. I poliziotti entrarono ed iniziarono a colpire i presenti, spingendoli verso il muro al lato opposto al mio e facendoli sedere a terra. I poliziotti al centro della sala ordinarono a tutti di consegnare gli zaini. I poliziotti svuotarono poi tutti gli zaini in un mucchio. Alla mia sinistra vi erano due donne, una piangeva; alla mia destra vi erano due persone che non si muovevano. Dalla mia parte non accadeva praticamente nulla, mentre nella parte opposta i poliziotti  picchiavano i presenti; si vedevano anche sedie che volavano. Ad un tratto il poliziotto che era davanti a me mi colpì sul braccio con cui ceravo di proteggermi la testa. Ho ricevuto due colpi precisi che mi hanno procurato la frattura dell’osso. Da quel momento non ho più visto che cosa accadeva alle altre persone. Vidi poi una ragazza con un maglione a righe  che irruppe di corsa gridando “ambulanza”.  Io ero in uno stato un po’ confuso e l’unica cosa a cui pensavo era di uscire; ero molto spaventata. Non sono in grado di precisare l’abbigliamento dei poliziotti: avevano divise con rinforzi sulle ginocchia, caschi, maschere antigas. Tutto avvenne contemporaneamente: alcuni poliziotti sul lato opposto al mio picchiavano, altri al centro perquisivano. Poi tre poliziotti si piazzarono davanti a noi e quindi ci colpirono”. 
Duman Mesut: “… Dopo un po’ venni svegliato da alcuni rumori e vidi entrare nella sala, inizialmente quattro poliziotti, e poi molti altri, che iniziarono subito a picchiare tutti quelli che vi si trovavano e che tenevano le braccia alzate. Ho cercato di proteggermi, riparandomi con la mia borsa nera; un poliziotto cercò di colpirmi con un manganello sulla testa ed io a mia volta mi riparai con la borsa. Ho ricevuto due colpi su un braccio e sono stato colpito anche con calci. Ho ricevuto circa una decina di colpi, inferti da tre poliziotti Il primo poliziotto che mi ha colpito non aveva il casco; sudava molto e probabilmente si era tolto il casco proprio perché aveva caldo; aveva già colpito altre persone. I poliziotti portavano una divisa blu scuro con la parte inferiore più chiara. Il terzo poliziotto mi sputò addosso dicendomi “bastardo” ed anche altri epiteti che però non ho capito. Suna è stata tirata per i capelli e trascinata per molti metri sull’altro lato della palestra, ed è stata colpita ripetutamente. Ho visto una ragazza che si trovava nella toilette venire picchiata con i manganelli. Mi ricordo di Dolores (Villamor) che era sulla parte sinistra e che venne a sua volta picchiata. Ho poi notato due poliziotti in abiti civili, uno aveva la barba, uno aveva un vestito completo scuro (giacca e pantaloni uguali e cravatta ); mentre li ho visti venivo picchiato. Il poliziotto in abito blu parlava con gli altri e sembrava dare disposizioni, non sembrava colpito dalla scena. Tale poliziotto entrò nella palestra mentre io venivo picchiato. Riconosco il poliziotto di cui ho parlato in quello visibile con la barba, il casco e il paracollo nel filmato Rep. 174 min. 3,08 (estratto). Ad un certo punto i poliziotti hanno smesso di picchiare e per quanto ho capito l’ordine venne dal poliziotto di cui ho detto, che ha anche fermato, prendendolo per il braccio, un altro agente che stava ancora colpendo qualcuno.  L’altro poliziotto in borghese arrivò poco dopo quello che aveva dato l’ordine di smettere. Il pestaggio, peraltro, cessò definitivamente soltanto quando iniziò ad arrivare il personale sanitario. Ricordo che gli zaini vennero gettati tutti in un mucchio e che i poliziotti ne svuotavano il contenuto.
Hager Morgan Katherine: “… Dormivo da circa un’ora quando mi sono svegliata perché c’era molto rumore dall’esterno; vi erano persone che correvano; ho recuperato il sacco a pelo e radunato i miei vestiti; ho poi sentito un gran rumore ed ho visto un gruppo di persone davanti all’ingresso che si sono inginocchiate con le mani in alto; un poliziotto lanciò con un calcio una sedia contro il gruppo; i poliziotti vennero poi verso di noi, che eravamo a nostra volta inginocchiati con le mani alzate, ed uno mi ha colpito in testa con un calcio; caddi a terra. I poliziotti saranno stati almeno quindici; si muovevano in tutte le parti della stanza. Un uomo vicino a me mi aiutò ad alzarmi; uno o due poliziotti iniziarono a picchiarci; misi le mani sopra la testa e mi misi rannicchiata vicino al muro. Non sono in grado di dire quanto durò; pensai che se fossi rimasta ferma, avrebbero smesso di picchiarmi. Credo di essere rimasta in quella posizione anche per un po’ di tempo dopo che avevano smesso di colpirmi. Ricordo che Sherman  perdeva sangue dalla testa e nel muoversi lasciò una traccia di sangue sulla parete. I poliziotti portavano un’uniforme scura, non so se nera o blu, caschi ed una mascherina sul volto.   I manganelli erano duri, non ho avuto la sensazione di essere colpita con un manganello flessibile ma con uno rigido.  Ci dissero poi di alzarci e spostarci sull’altro lato della palestra. Non ricordo con precisione se vi fu un ordine in tal senso e se mi sono spostata perché gli altri lo facevano. Alcune persone arrivavano dai piani superiori; alcuni dovettero essere portati perché non in grado di muoversi. I poliziotti prendevano i sacchi, li aprivano e li svuotavano; ponevano poi il contenuto in diverse pile. Non ho visto mazze, picconi o altri attrezzi”.
Sparks Sherman David: “… Mi ero messo a dormire e dopo circa un’ora venni risvegliato da un gran rumore all’esterno. Poco dopo vidi entrare il primo poliziotto con uniforme imbottita blu scuro e casco; il poliziotto sbatteva i piedi ed urlava qualcosa come “bastardi”, diede poi un calcio ad una sedia e quindi venne verso di noi e diede un calcio in testa a Hager Morgan; nel frattempo erano entrati molti poliziotti, per quanto ricordo in numero superiore alle persone che vi si trovavano. Avevano la visiera del casco abbassata ed una bandana che copriva il volto; hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli. Mi ero rannicchiato come molti altri e venni picchiato con diversi colpi di manganello sulla testa, all’inguine, sulla schiena ed in genere sul corpo; per quanto vedevo, anche gli altri venivano ripetutamente colpiti con i manganelli. Smisero poi di picchiarci  e ci dissero di spostarci sull’altro lato della stanza; arrivarono anche altri feriti dai piani superiori. In questo momento nella palestra vi erano anche poliziotti vestiti meno pesantemente dei primi con divise ordinarie; poi arrivarono anche i sanitari che iniziarono ad assistere i feriti. Vidi accanto a me sangue fresco che dapprima pensai fosse di un signore che mi era vicino e che aveva un braccio evidentemente rotto, ma poi mi accorsi che ero io a perdere sangue dalla testa. I poliziotti dissero quindi di consegnare gli zaini; li raggrupparono e li svuotarono, ponendone il contenuto in una pila. Non ricordo di aver visto in tale occasione bastoni, mazze o altri arnesi”.
Galante Stefania: “… Ad un tratto sentii alcune grida e vidi una gran confusione; qualcuno spostò sedie e tavoli;  sentii poi rompersi i vetri di una finestra e quindi vidi una massa di persone che entrava dal portone. Si trattava di poliziotti che in parte si distribuirono nella palestra, ed in parte salirono ai piani superiori. Ero rannicchiata in un angolo con Valeria; segno sulla piantina che mi viene mostrata il punto ove ci trovavamo. Vidi alcuni ragazzi che si alzarono con le mani in alto e che vennero subito picchiati; i poliziotti colpivano tutti coloro che si trovano di fronte a loro, scagliavano sedie, urlavano contro di noi e ci insultavano dicendoci: “Nessuno sa che siamo qui, vi ammazzeremo tutti; ora piangete ieri vi sentivate forti …” . Valeria venne colpita, ma noi eravamo abbastanza riparate. Tutto durò circa dieci, quindici minuti. I poliziotti indossavano una divisa in due parti con giubbotti blu scuri e ginocchiere imbottite; caschi blu; manganelli con un manico; alcuni di loro prendevano i manganelli dall’altra parte, picchiando con il manico, si vedeva che giravano i manganelli, che avevano una protuberanza finale. Ad un tratto qualcuno disse ripetutamente: “Basta” e tutto finì. Quindi entrarono altri poliziotti in borghese e poi altri in giacca e cravatta che mi pare dessero ordini su come trattare i feriti e esaminare gli zaini. Vidi anche alcuni feriti che scendevano dalle scale ed apparivano feriti anche in modo grave; sanguinavano; ricordo vicino a me anche un ragazzo con un braccio molto gonfio”.
Haldimann Fabian: “… Ero già nel sacco a pelo e stavo dormendo, quando fui svegliato da una donna che parlava tedesco.  Quando mi svegliai nella palestra erano rimaste ormai poche persone; davanti alla porta vi era un mucchio di sedie e tavoli; si sentiva che la polizia stava entrando; si sentivano rumori di vetri infranti e colpi. Io misi le mie cose nello zaino e passando davanti ai computer corsi sulle scale verso il piano superiore.  Vidi una persona che era rimasta incastrata con il suo zaino in una finestra mentre cercava di uscire; io cercai di spingere lo zaino, per uscire anch’io ma ricaddi indietro e venni preso dai poliziotti che nel frattempo erano arrivati. Cercai di proteggermi la testa, ma tutti i poliziotti che passavano mi colpivano con i manganelli e con gli stivali. Nell’angolo davanti a me c’era un altro giovane con i capelli ricci lunghi neri; era cosparso di sangue; entrambi cercavamo di proteggerci dai colpi dei poliziotti. I poliziotti portavano caschi con la visiera alzata ed avevano il volto coperto; avevano strisce rosse sui pantaloni; indossavano stivali; avevano manganelli. Venni colpito sulla testa sulle braccia sulla mano sulla coscia destra sul dorso e con forza sulla tibia e sul piede. I poliziotti ci spinsero poi indietro verso la palestra”.
Aleinikovas Tomas: “… Ad un tratto sentii un gran rumore e vidi diverse persone che correvano. Corsi insieme ad una ragazza in un bagno. Vidi entrare un uomo con una divisa nera o comunque scura imbottita ed un casco che ci disse, facendosi capire anche a gesti, che dovevamo andare via. Ci portò fuori a forza e giunti nel corridoio vidi che vi erano diversi poliziotti che colpivano le persone presenti; ci portarono nella sala principale e ci fecero stendere a terra,  dicendoci di stare calmi. Vicino a me vi era un ragazzo che mosse la testa e venne quindi colpito da un poliziotto che gli disse di stare fermo. Rimasi steso a terra per circa una trentina di minuti, un’ora, almeno così mi pare. Non venni perquisito. Successivamente mi fecero consegnare il mio passaporto. Avevo lasciato il mio zaino nella sala principale prima di portarmi nella saletta dei computer. Non vidi bastoni, armi o bottiglie molotov. Nessuno mi disse che ero in arresto; lo capii soltanto dopo. Venni colpito sulla schiena con un manganello mentre mi portavano dal bagno alla sala principale”.
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Albrecht Daniel Thomas: “… La sera, verso le ore 22, ero con Sibler Steffen, Kutschkau Anna Julia, Zeuner Anna Katharina, cercammo un posto per dormire e salimmo al primo piano, ove ci sistemammo in una stanza che indico sulla piantina che mi viene mostrata. Mi addormentai verso le ore 23. Circa un'ora dopo mi svegliò un mio amico, dicendomi che c'era la Polizia. Mi alzai e dalla finestra vidi che tutta la strada era occupata da macchine della polizia. Mi rivestii e con i miei amici ci dirigemmo nel corridoio, dove si trovavano anche altre persone, circa una ventina; avevamo molta paura; si sentivano urla e forti rumori. Una signora che non conoscevo disse "restiamo fermi con le mani alzate" e così facemmo, ponendoci in fila lungo le pareti del corridoio. I poliziotti arrivarono, salendo le scale con passo accelerato; nessuno di noi  scappò e non c'era "casino". Urlavano qualcosa e ci facevano segno di sederci. Vennero poi nella mia direzione e ponendosi davanti ai singoli, li picchiavano con forza e senza alcuna fretta. Io stesso fui colpito sulla testa ed anche  sulle braccia perché cercavo di proteggermi. I poliziotti avevano guanti imbottiti e colpivano anche con pugni e calci. Andavano avanti ed indietro, colpendo tutti. Urlavano "bastardi" ed altri insulti che io non comprendevo. Io era sdraiato in terra, vicino a me vi era una pozza di sangue che io perdevo dal braccio, dalla bocca e dalla testa. Dopo un po' vidi arrivare due persone in abiti civili con un giubbotto della polizia; arrivarono quando le violenze erano appena cessate. I poliziotti portavano divise scure un casco blu e un manganello tipo "tonfa". Non sono in grado di precisare il colore delle cinture dei poliziotti intervenuti, mi sembra comunque che ve  ne fossero sia chiare sia scure”.
Gieser Michael: “… Ero sistemato nella sala palestra, sul lato opposto all’ingresso, a sinistra davanti al radiatore, pressoché nel punto indicato dalla lettera G visibile nelle foto 18 e 19 e che segno sulla piantina. Mi ero messo in pigiama e stavo recandomi in bagno per lavarmi. Ho sentito gridare: "La Polizia". Mi sono recato alla porta per vedere che cosa stesse accadendo, ma senza alcuna paura perché ritenevo di non avere nulla da temere. Ho guardato dalla finestra ed ho visto un gran numero di poliziotti; il numero dei poliziotti era però piuttosto preoccupante. Il portone era chiuso; accanto vi era la finestra da cui io stavo guardando. Quando mi sono affacciato la Polizia era già all’interno del cortile.  Ma quando ho visto entrare la Polizia, tutti hanno cominciato a correre via. Così ho fatto anch'io. Avevo lo spazzolino da denti in mano e davanti a me c'erano i poliziotti con caschi e divisa. Sono salito al primo piano; sulle scale c'era un blocco e mi sono reso conto che la scuola era in ristrutturazione. Ho pensato di saltare dalla finestra, ma il cortile era pieno di poliziotti. Uno disse di stenderci a terra e di far vedere che non c'era alcuna resistenza e così ho fatto. Ero all'inizio del corridoio. Nonostante la nostra posizione ho visto alcuni poliziotti attaccare la prima persona che incontrarono e poi la seconda e così via, continuando a picchiarle. Mi sono posto in posizione di difesa proteggendomi la testa e sono stato picchiato con manganelli ed anche con calci nelle altre parti del corpo. Non sono in grado di dire quanti fossero i poliziotti che ci picchiavano, ma certamente almeno otto. Sentivo i poliziotti che correvano nei corridoi. Poi sono andati al secondo piano e sentivo gridare; alcuni ritornavano e riprendevano a picchiare; io chiedevo "perché" e le risposte erano soltanto insulti. Vedevo sangue dovunque. Ad un tratto un poliziotto all'ingresso del corridoio urlò "basta". Ma alcuni continuarono a picchiare, dimostrando piacere a distruggere le persone. Il poliziotto all'ingresso, che era con la stessa divisa degli altri, ma si era tolto il casco, urlò ancora più volte "basta" e il pestaggio finalmente terminò. Ci fecero mettere con le braccia dietro la nuca. Vicino a me vi erano diversi ragazzi feriti”.
Buchanan Samuel: “… Nella scuola ci eravamo sistemati in una stanza dove dormiva soltanto il nostro gruppo (cinque persone, di cui due di nazionalità australiana), al primo piano sulla sinistra guardando il palazzo, … abbiamo sentito un certo trambusto sulla strada e persone che correvano; sono andato alla finestra ed ho visto molti poliziotti intorno alla scuola nonché un veicolo della polizia che stava spingendo in retromarcia il cancello. Non ho visto i poliziotti entrare nel portone della scuola.  Ci siamo subito rivestiti e poi ci siamo distesi in terra sotto il tavolo. Abbiamo sentito picchiare sulla porta, che era stabilmente chiusa a chiave tanto che noi per entrare nella stanza dovevamo passare attraverso le impalcature e le finestre. Alla fine i poliziotti hanno sfondato la porta ed alcuni sono entrati nella stanza; tre poliziotti hanno spostato il tavolo – io tenevo una sedia contro il mio corpo – ma poi l’ho lasciata e mi sono rannicchiato. I poliziotti hanno iniziato a picchiarmi con i manganelli, ho cominciato ad urlare ed i poliziotti hanno smesso di picchiarmi; poi sono stato tirato su e mi sono alzato; quindi sono stato spinto in avanti sulle scale, tenendomi per il collo. Sono stato condotto nella stanza grande di sotto; vi erano circa una trentina di persone che apparivano tutte essere state picchiate; alcuni erano inginocchiati, alcuni sanguinavano, alcuni sembravano storditi, due sembravano aver perso conoscenza ed erano distesi in terra. Vi erano anche circa dieci, quindici poliziotti ma non stavano facendo nulla. Ero sul lato sinistro della stanza; sono stato spinto a mettermi in ginocchio con la faccia al muro e dopo qualche minuto ci hanno detto che potevamo sederci. Mi pare che alcuni poliziotti  dessero ordini agli altri. Poi arrivarono medici o paramedici, che sembravano piuttosto confusi;  vennero fatte con scatole di cartone alcune steccature per i feriti. Non ho visto effettuare perquisizioni. Nella stanza vi erano molti zaini; alcuni venivano spostati dalla polizia altri venivano lasciati dove  erano”.
Blair Jonathan Norman: “… Insieme ai miei amici (Daniel Mc Quillan e Buchanan Samuel)mi sono sistemato al primo piano in una stanza a sinistra dell’ingresso … Verso le undici andai a dormire; ero nel sacco a pelo e stavo per addormentarmi, quando sentii un forte rumore, come un temporale; mi alzai, mi affacciai alla finestra e vidi moltissimi poliziotti che arrivavano dalla strada, caricando, muovendosi in modo aggressivo e urlando … Poco dopo sentii molte urla ed anche esplosioni; pensai che stessero usando delle granate per stordire ed anche dei lacrimogeni, ma poi  più tardi vedendo alcuni computer rotti, capii che molto probabilmente si era trattato dei monitor che si rompevano. Ero terrorizzato e non posso quindi precisare con esattezza i tempi, ma dopo circa cinque, dieci minuti, sentii diversi forti colpi alla porta che poco dopo cedette. Entrarono i poliziotti, che illuminarono la stanza con un grosso riflettore; il mio amico Dan si alzò in piedi dicendo: “Non siamo violenti”. Subito dopo i poliziotti si avventarono contro di lui senza dire nulla; Dan cadde sopra di me ed i poliziotti continuarono a colpire lui e me che però ero riparato dal suo corpo; tutto ciò proseguì per alcuni minuti senza che nessuno ci dicesse nulla circa i nostri diritti. Sono stato colpito con qualcosa di duro, potevano essere manganelli e stivali. Poi i poliziotti uscirono dalla stanza, buttandoci addosso i telai delle finestre. Arrivarono quindi altri poliziotti  che ci fecero uscire nel corridoio senza farci prendere i nostri zaini. Vi erano altre persone nel corridoio ed i poliziotti continuavano a picchiarci. Siamo stati portati nella palestra al piano sottostante, sulla sinistra rispetto alle porte sul retro, pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata; ci hanno fatto sedere sui tacchi in ginocchio”.
Mc Quillan Daniel: “…Mi trovavo presso la scuola Pertini per trascorrervi la notte; ero al primo piano in una stanza sulla parte anteriore del palazzo, in cima alle scale sul lato nord, con due amici, Norman Blair e Sam Bucanan … Sono stato svegliato da un rumore molto forte; il mio amico disse che stavano arrivando molti poliziotti; io ero senza lenti a contatto e non ho potuto quindi vedere niente. Ci siamo subito vestiti. Ho sentito diversi rumori sul fronte del palazzo. Il mio amico Norman (Blair) mi disse che un camioncino della Polizia stava sfondando il cancello. Sentii quindi molte urla e rumori di oggetti che venivano rotti. Abbiamo pensato di nasconderci sotto un tavolo; dopo circa dieci minuti la Polizia entrò sfondando la porta; la stanza era al buio, ricordo la luce che entrava dal corridoio; i poliziotti erano almeno otto; mi sono alzato in piedi ed ho alzato le mani ed in inglese ho detto “Calma”. Il poliziotto che mi era più vicino ha alzato il braccio fin sopra la testa e mi ha colpito il più forte possibile; mi si è oscurato tutto e sono caduto in terra. Ricordo che i poliziotti continuavano a colpirmi ed io cercavo di ripararmi con le braccia; ho avuto paura di morire ed ho iniziato ad urlare. Dopo un po’ hanno smesso di picchiarmi ed i poliziotti nell’uscire dalla stanza mi hanno buttato addosso alcuni telai di finestre senza vetri che si trovavano nella stanza. I poliziotti portavano caschi e mi pare indossassero una divisa antisommossa, ma non posso essere preciso anche perché era buio. Venni colpito con manganelli (lunghi e dritti per quanto ricordo) e forse anche con calci. Altri poliziotti sono entrati nella stanza e ci hanno portato giù per le scale continuando a colpirci e quindi nella palestra, dove ci hanno fatto inginocchiare, seduti sui tacchi. Poiché continuavo a sanguinare ero molto preoccupato. Dopo un po’ ci permisero di sederci; in quel momento fui in grado di vedere la situazione disastrosa del locale: sembrava fosse esplosa una bomba; vi erano diversi poliziotti, alcuni in borghese, alcuni con maschere, molte persone ferite che si lamentavano. I poliziotti aprivano gli zaini e li svuotavano in terra, spargendone il contenuto qua e là  ed anche questo mi spaventava moltissimo, anche perché non mi sembravano normali comportamenti della Polizia. Ho avuto la sensazione che i poliziotti agissero su specifiche istruzioni; vi era una persona, vestita in borghese con un codino, che sembrava dare ordini. Un’altra persona in giacca e cravatta è poi entrata ed ha guardato quanto era accaduto e quindi si è allontanata”.
Sibler Steffen: “… Mi sono svegliato sentendo dei rumori ed affacciatomi alla finestra ho visto la Polizia che arrivava dall’alto della strada verso l’istituto (da destra a sinistra). Ci siamo vestiti e siamo usciti nel corridoio, ove saremo stati in circa venti; poi arrivò gente anche dal piano terra e così saremo stati in circa trenta. Conoscevo Anna (Kutschkau), Kathrin (Ottovay), Melanie (Jonasch), Simon (Schmiederer) ed altri. Ho visto i poliziotti correre verso la scuola; sbattere il cancello e poi ho visto una macchina della Polizia sfondare il cancello. Dopo aver visto questo mi sono portato nel corridoio. Avevamo paura. Abbiamo parlato su come comportarci ed abbiamo deciso di aspettare la Polizia con le mani alzate. Ho sentito grida dal piano terreno; tutti noi abbiamo alzato le mani. Ho visto quindi arrivare il primo poliziotto, che subito ha colpito il primo, che era fermo con le mani alzate. Sono poi arrivati diversi poliziotti che si sono diretti contro di noi, picchiando tutti con i manganelli. Io mi trovavo nella posizione che indico sulla piantina, davanti al laboratorio di informatica. I poliziotti indossavano un uniforme blu, giacca blu scura e pantaloni più chiari, caschi blu e un fazzoletto rosso scuro. Le giacche ed i pantaloni avevano delle imbottiture. La divisa era quella visibile nella foto B2, ma i poliziotti non avevano la cintura bianca; più tardi ho notato le cinture scure. Continuavano ad arrivare poliziotti, penso che ne siano giunti circa 25; dissero di sederci e tutti ci sedemmo sui lati del corridoio. I poliziotti che passavano picchiavano tutti quelli che erano seduti con i manganelli, tipo “tonfa” , che riconosco nella foto 856 (faldone 2). Questo manganello ha un manico ad angolo retto. Il manganello veniva usato al contrario colpendo con la parte del manico; io sono stato picchiato così e così Anna Kutschkau ed altri di cui però oggi non ricordo i nomi. I poliziotti picchiavano anche con calci. Anche Anna Kutschkau venne colpita con calci Io sono stato colpito cinque volte, sulla testa e sul lato destro del corpo e sulle braccia con cui cercavo di proteggermi. Non sono in grado di dire se fui picchiato da un solo poliziotto o da diversi poliziotti. Ho visto i poliziotti che picchiavano alzando il braccio e colpendo verso il basso. Ad un tratto ho sentito un poliziotto, che portava la stessa divisa degli altri, gridare “basta” e tutti i poliziotti hanno smesso di picchiare. Ciò accadde circa dieci minuti dopo l’inizio. A questo punto ho visto Melanie che giaceva sulla mia destra dietro Anna Kutschkau in una pozza di sangue senza muoversi, perdeva sangue dalla testa, tanto che ho avuto paura che fosse morta. Daniel Albrecht era seduto alla mia sinistra dietro Kathrin. Vidi subito dopo altre due persone che erano in abiti civili: una portava una giacca (giubbotto) con la scritta Polizia, un casco ed un manganello, l’altra era completamente in abito civile, giacca e pantaloni chiari. Il poliziotto che aveva detto “basta” si tolse il casco, aveva capelli molto corti scuri, era più piccolo di me, alto circa m. 1,70, 1,75; la persona in abito civile aveva circa cinquanta anni, capelli bianchi corti. Il primo parlò con noi in inglese e disse anche qualcosa circa l’ambulanza; guardando Melanie disse “Oddio”.  La prima persona che ci aiutò fu una certa Jeannette, che chiese al poliziotto che aveva urlato “basta” se poteva soccorrerci”.
Kutschkau Anna Julia: “… Ci eravamo messi a dormire, quando ad un tratto mi sono svegliata perché ho sentito gridare “Arriva la Polizia”. Mi sono affacciata ed ho visto tanti poliziotti sulla strada; portavano un uniforme blu e caschi blu; sono uscita nel corridoio. Ero scioccata, anche perché mi ero svegliata di soprassalto e così mi è difficile ora ricordare con precisione quanto accadde. Sentii grida e rumori. Ricordo che ho alzato le braccia in alto, come i miei amici e le altre persone che si trovavano nel  corridoio; vi saranno state in tutto circa una quindicina di persone. Io mi trovavo nel luogo che indico sulla piantina, davanti al laboratorio di lingue. Ho visto arrivare i poliziotti che hanno iniziato a colpire tutti quelli che si trovavano nel corridoio. Ho sentito gridare “giù” da qualche poliziotto anche in tedesco e mi sono subito abbassata. I poliziotti gridavano anche insulti come “bastardi” contro di noi. Io ho ricevuto il primo colpo, mi pare sulla faccia, con un manganello, di cui non sono in grado di precisare la forma esatta e poi un calcio con lo stivale sul mento. Mi sono accorta che aveva perso dei denti. Io ero in ginocchio e avevo le mani sulla testa. Sono stata poi colpita ancora diverse volte: in particolare ho ricevuto un colpo in alto sul dorso e un calcio sulla mano. Non credo che siano stati inferti tutti dallo stesso poliziotto. I poliziotti correvano lungo il corridoio e picchiavano tutti quelli che vi si trovavano. Davanti a me vi era una signora, che venne a sua volta colpita. Alla mia destra vi era Melanie (Jonasch) che venne colpita diverse volte; inizialmente cercò di rialzarsi e poi la ricordo stesa in terra che perdeva molto sangue dalla testa; due o tre poliziotti l’hanno quindi ancora colpita sulla pancia, facendole sbattere la testa contro l’armadio; non reagiva più ed io temevo che fosse morta. Ad un tratto sentii gridare “basta” almeno due volte; il poliziotto che gridò aveva il casco che poi si tolse; gli altri smisero quindi di picchiare; poi la maggior parte dei poliziotti si allontanò”.
Dreyer Jeannette Sibille: “… mentre eravamo ancora nel cortile, abbiamo sentito gridare “Polizia” e siamo quindi entrati di corsa nella scuola; eravamo molto spaventati. Siamo saliti al primo piano; eravamo in molti ed abbiamo deciso di metterci vicino al muro tutti con le mani in alto. Ho visto guardando dalla finestra che molti poliziotti stavano entrando nella scuola; il cortile era pieno di poliziotti. Ho sentito delle grida dal basso e molto rumore; poi ho visto arrivare i poliziotti che hanno subito iniziato a picchiarci, urlando verso di noi “bastardi, bastardi”. Mi sono seduta ed ho cercato di proteggermi la testa con le braccia. I poliziotti picchiavano infatti sulla testa tutti quelli che si trovavano nel corridoio; ricordo di essere stata picchiata da due poliziotti con un intervallo di qualche minuto; noi eravamo circa una ventina, i poliziotti correvano avanti e indietro e non sono in grado di dire quanti fossero. I poliziotti indossavano giacche scure, caschi e portavano davanti al viso dei fazzoletti rossi; i pantaloni erano più chiari; avevano stivali neri e cinture scure, manganelli tipo tonfa, un bastone cioè con un manico ad angolo retto. Ho visto anche che alcuni poliziotti usavano il tonfa, tenendolo per la parte lunga e colpendo con il manico. Sono stata colpita sulla mano che si è fratturata in tre punti. Arrivò poi un poliziotto che gridò ripetutamente “basta”, e quindi gli altri smisero di picchiarci. Non era molto alto, era piuttosto robusto con capelli scuri ed indossava la stessa divisa ma non aveva il fazzoletto rosso. Riconosco tale poliziotto in quello visibile nella foto che mi viene mostrata (Rep 65A G114). I poliziotti sembravano ubriachi. Uno ci disse in inglese di non muoverci più, perché avrebbe potuto essere molto pericoloso. La situazione era disastrosa, vi era sangue dovunque; davanti a me vi era una donna che giaceva in una pozza di sangue e non dava segni di vita. Siccome avevo dei bendaggi ho chiesto se potevo aiutarla e così l’ho immediatamente soccorsa; aveva una ferita all’occipite ed aveva perso molto sangue. Avevo in precedenza frequentato un corso di pronto soccorso. Ho detto al poliziotto che aveva urlato “basta” di chiamare subito un’ambulanza. Vi era un’altra donna che non aveva più denti e perdeva sangue dalla bocca e le ho portato l’acqua. In tutto il periodo in cui mi occupavo dei feriti sono rimasta con il poliziotto che aveva detto “basta”. Non so se avesse una posizione di comando, mi sembrava che fosse piuttosto scioccato di quanto vedeva e in inglese cercava di scusarsi con me. Gli ho chiesto che cosa sarebbe successo di noi e mi rispose che saremmo stati tutti portati via”.
Jonasch Melanie: “… Ero nel cortile della Pertini, ove tutto era tranquillo e la gente stava parlando di come ripartire, quando ad un tratto ho visto sopraggiungere di corsa numerosi poliziotti sulla strada dall’alto. Erano in divisa blu e si recavano verso l’ingresso della Pascoli. Mi sono spaventata anche per il numero ed il modo in cui avanzavano nella strada e sono entrata nella Pertini. Ho visto che alcuni chiudevano i cancelli sia della Pertini sia della Pascoli; eravamo tutti impauriti. Sono salita al primo piano, ove ho incontrato alcuni miei connazionali. Dalla finestra ho visto che tutto il cortile era pieno di poliziotti. Non ho visto lanci di oggetti. Con gli altri tedeschi che erano nel corridoio abbiamo deciso di alzare le mani; io ero in piedi con il viso rivolto alla scala e la schiena contro il muro. Poi ho visto arrivare i poliziotti dalla scala e non ricordo più nulla. Soffro di amnesia retroattiva. Ricordo il casco dei poliziotti di colore blu”.
Reichel Ulrich: “… Verso le 23,30 ad un tratto sentii alcune persone che entrando dal cortile gridavano: “Polizia, polizia”. Mi sono recato verso l’ingresso dove c’era una finestra; vidi così un gran numero di poliziotti che stavano scuotendo il cancello che era chiuso; urlavano qualcosa in italiano che io non ho capito. Sono corso al primo piano, ove avevo lasciato il mio zaino. Non ho visto se qualcuno chiuse il portone. Vi erano persone che correvano a destra e sinistra; c’era molta confusione. Ho guardato dalla finestra ed ho visto un veicolo della Polizia che sfondava il cancello. Sono corso in direzione del bagno; vi era un gran caos; la gente cercava di raggiungere un’impalcatura dalla finestra del bagno per uscire dalla scuola. Io sono tornato nel corridoio;  si sentivano rumori dal basso: colpi, legno che si rompeva e vetri che cadevano, quindi grida. Indico sulla piantina che mi viene mostrata la posizione del bagno,  della finestra da cui ho guardato verso il cortile e il punto in cui mi trovavo nel corridoio. Una persona alzò le mani e tutti abbiamo deciso di fare lo stesso. Abbiamo sentito passi veloci sulle scale. Di fronte a me vi erano due persone che con le mani in alto erano appoggiate ad un armadio con la faccia rivolta all’armadio. I poliziotti corsero subito verso queste persone e le colpirono con i manganelli sulla schiena. Urlavano “giù” e colpirono la prima con il manico dei manganelli tipo “tonfa”, tenendoli dalla parte lunga. Questa cadde a terra ed i poliziotti continuarono a colpirla tre o quattro volte. Lo stesso poliziotto si diresse sulla sinistra ove vi era un gruppo di sei o sette persone accucciate in terra con le mani sulla testa per proteggersi e le colpì ripetutamente. Poi sono stato colpito anch’io con una manganello; cercavo di ripararmi la testa con le mani. Almeno tre poliziotti mi hanno picchiato in successive riprese ed uno mi ha anche dato un calcio. Non so quanto sia durato, forse non più di due minuti. Ero il primo vicino all’ingresso. I poliziotti indossavano caschi ed uniformi scure blu: l’uniforme era più scura del casco. Riconosco la divisa visibile nella foto B2 che mi viene mostrata, ma non ricordo la cintura bianca che avrei certamente notato. Sono certo che il poliziotto che era davanti a me e mi picchiava non aveva la cintura bianca. I poliziotti correvano lungo il corridoio e si sentivano grida provenire da ogni parte. Alla mia destra c’era una persona di spalle con i capelli corti in una pozza di sangue, che diventava sempre più grande; era immobile ed io temevo che fosse morta. Un poliziotto gridò “Non muovetevi”. Poi ci fecero alzare ed io rimasi appoggiato al muro per non cadere. C’era una donna che con il permesso della Polizia aiutava i feriti con alcune garze. Non so se vi fosse qualcuno che desse ordini, forse quello che disse di non muoverci e poi di scendere. Sulle scale vi erano diversi poliziotti che al nostro passaggio ci sputavano addosso ci insultavano e gridavano “bastardi”; uno con il casco  continuava a picchiare quelli che passavano con il manganello, non so se fosse un “tonfa” o non; io non sono stato colpito. Al piano terra c’era un gran caos: vi erano diverse persone ferite, sangue dovunque, il contenuto degli zaini erano sparsi per terra; accanto a me vi era una signora con un braccio gonfio, davanti c’era un uomo che gridava perché aveva le gambe rotte. C’erano anche poliziotti non in uniforme. Uno venne da noi e ci disse di buttare le borse in mezzo alla sala. Uno al centro in uniforme con il viso coperto aveva un’arma che teneva con entrambe le mani e la dirigeva contro una persona che giaceva a terra, mi pare fosse una donna, a cui continuava ad urlare qualcosa. Riconosco l’arma nelle foto che mi vengono mostrate (65 A e 95AED – lancia lacrimogeni). C’erano anche alcuni poliziotti in maglietta e jeans o pantaloni normali ed alcuni in giacca e cravatta. Ho visto alcuni poliziotti che svuotavano gli zaini facendone un gran mucchio. Non ho visto poliziotti prendere qualche oggetto particolare dal contenuto degli zaini”.
Barringhaus Georg: “… Sono poi stato svegliato da Stella e mi sono accorto che il portone veniva scosso da colpi violenti; vi erano persone che correvano all’interno; nella palestra erano rimaste poche persone e mi sono reso conto che la scuola era circondata dalla Polizia. Ho seguito alcune persone, due o tre, che salivano su una scala che era in parte sbarrata con assi di legno e che riconosco nella foto n. 40 che mi viene mostrata. Siamo saliti al primo piano; nel corridoio eravamo circa in dieci ed insieme si è deciso di alzare la mani all’arrivo della Polizia. Io ero un po’ indietro rispetto all’ingresso. Arrivò il primo poliziotto che urlò qualcosa in inglese e noi ci stendemmo in terra; subito il poliziotto iniziò a picchiarmi con il manganello; ricevetti diversi colpi sulla gamba e sul lato del corpo. I poliziotti urlavano “bastardi, bastardi”. Poi smisero di picchiarmi, ma poco dopo ripresero ed io venni colpito con un calcio alla faccia e venni sbattuto contro il muro. Sentivo urla e rumori di colpi. Mi lamentavo ed un poliziotto mi disse immediatamente di tacere. Non sono in grado di dire quale fosse l’abbigliamento dei poliziotti; mentre ero a terra potevo vedere soltanto gli stivali neri ed i pantaloni blu scuro. Non sono neppure in grado di dire con precisione quanto sia durata l’azione, forse cinque minuti; il tempo passava molto lentamente. Ad un tratto arrivò un poliziotto che gridò: “Basta, basta” e mi sembra che venne anche accesa la luce (prima mi pare che la luce fosse piuttosto scarsa); subito dopo arrivò anche un sanitario a cui mi avvicinai e che si occupò di una persona vicina all’ingresso, che sembrava incosciente e ferita gravemente. Una donna, ospite della Diaz, mi si avvicinò e mi prestò soccorso, bendandomi insieme a Stella; quindi aiutato anche da un sanitario uscii nel cortile; ero seguito anche da un altra persona che ho poi saputo era Sibler”.
Lelek Stella: “… siamo saliti al primo piano; qualcuno disse “restiamo insieme e teniamo le mani in alto” e così abbiamo fatto. Avevo molta paura. Arrivarono i poliziotti che dissero di metterci in terra contro il muro e subito dopo iniziarono a colpire tutte le persone. Io mi ero stesa in terra. Mi ricordo di aver ricevuto un calcio al ventre e diversi colpi sul corpo. Mi pare di riconoscere nella foto n. 52 il corridoio in cui mi trovavo, mi pare che fossi sulla parte destra non all’inizio ma un po’ più avanti. Non posso dire quanto durò l’azione della Polizia; ricordo soltanto che ad un tratto qualcuno gridò: “Basta, basta” e tutto terminò; io riaprii gli occhi e vidi che c’era molto sangue; vidi Georg che era coperto di sangue. Vi era una donna, di cui poi ho saputo il  nome Jeannette (che riconosco nelle foto-segnaletica n. 26), che aiutava i feriti; più tardi ho conosciuto Sibler Steffen, ed insieme a lui sono uscita nel cortile.  Vi era anche una ragazza che aveva perso conoscenza e che mi pare sia stata curata per prima dal sanitario intervenuto, che poi su mia richiesta si occupò anche di Georg. Nel corridoio le lampade erano spente e la luce veniva soltanto dall’esterno”.
Baumann Aydin Barbara: “… Ad un tratto  mi sono svegliata perché qualcuno gridava che c’era la Polizia; mi sono vestita e poi sono corsa verso il corridoio dove c’erano i computer. Sapevo che vi era una scala e pensavo che fosse possibile uscire dall’edificio. La porta principale era stata chiusa, ma non l’ho vista chiudere. Sono salita al primo piano, ma sono poi ridiscesa, perché volevo prendere la tenda che mi aveva prestato una mia amica, raccomandandosi di non perderla di vista. Mi sono così accorta che una finestra era distrutta ed ho visto diverse persone che uscivano, attraversandola; non sono in grado di riferire a quale piano si trovasse tale finestra o se vi fosse all’esterno un’impalcatura. Sulle scale ho visto un gruppo di persone che correva verso di me; siamo saliti nel corridoio seguiti dalla polizia. Eravamo un piccolo gruppo di circa dieci persone. I poliziotti hanno urlato qualcosa in italiano; prima uno e poi tutti noi abbiamo alzato le mani. Ci tenevamo le mani sulla testa perché i poliziotti avevano subito iniziato a colpirci con i manganelli. Erano circa una decina alcuni in uniforme e almeno uno o due senza, portavano il casco ed un fazzoletto davanti alla bocca; era impossibile riconoscerli. Mi hanno colpito sulla testa e sulle mani con cui mi proteggevo; caddi a terra e rimasi per un attimo senza coscienza. Sono stata ancora colpita sulla schiena e con un calcio sul fianco. Sentivo lamenti ed urla, ho visto colpire la persona che era al mio fianco. Ho visto colpire ripetutamente  anche con gli stivali Rafael (di cui solo successivamente ho conosciuto il cognome, Pollok). Finalmente ad un tratto tutto finì e vidi che presso la porta da cui si accedeva nel corridoio vi era una persona con un vestito civile (giacca e cravatta) che parlava con i poliziotti in evidente posizione di comando. Non sono in grado di ricordare particolari più precisi circa tale persona, era robusta, non mi pare che portasse occhiali e sono quasi sicura che non aveva la barba. Siamo stati portati al piano terra; un’altra persona ed io abbiamo sorretto Rafael che non riusciva a tenersi in piedi. Mentre stavamo scendendo, vi era una persona con un manganello che colpiva quelli che passavano; io sono stata nuovamente colpita”.
Figurelli Attilio: “... Siamo saliti al primo piano e mentre stavo stendendo a terra la mia coperta in mezzo al corridoio, ho sentito un forte trambusto all’esterno. Ho riposto la coperta nello zaino, mi sono affacciato ed ho visto che vi era la polizia che cercava di entrare nell’edificio. Il cancello del cortile venne chiuso da alcuni ragazzi; vi era anche una camionetta della polizia. I poliziotti avevano un atteggiamento aggressivo. Sono rientrato dal balcone e non ho più visto che cosa sia successo all’esterno. Eravamo vicino all’ingresso dalla scala. Abbiamo sentito forti rumori ed io Angela e Vito non sapevamo che cosa fare; ci siamo messi con le mani alzate; sono arrivati i poliziotti che ci hanno radunato in un angolo alla fine del corridoio; il primo poliziotto che arrivò ci ha detto di sederci in italiano e così abbiamo fatto. Ogni tanto passava un poliziotto che colpiva qualche ragazzo con il manganello e poi si allontanava; ne arrivava poi un altro che a sua volta colpiva qualche altro ragazzo; io non ho subito colpi perché ero nell’angolo e quindi ero un po’ coperto. Ho visto colpire un ragazzo alla testa. Mi pare che i poliziotti indossassero un’uniforme antisommossa, come quelle che si vedono allo stadio. Ho anche visto un uomo vestito con un completo, giacca e pantaloni blu o neri, che continuava a dire “state calmi, state calmi”; mi pare che lo dicesse rivolto ai poliziotti. Ci hanno poi portato al piano terra nella palestra ove ho visto diverse persone che apparivano ferite e si lamentavano. Un poliziotto che non era in divisa mi ha detto di mettere lo zaino insieme ad altri in un mucchio; non ho più saputo nulla delle mie cose. Ho notato che i poliziotti prelevavano da uno zaino un moschettone che era attaccato all’esterno, sembrava che cercassero qualcosa”.
Mirra Christian: “… Ad un tratto sentii rumori all’esterno. Mi alzai e corsi fuori dalla palestra; il portone era chiuso; tutti erano molto spaventati. Salii sulle scale insieme ad altre persone; dopo la prima rampa di scale vidi alcuni ragazzi che cercavano di uscire da una finestra. Il mio amico uscì attraverso la finestra, mentre io rimasi incastrato con lo zaino; mi girai e vidi i poliziotti che stavano arrivando. Feci appena in tempo a scendere dalla finestra che i poliziotti cominciarono a picchiare tutti quelli che si trovavano nel corridoio. I poliziotti portavano una divisa scura, il casco ed un fazzoletto che copriva il volto.  Alzai le mani ma venni subito colpito; mi accovacciai e continuai a ricevere colpi sulla testa e sulle mani con cui cercavo di proteggermi. Sono stato colpito con manganelli e calci; i poliziotti ci insultavano chiamandoci “bastardi, comunisti ecc.”. Ho avuto la sensazione che alcuni poliziotti picchiassero e poi si allontanassero e che dopo un po’ ne arrivassero altri che ricominciavano a picchiare. Vicino a me vi era un ragazzo che mi riconobbe poi in ospedale, Fabian di Basilea. Uno dei colpi mi ruppe gli occhiali. Ad un tratto ho sentito qualcuno che disse: “Basta” e quindi tutto cessò; vidi poi una persona con pantaloni arancione che mi sollevò e mi accompagnò giù per le scale sino in palestra.  In palestra venni perquisito anche sulla persona, palpeggiandomi  in particolare sui genitali. In ospedale ero piantonato; il primo giorno i poliziotti erano piuttosto aggressivi”.
Hinrichs Meyer Thorsten: “… Ad un tratto ho sentito un certo trambusto; ho guardato fuori dalla finestra ed ho visto molti poliziotti davanti al cancello del cortile che era chiuso; sono rientrato nell’aula ed ho avvertito i miei amici (Tanja stava già dormendo e Christian era ancora sveglio). Avevamo molta paura. Nell’aula vi erano anche altre persone e molte erano nel corridoio. Abbiamo quindi aspettato l’arrivo della polizia, mettendoci con le mani alzate. Indico la  mia posizione sulla piantina che mi viene mostrata. Abbiamo iniziato a sentire urla e colpi dal piano inferiore; sono arrivate alcune persone dalle scale; quando sono arrivati i poliziotti ero nel corridoio a sinistra delle scale con le mani alzate rivolto contro il muro. Un poliziotto ha iniziato a colpirmi; io ho messo le mani dietro la testa per riparami; sono stato colpito sulle mani e sul corpo circa otto volte; dopo i primi due colpi sono caduto a terra; ho visto che anche le persone che mi erano vicine sono state a loro volta picchiate. Eravamo spaventati a morte. Scendendo le scale venni colpito nuovamente da un poliziotto con il manganello e con calci; i poliziotti ci insultavano e ci sputavano addosso. Ricordo che al primo piano c’era una persona non in divisa, ma con il casco, che mi sembrava più un osservatore che un poliziotto; si capiva che aveva una posizione di comando. I poliziotti portavano una divisa blu, pantaloni più chiari della parte superiore, con una cintura scura; avevano un fazzoletto di colore bordeaux sul viso. Sono stato portato nella palestra e mi hanno fatto sdraiare in terra vicino ad altri. Vi erano molte persone che apparivano ferite e si lamentavano per il dolore. I poliziotti hanno radunato gli zaini in un cumulo; le persone non sono state perquisite”.
Gatermann Christian: “… ad un tratto ho sentito un certo trambusto all’esterno; sono uscito dall’aula e nell’ingresso mi è venuto incontro Hinrichs, dicendomi che stava arrivando la polizia; sono tornato nell’aula per avvisare Tanja, che si è subito alzata; nello stesso momento abbiano sentito un grande rumore dal piano inferiore, vetri rotti e colpi; ci siamo portati nel corridoio verso l’ingresso; avevamo molta paura; ci siamo sdraiati in terra in un vano davanti alle toilette, perché pensavamo che fosse la posizione migliore per evitare interventi violenti della Polizia. Sono poi arrivati mi pare tre poliziotti, che nel corridoio hanno iniziato a colpire le persone che vi si trovavano in piedi; quindi sono andati via; io e Tanja ci siamo alzati e ci siamo avvicinati alle persone che erano nel corridoio, mettendo le mani sulla testa. Dopo alcuni minuti un poliziotto in borghese ci disse di scendere al piano inferiore. I poliziotti portavano una divisa blu con pantaloni più chiari, caschi; mi pare ma non ne sono sicuro che avessero delle cinture bianche. Ero nel piccolo vano prima dei bagni, luogo che indico sulla piantina che mi viene mostrata. Siamo scesi e lungo le scale un poliziotto in borghese (senza divisa, con una pettorina con la scritta Polizia) picchiò con un manganello sulla coscia uno che scendeva; io non venni colpito. Vidi i computer al primo piano rotti e venni condotto nella palestra, ove si trovavano molte persone che apparivano ferite, sanguinavano e si lamentavano. Ci venne detto di sederci. Dopo un po’ arrivarono i soccorsi. La polizia iniziò a raccogliere gli zaini, svuotandone il contenuto; alcuni poliziotti avevano il viso coperto con fazzoletti rossi. Vi erano anche poliziotti in abiti civili (giacca e cravatta)”.
Weisse Tanja: “… Sono stata svegliata dal mio amico Gatermann, che mi ha detto che stava arrivando la Polizia; avevo paura che ci facessero qualcosa. Siamo andati nel corridoio nella direzione delle toilette e ci siamo stesi in terra nello stanzino prima dei bagni; eravamo solo noi due. Dopo circa una decina di minuti sentii rumori nel corridoio e Chistian, che guardava da una fessura della porta mi disse che i poliziotti stavano picchiando coloro che si trovavano nel corridoio. Siamo usciti nel corridoio dove vi era già un gruppo di persone a cui ci siamo uniti, mettendo le mani in alto: abbiamo infatti pensato che fosse meglio essere in gruppo piuttosto che da soli in uno stanzino. Arrivarono poi alcuni poliziotti che picchiarono a loro volta qualcuno dei presenti; uno stava per colpirmi, ma si arrestò con il manganello davanti alla mia faccia; non so spiegarmene il motivo perché aveva già colpito altri prima di rivolgersi contro di me. Indossava, come gli altri poliziotti, un’uniforme blu scuro con una cintura nera; il volto era coperto con un fazzoletto; non ricordo la forma del manganello. Due persone del gruppo a cui ci eravamo uniti avevano ferite alla testa e sanguinavano. Ho poi visto un poliziotto in abiti civili (mi pare un abito grigio) che ci faceva segno di scendere di sotto. Un poliziotto mi accompagnò verso le scale, facendomi scendere; Christian  era dietro di me; a metà della scala vi era un poliziotto che vidi picchiare una donna che mi precedeva; avevo paura che colpisse anche me; in effetti mi picchiò con tutta la sua forza sulla  coscia destra, facendomi quasi cadere a terra. Anche questo poliziotto non era in uniforme ma in abiti civili, mi pare pantaloni e camicia. Ci fu ordinato di radunarci nella palestra, ove vi erano molte persone, alcune sedute altre in piedi, molte apparivano ferite e sanguinavano. Vidi che i poliziotti svuotavano gli zaini: prendevano casualmente gli zaini da terra e li svuotavano. Il mio zaino era rimasto al primo piano e venne perduto. Successivamente arrivò il personale sanitario. Nessuno ci disse che eravamo in arresto”.
Kress Holger: “… Eravamo nel corridoio del primo piano, pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata; ad un tratto ho sentito un certo trambusto e guardando dalla finestra, ho visto arrivare la Polizia dalla destra. Con la Sig.ra Bachmann abbiamo allora deciso di rimanere al primo piano e di farci arrestare pacificamente. Avevamo tutti le mani in alto; ho visto quindi i poliziotti salire le scale; il primo appena arrivato mi colpì in faccia diverse volte con il manganello. Tutto avvenne molto rapidamente e non sono in grado quindi di dire quale fosse l’abbigliamento del poliziotto che mi colpì. Caddi a terra in semi incoscienza e mentre ero disteso venni colpito altre volte con calci. Cercavo di proteggermi la testa ed avevo quindi una visuale piuttosto limitata; vidi un uomo che veniva picchiato e scivolava sulla parete; i poliziotti correvano e quando mi passavano vicino mi colpivano nuovamente con calci. Successivamente venni portato nella palestra; non ricordo come vi sia arrivato perché, come ho già detto, ogni tanto perdevo conoscenza ed i miei ricordi non sono continui. Sanguinavo molto e non potevo vedere bene”.
Hubner Tobias: “… Sono entrato nel cortile della scuola: c’era un tavolo dove ci si poteva informare degli orari dei treni. Ero ancora nel cortile quando ho visto che dalla destra sopraggiungevano molti poliziotti correndo; sentii urlare: “Polizia Polizia”; entrai nella scuola perché volevo trovare la mia amica Miriam che era all’interno. Nel cortile vi saranno state circa una ventina di persone; davanti a me rientravano alcune persone e così dietro di me. Quando ho visto la Polizia il cancello era aperto, mentre quando sono rientrato nella scuola, mi sono accorto che era stato chiuso.  Ho ritrovato la mia amica vicino ai computer e le ho detto che stava arrivando la Polizia, così come agli altri che si trovavano vicini. Nella palestra vi erano diverse persone sedute in terra, probabilmente circa una cinquantina; vicino ai computer vi saranno state altre dieci persone circa. Abbiamo cercato di uscire dalla scuola, ma il portone era stato chiuso; non so dire come dato che stavo parlando con la mia amica vicino ai computer. Davanti al portone vi era qualche persona; non so dire se fosse barricato, mi sembra che fosse libero, ma attualmente non lo ricordo. Abbiamo attraversato la palestra; la porta opposta all’ingresso era chiusa e così siamo tornati ai bagni vicino all’ingresso, ma le finestre erano sbarrate con inferriate. Siamo saliti al primo piano e siamo entrati nei gabinetti nel corridoio sulla sinistra salendo; mi pare che anche Teresa Treiber e Natrath Achim fossero dietro di noi, così come altre persone. Siamo usciti attraverso la finestra su un’impalcatura e visto che non era possibile scendere siamo tornati nel gabinetto e poi nel corridoio. Abbiamo sentito delle urla da sotto; ero vicino all’ingresso del gabinetto e davanti a me vi erano altre persone in piedi e tutti abbiamo alzato le mani; arrivò un poliziotto dalle scale e qualcuno disse di sederci; noi ci siamo seduti con le mani in alto sopra la testa; davanti a me vi era un poliziotto che urlava qualcosa e dava calci ad una porta; aveva un’uniforme scura, stivali neri, parastinchi neri, casco blu; si girò verso di noi e colpì quello che era in ginocchio vicino a me, urlando mi sembra “bastardi”,  poi si allontanò; ad un tratto sentii qualcuno gridare: “Basta, basta”; mi voltai e vidi un poliziotto con pantaloni blu, giacca blu e casco; subito dopo i poliziotti smisero di picchiare. Vidi vicino a me un giovane insanguinato che venne portato via; ci fecero scendere al piano inferiore; ho visto sul pianerottolo un poliziotto in abiti civili che percuoteva con il manganello tutti quelli che passavano davanti a lui; quando arrivai vicino a lui mi avvicinai a Miriam per proteggerla ed il poliziotto mi colpì dicendomi “bastardo”. Nella palestra vi erano molti feriti; alcuni erano stesi in terra. Vi erano anche alcuni sanitari che cercavano di aiutarli. Nella palestra vi erano poliziotti in uniforme blu e casco blu, qualcuno, pochi, in abiti civili (giacca) e due o tre in abbigliamento  normale jeans e t-shirt ed un giubbotto con la scritta Polizia. Alcuni poliziotti prendevano i bagagli e li svuotavano in un grande mucchio, mettendo da parte gli indumenti scuri. Un poliziotto, in jeans e camicia con la pettorina Polizia, raccoglieva i documenti”.
Heigl Miriam: “… ero davanti ai computer quando arrivò la notizia che la polizia stava tentando di entrare nella scuola. Diverse persone rientrarono nella palestra, le persone che erano coricate si alzarono, molti correvano in diverse direzioni; avevamo tutti molta paura perché avevamo già visto con quanta brutalità la polizia agiva contro i dimostranti. Noi eravamo insieme ai nostri conoscenti Natrath e Treiber. Non ho guardato il portone perché cercavamo di lasciare l’edificio e correvamo a destra e sinistra per trovare finestre e porte; quindi siamo saliti al primo piano e abbiamo cercato di uscire attraverso la finestra del gabinetto; ma poi abbiamo rinunciato; abbiamo deciso di aspettare la Polizia con le mani in alto. Io ero sull’ingresso del bagno; nel corridoio vi erano diverse persone. Arrivarono i poliziotti che iniziarono a picchiare i presenti; vidi un poliziotto che cercava di aprire una piccola porta con calci. Un mio amico, Natrath, venne colpito due volte da questo poliziotto; non ho visto colpire altre persone ma sentivo le urla di coloro che venivano colpiti; quindi ci venne detto di metterci in ginocchio con le mani in alto sopra la testa. Dopo un po’ arrivò un poliziotto che gridò: “Basta” e gli altri smisero di picchiare. Non l’ho visto direttamente mentre gridava; ho sentito il grido. Il poliziotto che ha colpito il mio amico era in uniforme indossava un casco, aveva il viso coperto e portava stivali neri e parastinchi. Ci fecero scendere al piano inferiore; all’inizio della scala vi era un poliziotto in abiti civili (giacca e cravatta ed una fascia tricolore) che picchiava quelli che scendevano lungo le scale;  Tobias mi rimase vicino proteggendomi e venne così colpito. Nella palestra vi erano molti feriti, alcuni distesi in terra; c’era molto sangue. Noi dovevamo stare in ginocchio con le mani sulla testa”.
Nathrath Achim: “… Vidi arrivare i primi poliziotti, non sono sicuro, ma è molto probabile, da una finestra quando ero già all’interno. Volevo cercare la mia amica nella scuola; la trovai infatti vicino ai computer; ho avvertito lei e gli altri che stava arrivando la Polizia. Poco dopo arrivò un altro giovane che urlava: “Polizia” ed allora tutto divenne caotico. Noi siamo saliti al secondo piano perché le porte e le finestre del piano terreno erano tutte chiuse. Siamo usciti sull’impalcatura, ma poi i miei amici mi richiamarono perché sembrava molto pericoloso. Sono rientrato ed insieme agli altri abbiamo deciso di scendere al primo piano e ci siamo posti nel corridoio sulla sinistra, pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata Si sentivano continuamente forti rumori e grida. Una o due persone si chiusero in uno stanzino vicino. Arrivarono due poliziotti  che urlavano “Giù, giù” e noi ci siamo accovacciati in terra. Vidi tali poliziotti colpire diverse persone anche con calci, sempre urlando “Giù” e “Bastardi”. Mi sono posto vicino alla mia amica per proteggerla con il mio corpo ed un poliziotto, che portava i parastinchi, mi colpì con il manganello con molta forza sulla testa. Vidi che un poliziotto spinse la porta dello stanzino con calci e picchiò in modo molto brutale i due che vi si erano rifugiati. In quel momento dalla direzione della scala arrivò un urlo “Basta” forse ripetuto due o tre volte e alla fine il pestaggio terminò. I poliziotti indossavano un’uniforme blu scuro, avevano parastinchi, caschi con dietro una protezione sul collo. Uno dei due aveva certamente un’uniforme completa l’altro non ne sono sicurissimo; il manganello con cui venni picchiato mi sembra fosse flessibile. Riconosco i parastinchi nella foto Rep. 120 Raid 4 PZ, che mi viene mostrata. Ci fecero inginocchiare su un lato del corridoio; ricevetti un altro colpo. Continuavano a sentirsi rumori e grida. Ci condussero quindi al piano inferiore; sul pianerottolo vi era un altro poliziotto che colpiva ancora quelli che passavano; io venni colpito sui reni; ero preoccupato per la mia amica e così le diedi un asciugamano che avevo con me per proteggersi, ma passò senza venire colpita. Il poliziotto era in borghese con un vestito mi pare beige, aveva gli occhiali; non ricordo se era in giacca e se indossava un casco. Ci fecero accovacciare nella palestra un po’ sulla sinistra rispetto all’ingresso; dovevamo tenere la testa verso il basso; vicino a me vi era un giovane disteso che non si muoveva più; due poliziotti, uno con un vestito elegante, mi pare con la cravatta, ed il casco, correvano avanti e indietro continuando a gridarci di tenere la testa verso il basso e di non parlare. Nella palestra non vi erano più molti poliziotti; quelli in uniforme erano quasi tutti andati via; ve ne erano alcuni in abiti civili, ma nessuno si occupava dei feriti. I poliziotti rimasti svuotavano gli zaini. Ci presero i passaporti ed uno per volta venimmo portati fuori. Nessuno ci disse che eravamo in arresto, lo seppi soltanto dal giudice che ci interrogò a Pavia”.
Treiber Teresa: “… si sentiva urlare: “Arriva la Polizia”; quelli che dormivano si alzarono velocemente e molti corsero verso i piani alti. Non ho fatto particolare attenzione a quanto accadeva, perché ero impegnata a ritrovare i miei amici. Anche noi siamo saliti al secondo piano e siamo usciti sulle impalcature per cercare una via di fuga. Eravamo molto spaventati, anche perché avevamo visto che la polizia era stata piuttosto brutale nello sciogliere la manifestazione cui avevamo partecipato. Dal basso arrivavano forti rumori, colpi e grida; siamo rientrati, siamo scesi al primo piano e ci siamo posti insieme agli altri alzando le mani sopra la testa. Ad un tratto venne spenta la luce che prima era accesa; comunque non era completamente buio perché la luce penetrava dall’esterno e dagli altri locali. Non sono in grado di dire chi abbia spento la luce. Vidi arrivare i poliziotti dalla scala, che ci urlarono di accovacciarci in terra; iniziarono quindi a picchiare i presenti; anche Nathrath venne colpito. Ci fecero spostare sull’altro lato del corridoio ed un poliziotto urlava “giù” e continuava a colpire tutti. Un altro poliziotto traduceva in inglese “down”. Vicino a noi vi era un piccolo stanzino vicino al gabinetto. Un poliziotto ne sfondò la porta e picchiò i due che vi si trovavano. Poi qualcuno urlò “basta”, diverse volte; non ho visto chi sia stato ad urlare, forse qualche vittima dei colpi; il poliziotto che ci colpiva aveva i parastinchi; venni colpita sulla mano anche se sul momento non sentii particolare dolore. Ci portarono poi al piano inferiore. Sul pianerottolo a metà delle scale vi era un poliziotto, che portava gli occhiali, ed aveva un vestito mi pare beige, colpiva tutti quelli che passavano. Io non venni colpita. Nella palestra vi erano diversi feriti e molto sangue ovunque. Arrivò poi il personale sanitario che rimase sopraffatto da quanto era accaduto. I poliziotti non si erano in alcun modo preoccupati dei feriti.  Un poliziotto ci fece inginocchiare a terra e ci disse di guardare verso il basso e di non parlare. Un altro, un funzionario, con la barba, con casco e manganello, in vestito elegante scuro, giacca e cravatta, andava su e giù, dando ordini, ci prese i passaporti ed ho avuto la sensazione che dirigesse tutto. Nel frattempo vennero svuotati gli zaini e tutto il loro contenuto venne ammucchiato in terra. I vestiti e gli indumenti neri vennero posti in un mucchio a parte”.
Coelle Benjamin: “… Eravamo seduti al tavolo delle informazioni e l’atmosfera era molto tranquilla; davamo informazioni e chiacchieravamo tra di noi. Ad un tratto mi sono alzato ed ho visto un gran numero di poliziotti che scendevano dalla strada con atteggiamento aggressivo. Ho iniziato ad avvertire tutti a voce alta che stava arrivando la Polizia. Ho visto che circa cinque o al massimo dieci persone chiusero i battenti del cancello. I poliziotti picchiavano con i manganelli contro il cancello e la gente correva verso l’interno e così anch’io. Le porte della scuola vennero a loro volta chiuse. Tutti avevano molta paura. Qualcuno tentava di scappare. Da una finestra vidi un bus della Polizia che sfondava il cancello ed i poliziotti che cercavano di irrompere nella scuola; il portone era stato barricato, non ricordo bene con che cosa da un gruppo di circa tre o quattro persone. Sono fuggito al primo piano, insieme a diversi altri; ho sentito che la polizia entrava nella scuola; sentii i poliziotti urlare e invocazioni di non violenza da parte dei ragazzi; ricordo che qualcuno provò ad uscire dalla finestra, ma non mi sono soffermato molto su tale fatto perché cercavo di pormi in salvo. Indico sulla piantina che mi viene mostrata la mia posizione. Dopo circa una quindicina di secondi vidi giungere dalle scale il primo poliziotto; ho alzato le braccia dicendo: “non violenza”, ma subito sono stato colpito sulla testa; ero praticamente vicino alla scala, tra questa ed il corridoio; mi sono accasciato in terra cercando di proteggermi; vidi tre poliziotti che correvano avanti e indietro e colpivano tutti quelli che si trovavano nel corridoio; indossavano un’uniforme blu scuro imbottita; adoperavano un manganello che aveva un manico ad angolo.Tra i manganelli visibili nelle foto 856 e 859, che mi vengono mostrate, riconosco quello raffigurato nella prima. Non c’erano cinture bianche, ma la divisa era quella raffigurata nelle foto B2 e B3. Sono stato colpito ripetutamente almeno con trenta colpi. L’azione cessò praticamente quando nessuno si muoveva più. Poi gli stessi poliziotti che mi avevano picchiato ci fecero scendere al piano inferiore; nella palestra c’erano già diverse persone ferite stese in terra ed altre in ginocchio. In quel momento arrivarono altri poliziotti in giacca e cravatta che sembravano di grado superiore che dissero agli altri di perquisire tutti. Vi erano anche poliziotti con il casco, in jeans e camicia o giubbotto, ma non vi erano altri poliziotti con l’uniforme che ho descritto prima, oltre a quelli che ci avevano portato giù. Un poliziotto mi mise una pistola a gas (lancia lacrimogeni) contro la fronte dicendomi “murder”;  uno aveva un completo blu scuro con cravatta, non era molto alto ed era un po’ tarchiato; uno era quasi calvo, un altro aveva i jeans ed il casco blu, forse aveva la barba. Tutto venne perquisito senza peraltro alcun sistema e senza collegare in alcun modo gli oggetti rinvenuti ai loro proprietari; i poliziotti che ci hanno picchiato sembravano nutrire un grande rispetto per coloro che davano ordini”.
Ottovay Kathryn: “… Mentre mi trovavo presso i computer sentii gridare: “Arriva la Polizia”. Si determinò una certa confusione. Presi il mio zaino, anche perché pensavo che vi sarebbe stata una perquisizione. Poi corsi al primo piano insieme a Simon. Quando passai davanti al portone, vidi che era stato chiuso e che vi era stata posta una panca davanti. Sentii alcune urla dal piano inferiore e colpi sul portone. Al primo piano vi erano altre persone a cui ci avvicinammo. Decidemmo quindi tutti insieme di alzare le mani. Arrivarono i poliziotti e le prime persone che incontrarono furono colpite e buttate a terra. I poliziotti dissero di metterci giù e tutti ci stendemmo a terra. Mentre ero stesa venni colpita ripetutamente sul collo e sulle mani alzate; tutti furono colpiti, in particolare sulla testa; vicino a me vi era Simon che sanguinava dalla testa per i colpi ricevuti ed i poliziotti continuavano a colpirlo sia sulla testa sia sulle braccia. Ho visto colpire anche la donna che era davanti a me, Melanie Jonasch. Venne colpita sulla testa e sul corpo e ad un tratto penso che non fosse più cosciente, cercava invano di rialzarsi; i poliziotti continuavano a colpirla e la sua testa batteva contro lo spigolo di un armadio; aveva dei tremori e gli occhi erano aperti e rivolti. I poliziotti colpivano con i manganelli ed anche con i piedi; urlavano “pezzi di merda e bastardi”; uno ha anche cantato. L’azione durò circa cinque dieci minuti; poi sentii gridare “basta” e vidi che era stato un poliziotto, che si era tolto il casco ed era in evidente posizione di comando; i poliziotti si allontanarono lentamente dal corridoio. Si guardò intorno nel corridoio e vide che Melanie sembrava morta; la toccò con la punta degli stivali; chiese agli altri in inglese se avesse preso troppa droga, almeno così io credo; arrivò una signora di nome Jeannette, che aveva qualche materiale di soccorso, bendaggi, e a cui fu consentito di aiutare i feriti seppure con quanto aveva e quindi assai limitatamente. Avevo il braccio sinistro che mi faceva male ed era storto; non riuscivo a parlare per il colpo che avevo ricevuto alla gola. Arrivarono infine i sanitari che portarono via Melanie e gli altri feriti. Alla mia sinistra vi era un giovane con gli occhiali, di cui non so il nome, che era tutto insanguinato e non riusciva a parlare; ricordo che Daniel Albrecht fece capire a gesti ad un sanitario che non sentiva più nulla  e non poteva parlare. Tutti vennero portati via dai sanitari tranne me, Zeuner Katharina e Patzke. A noi fu detto di scendere al piano terreno, ove c’era un gran numero di persone ferite che si lamentavano; il personale sanitario li soccorreva e li portava fuori. Un poliziotto con una pettorina ed i jeans ci controllava; aveva i capelli raccolti a coda di cavallo. Gli zaini venivano svuotati e mi sembra che tutti gli indumenti neri venivano raccolti in un mucchio. Vi erano anche poliziotti in abiti civili con vestiti completi.
Patzke Julia: “… Mentre ero in bagno, ho sentito gridare ed affacciatami al balcone ho visto che vi era la polizia nella strada; vidi un mezz”o della Polizia che sfondava il cancello del cortile e qualche poliziotto scavalcare la recinzione. Sono subito rientrata prima che la polizia irrompesse nel cortile. Non ho visto gettare oggetti contro la polizia. Avevo paura e corsi su e giù senza una meta precisa. Trovai Ulrich Reichel e con lui rimasi ferma in un angolo del corridoio del primo piano. Con le persone che si trovavano nel corridoio abbiamo pensato che fosse meglio tenere la mani sopra la testa. Arrivarono i poliziotti di corsa su per le scale; picchiarono subito le prime persone che incontrarono che cadevano in terra; noi tenendo le mani sulla testa ci accucciammo in terra. Riparai la mia testa nel grembo di Ulrich tenendo il dorso verso la polizia; i poliziotti ci colpirono con i manganelli sulla testa, sul dorso, sulle gambe e sulle mani; venni ripetutamente colpita sulle mani che tenevo sulla testa di Ulrich per proteggerlo, tanto che dovetti toglierle ed i poliziotti continuarono a colpirlo sulla testa. I poliziotti gridavano e la gente urlava per il dolore. Ad un certo momento i poliziotti smisero e ci dissero di metterci in piedi con le mani dietro alla testa, nonostante qualcuno non potesse neppure rialzarsi; ci siamo quindi sorretti a vicenda. Il primo poliziotto che arrivò dalle scale aveva un’uniforme scura, un fazzoletto davanti al viso ed il casco. Gli altri poliziotti che arrivarono erano vestiti nello stesso modo, ma non tutti portavano il fazzoletto davanti al viso. Una persona giaceva a terra in una pozza di sangue; pensai che fosse morta; avevo una gran paura; aiutai Ulrich ad alzarsi; avevo vertigini e mi faceva molto male la testa; siamo scesi e sul pianerottolo a metà della scala vi era un poliziotto che colpiva tutti quelli che passavano con il manganello; vidi i computer distrutti e giunta nella palestra vidi che vi erano molti feriti che sanguinavano; vi era tanto sangue. Ci fecero sedere, mentre la polizia picchiava ancora qualcuno. I poliziotti nella palestra all’inizio erano vestiti come quelli che avevo visto al primo piano; poi arrivarono poliziotti in abiti civili. Ci appoggiammo al muro. Ulrich sanguinava molto e sul muro dietro a lui si formò una gran macchia di sangue; il suo braccio destro era tumefatto; vi era una donna stesa in terra che si lamentava e stava molto male. Non ho mai visto tanti feriti. Un poliziotto mise un’arma contro la testa di un giovane che era in terra con le mani alzate; il poliziotto urlava qualcosa contro di lui e mi sembra che dicesse: “vuoi morire, tu porco”. In quel momento non  erano ancora arrivati, per quanto ricordo, i poliziotti in abiti civili. I poliziotti frugavano gli zaini”.
Wagenschein Kirsten: “… sentii gridare “Polizia, polizia”. Molti cercarono confusamente di salire ai piani superiori; io li seguii anche perché avevo paura dopo aver assistito alle violenze della polizia sulle strade. Qualcuno cercava di uscire sulle impalcature ed anch’io uscii sulle impalcature; ma poi mi parve troppo pericoloso e così rientrai e mi nascosi in uno sgabuzzino ove erano conservati gli attrezzi per le pulizie; sentii dal basso forti colpi e rumori di vetri infranti. Un poliziotto cercò di aprire la porta dello sgabuzzino utilizzando il manganello come una leva; io ero nascosta tra gli attrezzi ed i cartoni e quindi non venni vista. I rumori e le grida si spostarono più in alto. Sentii diversi lamenti; una voce femminile che chiedeva acqua e una voce d’uomo dire “non muoverti, non muoverti perché potrebbe essere pericoloso”. Dopo circa dieci, venti minuti la situazione si calmò e davanti al mio ripostiglio due poliziotti cercarono nuovamente di aprire la porta; uscii mettendo le mani avanti per far vedere che non ero armata con il mio certificato di accreditamento appeso al collo. I poliziotti, che indossavano uniformi blu scure e caschi, mi condussero al piano terreno. Non so indicare con precisione dove si trovasse il ripostiglio in cui mi ero nascosta, mi pare di essere salita dalle scale vicino alla zona dei computer e, di essere salita ancora dopo essere rientrata dalle impalcature. Nella palestra vi erano ancora circa cinquanta persone oltre ai poliziotti; vidi alcuni feriti, sangue in terra; persone che si tenevano le braccia e si lamentavano. Nella palestra vi erano anche alcuni poliziotti in abiti civili”.
Reschke Zeuge Manfred Kai: “… Eravamo nel cortile, quando ad un tratto qualcuno ha gridato: “C’è la Polizia”; siamo subito rientrati nella scuola. Si era creata una situazione di panico; tutti sono rientrati nell’edificio. Siamo saliti al primo piano. Ho guardato fuori dalla finestra ed ho visto che un mezzo della polizia sfondava il cancello. Abbiamo quindi deciso di metterci con le mani alzate contro il muro; ero nel corridoio vicino ad un calorifero; non so dire quante persone vi fossero nel corridoio. Ero pressoché nel punto in cui si vede il n. 1 nella foton. 52. Ho iniziato a sentire grida di dolore dal piano inferiore; sono arrivati i primi poliziotti che hanno subito colpito tutti i presenti; io sono stato colpito sulla schiena e mi sono accasciato a terra; ho visto che Jeannette ha ricevuto un colpo con un manganello; sono stati colpito altre volte sia con manganelli sia con calci. Ad un tratto qualcuno ha gridato più volte: “Basta, basta” e i poliziotti smisero quindi di picchiare. Fu necessario ripetere più volte l’ordine per far cessare le violenze. Non so dire se si sia tolto il casco né se vi fossero nel corridoio poliziotti senza caschi. Jeannette chiese quindi ed ottenne il permesso di soccorrere i feriti. I poliziotti indossavano una divisa blu scuro e portavano caschi più chiari; non sono in grado di ricordare il tipo dei manganelli in loro dotazione. Ci hanno fatto scendere al piano inferiore e sulle scale vi era un altro poliziotto che mi ha nuovamente colpito; mi pare fosse in borghese, ma non ne sono sicuro. Ci hanno fatto sedere nella palestra vicino al muro. I poliziotti hanno svuotato tutti i bagagli, buttandone il contenuto in un solo mucchio. Io avevo solo un sacco a pelo; non so se i miei amici avessero gli zaini. Vi erano anche poliziotti in borghese; uno indossava un abito completo”.
Perrone Vito: “… Ad un tratto abbiamo avvertito un frastuono dal basso; ci siamo affacciati al balcone ed abbiamo visto arrivare la Polizia. Due ragazzi chiusero il cancello; vidi che i poliziotti cercarono di scavalcare il cancello o comunque  di scuoterlo; poi arrivò un blindato  che lo sfondò; i poliziotti iniziarono ad entrare. Siamo rientrati ed abbiamo avvertito quelli che si trovavano nelle aule; si sentivano rumori forti dal basso ed urla. Dissi alla mia ragazza, Angela Petrone, di dire in tedesco agli altri di alzare le mani e di porsi vicino alla parete. Tra tutti saremo stati una trentina, eravamo tanti ma non ricordo con precisione il numero. Abbiamo tutti alzato le mani e ci siamo messi nell’angolo vicino alla parete. Sono arrivati i primi poliziotti. Uno venne verso di noi e colpì con il manganello un ragazzo biondo con i capelli lunghi; poi colpì la mia ragazza che cadde a terra e quando io mi chinai per aiutarla, mi spinse contro un armadietto e mi colpì ripetutamente con il manganello; mi legò poi le mani dietro la schiena con un nastro adesivo. Avevo il viso contro l’armadietto e non potei vedere quindi con precisione quanto stava accadendo. I poliziotti erano in uniforme blu e caschi. Mi portarono al piano inferiore e sulle scale altri poliziotti mi colpirono. Nella palestra mi fecero mettere steso, con la faccia rivolta a terra, ero in uno stato di confusione; mi faceva molto male la testa. Sono stato portato fuori tra gli ultimi nonostante la mia ragazza, che nel frattempo era stata a sua  volta portata nella palestra, chiedesse continuamente di soccorrermi”.
Schleiting Mirko: “… Ad un tratto sentii alcuni rumori e ci accorgemmo che stava arrivando la polizia; subito si creò molta paura e tutti rientrarono nell’edificio; sono tornato al primo piano, ove avevo i miei bagagli. Tutti i presenti raccolsero le loro cose; mi affacciai al balcone sopra il portone d’ingresso e vidi molti poliziotti davanti al cancello che lo scuotevano; sono rientrato nel corridoio ed insieme agli altri abbiamo deciso di alzare le mani. Dal piano terreno si sentivano forti urla di paura, di dolore e di comandi aggressivi. Arrivarono i primi poliziotti e iniziai a sentire urla di dolore dal nostro piano; io mi coricai in terra con le mani sopra la testa. Molti poliziotti correvano tra di noi e picchiavano i presenti ed anche me; ricevetti due calci, il primo riuscii ad evitarlo ma il secondo mi colpì sulla testa che iniziò a sanguinare; rimasi fermo fingendomi svenuto; dopo un po’ sentii gridare due volte “basta, basta” e quindi l’azione violenta cessò; guardai in alto e vidi un poliziotto, che penso fosse quello che aveva gridato e che sembrava in posizione di comando”.
Bachmann Britta Agnes: “… Ad un tratto ho sentito urla e chiasso. Ero sistemata al primo piano, nel corridoio pressoché davanti al laboratorio di fisica; con le altre persone presenti abbiamo pensato di alzare le braccia; eravamo spaventati e preoccupati; subito dopo vidi salire la Polizia, saranno stati circa venti quaranta poliziotti. Io mi accovacciai a terra, pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata; i poliziotti iniziarono a colpire tutti quelli che incontravano; anch’io venni colpita nonostante fossi accovacciata a terra. Ad un certo punto arrivò un poliziotto in abiti civili, che gridò in italiano di smetterla ed infatti  i poliziotti smisero di picchiare. Mi pare che indossasse un paio di jeans ed una giacca, aveva il casco, non aveva la barba. In quel momento nel corridoio vi era la luce accesa e si vedeva bene. Fummo fatti scendere nella palestra, ove vi erano molte persone ferite. Ci fecero consegnare gli zaini che vennero svuotati in un mucchio tutti insieme, senza alcuna distinzione. Dopo un po’ arrivò il personale sanitario che iniziò ad occuparsi dei feriti”.
Zapatero Garcia Guillermina: “… Ad un tratto sentii alcuni forti rumori; uscita dal bagno vidi diverse persone che correvano; trovai Moritz e quindi mentre ero all’altezza dei computer, vidi i poliziotti che rompevano con grande violenza i vetri della finestra (visibile nella foto n. 1 che mi viene mostrata a sinistra dell’ingresso); mi spaventai moltissimo. Non ho visto chiudere il portone, soltanto molto tempo dopo, circa un anno e mezzo, qualcuno mi disse che era stato chiuso da un ragazzo di Berlino. Insieme a Moritz salimmo al primo piano, ove trovammo un gruppo di persone con le mani alzate. Mi è sembrato l’atteggiamento più giusto e così ci ponemmo anche noi con le mani in alto. Sentimmo i poliziotti salire di corsa le scale; quando arrivarono ci ordinarono di accovacciarci a terra e di separarci. Mi sono accucciata vicino al calorifero e Moritz era accanto a me. Ci trovavamo pressoché nella posizione che indico sulla piantina che mi viene mostrata. Davanti a me vedevo i poliziotti che correvano, passando in mezzo ai due gruppi ai lati del corridoio; hanno quindi iniziato a picchiarci indistintamente; avevano il viso coperto e questo mi ha ancora più impaurito. Uno mi ha picchiato nella schiena, mi sono girata verso il calorifero e sono stata colpita sulle spalle; anche Moritz ricevette diversi colpi. Ricordo che una ragazza vicina a Moritz ebbe un attacco isterico ed iniziò a gridare in italiano “che cosa sta succedendo ?”. Il poliziotto che mi ha colpito aveva il casco, un fazzoletto sul viso di colore bordeaux e portava un’uniforme imbottita, scura, blu sul nero, come tutti gli altri. Non ho fatto particolare attenzione al cinturone, ma penso che fosse dello steso colore dell’uniforme perché se fosse stata diversa l’avrei notata. Non sono in grado di precisare quanto durò l’azione; vedevo i poliziotti andare avanti e indietro e continuare a picchiare tutti i presenti.  Improvvisamente smisero di picchiare e di correre; dopo un po’ fui in grado di vedere lungo il corridoio; vi erano diverse persone ferite, ricordo una ragazza svizzera, che poi ho conosciuto a Bolzaneto con il nome di Fabien,  che aveva gli occhi fuori dalle orbite. I poliziotti insultavano tutti dicendo “bastardi di merda, vi ammezzeremo”. Ci fecero scendere al piano terra; io camminavo dietro a Moritz; nelle scale lungo il muro vi erano altri poliziotti che colpivano quelli che passavano. Io venni colpita e così anche Moritz; continuavano ad insultarci e a Moritz hanno anche sputato addosso. La situazione era caotica; vi erano borse sacchi a pelo sparsi; le persone erano raggruppate intorno al muro; si sentivano gemiti, pianti; vi erano persone stese a terra ferite, alcune immobili. Vi era una ragazza che urlava “ambulanza, ambulanza”; un’altra che sembrava sonnambula, si alzava, faceva piccoli passi e tornava poi a sedersi. Eravamo nella palestra in fondo a sinistra. Vi erano poliziotti che guardavano negli zaini; avevano un’uniforme diversa, non imbottita, alcuni portavano una pettorina; erano cioè vestiti in modi diversi. Ho capito che si trattava di una perquisizione ma molto caotica; prendevano gli zaini li svuotavano senza preoccuparsi a chi appartenessero; dividevano ciò che pensavano fosse di loro interesse dal resto; tutto ciò che era di colore nero veniva posto in un mucchio e nell’altro tutto ciò che ritenevano fossero armi: coltellini svizzeri, pezzi di legno. Ho visto prendere uno zaino, romperlo sul retro sfilare i rinforzi metallici e porli nel mucchio delle cosiddette armi”.
Von Unger Moritz: “… Improvvisamente si sentirono delle urla e qualcuno che diceva “arriva la Polizia” ; vidi sul computer che erano le 23,47. Vi furono forti rumori come se si battesse contro legno o pietre; dalla sala arrivavano sempre più persone che correvano su e giù tra la sala e la zona dei computer. Mi recai da Guillermina nel bagno; la polizia era davanti al portone, ma non mi sembrava che fosse un grosso problema e cercai quindi di tranquillizzarla. La gente continuava a correre avanti e indietro ed abbiamo quindi iniziato ad avere anche noi una certa paura; siamo così saliti insieme a molti altri al piano superiore. I rumori, il vociare e le urla “polizia” aumentavano e anche la paura; restammo fermi in fondo al corridoio sulla sinistra, pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata; qualcuno disse di alzare le mani e così facemmo; eravamo circa in otto verso il muro vicino al termosifone. Arrivarono i poliziotti; all’inizio vi era silenzio, i poliziotti ci dissero di metterci a terra ed iniziarono a picchiare tutti i presenti; colpivano senza fretta e davano anche calci; noi eravamo in ginocchio con le mani alzate; i poliziotti gridavano e picchiavano; io ho ricevuto diversi colpi sulla testa sulle spalle ed anche con calci sulla gamba e iniziai a temere per la mia vita. Vidi che anche gli altri del nostro gruppo vennero picchiati con molta forza; tutto durò circa una decina di minuti. Poi arrivò un poliziotto che disse agli altri “basta”; vi fu ancora qualche colpo e quindi tutto cessò. Ci fu detto di alzarci con le mani dietro la nuca e ci fecero scendere; dovevamo passare in un corridoio tra due file di poliziotti che continuavano a colpirci ed infatti ricevetti un forte colpo sulla testa mentre un altro poliziotto mi sputò in faccia”.
Petrone Angela: “… Ad un tratto sentii un certo frastuono e voci; uscii sul balcone e vidi i poliziotti che entravano nell’edificio; c’era molta gente; mi pare che alcuni ragazzi chiusero il cancello. Se a suo tempo ho dichiarato che il cancello venne sfondato con un blindato certamente lo vidi, oggi non lo ricordo. Rientrata dal balcone, dopo poco sentii il rumore di colluttazioni, un gran frastuono ed urla dal piano inferiore; quindi vidi  arrivare i poliziotti dalle scale; noi eravamo fermi con le mani in alto; i poliziotti iniziarono a percuotere le persone che si trovavano nel corridoio; c’era tanta confusione; molti vennero feriti. Non ricordo che cosa dissero i poliziotti; ci fecero mettere in ginocchio; ci rivolsero ingiurie che oggi non ricordo; ci fecero poi scendere nella palestra, ove c’erano gli altri ragazzi”.
Luthi Nathan: “… Ad un tratto, mentre eravamo vicino ai computer sulla sinistra dell’ingresso e vicino alle scale, sentii un gran rumore, colpi, urla e qualcuno che gridava “arriva la polizia”. Siamo corsi al primo piano e ci siamo fermati nel corridoio. Vi erano già altre persone che tenevano le mani alzate e così abbiamo fatto anche noi. Nel corridoio vi saranno state circa una ventina di persone mentre vicino a noi vi erano circa cinque, dieci persone. Ricordo una signora molto agitata; si sentivano urla di dolore. Arrivarono i primi poliziotti; noi eravamo in piedi con le mani alzate; quello che era più vicino venne immediatamente colpito dai poliziotti e cadde a terra; i poliziotti gridavano “giù, giù”. Noi ci mettemmo a terra; i poliziotti picchiavano tutti; anch’io venni colpito; in terra vicino alla persona che era stata colpita per prima c’era molto sangue. Non ricordo se il manganello utilizzato dai poliziotti fosse del tipo “tonfa “o dritto. Oggi non posso confermare quanto dichiarai a suo tempo circa il tipo del manganello che indicai come del tipo “tonfa”… Dopo circa cinque minuti sentii qualcuno gridare “basta, basta”; in quel momento i poliziotti stavano ancora picchiando. Poi tutto terminò. I poliziotti indossavano giubbotti imbottiti blu scuro e pantaloni più chiari; portavano fazzoletti rosso scuro davanti al volto e caschi blu. La prima persona che era stata colpita venne trascinata giù per le scale e quindi anche noi venimmo tirati per i capelli lungo le scale; a metà delle scale vi era un poliziotto che indossava vestiti civili ed un giubbotto, con la scritta “Polizia”, che picchiava tutti quelli che passavano ed anche me.  Riconosco il giubbotto in quello raffigurato nella foto B17. Venimmo portati al piano terra; vi erano molti poliziotti, alcuni in uniforme ed altri in abiti civili. Le persone portate nella palestra non vennero più picchiate”.
Bodmer Fabienne Nadia: “… Mentre ero vicino ai computer sentii molto rumore e grida e capii che stava arrivando la polizia; vi era molta agitazione ed io ebbi paura, anche per quanto era avvenuto nei giorni precedenti. Corsi verso il piano superiore, ove mi fermai nel corridoio; sentii urla di dolore e colpi; stavamo appoggiati al muro con le mani in alto; vi saranno state circa una ventina di persone; tutte erano con le mani alzate. Arrivarono i poliziotti correndo su per la scale e iniziarono a picchiare la persona accanto a me con il manganello; mi protessi la testa con le mani e venni picchiata sulle dita che vennero rotte; io caddi a terra e venni picchiata sul dorso, sulle costole e sull’avambraccio. I poliziotti picchiavano tutti i presenti; vidi un poliziotto che, girato il manganello, lo utilizzava come un martello, tenendolo dalla parte lunga, contro un ragazzo, colpendolo più volte finché non iniziò a perdere sangue. Il manganello era nero ed avevo un piccolo manubrio; lo riconosco nella foto n. 0856 (tonfa). I poliziotti avevano fazzoletti rossi sul viso; indossavano una divisa blu, con casco. Nel filmato che mi viene mostrato (Rep. 172 p. 2 min. 7,40 -estratto) ricordo i fazzoletti, ma i miei ricordi non sono più precisi; non c’era niente di bianco sulle divise ed escludo quindi che il cinturone fosse bianco. Ad un tratto i poliziotti smisero di picchiarci e ci fecero scendere lungo le scale; io sono quasi svenuta ma riuscivo a camminare; sulla scala vi era un uomo in abiti civili con un manganello che mi ha ancora picchiata sul dorso; nella palestra vi era un mucchio di gente; anch’io dovetti stendermi in terra”.
Chmiliewski Michal: “… Ad un tratto qualcuno disse che era arrivata la polizia … Presi il mio zaino e andai verso le scale; con altre quattro persone; arrivammo nel corridoio al primo piano, ove decidemmo di restare. Vidi quindi arrivare diversi poliziotti dalle scale che avevo percorso. Restammo fermi; i poliziotti, uno o due vennero verso di noi; avevano i manganelli ed uno diede un colpo contro la parete e poi quando giunsero vicino a noi ci colpirono. Ricevetti un colpo mi pare al fianco; caddi a terra, ma il poliziotto continuò a colpirmi. Non vidi direttamente chi mi colpiva, anche perché dopo aver ricevuto un colpo alla testa, mi riparai sotto un piccolo tavolo. Dopo un po’ sentii gridare “basta” e quindi i colpi cessarono. La luce che, prima era spenta, venne accesa. Le persone erano in ginocchio o in piedi lungo il muro. I poliziotti parlavano tra loro e dicevano qualcosa anche a noi. Uno ci chiese in inglese se tutto era a posto; una ragazza che piangeva disse di no, e venne subito colpita dal poliziotto con il manganello. Un poliziotto mi prese e mi portò al pano inferiore. Sulle scale ci fermammo e rimasi qualche minuto seduto; poi mi portarono giù e mi dissero di sdraiarmi a terra a pancia in giù. Vidi alcune persone, penso poliziotti, che andavano avanti e indietro; mossi la testa per vedere che cosa stessa accadendo e qualcuno mi diede un calcio alla gamba, dicendo di non muovermi”.
Olsson Hedda Katarina: “… Mentre stavo dormendo, due dei miei amici ci avvertirono che stava arrivando la polizia. Salimmo al primo piano, mentre sentivo che la polizia stava abbattendo il portone. Eravamo spaventati. Qualcuno aveva messo alcuni mobili davanti alla porta. Appena giunti al primo piano ed al termine del corridoio, nella posizione che indico sulla piantina, arrivò la polizia. Nel corridoio vi erano altre persone, otto o dieci; tutti alla vista della polizia alzarono le mani; i poliziotti erano tanti e cominciarono subito a picchiarci; io ero l’ultima e non ricevetti molti colpi; quello che venne colpito di più con i manganelli fu il ragazzo più vicino alle scale. I poliziotti colpivano ripetutamente. I manganelli erano neri, la maggior parte a T. I poliziotti indossavano divise di colore scuro; erano molto aggressivi; ci gridavano parolacce quali “bastardi” ed anche in inglese “vi uccido”. In quel momento non vi erano poliziotti in borghese. Non so dire quanto tempo durò l’azione, da due a cinque minuti. I poliziotti entrarono nelle aule e sentii che rompevano gli armadi”. 
Svensson Jonas: “… Ad un tratto Cecilia ed Ingrid mi svegliarono; si sentivano forti rumori dall’esterno; si era diffuso il panico. Ricordo di aver sentito i poliziotti battere sul portone. Salimmo al primo piano ove vi erano altre persone, in tutto saremmo stati circa una quindicina; arrivò subito la polizia dalle scale; iniziarono a picchiare tutti i presenti e ci spinsero in fondo al corridoio. Vidi un ragazzo venire picchiato con il manganello. Ad un poliziotto si ruppe il manganello e ne estrasse un altro. I poliziotti poi entrarono nelle stanze; la situazione era caotica. Ci mettemmo seduti; chi non si sedeva veniva colpito. I poliziotti, che erano molto aggressivi, portavano una divisa blu con una grossa cintura, di cui non ricordo il colore; i manganelli erano neri, ma non ne ricordo la forma. Non posso dire quanto durò l’azione, ma tutto cessò quando arrivarono dei poliziotti in borghese che dissero “basta”. Ci fecero scendere al piano terra; a metà delle scale vi erano due poliziotti in abito scuro borghese, con i caschi blu del tipo di quello visibile nella foto B12, mi sembra senza visiera, più anziani, che picchiavano col manganello quelli che passavano; io non venni colpito. Nella palestra vi erano molte persone, parecchi apparivano feriti, alcuni erano stesi a terra e sanguinanti; non ricordo se le violenze stavano continuando. Erano entrati anche poliziotti con una pettorina con la scritta “Polizia” posta sul vestito civile. Svuotavano le borse spargendone il contenuto in terra”.
Cederstrom Ingrid: “… Non capii bene che cosa stesse accadendo, ma svegliai gli altri; pensai che si trattasse della polizia.
Salimmo al primo piano, non so bene perché. Sentimmo entrare la polizia e ci mettemmo tutti con le mani alzate. Nel corridoio al primo piano vi erano anche altre persone, eravamo in tutto circa 10 12 persone. Arrivarono quindi i poliziotti che iniziarono subito a picchiare tutti quelli che si trovavano nel corridoio; urlavano di non muoverci e picchiavano con i manganelli. Capimmo che volevano che ci sedessimo e così facemmo. Io venni ripetutamente colpita sulla schiena; vidi un ragazzo venire picchiato finché non si stese a terra ed anche dopo. I poliziotti usavano il manico del manganello per colpirci. I poliziotti portavano divise blu da combattimento e caschi blu. Non sono in grado di ricordare il tipo dei manganelli. Non ricordo come l’azione terminò; ricordo che poi ci fecero scendere in fila al piano terra; a metà delle scale venni colpita con uno schiaffo da un poliziotto in abito borghese e pettorina. Nella palestra vi erano molti poliziotti sia in divisa, peraltro di diversi tipi, sia in borghese; alcuni svuotavano le borse impilandole al centro della sala”.
Heglund Cecilia: “… Ad un tratto sentii forti rumori dall’esterno e insieme ad Ingrid svegliammo gli altri; utilizzando le scale a sinistra, salimmo quindi al piano superiore, ove ci fermammo sulla sinistra in fondo al corridoio. Ricordo di aver sentito i colpi sul portone. Subito dopo arrivarono i poliziotti che iniziarono a colpire tutti quelli che si trovavano nel corridoio. Capimmo che volevano che ci sedessimo a terra e così facemmo. Non vi è stata alcuna reazione all’intervento della polizia. I poliziotti erano in divisa blu e portavano qualcosa di rosso al collo; colpivano con i manganelli; ricordo che uno dei manganelli si ruppe. Io ero contro il muro e davanti a me vi erano altre persone, così non venni colpita. Dopo un po’ l’azione terminò e ci fecero scendere in fila al piano inferiore. Sulla scala vi erano poliziotti che colpivano con pugni e colpi di vario tipo quelli che scendevano. Io non venni colpita. Venimmo condotti nella palestra ove ci fecero sedere a terra. Vi erano diverse persone stese nei sacchi a pelo e sanguinanti. Vi erano molti poliziotti in divisa ed in borghese, con jeans, maglietta e casco. Raccoglievano svariati oggetti personali, vestiti, che ammucchiavano in una pila al centro della sala. Non ho visto mazze spranghe o altri oggetti che potessero essere utilizzati come armi”.
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Doherty Nicole Anne: “… Mentre stavamo mettendoci a dormire, abbiamo sentito rumori e movimenti dall’ingresso; avevo molta paura e non sapevo che cosa stesse accadendo; ero convinta che fosse la Polizia nella strada. Siamo saliti al secondo piano e dal corridoio ci siamo affacciati alla finestra; abbiamo così visto moltissimi poliziotti che stavano entrando nella scuola. Siamo rimasti nel corridoio insieme ad altre sei sette persone. Poco dopo ho visto i poliziotti in fondo al corridoio; io mi sono sdraiata in terra e Richard si è steso sopra di me. Anche altre persone si sono stese a terra. Indico sulla piantina che mi viene mostrata la finestra (la prima o la seconda), la posizione in cui mi sono sdraiata a terra e la parte da cui è arrivata la polizia. I poliziotti hanno iniziato a picchiarci con i manganelli; sentivo i colpi che riceveva Richard ed a mia volta sono stata colpita diverse volte sul lato del corpo non coperto dal mio compagno; piangevo e come altre persone chiedevo che smettessero di picchiarci. I poliziotti urlavano ed erano molto aggressivi; sembrava che ci odiassero; avevano divise scure e portavano caschi. Ad un certo punto ci è stato detto di alzarci. Ho visto un poliziotto con un coltello in mano che mi si è avvicinato, io ho tirato la testa indietro, ma penso che mi abbia preso una ciocca di capelli. Quindi ci hanno condotto al piano inferiore; mentre stavamo scendendo la scale ho visto una signora in terra in fondo agli scalini, forse svenuta. Nella palestra ci hanno fatto sedere; Richard sanguinava dalla testa ed io ho tentato di tamponargli la ferita. Vi erano molte persone, alcune sedute ed altre in piedi; in mezzo alla gente vi erano i poliziotti. Vi erano anche poliziotti in borghese con una pettorina con la scritta Polizia. Abbiamo dato le nostre sacche ai poliziotti, che le svuotavano, ma piuttosto disordinatamente; tutto il contenuto veniva ammucchiato insieme; io avevo una borsa sulle spalle, ma nessuno mi ha chiesto di vederla. Non ho visto mazze, bastoni od altri oggetti che potessero essere usati come armi improprie”.
Moth Richard Robert: “… Ad un tratto due persone sono corse verso l’ingresso; ho sentito dei colpi molto forti all’esterno ed alcune persone sono corse nell’angolo ove si trovavano i computer; eravamo tutti spaventati e anche noi siamo corsi verso i computer, seguendole; pensavamo che sapessero come uscire dal palazzo; c’era una gran confusione. Siamo saliti al secondo piano e siamo rimasti nel corridoio; dalle finestre abbiamo visto molti poliziotti nel cortile. Non sapevamo che cosa fare. Poco dopo abbiamo visto alcuni poliziotti in fondo al corridoio che si avvicinavano urlando in modo molto aggressivo. Le persone che erano nel corridoio si sono stese a terra e così anche noi; i poliziotti hanno iniziato a colpirci ed io mi sono steso sopra la mia compagna per proteggerla; i poliziotti colpivano con i manganelli e con calci cercavano di colpire Nicole Ann, che era protetta dal mio corpo; erano circa sei – otto. Poco dopo è arrivato un altro gruppo di poliziotti che colpivano a loro volta tutte le persone che si trovavano stese nel corridoio. Successivamente ci hanno fatto alzare in piedi; un poliziotto tagliò con un coltello una ciocca di capelli ad uno dei presenti e poi anche a Nicole Ann. Io ero stato colpito sulla testa e sanguinavo. Non sono in grado di dire come fossero vestiti i primi poliziotti che ci hanno picchiato; quelli arrivati dopo indossavano i jeans con la parte superiore del corpo protetta con un’imbottitura. I poliziotti visti dalla finestra erano in tenuta antisommossa, elmetti, armature, mi sembrava una divisa scura. Per armatura intendo un’attrezzatura protettiva davanti al corpo e ginocchiere, mi è difficile ricordare esattamente. La seconda ondata non era in divisa, avevano i blue jeans e un gilet.  Non mi ricordo se sul gilet c’era scritto polizia, il tipo di abbigliamento che ho descritto  è quello mostrato nella foto contrassegnata Diaz, che mi viene mostrata … Ci hanno condotto giù per le scale nella sala principale, ove ci hanno fatto sedere in terra. C’erano molte persone ferite che sanguinavano, piangevano e si lamentavano. Mi faceva male la gamba ed avevo una ferita in testa; Nicole Ann pensava che il suo polso fosse rotto. Ci consolavamo a vicenda. I poliziotti urlavano ed alzavano i manganelli. Ci chiedevano di passare le sacche fino a loro che le svuotavano poi per terra; i poliziotti prendevano articoli di abbigliamento neri e ne facevano una pila. Sfilavano inoltre dal telaio degli zaini l’intelaiatura di metallo. Non vi è stata una perquisizione vera e propria, ma soltanto una ricerca all’interno degli zaini senza per di più collegarli in alcun modo al proprietario.
Pollok Rafael: “… Ad un tratto ho visto una donna che correva gridando “Polizia” ed in quel momento i poliziotti erano già arrivati dalla destra davanti al cancello, che era stato chiuso con una catena. Mi sono rifugiato nella scuola, come tutti quelli che si trovavano nel cortile. Io mi ero sistemato per dormire sulla destra dell’ingresso, nella posizione che indico sulla piantina che mi viene mostrata. Ho recuperato le mie medicine dallo zaino ed una giacca ed ho cercato di fuggire. Sono salito sulle scale passando davanti al portone, c’era molta gente che cercava di scappare. Alcuni hanno cercato di passare sulle impalcature da una finestra, ma dato che c’era troppa gente che cercava di passare per tale via, sono salito al piano superiore, mi pare il secondo; ho guardato dalla finestra ed ho visto che nel cortile c’erano molti poliziotti ed una macchina della Polizia era contro il cancello. Non ho visto gettare oggetti sui poliziotti. La Polizia era già all’interno della scuola sulla scala. Ci ha raggiunto e ci ha fatto sedere in terra con le mani sulla testa. I poliziotti hanno spento la luce ed hanno iniziato a picchiarci. Noi eravamo una decina ed i poliziotti di più; indossavano una divisa blu scuro; mi pare che i pantaloni fossero un po’ più chiari della giacca; avevano un’imbottitura sulle ginocchia e sui gomiti, guanti neri, stivali e il casco. Ci picchiavano con i manganelli; hanno colpito anche me sulla testa ed in particolare con una ginocchiata sulla faccia, facendomi perdere un dente; mi hanno dato calci, anche sul basso ventre (tra le gambe); perdevo molto sangue dalla bocca. Anche gli altri che erano vicini a me vennero picchiati nello stesso modo; ad uno vennero tagliati i capelli che un poliziotto si mise nella tasca. Poi mi hanno fatto scendere le scale; un poliziotto mi ha colpito e mi ha fatto urtare la testa contro il muro; dopo venni aiutato a scendere da una donna di nazionalità tedesca; venni quindi picchiato nuovamente. Le foto n. 47 e 49  potrebbero raffigurare il punto in cui è avvenuta la spinta contro il muro, ma non credo si tratti del mio sangue. Mi hanno poi portato nella palestra al piano terra ove c’era molta gente ferita e molto sangue; io ero disteso per terra. Alcuni poliziotti chiacchieravano tra loro, altri svuotavano gli zaini rovesciandone il contenuto in terra. Non ricordo se vi fossero poliziotti che davano ordini; i poliziotti erano quasi tutti in divisa; uno era in abiti civili, indossava un vestito con una giacca marrone e portava un casco blu; era piccolo e vecchio”.
Zehatschek Sebastian: “… Ad un tratto sono stato svegliato da qualcuno che mi disse in inglese: “Sta arrivando la polizia”. Sentii alcuna grida e colpi dall’esterno; il portone era chiuso, ma non ho guardato bene come. Ho visto diverse persone che facevano i loro bagagli e molti salivano ai piani superiori. Anch’io mi alzai e rimisi il sacco a pelo nello zaino; quindi salii velocemente al secondo piano. Non ho visto nessuno che desse  l’impressione di volere fare resistenza alla Polizia; molti si mettevano infatti con le mani alzate. Ho percorso circa una diecina di metri del corridoio al secondo piano; la polizia arrivava dietro di me; io mi nascosi disteso sotto un tavolo al bordo del corridoio; vidi una donna che veniva picchiata dai poliziotti e poi calpestata quando cadde a terra.
I poliziotti correvano lungo il corridoio avanti e indietro e non sono quindi in grado di dire quanti fossero. Vicino a me vi era solo la donna di cui ho detto; non so dire quante persone vi fossero nel corridoio, almeno cinque; i poliziotti saranno stati almeno una ventina; indossavano uniformi blu scure; alcuni avevano i caschi; avevano manganelli a forma di T. Io ricevetti diversi colpi con i manganelli, uno molto forte sulla testa che mi provocò una lacerazione.  Dopo circa una decina di minuti ci fecero inginocchiare nel corridoio con le mani sulla nuca. Un poliziotto mi chiese se tutto era OK, io risposi di no e venni subito colpito sulla testa; quando mi ripeté la domanda risposi di si. Successivamente mi portarono nella palestra nell’angolo a sinistra insieme ad altre persone. Non ricordo con precisione come vi arrivai anche forse per le conseguenza del colpo in testa. Alcuni poliziotti ci controllavano ed altri esaminavano e svuotavano gli zaini, raccogliendo in particolare indumenti neri”.
Galloway  Ian  Farrel: “… Ero vicino ai computer, che si trovavano sulla sinistra entrando, quando sentii  urlare: “Polizia”; c’era molta confusione; vidi che le porte venivano chiuse. All’esterno vi erano molti poliziotti che cercavano di entrare, picchiando sia sul portone principale sia su quello laterale vicino alla postazione dei computer. Ero molto nervoso e spaventato. Sono salito al terzo piano, contando il piano terra (II piano); sono andato nel corridoio nella parte illuminata, la maggior parte era buia; ho quindi atteso la polizia, con le mani alzate; nel corridoio davanti a me vi erano altre due persone , non so quante dietro. Arrivò il primo poliziotto che batté con un bastone su una scrivania dicendoci: “Bastardi”. Arrivarono altri poliziotti; vidi che il primo aveva iniziato a picchiare le due persone davanti a me e così anche gli altri poliziotti; io mi sono arrotolato come una palla per proteggermi ed ho coperto la testa con  le mani; hanno iniziato a picchiarmi; hanno tagliato tre pezzi dei miei capelli da dietro; non so per quanto tempo ho tenuto le mani sulla testa, poi me le hanno tolte e mi hanno picchiato sulla testa; mi sentivo svenire. Venni colpito ripetutamente sulla testa; rimasi stordito; le altre persone continuavano a pregare i poliziotti di smettere di picchiarli, ma più li pregavano più i poliziotti li colpivano. Ci fecero poi mettere in fila e quindi ci fecero scendere le scale. Fui il primo ad arrivare al piano terra; vi erano due file di poliziotti; venni spinto in terra vicino ad altri. I poliziotti urlarono qualcosa che non capii; mi stesi in terra con la faccia rivolta in basso; ricevetti un altro calcio. Vi erano molte persone e molti poliziotti”.
Digenti Simona: “… Ad un tratto sentii gridare: “La polizia, la polizia”. Radunai le mie cose e corsi ai piani superiori, mi pare utilizzando la scala a sinistra. Non ricordo con precisione a quale piano mi fermai, mi pare di aver percorso due rampe di scale. Anche se a suo tempo dichiarai di essermi fermata al primo piano non ne sono per nulla sicura. Ero vicina ad altre due persone che peraltro non conoscevo. Mi sono quindi nascosta nel bagno, che si trova alla fine della seconda rampa, almeno così credo anche se non ne ho un ricordo certo. Probabilmente dopo il primo piano ho percorso ancora una rampa di scala; ricordo infatti di aver percorso un corridoio e di aver aperto una porta da dove iniziava un’altra rampa di scale. Arrivò un poliziotto che aprì la porta e gridò che dovevo uscire; avevo paura di essere picchiata ed infatti venni colpita una volta; poi il poliziotto si diresse verso altre persone. Andai avanti ed entrai in una sala grande dove i poliziotti stavano picchiando altre persone; qualcuno mi tirò dentro questa stanza; venni picchiata nuovamente diverse volte e cercai di ripararmi la testa con le mani. Alla fine svenni e quando mi ripresi ero stesa sul pavimento e così rimasi immobile sperando di non venire più colpita. Un poliziotto mi fece alzare tirandomi per i capelli; venni ancora colpita e caddi a terra; rimasi immobile sempre nella speranza di non essere più colpita. Qualcuno poi mi trascinò, tirandomi per una gamba sempre nella stessa stanza; arrivò un altro poliziotto che, prendendomi per i capelli, mi portò al piano terra in un angolo dell’entrata ove si trovavano altre persone arrestate. Non ricordo l’abbigliamento dei poliziotti, ma soltanto che quello che mi portò giù aveva un casco. Dovevamo stare tutti molto vicini ed io infatti ero sulle gambe di uno che era ferito. Nella stanza vi erano molte persone e molti poliziotti; non sono in grado di ricordare che cosa stessero facendo”.
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Cunningham David: “… Ad un tratto sentii un gran rumore dall’esterno e sulle porte; le persone all’interno iniziarono ad urlare che stava arrivando la polizia; i vetri delle finestre sopra di noi vennero rotti dall’esterno. Le porte erano chiuse. Mettemmo tutte le cose nello zaino e ci dirigemmo verso la porta principale; in quel momento avvenne l’irruzione dei poliziotti;  salimmo quindi le scale a destra guardando l’ingresso dall’interno; credo che arrivammo al terzo piano e andammo in fondo al corridoio; guardammo dalla finestra per vedere se fosse stato possibile uscire attraverso le impalcature, ma visto che vi erano moltissimi poliziotti, tornammo indietro; in quel momento arrivò il primo poliziotto che con il manganello batté sul tavolo e a gesti ci indicò di metterci a terra. Così facemmo alzando le mani. Eravamo mi pare in sei; i poliziotti arrivati vicino al primo gruppo di persone iniziarono a picchiarle in testa; mi posi sopra Kara per cercare di proteggerla; quando arrivarono vicino a noi i poliziotti ci picchiarono con i manganelli e con gli stivali. Ricevetti almeno una quindicina di colpi; molti in testa. Urlai ripetendo “fermatevi, fermatevi”, ma più gridavo più mi pareva che mi colpissero. Tutti i poliziotti avevano fazzoletti sul viso; ogni volta che li guardavo venivo colpito. Non ricordo con precisione come erano le divise; mi sembra che il fazzoletto che copriva il volto fosse rosso scuro e le uniformi blu scuro. Le luci si accendevano e si spegnevano ed era quindi molto difficile vedere con precisione. C’era anche un poliziotto non in divisa, che riconobbi come un poliziotto perché aveva anche lui un fazzoletto rosso; era in jeans e camicia bianca. I poliziotti ci fecero poi allineare vicino al muro e ci picchiarono nuovamente; sembrava che colpissero in particolare coloro che ancora non sanguinavano dalla testa. Segno sulla piantina del terzo piano la posizione in cui mi pare mi trovassi. Ci fecero poi dirigere verso e scale, continuando a picchiarci. Quando siamo arrivati alle scale, vidi una persona con una divisa fosforescente, penso fosse un medico, al quale venivano diretti quelli che erano seriamente feriti. Siamo stati portati al piano terreno e ammassati in un grosso gruppo e quindi ci fecero stendere a terra; quelli all’esterno del gruppo vennero ancora colpiti. Alcuni poliziotti raccolsero gli zaini e ne svuotarono il contenuto sul pavimento, distruggendo ciò che potevano; calpestavano e gettavano contro il muro gli oggetti personali. Perdevo molto sangue dalle ferite alla testa e non riuscivo a vedere molto bene. Kara era su di me per cercare di evitare che ricevessi altri colpi sulla testa. Mi pare che vi fossero tre o quattro persone che davano ordini, mentre gli altri agivano. Erano diversi dagli altri, non indossavano uniformi”.
Sievewright Kara: “… Ad un tratto sentii un gran rumore e poi qualcuno che gridava: “Polizia, polizia”. Eravamo al piano terra e mi ero appena sdraiata per dormire. Mi alzai e misi le mie cose nello zaino e con David andai verso le scale; vidi che la polizia stava battendo contro la porta ed insieme ad altre persone siamo saliti al terzo piano. Arrivarono dalle scale alcuni poliziotti; il primo batté su un tavolo con il manganello. Nel corridoio vi saranno state circa sei dieci persone; appena vista la polizia alzammo le braccia; i poliziotti ci urlarono qualche insulto come “bastardi”; ci indicarono di metterci a terra e così facemmo; mi sono accucciata sotto lo zaino e vicino a David; i poliziotti hanno iniziato a picchiarci; mi colpirono nel braccio e nelle gambe ripetutamente e con mota forza. Non ricordo tutto perché ho alcuni momenti bui. Eravamo in fondo al corridoio e i poliziotti ci colpivano quando entravano nelle aule e quando uscivano. David, che mi proteggeva col suo corpo, ricevette più colpi di me. Infine smisero di picchiarci ed in inglese ci dissero di alzarci. Segno sulla piantina che mi viene mostrata il punto in cui ci trovavamo. Ricordo che i poliziotti avevano il viso coperto con maschere color vino. Ci fecero andare in fondo al corridoio e ci fecero scendere; sulle scale vi era una persona, un paramedico; ci fecero scendere nella palestra sul lato sinistro, in un gruppo con le teste abbassate. Un poliziotto mi diede un calcio molto forte. I poliziotti presero gli zaini e li riunirono in una pila; vidi che li svuotavano e ne toglievano l’intelaiatura”.
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Zhulke Lena: “… Ad un tratto sentii un rumore di finestre infrante ed urla; mi portai nel corridoio e dalla finestra vidi nel cortile diversi poliziotti che stavano entrando nella scuola piuttosto disordinatamente. Il mio ragazzo risalì e mi disse che era molto preoccupato e che la polizia ci avrebbe picchiati tutti. Abbiamo quindi cercato qualche via di uscita. Tutti correvano. Siamo rientrati nell'aula e abbiamo anche pensato di saltare dalla finestra, ma era troppo alta. Siamo saliti al terzo e poi al quarto piano per cercare qualche via d'uscita eventualmente sull'impalcatura. Siamo entrati in uno sgabuzzino accanto all'ascensore visibile nella  foto 224. Stavamo uno davanti all'atro ed il mio ragazzo aveva in mano il suo tesserino da giornalista. Abbiamo sentito poi rumori forti di stivali e di colpi contro il muro. I poliziotti hanno spalancato la porta ed hanno trascinato fuori il mio ragazzo che aveva le mani alzate e poi lo hanno colpito con bastoni. Erano almeno dieci o quindici. Un poliziotto mi ha trascinato fuori e subito dopo hanno colpito anche me. Ero a terra e mi hanno dato calci sulla schiena e colpi con bastoni. Mi hanno colpita su mani e spalle con manganelli che credo fossero di gomma, usandoli dall’alto verso il basso. Poi mi hanno trascinata verso le scale e mi hanno buttato giù dalla prima rampa. Cadendo ho cercato di ripararmi, tenendo le mani avanti ed intanto i poliziotti mi colpivano con i manganelli sulle mani. Devo essere svenuta per qualche minuto, mi sono trovata sdraiata su altre persone che non si muovevano e anch'io non riuscivo a muovermi; sentivo il sangue sul viso e non controllavo il braccio sinistro che era rotto. Avevo una gran paura e temevo che mi avrebbero ammazzata. Nel corridoio vi erano anche altre persone sdraiate in terra con le gambe che tremavano. Sono rimasta sdraiata per molto tempo; avevo dolori fortissimi e non riuscivo a respirare. La polizia è passata accanto a me e qualche poliziotto si è fermato per sputarmi in faccia. Non potevo muovere le braccia, e neppure girarmi sul fianco. Portavano foulard rossi fino agli occhi, giubbotti blu scuro, pantaloni grigi con un bordo rosso laterale, e cinture scure; sulle ginocchia avevano pezze di stoffa più spesse. I poliziotti non avevano la cintura bianca. Sono sicura che la cintura era scura. Si trattava di una divisa. Ricordo solo poliziotti di questo tipo. Quando mi hanno sputato si sono sollevati la visiera del casco. Poi arrivarono altre persone con una divisa blu, una mantella bianca con una croce rossa sopra, che io pensai fossero infermieri. Hanno quindi cercato di infilarmi in un sacco nero di plastica senza riuscirci, anche perché le mie gambe continuavano a muoversi su e giù.
Bertola Matteo: “… Ero andato nel bagno per lavarmi i denti, quando ho sentito un certo trambusto e rumore di vetri infranti; siamo subito saliti sulle scale, mi pare oltre il primo piano. Ci siamo rifugiati in un bagno; poco dopo sono arrivati i poliziotti che hanno subito portato fuori Sara e l’hanno colpita; quindi hanno portato anche me fuori del bagno e mi hanno colpito più volte sul dorso; mentre percorrevo il corridoio, venivo colpito dagli agenti che si trovavano ai lati. Prima di arrivare alle scale ricordo di aver visto una ragazza con capelli lunghi (rasta) venire trascinata in condizioni di semi incoscienza. Giunto quasi alla rampa delle scale sono stato colpito alla testa; pensai di fingermi privo di sensi e mi inginocchiai e poi mi stesi in terra, ma ciò non impedì ai poliziotti di continuare a colpirmi; quindi mi rialzai ed iniziai a scendere le scale; durante tutto il percorso in discesa continuai a subire colpi fino al piano terra, ove insieme a Sara ci sedemmo in terra. Vi erano molte persone che apparivano ferite anche gravemente e che si lamentavano. Sara aveva una ferita sulla testa. Mi fecero una veloce perquisizione, mi presero il portafoglio che poi mi venne restituito. Mi venne preso lo zaino e messo in un mucchio insieme ad altri”.
Bartesaghi Gallo Sara: “… Ci siamo recati in bagno per lavarci i denti e poi andare via, quando ho sentito un certo trambusto all’esterno: colpi  e rumore di vetri che si rompevano. Siamo saliti fino all’ultimo piano. Il portone era chiuso e ricordo che vi era davanti una panchetta. Sulle scale vi erano alcuni ponteggi, ma si poteva passare. Vi erano anche altre persone che salivano. Ci siamo chiusi in un bagnetto in fondo al corridoio. Abbiamo sentito urla, rumori e quindi sono arrivati i poliziotti che hanno aperto la porta, mi hanno colpita in testa con il manganello e mi hanno portata fuori. Un poliziotto mi sorreggeva, perché perdevo sangue dalla testa, dicendo agli altri di non picchiarmi, ma nonostante questo ordine, hanno continuato a colpirmi, credo sempre con i manganelli. Siamo scesi; io ero sempre accompagnata dallo stesso poliziotto ed al primo piano ho riconosciuto Matteo in un gruppo di tre ragazzi accovacciati in terra e l’ho fatto venire con me al piano terra nella palestra, ove ci siamo seduti in terra. Vi erano anche alcuni poliziotti che apparivano in posizione di comando vestiti in borghese. Nella palestra vi erano numerose persone ferite che si lamentavano e chiedevano di fare intervenire le ambulanze. Al centro della stanza vi era un mucchio di zaini ed un poliziotto ci ha mostrato con il manganello una maglietta nera; non ho visto la Polizia prendere alcun particolare oggetto”.
Giovannetti Ivan: “… ad un tratto sentii Sara che diceva “la Polizia, la Polizia”. Sono salito al primo piano e sono uscito da una finestra, ma poi sono rientrato ed andato in un’aula; ho sentito sfondare una porta e sono quindi entrati due agenti che hanno gettato un banco su altri due ragazzi; ho cercato di uscire nel corridoio, ma sono stato visto e gli agenti mi hanno raggiunto e si sono rivolti contro di me, picchiandomi con i manganelli; ho alzato le mani per far vedere che non avevo intenzioni di resistere, ma sono stato nuovamente colpito con violenza alla testa e sono caduto a terra. Sono arrivati altri agenti che passando mi colpivano con calci; uno mi ha spruzzato su una ferita il gas urticante al peperoncino”.
Provenzano Manfredi: “… Ad un tratto ho sentito qualcuno dire che c’era la polizia nel cortile. Mi sono recato alla finestra ed ho visto che nel cortile vi erano moltissimi poliziotti. Sono scappato ai piani superiori sulle scale alla sinistra dell’ingresso. Il portone era stato chiuso da alcune persone che avevano anche posto davanti allo stesso una panchetta. La scala non era illuminata. Siamo arrivati mi pare all’ultimo piano e siamo entrati in un’aula che era buia e ci siamo accovacciati in un angolo; insieme a noi vi era anche una ragazza, che poi ho saputo chiamarsi Daphne (Wiegers). Abbiamo iniziato a sentire alcuna urla. Ad un tratto la porta è stata aperta con un calcio e sono entrati alcuni poliziotti che hanno subito iniziato a colpirci con  manganelli. Erano cinque o sei, portavano un’uniforme blu scuro, casco e fazzoletti rossi sul viso. Non sono in grado di precisare il tipo dei manganelli, i colpi sembravano inferti con un corpo rigido. All’ingresso dei poliziotti siamo rimasti accovacciati a terra. Ci hanno fatto alzare per uscire ed un poliziotto mi ha spruzzato qualcosa negli occhi per cui per un po’ non sono più riuscito a vedere nulla. Sono stato portato in un’altra aula cui  si accedeva con tre quattro scalini e picchiato ancora ripetutamente dai poliziotti che ci insultavano, ci minacciavano e gridavano contro di noi. Perdevo molto sangue; dopo circa dieci minuti sono arrivate due persone, un uomo ed una donna che mi hanno portato su un telo di plastica fino al piano terreno; in tale percorso ho più volte urtato con la schiena contro i gradini”.
Primosic Federico: “… Ad un tratto, mentre ero ai computer nel corridoio alla fine della palestra, ho sentito alcuni forti rumori all’esterno: colpi all’ingresso principale e alle finestre, urla, colpi di manganello sui vetri delle finestre dall’esterno; mi sono quindi spostato verso l’ingresso; credo che il portone fosse chiuso. Insieme a Provenzano siamo saliti al piano superiore e dalla finestra abbiamo visto moltissimi poliziotti che stavano entrando nell’edificio. Siamo saliti al quarto piano e siamo entrati in un’aula; si sentivano colpi sempre più forti che si avvicinavano, grida ecc.. Nell’aula vi era un’altra persona che peraltro si allontanò subito dopo; entrarono i poliziotti che si avventarono contro di noi, picchiandoci con i manganelli; sono stato trascinato fuori; sentivo gridare Provenzano. I poliziotti mi hanno ripetutamente colpito; ci insultavano. Erano vestiti con un’uniforme blu, portavano il casco. Non ho notato poliziotti non in uniforme finché non sono stato portato al piano terra. Sono stato spinto giù per le scale; sono rotolato giù, e sono stato nuovamente picchiato nel corridoio; un poliziotto mi ha poi spruzzato negli occhi uno spray urticante; sono stato portato al piano inferiore, nella palestra e nuovamente colpito; c’erano molte persone ferite”.
Martensen Niels: “… sentii gridare e vidi dalla finestra molti poliziotti che si affollavano contro il cancello. Risalii velocemente; sentii il rumore di finestre che si rompevano. Insieme alla mia amica salimmo al terzo piano e poi ancora più in alto e ci rifugiammo infine in uno sgabuzzino, pensando che se fosse arrivata la polizia avremmo alzato le mani e ci saremmo subito arresi. Vicino allo sgabuzzino vi erano i bagni ove si trovavano altre persone. Sentii il rumore degli stivali; i poliziotti entrarono prima nei bagni e sentii molte urla e rumori; poi aprirono la porta dello sgabuzzino; mostrai subito il mio tesserino, ma mi tirarono fuori e iniziarono a picchiarmi con i manganelli; mi pare fossero in cinque. Caddi a terra e venni ancora colpito anche con calci. Quando si allontanarono, mi rialzai e percorsi qualche metro del corridoio; i poliziotti mi videro e mi picchiarono nuovamente. Sono caduto a terra ed i poliziotti smisero di picchiarmi soltanto quando videro che non  mi muovevo più. Un poliziotto passò vicino a me con un estintore e nonostante io fossi ferito mi spruzzò la schiuma contro; sentii un gran bruciore. Riuscii ad avvicinarmi carponi ad un’altra persona che era a terra in una pozza di sangue. Non ho poi ricordi precisi perché ogni tanto perdevo i sensi”.
Wiegers Daphne: “… Ad un tratto sentii gridare: “Polizia, polizia”; si creò un grande panico; la gente correva da tutte le parti ed anch’io corsi ai piani superiori ed arrivai al quarto, ove cercai di nascondermi in un’aula dietro ad un tavolo in un angolo. Nei corridoi vi era abbastanza luce e nelle aule, più buie, si riusciva comunque a vedere. Nella stessa aula si nascosero altre persone almeno due. Arrivò la polizia. I poliziotti entrarono nell’aula e iniziarono a picchiarci; cercai di proteggermi la testa, ma venni colpita ripetutamente. In particolare vi era un poliziotto che mi era vicino e che continuava a picchiarmi e mi diede anche un calcio sul petto ed uno sulla pancia. Mi guardava con odio. I poliziotti indossavano un’uniforme antisommossa scura, stivali e mi pare un giubbotto.
Mentre ero nel corridoio arrivarono altri poliziotti che mi picchiarono ancora sulla testa. Dopo un po’ andarono via e ne arrivarono altri, che a loro volta mi picchiarono nuovamente sulla testa e poi si allontanarono. Anche questi poliziotti indossavano uniformi scure e caschi scuri. Arrivarono infine altri poliziotti che non ci picchiarono, e subito dopo altri poliziotti in abiti normali, civili. Ci condussero al piano terreno nella palestra; ci fecero disporre in un angolo, successivamente arrivarono i sanitari che cercarono di soccorrere i feriti”.

[32] “… Un primo riscontro deve individuarsi nella concordanza delle dichiarazioni e in particolare di quelle rese in sede di convalida dell'arresto, in proposito sottolineandosi il fatto che i 78 stranieri arrestati vennero condotti in quattro diverse carceri (Pavia, Voghera, Vercelli e Genova-Marassi), mentre alcuni di essi vennero interrogati mentre erano ricoverati presso gli ospedali civili di Genova. La circostanza rende del tutto improbabile l'eventualità che gli stessi abbiano potuto concordare tra loro le versioni ed attribuisce quindi particolare valore al fatto che i racconti coincidano anche su punti specifici … Appena liberati, gli stranieri vennero raggiunti da provvedimenti di espulsione, circostanza che porta ad escludere che gli stessi possano avere concordato la versione dei fatti con quelli tra i quindici italiani che vennero successivamente sentiti dal PM. Quindi anche le dichiarazioni rese da questi ultimi costituiscono riscontro a quanto dichiarato nell'immediatezza dei fatti dagli arrestati stranieri. Inoltre, due degli italiani, Guadagnucci e Cestaro, vennero sentiti dal PM il 23.1.01 mentre si trovavano ricoverati presso l'Ospedale San Martino per le lesioni riportate nel corso dell'operazione presso la scuola DIAZ. Le versioni di entrambi (che al momento dell'irruzione erano nella palestra) coincidono con quanto riferito al GIP dagli stranieri, circa il fatto che le persone vennero colpite dalla polizia sebbene nessuna resistenza venisse da loro opposta ...”

[33] Ledoti Fabrizio: “… salii insieme ad altro personale in divisa atlantica o con pettorine con la scritta Polizia; un manifestante mi tirò contro degli oggetti ed io lo fermai  e lo consegnai a colleghi; salendo incontrai un'altra persona che fece resistenza; continuai a salire e nel tragitto incontrai personale in borghese o in atlantica che effettuava normali servizi in quei frangenti; vidi anche un collega che colpiva un manifestante con il manganello ma data la concitazione del momento non vi feci molto caso; salendo incontrai una ragazza che era molto spaventata e così la accompagnai al piano terra; in quel momento ricevetti nell’auricolare l’ordine dal dr. Fournier di riporre il manganello e di scendere. Durante l’operazione quando nel piazzale alzammo gli scudi, un collega della mia squadra si ferì ad una mano; alla fine tre persone della mia squadra  vennero ferite, me compreso; io venni ferito durante la seconda  colluttazione, riportai una distorsione al ginocchio” (Ud. 26/3/08)
Zaccaria Emiliano: “… Salendo ci sono stati lanciati addosso degli oggetti tra cui una lavagnetta che ho parato con il baton, l’agente Salvatori mi ha detto di aver ricevuto un forte colpo sul naso … appena arrivato al primo piano ho visto un corridoio illuminato con ai lati alcune aule buie e verso metà del corridoio agenti in borghese, con il fratino ed in atlantica, in fase di scontro con altre persone, utilizzando anche gli sfollagente … sono sicuro che le persone che fronteggiavano gli agenti si stessero scontrando con loro, nel senso che ho visto che si menavano tra di loro.  In quel momento esatto mi giungeva ordine dal Dr. Fournier di riporre il baton e di adunarmi all’esterno dell’edificio nel piazzale” (verbale int. 21/9/01).
Basili Fabrizio: “… Appena sono entrato mi sono trovato nell’atrio dove c’era altro personale in  borghese che stava immobilizzando alcuni ragazzi per terra, non so dire quanti … poi mi sono diretto verso la scala che portava al piano superiore … lì ho ricevuto un colpo alle spalle sul casco e  credo di essere stato da solo, mi sono girato e ho visto una sagoma che mi veniva contro e mi sono difeso con un colpo di baton portato in senso rotatorio. Sono sicuro di aver colpito l’aggressore sul braccio facendogli cadere  il bastone. L’aggressore è poi fuggito ed io sono salito sulle scale”. (verbale int. 20/9/01)
Cenni Angelo: “… Una volta entrato con la mia squadra mi sono subito fermato nell’atrio dove sostava un Agente in borghese con pettorina e lì ho notato che due componenti della squadra, gli Agenti Travascio e Tarallo, accusavano dolori alla mano destra. Vista la situazione ho ordinato loro di non proseguire e di portarsi fuori. Credo che siano stati refertati … mi sono diretto verso le scale di sinistra ed a metà della prima rampa ho notato l’Agente Pace che era ferito ad un piede. Non so precisare come si fosse procurata la ferita, se cioè si fosse fatto male salendo o fosse stato colpito in qualche modo o da qualche oggetto. Prendo atto che mi viene fatto notare che nella mia relazione testualmente scrivo: “lo scrivente, seguendo altro personale che lo anticipava, nel salire al buoi la prima rampa di scale, veniva fatto oggetto di lancio di corpi contundenti vari, di cui uno colpiva l’Agente Pace al piede destro.” Al riguardo chiarisco che non ho avuto percezione diretta di quanto riferisco in prima persona, ma ciò che rappresento è quello che mi ha detto l’Ag. Pace”. (verbale int. 22/9/2001)
Lucaroni Carlo: “… Appena entrati ci siamo trovati in un piccolo corridoio che abbiamo percorso velocemente per fare poi ingresso in un ampio stanzone dove abbiamo visto che personale della Polizia di Stato indossante il “frattino” o “l’atlantica” stava già operando. Saranno stati circa una decina o qualcosa di più mentre le persone occupanti la stanza erano una ventina circa. Ho visto alcuni impegnati in due o tre colluttazioni, talvolta gli operanti erano in superiorità numerica talvolta lo erano gli antagonisti. Si è trattato di uno scambio di colpi, non ho visto nell’occasione usare lo sfollagente per colpire da parte degli operanti. Si è trattato per altro di brevi flash che io ricordo. Le altre persone erano in piedi ed alcune sedute a terra. Alcune erano ferite perché sporche di sangue … Al primo piano abbiamo notato una scena simile; vi era già la presenza di personale di altri reparti nel corridoio ove si trovavano una quindicina di persone, ho notato anche alcune persone portate fuori dalle aule sempre da parte dei colleghi. Ho visto qualche persona ferita perché sporca di sangue, ma poiché la situazione anche qui mi sembrava sotto controllo, siamo saliti al secondo piano e poi al terzo. Anche qui come precisato nella mia relazione che in proposito richiamo, vi era sempre la presenza di colleghi di altri reparti. Ho visto qualche colluttazione ma anche qui senza l’uso di manganello da parte di operanti” (verbale int. 19/9/01).
Stranieri Pietro: “… sfondai con l’aiuto del capo squadra Ledoti il portone di sinistra … Entrato vidi sulla mia destra che era in corso una colluttazione tra personale appartenente al mio nucleo, riconosciuto dalle divise indossate, con persone presenti nella palestra; si trattava del personale che era entrato dal portone centrale e che aveva ingaggiato delle colluttazioni con le persone presenti; era in corso uno strattonamento reciproco con le mani; non vidi usare il manganello. Il numero degli agenti del mio reparto era senza dubbio sufficiente a vincere la resistenza opposta dai presenti e pertanto decisi di occuparmi dei bagni dove nessuno stava andando” (verbale int. 21/9/01).