PROCESSO DIAZ - La sentenza
4. Operazione presso la scuola Diaz Pertini > > > > | T | 1 | 2 | 3 | 4 | E |
Quarto piano
(piantina)
Zhulke Lena (udienza 9/11/05; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Nella manifestazione del sabato in corso Sardegna ero stata controllata dalla Polizia insieme al mio ragazzo, Nielse Martensen, che era stato anche picchiato; era stato spinto contro il muro e i poliziotti, uno alla volta, l’hanno picchiato, ridendo. Alla fine uno dei poliziotti gli ha preso la testa e gli ha battuto il mento contro il suo ginocchio. Poi l’hanno spinto tra le macchine. L'ho quindi accompagnato a farsi medicare.
Avevamo sentito poi che c'era un luogo sicuro dove era possibile dormire e ci eravamo quindi recati alla scuola Diaz Pertini con la nostra auto. Avevamo le tessere di giornalisti.
Siamo saliti al secondo piano nell’aula indicata con 3 F nella pianta dell’edificio. Il mio ragazzo scese quindi al primo piano al computer. Ad un tratto sentii un rumore di finestre infrante ed urla; mi portai nel corridoio e dalla finestra vidi nel cortile diversi poliziotti che stavano entrando nella scuola piuttosto disordinatamente. Il mio ragazzo risalì e mi disse che era molto preoccupato e che la polizia ci avrebbe picchiati tutti. Abbiamo quindi cercato qualche via di uscita. Tutti correvano. Siamo rientrati nell'aula e abbiamo anche pensato di saltare dalla finestra, ma era troppo alta. Siamo saliti al terzo e poi al quarto piano per cercare qualche via d'uscita eventualmente sull'impalcatura. Siamo entrati in uno sgabuzzino accanto all'ascensore visibile nella foto 224. Stavamo uno davanti all'atro ed il mio ragazzo aveva in mano il suo tesserino da giornalista. Abbiamo sentito poi rumori forti di stivali e di colpi contro il muro. I poliziotti hanno spalancato la porta ed hanno trascinato fuori il mio ragazzo che aveva le mani alzate e poi lo hanno colpito con bastoni. Erano almeno dieci o quindici. Un poliziotto mi ha trascinato fuori e subito dopo hanno colpito anche me. Ero a terra e mi hanno dato calci sulla schiena e colpi con bastoni. Mi hanno colpita su mani e spalle con manganelli che credo fossero di gomma, usandoli dall’alto verso il basso.
Poi mi hanno trascinata verso le scale e mi hanno buttato giù dalla prima rampa. Cadendo ho cercato di ripararmi, tenendo le mani avanti ed intanto i poliziotti mi colpivano con i manganelli sulle mani.
Devo essere svenuta per qualche minuto, mi sono trovata sdraiata su altre persone che non si muovevano e anch'io non riuscivo a muovermi; sentivo il sangue sul viso e non controllavo il braccio sinistro che era rotto. Avevo una gran paura e temevo che mi avrebbero ammazzata. Nel corridoio vi erano anche altre persone sdraiate in terra con le gambe che tremavano. Sono rimasta sdraiata per molto tempo; avevo dolori fortissimi e non riuscivo a respirare.
La polizia è passata accanto a me e qualche poliziotto si è fermato per sputarmi in faccia. Non potevo muovere le braccia, e neppure girarmi sul fianco.
Portavano foulard rossi fino agli occhi, giubbotti blu scuro, pantaloni grigi con un bordo rosso laterale, e cinture scure; sulle ginocchia avevano pezze di stoffa più spesse. I poliziotti non avevano la cintura bianca. Sono sicura che la cintura era scura. Si trattava di una divisa. Ricordo solo poliziotti di questo tipo. Quando mi hanno sputato si sono sollevati la visiera del casco.
Poi arrivarono altre persone con una divisa blu, una mantella bianca con una croce rossa sopra, che io pensai fossero infermieri. Hanno quindi cercato di infilarmi in un sacco nero di plastica senza riuscirci, anche perché le mie gambe continuavano a muoversi su e giù. Penso che non volessero far vedere le mie condizioni. Non so se fossero infermieri o poliziotti. Poi è arrivata una barella su cui mi hanno sdraiata e sono stata portata con l'autoambulanza all'ospedale San Martino. Qui sono stata medicata; gli infermieri mi gridavano di alzarmi per fare i test ma io non ci riuscivo; vi erano altre persone ferite: tra queste il mio ragazzo e Daniel Albrecht. Un medico mi ha spiegato che le costole che si erano rotte premevano sul polmone e così non riuscivo a respirare.
Nella stanza in cui ero ricoverata sono poi entrati alcuni poliziotti che hanno esaminato le mie cose. Uno infine con i gradi sulla divisa mi ha informata che ero stata arrestata e che non potevo telefonare.
Riconosco nella foto B2 la divisa dei poliziotti che però non avevano la cintura bianca. Sono sicura che la cintura era scura.
Bertola Matteo (udienza 9/2/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione )
Mi sono recato insieme alla mia amica Sara Bartesaghi presso la scuola Diaz la sera del 21 soltanto per ritirare il suo zaino; il cancello del cortile era aperto; mi sono sdraiato nella palestra. Tutto era tranquillo.
Ero andato nel bagno per lavarmi i denti, quando ho sentito un certo trambusto e rumore di vetri infranti; siamo subito saliti sulle scale, mi pare oltre il primo piano. Ci siamo rifugiati in un bagno; poco dopo sono arrivati i poliziotti che hanno subito portato fuori Sara e l’hanno colpita; quindi hanno portato anche me fuori del bagno e mi hanno colpito più volte sul dorso; mentre percorrevo il corridoio, venivo colpito dagli agenti che si trovavano ai lati. Prima di arrivare alle scale ricordo di aver visto una ragazza con capelli lunghi (rasta) venire trascinata in condizioni di semi incoscienza. Giunto quasi alla rampa delle scale sono stato colpito alla testa; pensai di fingermi privo di sensi e mi inginocchiai e poi mi stesi in terra, ma ciò non impedì ai poliziotti di continuare a colpirmi; quindi mi rialzai ed iniziai a scendere le scale; durante tutto il percorso in discesa continuai a subire colpi fino al piano terra, ove insieme a Sara ci sedemmo in terra. Vi erano molte persone che apparivano ferite anche gravemente e che si lamentavano. Sara aveva una ferita sulla testa.
Mi fecero una veloce perquisizione, mi presero il portafoglio che poi mi venne restituito. Mi venne preso lo zaino e messo in un mucchio insieme ad altri.
I soccorsi iniziarono ad arrivare dopo circa una ventina di minuti.
Non ricordo con precisione l’abbigliamento dei poliziotti; nella palestra ve n’erano alcuni con una pettorina; non sono in grado di precisare il tipo dei manganelli utilizzati dai poliziotti.
Non mi è mai stato detto che ero in stato di arresto, né che venivo sottoposto a perquisizione, né che avrei potuto farmi assistere. Il lunedì sera sono stato rilasciato dal carcere di Pavia; ho saputo che stavano effettuando una perquisizione a casa mia, ove è stato sequestrato un blocco notes che non mi è stato più restituito.
Non ho visto nella scuola alcun oggetto come quelli raffigurati nelle fotoRep. 120 raid32 e seguenti.
Mi riconosco nella persona visibile nella foto Rep. 120 Raid 11 pz , sulla sinistra con la maglietta chiara.
Il casco dei poliziotti era quello lucido visibile nella foto B13 .
Bartesaghi Gallo Sara (udienza 9/2/2006; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione )
Sono arrivata alla Diaz verso le 23,30 per riprendere il mio zaino e andare poi a prendere il treno e tornare a casa; ero con Bertola e Giovannetti Ivano. Avevo dormito il venerdì nella Diaz e la notte precedente nella Pascoli; prima ero allo stadio Carlini.
La situazione era molto tranquilla; vi erano alcuni ragazzi ai computer, alcuni chiacchieravano alcuni dormivano. Ci siamo recati in bagno per lavarci i denti e poi andare via, quando ho sentito un certo trambusto all’esterno: colpi e rumore di vetri che si rompevano. Siamo saliti fino all’ultimo piano. Il portone era chiuso e ricordo che vi era davanti una panchetta. Sulle scale vi erano alcuni ponteggi, ma si poteva passare. Vi erano anche altre persone che salivano. Ci siamo chiusi in un bagnetto in fondo al corridoio. Abbiamo sentito urla, rumori e quindi sono arrivati i poliziotti che hanno aperto la porta, mi hanno colpita in testa con il manganello e mi hanno portata fuori. Un poliziotto mi sorreggeva, perché perdevo sangue dalla testa, dicendo agli altri di non picchiarmi, ma nonostante questo ordine, hanno continuato a colpirmi, credo sempre con i manganelli.
Siamo scesi; io ero sempre accompagnata dallo stesso poliziotto ed al primo piano ho riconosciuto Matteo in un gruppo di tre ragazzi accovacciati in terra e l’ho fatto venire con me al piano terra nella palestra, ove ci siamo seduti in terra. Vi erano anche alcuni poliziotti che apparivano in posizione di comando vestiti in borghese. Nella palestra vi erano numerose persone ferite che si lamentavano e chiedevano di fare intervenire le ambulanze. Al centro della stanza vi era un mucchio di zaini ed un poliziotto ci ha mostrato con il manganello una maglietta nera; non ho visto la Polizia prendere alcun particolare oggetto.
Sono infine arrivati i soccorsi e mi hanno portato fuori in barella. Ho saputo che ero in stato di arresto soltanto a Bolzaneto. Ho poi riavuto le mie cose non tramite la polizia, ma per l’intervento di altre persone.
Mi pare che le divise visibili nel filmato Rep. 172 p. 2 min. 7,40 siano in effetti quelle da me viste.
Mi è rimasto un senso di paura e di panico in particolare nei rapporti con le forze di Polizia, con crisi di pianto; in un’occasione, ad una normale semplice richiesta di documenti a me ed ai miei amici da parte dei carabinieri, sono anche svenuta.
Anche mia madre è diventata particolarmente apprensiva, tanto che se non le do continuamente mie notizie ha crisi di pianto.
Giovannetti Ivan (udienza 28/6/07; parte civile, assunto ex art. 197 bis)
(verbale – trascrizione )
Ero a Genova nel periodo del G8; arrivai alla Diaz il sabato sera verso le 23,30 circa; ero con Sara Bartesaghi con altra ragazza e con Matteo Bertola; dovevamo soltanto prendere alcuni bagagli e poi andare via; ma ci siamo stesi sui sacchi a pelo e ci siamo appisolati; il tempo è passato quando ad un tratto sentii Sara che diceva “la Polizia, la Polizia”. Sono salito al primo piano e sono uscito da una finestra, ma poi sono rientrato ed andato in un’aula; ho sentito sfondare una porta e sono quindi entrati due agenti che hanno gettato un banco su altri due ragazzi; ho cercato di uscire nel corridoio, ma sono stato visto e gli agenti mi hanno raggiunto e si sono rivolti contro di me, picchiandomi con i manganelli; ho alzato le mani per far vedere che non avevo intenzioni di resistere, ma sono stato nuovamente colpito con violenza alla testa e sono caduto a terra. Sono arrivati altri agenti che passando mi colpivano con calci; uno mi ha spruzzato su una ferita il gas urticante al peperoncino. Sono poi riuscito ad andare in un bagno a sciacquarmi; sono poi arrivate le ambulanze e sceso al piano di sotto vidi Sara su una lettiga con il collarino; vi era un ragazzo in crisi epilettica. Un’infermiera faceva una lista dei casi più gravi. Venni caricato su un’ambulanza insieme ad altre due persone. All’ospedale rividi Sara; poi arrivò una persona alta che mi prese i documenti e quindi, dopo avermi messo i punti di sutura alla testa, venni portato a Bolzaneto. Mi vennero fatte radiografie al braccio; avevo ecchimosi in tutte le parti.
Il documento mi è stato restituito a casa per posta.
Abitavo con i miei genitori; Gandini Ettorina è mia madre, che rimase molto colpita da quanto accadutomi.
Gli agenti che mi hanno picchiato avevano una divisa del tipo antisommossa; nell’aula ve ne erano tre e fuori altri tre; successivamente ne passarono almeno altri dieci. Non so indicare il tipo delle divise degli agenti che intervennero dopo i primi. Gli agenti erano dotati di manganelli del tipo tonfa, un po’ più corti con un’impugnatura a T.
Mi riconosco nella foto (n. 112 Rep. 65 C) che mi viene mostrata.
Prima di me probabilmente erano usciti altri ragazzi sulle impalcature.
Confermo di aver detto che tra le divise raffigurate nell’album che mi è stato mostrato quella visibile nella foto B2 è la più simile.
Adesso che vedo la foto SC 007 posso dire che mi pare proprio la divisa degli agenti che mi picchiarono.
Provenzano Manfredi (udienza 9/2/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione )
Ero alla scuola Diaz con un amico di Roma, Federico Primosig; per dormire mi ero sistemato al piano terra nella palestra. Tutto era tranquillo. Ad un tratto ho sentito qualcuno dire che c’era la polizia nel cortile. Mi sono recato alla finestra ed ho visto che nel cortile vi erano moltissimi poliziotti. Sono scappato ai piani superiori sulle scale alla sinistra dell’ingresso. Il portone era stato chiuso da alcune persone che avevano anche posto davanti allo stesso una panchetta.
La scala non era illuminata. Siamo arrivati mi pare all’ultimo piano e siamo entrati in un’aula che era buia e ci siamo accovacciati in un angolo; insieme a noi vi era anche una ragazza, che poi ho saputo chiamarsi Daphne (Wiegers). Abbiamo iniziato a sentire alcuna urla. Ad un tratto la porta è stata aperta con un calcio e sono entrati alcuni poliziotti che hanno subito iniziato a colpirci con manganelli. Erano cinque o sei, portavano un’uniforme blu scuro, casco e fazzoletti rossi sul viso. Non sono in grado di precisare il tipo dei manganelli, i colpi sembravano inferti con un corpo rigido. All’ingresso dei poliziotti siamo rimasti accovacciati a terra. Ci hanno fatto alzare per uscire ed un poliziotto mi ha spruzzato qualcosa negli occhi per cui per un po’ non sono più riuscito a vedere nulla. Sono stato portato in un’altra aula cui si accedeva con tre quattro scalini e picchiato ancora ripetutamente dai poliziotti che ci insultavano, ci minacciavano e gridavano contro di noi. Perdevo molto sangue; dopo circa dieci minuti sono arrivate due persone, un uomo ed una donna che mi hanno portato su un telo di plastica fino al piano terreno; in tale percorso ho più volte urtato con la schiena contro i gradini.
Non sono stato perquisito; avevo uno zainetto di cui non ho più saputo nulla. Quando sono stato portato in ospedale ho visto la domenica mattina che vi erano alcuni poliziotti che piantonavano la stanza ed ho così capito di essere stato arrestato; ho chiesto di avvertire i miei genitori ma mi è stato detto che non era possibile; sono stato dimesso dall’ospedale il mercoledì.
Ho riportato la frattura di tre dita della mano sinistra, trauma cranico, ematomi vari.
Mio padre aveva saputo da alcuni amici che ero in ospedale arrestato; ha chiesto di potermi incontrare, ma gli hanno risposto che era impossibile.
Mi riconosco nelfilmato Rep. 199 p. 1 min. 7,45 (estratto ), che mi viene mostrato: sono sulla barella vestito di scuro; riconosco anche i due paramedici che mi hanno trasportato sul telo.
Ho incontrato successivamente la ragazza che era con noi all’ultimo piano e che riconosco nella foto segnaletica che mi viene mostrata (Wiegers), ed in tale occasione ho saputo il suo nome.
Riconosco nel filmato Rep. 172 p. 2 min. 7,40 le divise di colore blu scuro nella parte superiore con i fazzoletti rossi alzati sul viso.
Riconosco nella foto B2 la divisa ed il fazzoletto rosso scuro; non ricordo invece il colore della cintura.
Primosig Federico (udienza 15/2/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione )
Sono stato nella scuola Pascoli dalle 21 alle 23 circa, quando mi sono recato alla scuola Pertini per utilizzare i computer. Ero insieme a Provenzano Manfredi e ad una ragazza tedesca. Al piano terra della Diaz la maggior parte delle persone dormiva nei sacchi a pelo, c’erano quattro computer in funzione.
Ad un tratto, mentre ero ai computer nel corridoio alla fine della palestra, ho sentito alcuni forti rumori all’esterno: colpi all’ingresso principale e alle finestre, urla, colpi di manganello sui vetri delle finestre dall’esterno; mi sono quindi spostato verso l’ingresso; credo che il portone fosse chiuso.
Insieme a Provenzano siamo saliti al piano superiore e dalla finestra abbiamo visto moltissimi poliziotti che stavano entrando nell’edificio.
Siamo saliti al quarto piano e siamo entrati in un’aula; si sentivano colpi sempre più forti che si avvicinavano, grida ecc.. Nell’aula vi era un’altra persona che peraltro si allontanò subito dopo; entrarono i poliziotti che si avventarono contro di noi, picchiandoci con i manganelli; sono stato trascinato fuori; sentivo gridare Provenzano. I poliziotti mi hanno ripetutamente colpito; ci insultavano.
Erano vestiti con un’uniforme blu, portavano il casco. Non ho notato poliziotti non in uniforme finché non sono stato portato al piano terra.
Sono stato spinto giù per le scale; sono rotolato giù, e sono stato nuovamente picchiato nel corridoio; un poliziotto mi ha poi spruzzato negli occhi uno spray urticante; sono stato portato al piano inferiore, nella palestra e nuovamente colpito; c’erano molte persone ferite.
Un poliziotto mi ha preso il portafoglio, che mi è stato poi rimandato a Roma da una ragazza che l’aveva trovato in terra; i documenti mi pare invece mi siano stati restituiti in carcere.
Uscendo dalla scuola, prima di salire sull’ambulanza, mi pare di essere stato perquisito.
Riconosco la ragazza tedesca che era con me nella foto segnaletica 89 che mi viene mostrata (Wiegers Daphne).
Non ho notato nulla di particolare sulla strada mentre ero alla Pascoli.
Riconosco grosso modo nella foto B2 la divisa dei poliziotti; non ricordo il particolare della cintura.
Nel pomeriggio del sabato ero alla manifestazione ed ho assistito alla carica della Polizia sul lungomare; ero tra le persone che venivano spinte nella calca che indietreggiava. Non ho visto se qualche persona sia stata ferita.
Riconosco sostanzialmente le uniformi visibili nel filmato Rep. 172 p. 2 min. 7,40 (estratto) ; ricordo che la parte superiore era scura, quindi se avessi visto qualche particolare che spiccava o di colore diverso lo ricorderei.
Ho subito una perquisizione a casa mia mentre mi trovavo in ospedale e mi sono stati sequestrati alcuni indumenti neri, che non mi sono stati più restituiti
Martensen Niels (udienza 5/4/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Ho partecipato alle manifestazioni contro il vertice G8 a Genova.
Il sabato dopo la manifestazione, verso le tre o le quattro del pomeriggio, mentre ero con una mia amica, Lena Zhulke, ed altri due giornalisti (all’epoca lavoravo per due giornali regionali), un poliziotto mi fece uscire dal gruppo e mi portò vicino ad alcuni veicoli posteggiati ove venni perquisito; mi vennero prese due videocassette; feci vedere il mio tesserino da giornalista, ma questo non interessò molto i poliziotti; poi uno dei poliziotti mi picchiò con una ginocchiata al mento e quindi mi mandarono via. La mia amica chiamò un’ambulanza ed insieme a lei andai in ospedale ove mi venne ricucita la ferita al mento.
Dopo tale fatto, decidemmo di passare un’altra notte a Genova, anche perché eravamo molto stanchi. Abbiamo ripreso la nostra auto e siamo andati alla scuola Diaz; abbiamo cercato un posto dove sistemarci per la notte. Siamo quindi ritornati alla macchina e lasciati i due amici che volevano andare a bere qualcosa, rientrammo nella scuola.
Ci sistemammo al secondo piano che sembrava meno affollato; quindi scesi al piano terreno nella zona dei computer. Poco dopo sentii gridare e vidi dalla finestra molti poliziotti che si affollavano contro il cancello. Risalii velocemente; sentii il rumore di finestre che si rompevano. Insieme alla mia amica salimmo al terzo piano e poi ancora più in alto e ci rifugiammo infine in uno sgabuzzino, pensando che se fosse arrivata la polizia avremmo alzato le mani e ci saremmo subito arresi. Vicino allo sgabuzzino vi erano i bagni ove si trovavano altre persone. Sentii il rumore degli stivali; i poliziotti entrarono prima nei bagni e sentii molte urla e rumori; poi aprirono la porta dello sgabuzzino; mostrai subito il mio tesserino, ma mi tirarono fuori e iniziarono a picchiarmi con i manganelli; mi pare fossero in cinque. Caddi a terra e venni ancora colpito anche con calci. Quando si allontanarono, mi rialzai e percorsi qualche metro del corridoio; i poliziotti mi videro e mi picchiarono nuovamente. Sono caduto a terra ed i poliziotti smisero di picchiarmi soltanto quando videro che non mi muovevo più. Un poliziotto passò vicino a me con un estintore e nonostante io fossi ferito mi spruzzò la schiuma contro; sentii un gran bruciore. Riuscii ad avvicinarmi carponi ad un’altra persona che era a terra in una pozza di sangue. Non ho poi ricordi precisi perché ogni tanto perdevo i sensi.
Segno con numeri progressivi sulla piantina del quarto piano, che mi viene mostrata, lo sgabuzzino ed il luogo ove venni picchiato la prima volta, il luogo dove si trovava l’estintore e quello in cui caddi nuovamente a terra nel corridoio.
Riconosco nella foto n.224 lo sgabuzzino vicino all’ascensore e nella foto n. 223 il punto ove si trovava l’estintore e dove io ero a terra.
I poliziotti erano in uniforme blu, avevano il casco più chiaro della divisa, pantaloni imbottiti, stivali ed un fazzoletto rosso davanti al viso. Mi pare che la cintura fosse scura, ma non ne sono sicuro; il manganello era nero non ricordo se lungo o corto.
Arrivò infine il personale sanitario; provarono a scuotermi e poi dopo circa mezzora tornarono con una specie di sacco su cui mi adagiarono e mi portarono fuori, ove mi caricarono sull’ambulanza.
Mi riconosco nel filmato Rep 172 P 3 min 2.06 a 2,21 (estratto) nella persona portata dai sanitari; nel filmato Rep. 199 P 1 (estratto), nella persona trasportata sul sacco nero e che poi tre sanitari pongono sulla barella e nelle foto Rep 88 E 11 e Rep 88 E G 81 nella persona sulla barella, con i vestiti sporchi della polvere bianca uscita dall’estintore.
Nessuno mi informò del mio stato.
Passarono diversi mesi prima di poter riacquistare i miei movimenti, e feci psicoterapia per due anni per disturbi del sonno e dolori alla testa.
Venni espulso.
Lena Zhulke era stata con me tutta la giornata e prima dell’intervento della Polizia non aveva alcuna ferita.
Attualmente non lavoro più come giornalista. Sono già stato giudicato una volta per aver bloccato una strada nel sud della Germania; ho partecipato a parecchie manifestazioni in Germania e sono rimasto coinvolto in diverse situazioni del genere. Ho bloccato un treno; non sono stato mai giudicato innanzi a un giudice, ma ho soltanto pagato alcune multe.
Riconosco nella foto B2 l’uniforme dei poliziotti; non ricordo invece la cintura che mi sembra fosse scura.
Wiegers Daphne (udienza 13/4/2006; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Dormivo nella scuola Diaz. Il sabato partecipai alla manifestazione e tornai alla scuola verso le ore 22. La situazione era tranquilla; vi erano molte persone ai computer ed anch’io mi sedetti ai computer. L’atmosfera era un po’ pesante e depressa. Il venerdì avevo dormito al primo piano e il sabato mi ero sistemata al piano terreno. I miei bagagli però erano rimasti al primo piano.
Ad un tratto sentii gridare: “Polizia, polizia”; si creò un grande panico; la gente correva da tutte le parti ed anch’io corsi ai piani superiori ed arrivai al quarto, ove cercai di nascondermi in un’aula dietro ad un tavolo in un angolo. Nei corridoi vi era abbastanza luce e nelle aule, più buie, si riusciva comunque a vedere. Nella stessa aula si nascosero altre persone almeno due.
Arrivò la polizia. I poliziotti entrarono nell’aula e iniziarono a picchiarci; cercai di proteggermi la testa, ma venni colpita ripetutamente. In particolare vi era un poliziotto che mi era vicino e che continuava a picchiarmi e mi diede anche un calcio sul petto ed uno sulla pancia. Mi guardava con odio.
I poliziotti indossavano un’uniforme antisommossa scura, stivali e mi pare un giubbotto.
Ricordo che le uniformi erano simili a quelle visibili nel filmato 199 2 min 5,57 (estratto): erano comunque scure ed anche i caschi.
Mentre ero nel corridoio arrivarono altri poliziotti che mi picchiarono ancora sulla testa. Dopo un po’ andarono via e ne arrivarono altri, che a loro volta mi picchiarono nuovamente sulla testa e poi si allontanarono. Anche questi poliziotti indossavano uniformi scure e caschi scuri. Arrivarono infine altri poliziotti che non ci picchiarono, e subito dopo altri poliziotti in abiti normali, civili.
Ci condussero al piano terreno nella palestra; ci fecero disporre in un angolo, successivamente arrivarono i sanitari che cercarono di soccorrere i feriti. Vi erano infatti molti feriti che si lamentavano; alcuni erano incoscienti, alcuni chiedevano di essere portati in ospedale.
Vi erano poliziotti in divisa poliziotti in abiti civili, ma non ricordo che cosa facessero; ero preoccupata per le persone ferite ed anche per me stessa.
Venni portata all’ospedale in ambulanza.
Mi riconosco nei filmati 177 P 5 P 19 min. 00,45 (estratto) e 150 3 P. 2 min. 6,21 (estratto), avevo una t-shirt gialla e i capelli corti.
All’ospedale mi misero un supporto al braccio che era rotto e mi suturarono la ferita al sopracciglio; mi pare che la radiografia mi sia stata fatta dopo. Domenica mi portarono a Bolzaneto.
Alcune lesioni mi vennero diagnosticate più tardi a Voghera ed altre quando ero già a casa. Avevo anche il naso e alcune costole rotti. A Voghera mi portarono nuovamente in ospedale, ove mi chiesero se volessi essere operata immediatamente ed alla mia risposta negativa mi riportarono in carcere. A Berlino venni nuovamente visitata in ospedale il venerdì.
I manganelli erano neri e di materiale molto duro. Nessuno ci disse che avremmo potuto farci assistere da un difensore, né che eravamo in stato di arresto.
In sede di interrogatorio mi avvalsi della facoltà di non rispondere. Successivamente presentai una denuncia querela; venni poi sentita in sede di rogatoria a Berlino e mi avvalsi della facoltà di non rispondere.
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