PROCESSO DIAZ - La sentenza
4. Operazione presso la scuola Diaz Pertini > > > > | T | 1 | 2 | 3 | 4 | E |
Piano terra (palestra)
(piantina)
Guadagnucci Lorenzo (udienza 16/11/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Ero a Genova, non come inviato del Resto del Carlino, di cui ero redattore, ma per mio conto essendo interessato ai problemi della globalizzazione ed ai relativi movimenti.
La mattina del 21/7 mi recai alla scuola Pascoli, ove seguii la conferenza stampa di Agnoletto. Partecipai quindi al corteo in corso Italia e vidi anche in azione i black-block, che incendiarono un'auto, e la successiva carica della polizia.
Una persona del centro stampa mi indicò poi dove potevo dormire e cioè nella scuola di fronte alla Pascoli. Entrai nella palestra e sistemai il sacco a pelo e lo zaino nella parte a sinistra; poi uscii.
Già nel corso della giornata avevo notato una certa agitazione in via Battisti, senza però particolari tensioni perché si stava "sbaraccando"; gli scontri erano ormai finiti. Nella scuola non ho visto né sangue né persone ferite. C'erano persone che parlavano, capannelli.
Mi recai in corso Italia a cenare, e tornato alla scuola mi sistemai nel mio sacco a pelo. Sulla strada davanti alla scuola c'erano molte persone; all'interno vi erano ragazzi che già dormivano. L'abbigliamento era molto vario, sportivo ed estivo. Non ho visto persone vestite di nero. C'era nel cortile un banco di Indymedia, una rete di informazione alternativa.
Mi ero sistemato nell'angolo sinistro entrando nella palestra (segno sulla piantina il punto); vicino a me vi erano due ragazzi stranieri. Mi addormentai; mi svegliai poi per forti rumori che venivano probabilmente dall'esterno. Poco dopo vidi entrare diversi poliziotti in gruppo compatto.
Vi erano alcune persone in piedi ed altre sedute come me nei sacchi a pelo, che tenevano le braccia in alto. Alcuni urlavano "no violenza". I poliziotti si diressero subito contro i primi che si trovarono davanti e li presero a calci; urlavano "questo è l'ultimo G8 che fate", "ora vi aggiustiamo noi", e li insultavano. Si rivolsero contro la coppia che si trovava vicino a me, colpendo con un calcio in faccia la ragazza, e quindi verso di me, che mi ero protetto con le braccia; ricevetti diversi colpi con manganelli sulle braccia, all'addome e alla schiena. Perdevo sangue dalle braccia. Questo "pestaggio" è durato un po' e quindi gli agenti si diressero verso il centro della palestra. Non capivo il perché di quanto stava accadendo e credo anche di averlo chiesto ai poliziotti. Vi erano persone ferite che piangevano e cercavano di aiutarsi l'una con l'altra. I poliziotti portavano divise scure con caschi azzurri. Mi si avvicinò poi un poliziotto, che portava invece una camicia bianca e che passando colpiva quelli che si trovavano già a terra, e colpì anche me sulla schiena con il manganello. Altri poliziotti lo fermarono, dicendogli che ormai era finito tutto.
Mi appoggiai alla parete; vicino a me vi erano diversi feriti; alcuni perdevano sangue, alcuni non riuscivano a stare in piedi; alcuni piangevano, alcuni chiedevano l'intervento delle autoambulanze. Alcuni poliziotti ci dicevano che sarebbero arrivate le ambulanze; sembravano rivolgersi a qualcuno che io non vedevo che chiamavano "dottore". Dopo circa un quarto d'ora arrivarono alcuni infermieri e poi un medico che organizzò i soccorsi.
I poliziotti aprirono e frugarono anche alcuni zaini ed uno trovò una maglietta nera, che mostrò agli altri. Non ho visto ed escludo che vi sia stato un lancio di zaini contro i poliziotti né ho visto mazze o persone che maneggiavano bottiglie incendiarie.
Quando sono stato portato fuori in barella sono passato nel cortile a fianco di un gruppo di persone appartenenti alla Polizia in giacca e cravatta che telefonavano ed apparivano stridere con quanto era accaduto. Sono stato portato all'Ospedale Galliera, dove sono stato visitato, ricucito e poi, ormai all'alba, ricoverato in una camera. Qui c'erano due poliziotti e così ho capito la mia posizione, anche se gli agenti non sapevano nulla, se non che dovevano piantonarmi. Ho infine appreso leggendo il Corriere della Sera che mi aveva mostrato uno degli agenti, che io e altri 93 eravamo accusati di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio
Ho riportato diverse ferite una delle quali, come mi è stato detto dal dermatologo, cagionata da qualche strumento che provoca bruciature elettriche.
Il Genoa Social Forum era nato in vista del G8 di Genova. Era nata l’idea di organizzare un contro vertice. Nel gennaio del 2001 vi era stato un incontro in Brasile con oltre 150 delegati. E’ composto da più di 800 associazioni di tutti i continenti.
Le attività successive ai fatti di Genova del GSF sono state l’organizzazione di manifestazioni nazionali per sottolineare le violazioni dei diritti umani. Dopo qualche mese il GSF si è sciolto.
Dei fatti della Diaz hanno scritto tutti i giornali del mondo. Le scuole Pascoli e Pertini che componevano il plesso Diaz erano il centro logistico del GSF. Le scuole Diaz erano il quartier generale del GSF
Bruschi Valeria (udienza 17/11/2005; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Arrivai alla scuola Diaz verso le ore 23 del 21/7 insieme ad alcuni amici; vi ero già stata verso le ore 20, quando mi ero accorta che era un luogo più comodo dove dormire. Quando siamo entrati vi erano già diverse persone circa una ventina trentina nella palestra dove volevamo sistemarci. Ero con Stefania Galante, Zapatero, Von Unger.
Non mi ricordo uscite sul retro della palestra; c'erano porte, ma chiuse. Ci siamo sistemati nei sacchi a pelo nella posizione che indico sulla piantina che mi viene mostrata; la situazione era tranquilla.
Dopo un po' sentii forti rumori, urla, vetri infranti e qualcuno disse che stava arrivando la Polizia. Io non vedevo direttamente l'ingresso, mi trovavo sul lato esterno della palestra, angolo sinistro, entrando. Cercai qualche via d'uscita, ma le porte erano chiuse.
Molti si misero vicino alle pareti. Vidi quindi un gruppo di poliziotti che entrò nella palestra correndo e che iniziò a colpire con manganelli tutti quelli che vi si trovavano, e ad insultarci, dicendo: "Nessuno sa che siamo qui adesso vi ammazziamo tutti; siete voi i black block".
I poliziotti erano in divisa imbottita scura con il casco azzurro ed avevano un fazzoletto che copriva il volto. Io ricevetti solo qualche colpo, perché ero praticamente protetta da altre persone. Ho visto una signora davanti a me che riportò la frattura di ossa ed un ragazzo che perdeva sangue. C'era un gran caos ed io ho avuto una gran paura, ero terrorizzata.
Poi entrarono alcuni poliziotti in abiti civili con una pettorina con la scritta "Polizia". Mi chiesero i documenti e poi raccolsero i nostri zaini e le borse, dopo averli svuotati ed averne rovesciato il contenuto in un mucchio a terra. Non ho visto mazze o bastoni. Uno di quelli entrati, che portava un giubbino estivo, ci disse "bambini cattivi"; ne ricordo anche un altro, con gli occhiali ed una giacca blu, che a distanza di tre giorni a Vercelli, in carcere, vidi al telegiornale rilasciare una dichiarazione; lo rividi anche l’anno scorso, all’apertura dell’udienza preliminare, ed il mio Avvocato, su mia richiesta, mi disse che era Luperi.
Quando sono arrivati questi funzionari, le violenze nella palestra erano terminate, però alcuni poliziotti stavano ancora trascinando e picchiando giù per le scale alcuni giovani.
Arrivarono infine i sanitari e vennero quindi separati i feriti per essere trasportati all'ospedale; io uscii tra gli ultimi e fui caricata su un blindato della Polizia. Nessuno mi avvertì che eravamo sottoposti a perquisizione ed arresto né che potevamo farci assistere da un difensore.
Mi ricordo che le luci erano accese; sicuramente lo erano quando sono entrati i poliziotti. Il pestaggio nella palestra è durato circa dieci quindici minuti.
La sera del venerdì avevamo dormito alla Sciorba ed il sabato avevamo partecipato ad una manifestazione e ad un corteo che poi venne interrotto dalla Polizia con lancio di lacrimogeni; noi scappammo dalle cariche della polizia; né io né i miei amici abbiamo riportato lesioni o contusioni in tale occasione.
Da questa vicenda ho avuto come conseguenza varie crisi di panico che non avevo mai avuto prima, episodi di ansia, tachicardia, senso di soffocamento, paura; lo stare in mezzo alla folla ora mi provoca ansia”
Von Unger non aveva ferite prima di entrare alla Diaz; nessuno di noi quattro è stato massacrato come gli altri; quando l’ho rivisto non mi ricordo se lamentava qualche dolore.
Cestaro Arnaldo (udienza 17/11/2005, parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Sono arrivato a Genova il 21. Sono andato alla manifestazione in Corso Italia. Ho saputo che c’erano tafferugli tra la polizia e i manifestanti; lanciavano i lacrimogeni. Ho abbandonato il corteo verso le 17.00. Dovevo portare dei fiori a Staglieno e non ci sono più andato visto quello che era successo. Mi hanno detto che la Stazione era lontana e una passante che non conoscevo mi ha accompagnato verso una scuola per poter dormire.
Ho lasciato le mie cose alla Diaz al piano terra sulla destra entrando. Erano circa le 18.30, 19. Sono tornato indietro per vedere dove avevano bruciato le banche e le auto. Sono rimasto fino alle 20.30. Sono quindi tornato alla scuola per dormire. Mi sono disteso. C’erano tanti giovani il più vecchio ero io. Alcuni parlavano e altri dormivano.
Mi sono svegliato, sentendo un certo trambusto. Si aprì la porta e vidi che era la nostra polizia. Ho alzato le mani. Lo hanno fatto anche gli altri. I poliziotti hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli. E’ stata una cosa miserevole. Avevano divise scure, caschi, manganelli. Mi hanno dato pedate e manganellate. Sono tornato a casa in sedia rotelle con le ossa rotte. Non posso dire che cosa urlassero; dicevano di fare silenzio. E’ una cosa che non posso dimenticare. Sono stato il primo a prendere le botte e sono stato l’ultimo prelevato per essere portato all’Osp. Galliera. E’ durato circa 30 minuti. Quando sono finite le botte sono entrati i barellieri. Mi hanno operato al braccio e sono rimasto in ospedale qualche giorno. Sono rimasto con le ossa rotte circa 30/40 giorni. Sono ricorso all’ortopedia medica a Firenze e sono stato operato al braccio di nuovo.
Nelle foto che mi vengono mostrate riconosco il locale ove mi trovavo; venendo da fuori sono sulla destra prima delle colonne (foto 12); ero più avanti della porta prima delle colonne (foto 14), nella posizione che indico sulla piantina.
Non sono passate auto della polizia.
Non posso più lavorare con i rottami con il braccio in queste condizioni dal 2001; non ho più la forza di guidare un camion. Ho il reddito della pensione. Non ho precedenti penali. Non so niente del fatto che si è verificato al passaggio di veicoli della polizia. Mi hanno rotto 10 costole, un braccio e una gamba.
Nogueras Chabier Francho Corral (udienza 14/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Ero alloggiato presso lo stadio Carlini; dopo quanto era successo nei giorni precedenti però, il venerdì decidemmo di andare a dormire alla scuola Diaz, luogo che pensavamo più sicuro.
All’esterno vi erano alcune persone in atteggiamento pacifico e all’interno alcuni dormivano e alcuni stavano preparandosi per andare a dormire. Le attrezzature informatiche erano presso la scuola Pascoli. Non ho visto movimenti o passaggi di auto della polizia, anche perché se l’avessi visto, sarei andato via.
Ad un tratto sentii urlare dall’esterno “Polizia Polizia”; le persone che erano nel cortile rientrarono nell’edificio e chiusero il portone; alcuni iniziarono ad utilizzare mobili, sedie e panche, per bloccarlo. Eravamo nella sala grande al centro ma verso il retro, a sinistra vi erano due porte chiuse. Ci trovavamo a sinistra delle porte visibili nella foto n. 12.
Mi portai verso il portone; poi le persone che erano vicine all’entrata si allontanarono ed io mi trovai tra le due porte; resomi conto che il portone non poteva resistere, tornai verso la sala. Vi era una ragazza che parlava inglese a cui dicevamo di cercare di calmare coloro che si trovavano davanti al portone; eravamo molto preoccupati perché avevamo assistito ad una carica della Polizia in piazza Manin e ci eravamo spaventati, anche per la notizia della morte di Giuliani. Abbiamo quindi deciso di tornare vicino alle porte sul retro e sederci a terra, con le mani alzate e gridare “no alla violenza” fino all’ingresso della Polizia.
Ho visto gli agenti della Polizia entrare, ma non ho visto come abbiano sfondato il blocco. Noi abbiamo continuato a gridare: “No violenza”. Prima che la porta venisse sfondata ho visto che i poliziotti rompevano i vetri delle finestre e mi sono molto spaventato. Il primo poliziotto ci ha lanciato contro una sedia, che io sono riuscito a deviare con un piede; poi sono entrati diversi poliziotti che hanno iniziato a picchiare. Uno ci lanciò contro una panca. Noi eravamo tutti fermi; gli unici che si muovevano erano i poliziotti; molti stavano dormendo al momento dell’ingresso della polizia. Tutti i poliziotti picchiavano indistintamente tutti quelli che si trovavano all’interno.
I poliziotti avevano pantaloni celeste chiaro, giubbotto blu scuro, casco celeste chiaro e fazzoletti rossi sul volto, altri erano in jeans con un giubbotto con la scritta Polizia.
I poliziotti picchiavano con i manganelli ed anche con calci. Io e i miei amici spagnoli ci siamo raggruppati a forma di pigna in modo da attutire i colpi e ripararci nelle parti più esposte (fegato e testa). Sentivo urlare i miei compagni e solo alla fine aprii gli occhi e vidi i miei compagni insanguinati, in particolare il mio amico Miguel. Io venni colpito continuamente nella parte sinistra del corpo.
Quando il pestaggio cessò vennero accese tutte le luci e i poliziotti iniziarono ad aprire e perquisire gli zaini. Entrarono molti altri poliziotti, uno con una fascia tricolore altri in borghese; quelli in uniforme aprivano gli zaini lasciando in terra il loro contenuto. Nessuno ci chiese nulla ed ho la sensazione che non cercassero nulla di preciso. Non ho visto prendere qualche oggetto.
Poi arrivarono alcuni infermieri, insufficienti per le richieste di aiuto che provenivano dai presenti.
Non ho visto bastoni mazze o bottiglie molotov; se li avessi visti non mi sarei fermato perché sono contrario ad ogni forma di violenza; faccio parte da venti anni di un movimento pacifista.
Nessuno ci ha informato dei nostri diritti. Non ho avuto notizia di essere in arresto finché non sono stato portato a Bolzaneto in ambulanza.
Ho riportato frattura del perone sinistro, contusioni varie a sinistra specialmente nel braccio e avambraccio sinistro e alla testa. Ho portato il gesso per circa un mese e poi sono rimasto per molto tempo con impotenza funzionale. Ho sentito molto dolore.
Madrazo Francisco Javier Sanz (udienza 14/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Insieme ai miei amici spagnoli di Saragoza siamo stati due giorni in un parco, poi allo stadio Carlini perché ci sentivamo più sicuri e quindi alla scuola Diaz. Il sabato, dopo la manifestazione, siamo tornati alla scuola Pascoli e dato che stava diventando buio, abbiamo chiesto se potevamo dormire alla Pertini e così abbiamo fatto.
Ci eravamo posti nella sala grande nella parte opposta all’ingresso vicino ad un calorifero sulla sinistra delle porte che davano su retro. Stavamo preparandoci per andare a dormire ed ero andato in bagno a ricaricare il mio cellulare, quando ho sentito arrivare la Polizia. Ho sentito colpi alla porta e grida “Polizia”. Sono uscito dal bagno e mi sono recato vicino ai miei compagni. La sala dove dormivamo era al buio, mentre verso il portone nel corridoio la luce era accesa. Davanti al portone vi erano alcune persone che tentavano di bloccarlo; i miei amici cercavano di calmarli e di farli desistere. Ho visto una panca che veniva usata da queste persone, ma non sono in grado di riferirne l’uso preciso; quando sono uscito dal bagno la panca era già posta contro la porta. Il mio gruppo di Saragozza era nel luogo ove ci eravamo posti per dormire; ho visto le persone che erano davanti al portone allontanarsi e salire ai piani superiori. Quando la Polizia è entrata noi eravamo seduti con le mani alzate e gridavamo: “Non violenza”. I poliziotti sono entrati ed hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli; noi ci eravamo stesi a terra per proteggerci. Mi hanno colpito con vari colpi nella gamba; ho visto, quando i poliziotti si sono ritirati ed hanno acceso tutte le luci, che avevano i manganelli. Il poliziotto che mi ha picchiato colpiva contemporaneamente anche il mio vicino, Sicilia Josè, che poi ho visto era tutto insanguinato tanto che ho pensato fosse morto. Colpiva con il manico del manganello; aveva stivali, pantaloni celesti, un giubbotto, un casco.
Riconosco la divisa nella foto A97 che mi viene mostrata
Quando hanno smesso di picchiarmi si sono accese tutte le luci, ho visto alcuni poliziotti in borghese con il casco ed una pettorina con la scritta Polizia; hanno preso gli zaini e rovesciato a terra il contenuto. Ho sentito rumori che io ho interpretato come quelli di computer che venivano rotti.
Sono stato poi soccorso, posto su una barella e portato all’ospedale in ambulanza. Mi hanno curato la ferita che sanguinava e mi hanno rilasciato un certificato; quindi mi hanno portato a Bolzaneto.
Seppi di essere in stato di arresto solo quando mi portarono in prigione; nessuno ci avvisò dei nostri diritti.
Alcuni poliziotti portavano jeans, un casco, una pettorina con la scritta Polizia. Altri con vestiti ancora più scuri.
Faccio parte dei “disobbedienti civili”.
Moret Fernandez David (udienza 21/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Verso le ore 17 del 21 luglio mi sono recato presso la scuola Pertini; ero stato prima nel centro di accoglienza della scuola Pascoli dove ero andato dopo la manifestazione. Eravamo un gruppo di undici persone da Saragozza. Siamo arrivati a Genova il martedì ed abbiamo dormito in un parco con le tende tre notti, venerdì ci siamo trasferiti allo stadio Carlini che sembrava più sicuro; nello stadio vi era infatti molta più gente; però era troppo affollato e così il giorno dopo ci siamo recati alla scuola Pertini, che era stato assegnata ufficialmente dal Comune al GSF.
Tra le sei e le sette mi trovavo sulla strada tra la Diaz e la Pascoli; ho visto transitare una macchina della Polizia, ma non ho notato alcuna reazione particolare né ho sentito commenti in proposito. La strada era tranquilla almeno fino a quando siamo entrati nella Pertini verso le ore 22. Ci siamo recati nella palestra, ove vi erano alcune persone che dormivano altre che parlavano tra loro: era tutto tranquillo. Ci siamo sistemati pressoché nel centro della palestra; vi saranno state una sessantina di persone. Riconosco nella foto n. 12 il posto: eravamo un po’ più a sinistra rispetto alle due porte visibili.
Ad un tratto, mentre stavamo parlando e decidendo se andare a cena, ho sentito alcuni rumori ed urla “Polizia, Polizia”. Ho visto entrare alcune persone che erano fuori dell’edificio ed alcune che chiudevano la porta e la bloccavano con una panca; alcuni di noi hanno gridato di non farlo perché era assurdo. Le due porte sul retro erano chiuse con un lucchetto ed ho visto una persona che cercava di aprirle senza riuscirvi. Immediatamente si sono spente le luci e sono rimaste accese soltanto quelle di emergenza; la luce entrava dalle finestre sul cortile. I vetri delle finestre che davano sul cortile si sono rotti – ho visto i vetri cadere – ed il nostro gruppo si è portato verso il muro a sinistra delle porte bianche.
Ho sentito alcuni colpi e quindi ho visto entrare due poliziotti – uno aveva una mazza in mano – poi si sono spalancate le porte e sono entrati numerosi poliziotti; ci hanno scaraventato contro una sedia; c’era una ragazza che non conoscevo, ma che era con un ragazzo nordamericano, in ginocchio ed un poliziotto che le diede un calcio in testa, buttandola per terra. In quel momento ci siamo raccolti; un poliziotto ha iniziato a colpirci; ho sentito un colpo sul braccio, che mi ha provocato una piccola frattura del gomito; un forte colpo alla testa; ho cercato di ripararmi la testa con un oggetto preso da terra; mi hanno rotto un dito. Sentivo tante urla e dopo un po’ sentii qualcuno gridare e ripetere: “Basta, basta, basta” e i poliziotti subito dopo (trenta secondi) smisero di picchiarci. Ci hanno intimato di tenere la testa rivolta a terra. Si sono quindi accese le luci; la Polizia ci ha raggruppato vicino al muro ed ho visto alcune persone in giacca e cravatta vicino alla porta: qualcuno aveva sul petto qualcosa, un distintivo dorato a forma di scudo, e mi sembrava che desse ordini, ma non posso assicurarlo.
Ho visto diverse persone ferite, poi soccorse da alcuni infermieri. La Polizia, trascorso un po’ di tempo, ha raccolto gli zaini ed ha iniziato a svuotarli sul pavimento, piuttosto disordinatamente. Non mi sono stati più restituiti il sacco a pelo ed una macchina fotografica. Nessuno mi ha detto che cosa stesse accadendo, né mi ha riferito i miei diritti.
Sono stato portato in barella all’ospedale; mi ha visitato un medico e sono stato curato: le lesioni che mi sono state riscontrate sono state provocate dall’intervento della Polizia alla scuola. Nessuno dei miei amici spagnoli, tranne Marisa e Balbas Aitor, aveva lesioni riportate in precedenza.
I poliziotti erano in divisa, un giubbotto blu scuro, i pantaloni di un azzurro più chiaro, il casco e qualcuno aveva il viso coperto; i colpi sembravano inferti con manganelli. Io ero steso a terra e vedevo i piedi e le gambe dei poliziotti. Il manganello con cui sono stato picchiato era semplice, ma lungo senza manico sporgente; lo riconosco nella foto n. 0859. Vi erano anche poliziotti che portavano jeans i quali hanno partecipato come gli altri al pestaggio. Non posso precisare se hanno colpito anche me, io li ho visti nella scuola.
Martinez Ferrer Ana (udienza 21/12/2005; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Il 21 luglio nel pomeriggio mi sono recata presso la scuola Pertini, poi mi sono allontanata per la cena verso le ore 20 - 21 e quindi sono ritornata.
La situazione era tranquilla; ero insieme ad un gruppo di amici spagnoli di Saragozza (Marisa che al momento dell’irruzione si era recata alla Pascoli per prendere un analgesico, Rosanna Allueva ecc).
Ci eravamo sistemati nella palestra sul fondo un po’ a sinistra. Ad un tratto ho sentito qualcuno che urlava “Polizia Polizia”. C’è stato un momento di tensione; subito o comunque poco dopo si sono spente le luci, sono rimaste quelle di emergenza e la luce che proveniva dall’esterno; vi saranno state una trentina, quarantina di persone; alcuni chiusero la porta e la bloccarono con una panca e tre o quattro sedie; una parte del mio gruppo cercò di calmare gli animi ed io stessa, che mi ero avvicinata alla porta, dissi in inglese che era del tutto inutile chiuderla. Non so dire se le persone che chiusero la porta fossero già all’interno della Pertini o vi fossero entrate in quel momento e non sono neppure in grado di riferirne la nazionalità.
Alcuni di noi, che temevano che la Polizia avrebbe fatto quello che poi ha fatto, pensavano di uscire ma poi abbiamo deciso di sederci sul fondo e di alzare le mani all’ingresso della Polizia. I poliziotti, che portavano pantaloni blu, meno scuri dei giubbotti anch’essi blu, caschi, imbottiture sulle ginocchia, non appena entrati ci hanno lanciato contro una sedia e poi hanno iniziato a picchiare tutti quelli che si trovavano all’interno. Ho sentito anche che alcuni poliziotti si dirigevano verso la zona ove si trovavano i computer. Noi eravamo disposti a semicerchio, ci hanno circondato in sette; io tenevo una sedia sopra di me che mi ha protetto dai colpi almeno inizialmente, poi mi hanno tolto la sedia e mi hanno colpito con i manganelli nelle braccia e nella mano con circa 4 o 5 colpi. Ho visto colpire le altre persone con i manganelli e con calci; ricordo che alcuni manganelli avevano una forma a “t” minuscola.. Il pestaggio durò alcuni minuti finché non si sentirono gemiti ed urla. Poi qualcuno, un poliziotto, disse “basta” e gli altri smisero di picchiare. Non ci lasciarono alzare la testa e ci dicevano in inglese “look down”, evidentemente stavano picchiando qualcuno e non volevano che noi guardassimo. Poi si accesero le luci ed entrarono alcune persone in giacca, con una fascia tricolore. Quindi iniziarono a prendere gli zaini e a svuotarli al centro della sala, lontano da noi. Ho solo visto che separavano i capi di abbigliamento neri. Ho visto diverse persone con il volto insanguinato, alcuni tremavano.
Venni poi portata in ambulanza con Felix ed un ragazzo tedesco all’ospedale, ove mi hanno fatto una radiografia; mi hanno detto che avevo bisogno di un intervento alla mano; ho deciso di operarmi e la mattina dopo sono stata operata e tutto è andato bene. Nessuno mi disse niente sul mio stato; soltanto in ospedale venne un giudice e quando uscì non ero più in arresto.
Rosanna Allueva aveva già una fascia per un colpo da un lacrimogeno; Aitor a sua volta aveva riportato un colpo ma non aveva fasciature né segni evidenti di tale colpo. I colpi erano stati ricevuti dai miei amici in piazza Manin; Aitor Balbas era stato colpito alla testa ed al petto quando avevano arrestato due suoi amici.
Balbas Ruiz Aitor (udienza 21/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
La sera del 21 non ho visto passare alcuna auto della Polizia; soltanto dopo i fatti e dopo il mio rientro in Spagna ho sentito parlare di tale episodio. Sono arrivato alla Diaz verso le ore 20; mi sono posto insieme ai miei amici di Saragozza sul retro della palestra di fronte all’ingresso un po’ a sinistra. Nella palestra vi saranno state circa una trentina di persone; nel mio gruppo eravamo in undici. Ad un tratto ho sentito un forte rumore ed ho visto alcune persone entrare dall’esterno e chiudere il portone; poi vi furono tante urla e grida: “Polizia”. Intorno alla porta vi erano molte persone agitate; non ricordo con precisione che vi fossero oggetti che bloccavano la porta, ma comunque vidi alcune persone che si assicuravano che fosse chiusa. Sentii rompersi vetri e quindi colpi sulla porta, finché non si aprì. Entrano quindi alcuni poliziotti in uniforme che si dirigono verso di noi, che alziamo le braccia e indietreggiamo contro il muro; un poliziotto ci lancia contro una sedia; ci circondano e iniziano a colpirci con manganelli e calci. Ho visto due poliziotti che colpivano Felix, che peraltro non si stava proteggendo la testa, con il manico del manganello che aveva la forma di “t”.
Il manganello veniva impugnato dalla parte lunga e questo è il particolare che mi ha colpito. Io ho visto picchiare soltanto Felix. Poi hanno picchiato anche me e gli altri del mio gruppo. Mi pare che i poliziotti fossero vestiti di blu ma non sono in grado di precisare nulla in proposito; erano in uniforme. Ho visto anche due poliziotti molto alti e grossi in abiti civili, caschi da moto e mazze da baseball, che peraltro io non ho visto usare; mi pare comunque che ci abbiano colpito anche loro. L’illuminazione era scarsa ma non eravamo totalmente al buio: c’erano le luci di emergenza e dalle finestre filtrava la luce. Ad un tratto hanno smesso di picchiarci e noi ci siamo alzati; così ho visto due persone in abiti civili che si muovevano nella sala e dalle quali gli altri poliziotti sembravano ricevere ordini. Dopo un po’ di tempo sono arrivate le ambulanze e quindi è entrato il personale sanitario. I poliziotti hanno preso gli zaini e ne hanno svuotato il contenuto sul pavimento in un’altra zona della sala.
Ho visto prendere soltanto alcune macchine fotografiche; a me hanno preso 120 euro, lo zaino e qualche capo d’abbigliamento.
Ho riportato alcune contusioni alla gamba e alla caviglia destra e alla parte destra del corpo.
In precedenza, in piazza Manin, ero stato colpito al petto non so se da una pallina di gomma o da un candelotto lacrimogeno e con un pugno in faccia, quando mi ero avvicinato ai poliziotti che avevano arrestato due miei amici (Sesma e Lorente).
Sicilia Heras Josè Luis (udienza 22/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Ero arrivato a Genova il martedì; l’organizzazione ci aveva assegnato un posto per dormire in un parco; dopo qualche giorno abbiamo capito che la situazione era un po’ complessa ed abbiamo cercato altri posti più sicuri; alla fine in base sempre alle indicazioni della organizzazione, il posto più sicuro ci è sembrato la scuola Diaz; ci sono arrivato insieme a Balbas e Marisa e ci siamo sistemati nella palestra sul retro un po’ a sinistra.
Mentre stavamo preparandoci per dormire, ho sentito alcune urla dall’esterno “Polizia”.
Ho visto quindi alcune persone che chiudevano la porta, ponendovi contro alcune panche della palestra, alle quali abbiamo detto di non chiuderla; ho sentito rompersi i vetri delle finestre vicino all’ingresso, in particolare di quella a sinistra sempre dall’esterno. Non ho sentito dire nulla da parte della Polizia prima dell’irruzione. Subito dopo la porta è stata sfondata e sono entrati i primi poliziotti. Noi eravamo seduti a terra con la mani alzate e gridavamo: “No violenza”; un poliziotto ci lanciò contro una sedia e poi ci circondarono ed iniziarono a colpirci; io mi sono accucciato riparandomi la testa; ho sentito colpi in tutte le parti del corpo, un dolore intenso ed ho avuto molta paura di morire. Ho ricevuto anche dei calci, perché ero nella parte esterna del gruppo. mentre i miei compagni erano più protetti all’interno. Non sono in grado di dire quanto tempo sia durato, forse cinque dieci minuti, ma per me è stato eterno. Quando la situazione si è calmata ho alzato un po’ la testa ed ho visto Francisco Madras che si lamentava e così quello che gli stava sotto; si sentivano provenire lamenti da tutte le parti. Ho alzato gli occhi ed ho visto che vi erano anche poliziotti non in uniforme, ma con jeans camicia e fazzoletti che coprivano il volto, casco, ed uno che portava una mazza da baseball. Sono quindi entrati altri poliziotti ed una persona in abito civile ed una fascia tricolore; subito dopo i poliziotti ci hanno chiesto chi fosse ferito e noi lo abbiamo segnalato; sono poi entrate alcune persone in camice bianco e la Polizia ci ha fatto alzare in piedi; ero preoccupato di perdere la cintura marsupio in cui tenevo i documenti, i soldi, i miei occhiali e quindi sono riuscito a prenderlo e a mettermelo addosso; un poliziotto mi ha visto e lo ha preso; ne ha estratto i documenti e li ha gettati a terra; io li ho ripresi ed in quel momento mi sono sentito sorreggere e mi hanno portato fuori, mi pare con le mani legate. I poliziotti prendevano tutti gli zaini e li svuotavano in terra.
I poliziotti erano in uniforme, nera o blu scuro con casco e qualcosa di scuro che copriva loro il viso; avevano manganelli, con i quali ci hanno colpiti con il manico tenendoli dalla parte più lunga.
Prima di entrare nella scuola non avevo alcuna ferita. All’ospedale i medici quando hanno alzato la mia camicia sono rimasti molto sorpresi e stupiti perché avevo tutta la schiena piena di ematomi.
Mi riconosco nelle foto 117 del rep. 65 C e 0 Gh 3 D del rep. 070 H:, sono quello di sinistra; stiamo facendo vedere i risultati dei colpi. Il ragazzo vicino a me è Mandrazo, quello a cui hanno spaccato la gamba.
Le foto 0499, 0500 (allegate alla querela) raffigurano gli ematomi sulla schiena; forse sono state scattate quando erano passati già alcuni giorni.
Nessuno mi ha informato che ero in arresto, anche se tutta la situazione lo rendeva evidente.
All’ospedale i poliziotti ogni tanto colpivano il letto; mi hanno anche strappato la flebo; ho ricevuto insulti e anche altre botte e schiaffi. Nel prepararmi per un elettrocardiogramma, mi dissero che mi avrebbero fatto un elettroshock.
Ricordo che nella palestra c’era la luce. Quando la Polizia è entrata mi pare che la luce fosse stata spenta o abbassata.
Marcuello Felix Pablo (udienza 22/12/2005; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Sono arrivato a Genova il martedì con i miei amici; siamo rimasti tre giorni in un accampamento vicino a piazzale Kennedy. Dopo la manifestazione del giovedì e l’arresto di Sesma e Lorente non ci siamo sentiti più sicuri nel parco; in alcune riunioni, infatti, alcune persone dicevano che ci sarebbe potuta essere una irruzione della Polizia e che in tal caso avrebbero opposto resistenza con tutto il materiale possibile, mentre il nostro gruppo di Saragozza era contrario. Ci siamo quindi trasferiti allo stadio Carlini, dove abbiamo trascorso la notte del venerdì; il sabato, dopo aver partecipato alla manifestazione ed aver visto la carica della polizia, abbiamo sentito dire che lo stadio Carlini ero circondato dalla Polizia, e così, mentre eravamo alla scuola Pascoli, dove ci eravamo recati dopo la manifestazione, abbiamo deciso di dormire alla Pertini su indicazione dell’organizzazione ed anche del console di Spagna.
Mentre eravamo alla Pascoli sentii gridare dalla strada “Polizia, Polizia”, ma non ho visto nulla né ho sentito dire qualcosa di preciso in proposito.
Verso le 22, 22,30 ci siamo portati nella scuola Pertini; in strada vi erano persone normali che chiacchieravano tranquillamente. Ci siamo sistemati nella palestra, sul retro di fronte alla porta principale, un po’ a sinistra.
Mentre stavamo stendendo i sacchi a pelo ho sentito alcune urla dalla strada “Polizia Polizia”; entrarono correndo circa otto persone e alcune di queste, quattro, che non erano spagnole, chiusero la porta, bloccandola anche con banchi. Una mia compagna disse loro che era inutile e stupido. Ho sentito il rumore dei vetri della finestra a destra della porta principale, che venivano rotti con i manganelli e ciò nonostante la finestra fosse anche protetta con sbarre; quindi la Polizia ha sfondato la porta. In quel momento le persone che avevano chiuso la porta si sono allontanate e sono salite sulle scale verso i piani superiori. Nella palestra vi saranno state circa 25 persone.
Ho visto entrare diversi poliziotti con uniformi e caschi; noi eravamo seduti con le mani alzate urlando: “No violenza”. Un poliziotto ci ha lanciato una sedia o una panca, ed uno del nostro gruppo l’ha deviata con il braccio; subito dopo ci hanno circondato ed hanno iniziato a colpirci con manganelli, calci e pugni per circa cinque dieci minuti. Ho subito numerosi e forti colpi alla nuca ed ho avuto paura di morire. Ho cercato di proteggermi, ma ho riportato una lunga ferita alla testa.
Quando i poliziotti smisero di picchiarci, rimasi alcuni minuti con la testa rivolta a terra; i poliziotti ci insultavano; quando ho potuto alzare la testa, vidi che eravamo tutti insanguinati. Vi erano altri poliziotti che erano vestiti in abiti civili, camicia a quadri, pantaloni di jeans, un fazzoletto che copriva in parte il volto e casco. Ricordo una di queste persone con una fascia tricolore, che dava istruzioni ai poliziotti che lo ascoltavano.
I poliziotti svuotavano gli zaini come se cercassero qualcosa, ma non so che cosa; ad un tratto vidi un poliziotto fare un segno agli altri di stare zitti su quello che stava facendo (non so se stesse prendendo o mettendo qualcosa in uno zaino). Arrivò poi il personale sanitario che soccorse quelli che apparivano più gravi. Io fui portato fuori insieme ad Anna Martinez.
I poliziotti indossavano un uniforme blu ed il casco era celeste, azzurro chiaro. Il manganello era come un bastone ed il manico era ad angolo retto, a forma di “t”. Mi pare di ricordare che la giubba ed i pantaloni fossero dello stesso colore blu.
Nessuno ci ha informato dei nostri diritti né che eravamo in arresto.
Sono professore di lingue.
Scala Roberta (udienza 16/2/2006; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
La sera del sabato verso le 21 mi sono recata alla scuola Diaz Pertini insieme al mio ragazzo Tomelleri Enrico; avevamo partecipato alle manifestazioni durante il giorno ed eravamo moto stanchi. Un amico ci aveva indicato la Diaz come un posto sicuro ove dormire.
Ci siamo sistemati al piano terra nella palestra nell’angolo sul retro e sulla destra entrando che indico nella Foto 20. Nella palestra vi saranno state circa una ventina di persone. Sulla sinistra entrando vi erano alcune postazioni di computer. Mi sono subito messa a dormire e poi verso le 22,30 sono andata a telefonare a casa da una vicina cabina telefonica.
Ad un tratto venni svegliata da un certo trambusto; il mio ragazzo chiese ai vicini che cosa stesse accadendo e questi rispose “Police”; ero tranquilla mi rivestii e presi la mia carta d’identità. Entrò quindi un poliziotto che si scagliò immediatamente contro le persone che si trovavano nei sacchi a pelo al centro della palestra un po’ spostate verso sinistra. Un altro poliziotto si diresse verso di noi e con il manganello mi colpì alla coscia, mentre ero seduta sul sacco a pelo con le mani in alto e la carta d’identità in mano; anche il mio ragazzo venne colpito. Ci intimarono di non guardare, tenere gli occhi bassi e stare zitti. Ci dissero “bastardi”. Ci scagliarono contro una sedia che colpì Enrico.
I poliziotti avevano la divisa blu e i caschi. Dopo un po’ ci dissero di alzarci e di avvicinarci agli altri che si trovavano nella parte opposta alla nostra. Vidi che c’era molto sangue in terra; molte persone erano ferite e si lamentavano. Arrivarono poi altri ragazzi che scendevano dal piano superiore e anche tra loro vi erano feriti. Non ricordo che vi fossero poliziotti non in divisa, ve ne erano alcuni che portavano una pettorina con la scritta Polizia.
Un poliziotto che oggi non ricordo se avesse la pettorina, come dichiarai a suo tempo, o fosse in divisa, ci disse: “Nessuno sa che siamo qui e adesso vi finiamo”. Ho avuto molta paura.
I poliziotti prendevano gli zaini e ne rovesciavano il contenuto in terra; ho visto prendere alcune macchine fotografiche.
Arrivò anche un medico che si presentò come Paolo, e che iniziò a prestare le prime cure a quelli che apparivano più gravi. Il mio ragazzo lo aiutò a tradurre quanto diceva.
Ho capito di essere stata arrestata quando mi hanno trasferita dall’Ospedale a Bolzaneto, ma nessuno lo disse ufficialmente. Il lunedì venni portata al carcere di Voghera.
Non ho visto nella scuola oggetti simili a quelli visibili nelle foto che mi vengono mostrate (Rep. 120 Raid43, 46, 53, 54 e 56)
Non ho visto alcun atto di resistenza. Non ho visto lanciare zaini dai loro proprietari.
Mi sono rimasti per diverso tempo gli ematomi per il colpo ricevuto sulla coscia; ho anche avuto ripercussioni di tipo psicologico per cui mi sono sottoposta a cure psicologiche.
La fotoB2 raffigura la divisa che ho riconosciuto.
Herrmann Jens (udienza 1/3/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Sono arrivato alla scuola Diaz il venerdì; all’interno ho trovato Hinrichs Meyer e altri conoscenti di Berlino, Hanosch, Brauer e Kutschkau. Il sabato sera sono stato due o tre ore nel centro Media presso la scuola Pascoli ed ho lavorato al computer. Non ho notato alcun passaggio di pattuglie della Polizia.
Verso le 23 sono rientrato alla Pertini; ero sistemato nella palestra sulla destra; mi sono coricato perché ero molto stanco. Ho trovato i tre miei conoscenti di Berlino ed ho un po’ parlato con loro. Poi mi sono recato nel bagno che si trova sulla sinistra dopo il posto ove erano i computer; mentre stavo lavandomi i denti, ho sentito un certo trambusto e grida; sono uscito dal bagno e sono tornato vicino ai miei effetti personali; alcuni gridavano: “Polizia Polizia”. Ho notato circa quattro persone che chiudevano il portone e vi ponevano davanti alcune panche; tali persone parlavano diverse lingue e non sembravano agissero in collegamento con altri; credo che qualcuno abbia iniziato a bloccare la porta e gli altri lo abbiano seguito spinti dalla paura. Ho fatto il mio zaino, mi sono portato in un angolo e mi sono seduto vicino al secondo pilastro, nella posizione che indico sulla piantina che mi viene mostrata.
Mi sono messo la macchina fotografica a tracolla ed ho preso la mia tessera di giornalista.
Ho sentito forti rumori verso l’ingresso; vicino a me vi era una sola persona, un po’ più anziana. Le persone presenti si sedettero vicino al muro. La porta venne infine aperta violentemente. Ho visto volare nella sala le panche ed i tavoli che la bloccavano e quindi entrare i poliziotti. I primi si recarono subito verso il gruppo più numeroso a sinistra; poi un poliziotto si accorse che anche sulla destra vi erano alcune persone e cioè io e la persona più anziana di cui ho detto. Ho visto i poliziotti colpire i giovani a sinistra e quindi quelli che si erano diretti verso di noi iniziarono a picchiare prima il signore più anziano e poi si rivolsero verso di me; io avevo in mano il contrassegno da giornalista e continuavo a ripetere “Press”; un poliziotto iniziò a colpirmi in particolare sulla mano che teneva il contrassegno. Ero seduto accovacciato; ho ricevuto molti colpi sulle mani e sull’avambraccio. Il poliziotto urlava contro di me: “Dov’è Carlo Giuliani … dov’è Manu Chao”, appariva come invasato; lasciai cadere la tessera, ma continuai a ricevere colpi. Non riuscivo più a proteggermi la testa contro cui sembrava che il poliziotto volesse dirigere i suoi colpi. Infatti non appena ho abbassato il braccio sono stato colpito sull’orecchio e sono caduto a terra. Ho ancora ricevuto altri colpi su tutto il corpo. Arrivò un altro poliziotto che non aveva un manganello nero, ma uno marrone che sembrava di legno. I due poliziotti mi colpirono anche con calci e continuarono finché non rimasi steso inerte.
Vidi che nel resto della palestra i poliziotti, che saranno stati circa una trentina, picchiavano tutti coloro che vi si trovavano.
I poliziotti indossavano uniformi scure, caschi blu con una visiera ed avevano fazzoletti rossi davanti al viso.
I due poliziotti visibili nella foto (A8W) che mi viene mostrata, dietro in divisa, corrispondono a quelli da me visti all’interno della Pertini.
Successivamente quando smisero di picchiarmi, dissero di spostarmi nella parte opposta della sala vicino ad altri feriti; i poliziotti che avevano picchiato vennero richiamati e ne entrarono altri, che non picchiavano ed apparivano più calmi; questi raccoglievano gli zaini e ne svuotavano il contenuto in un mucchio nel centro della sala, dal quale poi raccoglievano diversi oggetti (ad esempio il mio termos di metallo); tutto sembrava molto strano; non sembrava che seguissero un preciso sistema o che cercassero qualcosa di specifico.
Vidi entrare due poliziotti, non in divisa di cui uno in giacca e cravatta, quasi calvo o con capelli molto corti, che disse: “Basta” e tutti smisero di picchiare; quando entrò, infatti, erano ancora in corso le violenze.
I feriti chiedevano aiuto e si lamentavano. Arrivarono infine tre sanitari che dopo alcuni minuti vennero autorizzati ad avvicinarsi a noi. Non avevano alcuna attrezzatura per soccorrerci e quindi insistettero con i poliziotti per trasportarci in ospedale. Vi fu una trattativa e finalmente dopo un po’ arrivarono le barelle su cui vennero portati fuori i feriti più gravi, mentre coloro che potevano camminare vennero fatti uscire.
Mi riconosco nella persona con la maglietta bianca visibile nel filmato (Rep. 199 min. 08,11) (estratto):
Nessuno mi disse che ero in stato di arresto.
Non fui in grado di riprendere il lavoro per diverse settimane. Per molto tempo rimasi psicologicamente colpito; avevo incubi e quando vedevo la polizia ero assalito da stato di ansia e paura. Mi sono quindi sottoposto ad un apposito trattamento psicologico.
Subii altre percosse nella caserma di Bolzaneto, ma non riportai altre ferite.
Mi vennero mostrati diversi caschi che mi sembrano simili a quelli che ho visto, non sono in grado di riferire se fossero lucidi od opachi, mi pare però che fossero come quello a sinistra della foto B13 non posso ricordarmi con certezza, ma mi pare che si tratti di quelli opachi perché non ricordo i buchi tondi delle prese d’aria, presenti solo su quelli lucidi.
L’illuminazione della palestra al momento dell’intervento della Polizia era buona: la luce era accesa.
Non conosco i black block. A mio parere non esiste un gruppo organizzato con tale denominazione, ma si tratta di una creazione dei media
Di Pietro Ada Rosa (udienza 8/3/2006; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Sono arrivata a Genova il mercoledì 18 ed ho pernottato la prima sera presso la stadio Carlini e dal giorno successivo alla scuola Pascoli nel Media Center. Avevo il mio cane e poiché dava un po’ fastidio, nel pomeriggio del sabato mi venne chiesto di portarlo nel cortile della Pertini. Non sono mai entrata in tale scuola.
La sera, verso le 23, mi recai a riprenderlo. Nel cortile la situazione era calma, anche perché si sapeva che all’interno vi erano persone che dormivano.
Verso le 21 avevo visto transitare un veicolo della Polizia con i lampeggianti; sulla strada vi saranno state un centinaio di persone; ho sentito che venivano rivolti verso tale pattuglia diversi insulti ed io quindi mi sono allontanata, rientrando nel cortile; la vettura si è allontanata; non ho visto alcun lancio di oggetti verso la pattuglia; non posso escluderlo in modo assoluto, anche se secondo me non vi sono stati. Oggi ricordo una sola auto, ma se ho in precedenza dichiarato che erano due probabilmente si trattava di due veicoli uno dietro l’altro.
Sono risalita nel Media Center, ove sono rimasta per circa un’ora e mezzo; poi sono scesa per riprendere il mio cane.
Mentre ero nel cortile della Pertini, ho visto arrivare la Polizia; mi sono allontanata il più possibile dal cancello e quindi sono entrata nella scuola. Alcuni ragazzi, tre o quattro, hanno chiuso il portone mi pare con due assi di legno, probabilmente prese da un’impalcatura. Mi sono allontanata e mi sono diretta verso le scale; non sono salita al primo piano ma mi sono diretta con il mio cane e con un ragazzo che non conoscevo verso i bagni che si trovavano dopo alcuni gradini. I poliziotti sono entrati sfondando il portone e si sono diretti verso di noi, dicendoci di metterci seduti e di non muoverci. Sentii diversi rumori di colpi e grida; dalla posizione in cui mi trovavo non potevo vedere quasi nulla. Dopo circa una decina di minuti i poliziotti sono tornati da noi e ci hanno portato nella palestra insieme ad altre persone, probabilmente prelevate dai piani superiori. Vi erano alcuni che erano sdraiati in terra, alcuni che si lamentavano alcuni sanguinavano. Ho visto i poliziotti che colpivano diversi giovani vicino a me con i manganelli e con calci; io non sono stata colpita. Tutto sarà durato circa una mezzora, quaranta minuti. Quando arrivarono i soccorsi le violenze cessarono.
Nell’agosto sono stata sentita dal P.M. ed ho riconosciuto le divise; l’uniforme era blu; pantaloni azzurri, caschi; mi pare che la cintura fosse chiara, ma poteva anche essere scura; vi erano anche poliziotti vestiti in modo diverso: alcuni con divise non imbottite, altri con una pettorina ed altri in borghese. Vi erano alcuni vestiti formalmente in giacca, non so se con la cravatta, che davano ordini e che parlavano con telefoni cellulari: alcuni di questi entrarono quando venni portata in palestra.
Vidi che i poliziotti svuotavano gli zaini, senza peraltro prendere nulla di specifico; avevo una borsa a tracolla che venne perquisita.
Venni infine portata all’esterno; dissero che ci stavano portando via, ma non che eravamo in stato di arresto; soltanto al carcere di Vercelli, dopo essere stata a Bolzaneto, mi dissero che potevo avvisare i miei familiari.
Mi riconosco nella donna con la gonna sull’estrema sinistra con un cane visibile nella foto Rep.212 scontri 11.
Ho avuto conseguenze psicologiche dopo i fatti; i rapporti con mia madre si sono deteriorati anche per il mio nervosismo.
Mi pare che il ragazzo che era con me abbia ricevuto almeno un colpo con un manganello.
Tomelleri Enrico (udienza 9/3/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale - trascrizione)
Sono arrivato a Genova insieme a Roberta Scala il sabato mattina per partecipare alla manifestazione contro il G8. La sera cercavamo un luogo dove dormire ed abbiamo saputo da un mio conoscente, Massimo Moccellini, che si poteva pernottare presso il complesso scolastico Diaz e così verso le ore 21 vi ci siamo recati.
Nella scuola la situazione era tranquilla, vi erano diverse persone che avevano steso i materassini per dormire, forse qualcuno dormiva già; vi sarà stata una quarantina di persone. Abbiamo lasciato i bagagli e siamo usciti per fare una telefonata, quindi siamo rientrati alla Pertini. Ero sistemato nella palestra vicino al termosifone sul retro a destra entrando. Non ricordo di aver assistito al passaggio di veicoli della Polizia. Ci siamo messi a dormire. Verso mezzanotte ho sentito qualcuno gridare che stava arrivando la Polizia e poco dopo vi è stata l’irruzione; saranno passati un paio di minuti.
Ero sistemato nella palestra vicino al termosifone sul retro, a destra entrando, nel luogo visibile nella foto 20, che mi viene mostrata.
Le luci erano spente ma vi era una discreta visibilità per la luce che entrava dalle finestre. Ho visto che alcune persone entravano in un vano a sinistra dell’ingresso. I poliziotti entrarono gettando le panche che si trovavano davanti alla porta d’ingresso verso il centro della sala. Un poliziotto venne verso di noi e cominciò a colpirmi con il manganello.
I poliziotti indossavano un’uniforme blu scura, tenuta antisommossa, casco, avevano anche tutti un fazzoletto che copriva il volto; non so se la cintura fosse bianca o nera.
Riconosco nella foto B2 la divisa, non so però se la cintura fosse bianca.
Quando tutto finì venimmo raccolti sul lato opposto della palestra (a sinistra entrando) insieme ad altre persone che erano state portate giù dai piani superiori. Ci fecero accucciare in terra a gambe incrociate e ci venne detto di tenere la testa bassa. Alcuni di noi vennero nuovamente insultati con il termine “bastardi”. Poi arrivarono gli infermieri ed io conoscendo il tedesco feci da interprete tra questi ed i feriti.
Ricordo che erano entrati nella palestra alcuni poliziotti in borghese, alcuni con una pettorina con la scritta Polizia. I bagagli vennero svuotati, ma non so dire che cosa cercassero i poliziotti. Fui uno degli ultimi a lasciare l’edificio; venni portato in ospedale.
Nessuno ci disse che eravamo in arresto.
Ho riportato un trauma facciale ed anche contusioni al braccio sinistro.
Villamor Herrero Dolores (udienza 5/4/2006; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Vivo in Germania dal ‘61 per problemi politici con il regime di Franco; svolgo l’attività di educatrice infantile. Sono venuta a Genova il sabato dopo la morte di Giuliani.
Mi hanno detto che potevo dormire o allo stadio Carlini o alla Diaz. A Genova era praticamente tutto chiuso, alberghi e bar. Mi è stata consigliata la Diaz. Vi arrivai verso le sei o le sette del pomeriggio. La situazione era normale, vi erano molti giovani e l’atmosfera era allegra e disordinata. Ho cercato un posto per dormire e mi sono sistemata al piano terra, in fondo al lato sinistro entrando, nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata.
Dopo essermi riposata sono uscita nel cortile, ove vi erano diverse persone. Non ho visto passare macchine della Polizia davanti alla scuola. Quando divenne buio rientrai, andai in bagno e tornai quindi nella palestra; vi era un gruppo di spagnoli a cui però non mi sono avvicinata perché erano troppo giovani. Vidi arrivare altra gente e vicino a me una coppia con zaini molto grossi; mi sono addormentata.
Ad un tratto venni risvegliata da alcuni voci: “Polizia, arriva la polizia”; riorganizzai quindi le mie cose; le persone erano comunque tranquille. Dalla mia posizione non potevo vedere la porta d’ingresso. I poliziotti entrarono ed iniziarono a colpire i presenti, spingendoli verso il muro al lato opposto al mio e facendoli sedere a terra. I poliziotti al centro della sala ordinarono a tutti di consegnare gli zaini. I poliziotti svuotarono poi tutti gli zaini in un mucchio. Alla mia sinistra vi erano due donne, una piangeva; alla mia destra vi erano due persone che non si muovevano. Dalla mia parte non accadeva praticamente nulla, mentre nella parte opposta i poliziotti picchiavano i presenti; si vedevano anche sedie che volavano. Ad un tratto il poliziotto che era davanti a me mi colpì sul braccio con cui ceravo di proteggermi la testa. Ho ricevuto due colpi precisi che mi hanno procurato la frattura dell’osso. Da quel momento non ho più visto che cosa accadeva alle altre persone. Vidi poi una ragazza con un maglione a righe che irruppe di corsa gridando “ambulanza”. Io ero in uno stato un po’ confuso e l’unica cosa a cui pensavo era di uscire; ero molto spaventata. Non sono in grado di precisare l’abbigliamento dei poliziotti: avevano divise con rinforzi sulle ginocchia, caschi, maschere antigas.
Tutto avvenne contemporaneamente: alcuni poliziotti sul lato opposto al mio picchiavano, altri al centro perquisivano. Poi tre poliziotti si piazzarono davanti a noi e quindi ci colpirono.
Quando stavo ormai uscendo verso l’ambulanza, vidi che vi era una donna, che riconosco nella foto Rep. 120 Raid08 PZ, stesa nel sacco a pelo, che sanguinava abbondantemente; la riconobbi in Germania quando venni sentita dal P.M. tedesco, si trattava di Suna Gol; l’avevo conosciuta nel carcere di Voghera.
La ragazza visibile nella foto segnaletica che mi viene mostrata (n. 15 Valeria Bruschi) era una delle due abbracciate alla mia sinistra che poi seppi chiamarsi Valeria; l’altra potrebbe essere quella visibile nella foto segnaletica n. 32 (Stefania Galante)
Quando uscii vi era un poliziotto che controllò la mia borsa svuotandone il contenuto. Non ho mai riavuto lo zaino che rimase nella palestra.
Non ho visto mazze o bastoni o altro materiale del genere in possesso di coloro che si trovavano nella palestra, soltanto lattine e spazzatura.
Nessuno disse che avremmo potuto farci assistere da un avvocato; non sono stata informata del motivo del mio arresto.
La frattura non si rimarginò completamente se non dopo due anni. Lavoravo in un azienda di lavori sociali.
I manganelli dei poliziotti erano quelli più lunghi.
Duman Mesut (udienza 5/4/2006; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Lavoravo per un giornale turco e arrivai a Genova il sabato verso mezzogiorno; avevo la macchina fotografica ed un registratore. Ero insieme a Suna Gol; ho trovato un posto ove pranzare vicino al mare ed ho saputo che avrei potuto passare la notte alla scuola Diaz che era nelle vicinanze.
Vi giunsi quando ancora vi era luce; lasciai le mie cose al piano terra, in fondo, sul lato sinistro entrando. Vi erano parecchie persone nel cortile, mentre all’interno molti dormivano; vi saranno state circa venti trenta persone. Uscii per cercare di telefonare, ma non essendovi riuscito, rientrai nella scuola e mi misi a dormire.
Eravamo sistemati pressoché nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata.
Dopo un po’ venni svegliato da alcuni rumori e vidi entrare nella sala, inizialmente quattro poliziotti, e poi molti altri, che iniziarono subito a picchiare tutti quelli che vi si trovavano e che tenevano le braccia alzate. Ho cercato di proteggermi, riparandomi con la mia borsa nera; un poliziotto cercò di colpirmi con un manganello sulla testa ed io a mia volta mi riparai con la borsa. Ho ricevuto due colpi su un braccio e sono stato colpito anche con calci. Ho ricevuto circa una decina di colpi, inferti da tre poliziotti Il primo poliziotto che mi ha colpito non aveva il casco; sudava molto e probabilmente si era tolto il casco proprio perché aveva caldo; aveva già colpito altre persone. I poliziotti portavano una divisa blu scuro con la parte inferiore più chiara. Il terzo poliziotto mi sputò addosso dicendomi “bastardo” ed anche altri epiteti che però non ho capito. Suna è stata tirata per i capelli e trascinata per molti metri sull’altro lato della palestra, ed è stata colpita ripetutamente. Ho visto una ragazza che si trovava nella toilette venire picchiata con i manganelli. Mi ricordo di Dolores (Villamor) che era sulla parte sinistra e che venne a sua volta picchiata.
Ho poi notato due poliziotti in abiti civili, uno aveva la barba, uno aveva un vestito completo scuro (giacca e pantaloni uguali e cravatta ); mentre li ho visti venivo picchiato.
Il poliziotto in abito blu parlava con gli altri e sembrava dare disposizioni, non sembrava colpito dalla scena. Tale poliziotto entrò nella palestra mentre io venivo picchiato.
Riconosco il poliziotto di cui ho parlato in quello visibile con la barba, il casco e il paracollo nel filmato Rep. 174 min. 3,08 (estratto)
Ad un certo punto i poliziotti hanno smesso di picchiare e per quanto ho capito l’ordine venne dal poliziotto di cui ho detto, che ha anche fermato, prendendolo per il braccio, un altro agente che stava ancora colpendo qualcuno.
L’altro poliziotto in borghese arrivò poco dopo quello che aveva dato l’ordine di smettere.
Il pestaggio, peraltro, cessò definitivamente soltanto quando iniziò ad arrivare il personale sanitario.
Ricordo che gli zaini vennero gettati tutti in un mucchio e che i poliziotti ne svuotavano il contenuto.
Non venni perquisito né venni informato dei miei diritti.
Venni portato all’ospedale; avevo diversi lividi e dopo i raggi seppi che avevo il braccio rotto. Fui portato a Bolzaneto e quindi a Pavia; venni infine espulso.
Ho portato il gesso per otto settimane. Ho avuto conseguenze psicologiche.
Vidi che Suna Gol veniva ripetutamente picchiata dopo essere stata trascinata lontana da me. Quando le cose si calmarono tornò vicino a me.
Ho conosciuto Dolores dopo i fatti tramite Suna.
I rumori che mi hanno svegliato erano tre colpi che potevano essere quelli inferti al portone per aprirlo.
Hager Morgan Katherine (udienza 21/6/06; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Ero a Genova per partecipare alle manifestazioni contro il G8; ero con due amici Sparks Sherman David e Pringep Angelina.
Avevo sentito che la scuola Diaz era il luogo assegnato al GSF per ospitare i manifestanti. Prima del sabato non avevo sentito della possibilità di alloggiare presso la Diaz; prima ero in un luogo molto rumoroso e movimentato.
Sono arrivata alla scuola con Sherman circa alle 23,00. Ho telefonato a casa che tutto andava bene e poi mi sono sistemata nella palestra nell’angolo sinistro entrando, nel punto che indico sulla piantina che mi viene mostrata e visibile nella foto n. 19.
Dormivo da circa un’ora quando mi sono svegliata perché c’era molto rumore dall’esterno; vi erano persone che correvano; ho recuperato il sacco a pelo e radunato i miei vestiti; ho poi sentito un gran rumore ed ho visto un gruppo di persone davanti all’ingresso che si sono inginocchiate con le mani in alto; un poliziotto lanciò con un calcio una sedia contro il gruppo; i poliziotti vennero poi verso di noi, che eravamo a nostra volta inginocchiati con le mani alzate, ed uno mi ha colpito in testa con un calcio; caddi a terra. I poliziotti saranno stati almeno quindici; si muovevano in tutte le parti della stanza. Un uomo vicino a me mi aiutò ad alzarmi; uno o due poliziotti iniziarono a picchiarci; misi le mani sopra la testa e mi misi rannicchiata vicino al muro. Non sono in grado di dire quanto durò; pensai che se fossi rimasta ferma, avrebbero smesso di picchiarmi. Credo di essere rimasta in quella posizione anche per un po’ di tempo dopo che avevano smesso di colpirmi. Ricordo che Sherman perdeva sangue dalla testa e nel muoversi lasciò una traccia di sangue sulla parete.
I poliziotti portavano un’uniforme scura, non so se nera o blu, caschi ed una mascherina sul volto. I manganelli erano duri, non ho avuto la sensazione di essere colpita con un manganello flessibile ma con uno rigido.
Ci dissero poi di alzarci e spostarci sull’altro lato della palestra. Non ricordo con precisione se vi fu un ordine in tal senso e se mi sono spostata perché gli altri lo facevano.
Alcune persone arrivavano dai piani superiori; alcuni dovettero essere portati perché non in grado di muoversi.
I poliziotti prendevano i sacchi, li aprivano e li svuotavano; ponevano poi il contenuto in diverse pile. Non ho visto mazze, picconi o altri attrezzi. Io ero interessata al mio zaino.
Nel filmato che mi viene mostrato (Rep. 199 p. 2 min. 5,57 - estratto) riconosco le divise del primo gruppo, di quelli cioè che correvano con le divise scure imbottite.
Ho riportato tre fratture alla mano destra ed un’altra frattura mi è stata trovata nella mano sinistra; alcune costole rotte ed ematomi sul lato destro del corpo; sanguinavo dalla testa, dalle spalle e dalle mani.
Le prime radiografie le ho fatte all’ospedale San Martino; ove individuarono due fratture alla mano destra; non ricordo se riscontrarono anche le fratture delle costole. Mi recai poi da uno specialista a Milano che trovò la terza frattura alla mano destra; vi è comunque la documentazione medica. Inviai poi le foto scattatemi a Milano; non ricordo con precisione quando vennero scattate e non mi pare di riconoscerle in quelle mostratemi.
L’uomo che mi aiutò ad alzarmi mi pare fosse spagnolo e credo di averlo riconosciuto in una foto quando venni a deporre. Lo riconosco nella foto che mi viene mostrata (n. 56 rilievi foto -segnaletici).
Vicino a me vi era anche una signora che poi era in prigione con me, Nicolà, ed un’altra Kara Sievewright, che riconosco nella foto Rep 210. 36; quest’ultima mi disse che aveva visto i poliziotti tagliare gli zaini estraendone i rinforzi metallici.
Non ho visto nella scuola gli oggetti raffigurati nella foto che mi viene mostrata (raid 55).
Venni infine portata fuori seguendo le barelle ed altri feriti, verso l’ambulanza, ove poi sono salita.
Nessuno mi disse quale fosse la mia posizione; neppure in seguito, l’ho soltanto desunto da quanto accadeva. Non ero molto lucida. Dopo l’ospedale venni portata a Bolzaneto in manette e quindi a Voghera, ove vidi un magistrato, che mi sembrava mi processasse ed infine venni espulsa dall’Italia. Avevo venti anni ed ero studentessa universitaria. Lavoravo creando bigiotteria.
In conseguenza delle lesioni non fui in grado di dipingere e persi l’anno del corso che avrei dovuto frequentare a Siena, ove non arrivai.
Sparks Sherman David (udienza 21/6/06; assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Mi trovavo nella scuola Diaz insieme alla mia amica Hager. Eravamo arrivati circa alle 23, e ci eravamo sistemati nell’angolo sinistro entrando della palestra. Avevo dormito nella scuola anche la sera prima, Mi ero messo a dormire e dopo circa un’ora venni risvegliato da un gran rumore all’esterno. Poco dopo vidi entrare il primo poliziotto con uniforme imbottita blu scuro e casco; il poliziotto sbatteva i piedi ed urlava qualcosa come “bastardi”, diede poi un calcio ad una sedia e quindi venne verso di noi e diede un calcio in testa a Hager Morgan; nel frattempo erano entrati molti poliziotti, per quanto ricordo in numero superiore alle persone che vi si trovavano. Avevano la visiera del casco abbassata ed una bandana che copriva il volto; hanno iniziato a colpire tutti con i manganelli. Mi ero rannicchiato come molti altri e venni picchiato con diversi colpi di manganello sulla testa, all’inguine, sulla schiena ed in genere sul corpo; per quanto vedevo, anche gli altri venivano ripetutamente colpiti con i manganelli.
Smisero poi di picchiarci e ci dissero di spostarci sull’altro lato della stanza; arrivarono anche altri feriti dai piani superiori. In questo momento nella palestra vi erano anche poliziotti vestiti meno pesantemente dei primi con divise ordinarie; poi arrivarono anche i sanitari che iniziarono ad assistere i feriti.
Vidi accanto a me sangue fresco che dapprima pensai fosse di un signore che mi era vicino e che aveva un braccio evidentemente rotto, ma poi mi accorsi che ero io a perdere sangue dalla testa.
I poliziotti dissero quindi di consegnare gli zaini; li raggrupparono e li svuotarono, ponendone il contenuto in una pila. Non ricordo di aver visto in tale occasione bastoni, mazze o altri arnesi.
Vi erano molti feriti. I presenti vennero quindi divisi in due gruppi, separando quelli che dovevano recarsi in ospedale.
Ricordo un poliziotto, basso di statura ma abbastanza grasso, vestito in abiti civili con il casco in mano, che sembrava dare ordini urlando agli altri; nel 2003 avevo visto un video in cui l’avevo identificato; nel filmato Rep 174 p. 1 lo riconosco in quello con il vestito chiaro e che si tiene il casco con la mano min. 2,47 (estratto).
Venni infine fatto uscire seguendo una barella su cui si trovava la persona con il braccio rotto di cui ho detto, passando tra due file di poliziotti e venni fatto salire su un’ambulanza.
All’ospedale mi hanno suturato le ferite alla testa; avevo un testicolo aperto e rotto; avevo molto dolore all’addome. Mi fecero se ben ricordo anche una radiografia all’addome. Non riuscivo a camminare. Mi dissero che sarei potuto diventare sterile; ho fatto altri esami di cui però non ho ancora i risultati e che mi riservo di far avere al Tribunale.
Dopo l’ospedale venni portato a Bolzaneto ove le mie ferite si aggravarono e venni quindi riportato in ospedale. Dopo essere stato rilasciato, da Pavia mi recai da uno specialista a Milano e poi negli Stati Uniti.
Venni espulso dall’Italia.
Alla scuola Diaz vidi anche persone vestite di nero; non credo però si trattasse di black-block; quando lo precisai innanzi al giudice mi era stato chiesto se ne avessi visti.
Insieme ad Hager Morgan abbiamo dormito alla Diaz anche venerdì notte, prima eravamo sistemati in un parco.
Galante Stefania (udienza 5/7/06; parte civile, assunta ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Mi ero recata verso le 23,30 insieme ai miei amici Valeria Bruschi, Moritz Von Unger e Guglielmina Zapatero alla scuola Pertini per passarvi la notte. Ci eravamo sistemati nella palestra; io e Valeria siamo rimasti nella palestra mentre gli alti due si sono allontanati per cercare i bagni.
Ad un tratto sentii alcune grida e vidi una gran confusione; qualcuno spostò sedie e tavoli; sentii poi rompersi i vetri di una finestra e quindi vidi una massa di persone che entrava dal portone. Si trattava di poliziotti che in parte si distribuirono nella palestra, ed in parte salirono ai piani superiori.
Ero rannicchiata in un angolo con Valeria; segno sulla piantina che mi viene mostrata il punto ove ci trovavamo.
Vidi alcuni ragazzi che si alzarono con le mani in alto e che vennero subito picchiati; i poliziotti colpivano tutti coloro che si trovano di fronte a loro, scagliavano sedie, urlavano contro di noi e ci insultavano dicendoci: “Nessuno sa che siamo qui, vi ammazzeremo tutti; ora piangete ieri vi sentivate forti …” . Valeria venne colpita, ma noi eravamo abbastanza riparate. Tutto durò circa dieci, quindici minuti.
I poliziotti indossavano una divisa in due parti con giubbotti blu scuri e ginocchiere imbottite; caschi blu; manganelli con un manico; alcuni di loro prendevano i manganelli dall’altra parte, picchiando con il manico, si vedeva che giravano i manganelli, che avevano una protuberanza finale.
Rep. 199 p. 2 min. 5,57 (estratto): riconosco le divise; nella foto riconosco il manganello (tonfa)
Ad un tratto qualcuno disse ripetutamente: “Basta” e tutto finì.
Quindi entrarono altri poliziotti in borghese e poi altri in giacca e cravatta che mi pare dessero ordini su come trattare i feriti e esaminare gli zaini.
Vidi anche alcuni feriti che scendevano dalle scale ed apparivano feriti anche in modo grave; sanguinavano; ricordo vicino a me anche un ragazzo con un braccio molto gonfio.
I poliziotti che vidi entrare nella scuola saranno stati una cinquantina e tutti agivano nello stesso modo.
Le borse vennero poste in un mucchio tutte insieme e quindi svuotate in una pila unica; da parte, in un’altra pila, venivano posti gli indumenti neri.
I feriti vennero portati fuori e quindi furono fatti uscire quelli che non erano feriti.
Lorenzo Guadagnucci era vicinissimo a me ed aveva un braccio con un grosso gonfiore vicino al gomito; vi era una signora più anziana, mi pare spagnola, che aveva forti dolori agli arti.
Ho riportato un forte trauma psichico; per circa un anno e mezzo ho avuto crisi di panico e paura di restare sola; dopo due anni mi sono decisa a farmi assistere con una terapia psicologica.
Confermo di aver riconosciuto nelle foto B2 e B3 le divise dei poliziotti che entrarono per primi.
Non so spiegare perché a suo tempo dichiarai di aver potuto vedere soltanto gli scarponi e i pantaloni dei poliziotti; oggi ricordo di aver visto i poliziotti ed i manganelli da loro utilizzati mentre picchiavano i presenti.
Haldimann Fabian (udienza 6/7/06; assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Il 21 luglio mi recai nei pressi della Diaz verso le 22; ero solo; avevo già dormito nella scuola la notte prima ed avevo i miei indumenti lì. Dovevo incontrare alcuni amici con i quali avevo intenzione di rientrare in Svizzera nella notte.
La sera vidi passare un convoglio di polizia, nei cui confronti abbiamo fischiato; qualcuno gettò anche una bottiglia nella loro direzione; gli altri cercarono di tranquillizzarlo, anche perché ormai era intenzione generale di rientrare a casa. Se ben ricordo si trattava di tre auto con i colori della polizia che passarono a forte velocità. Tutto avvenne in brevissimo tempo. Mi pare che fossi sulla strada vicino all’ingresso del cortile della Diaz. Non c’erano molte persone. Vi furono fischi e ingiurie rivolti al convoglio. Vidi volare la bottiglia e sentii poi il rumore del vetro infranto. La situazione si calmò subito.
Mi sistemai nella palestra vicino ad una finestra e ad un calorifero, pressoché nella posizione che indico sulla piantina che mi viene mostrata.
Ero già nel sacco a pelo e stavo dormendo, quando fui svegliato da una donna che parlava tedesco. Quando mi svegliai nella palestra erano rimaste ormai poche persone; davanti alla porta vi era un mucchio di sedie e tavoli; si sentiva che la polizia stava entrando; si sentivano rumori di vetri infranti e colpi. Io misi le mie cose nello zaino e passando davanti ai computer corsi sulle scale verso il piano superiore. Vidi una persona che era rimasta incastrata con il suo zaino in una finestra mentre cercava di uscire; io cercai di spingere lo zaino, per uscire anch’io ma ricaddi indietro e venni preso dai poliziotti che nel frattempo erano arrivati. Cercai di proteggermi la testa, ma tutti i poliziotti che passavano mi colpivano con i manganelli e con gli stivali. Nell’angolo davanti a me c’era un altro giovane con i capelli ricci lunghi neri; era cosparso di sangue; entrambi cercavamo di proteggerci dai colpi dei poliziotti.
I poliziotti portavano caschi con la visiera alzata ed avevano il volto coperto; avevano strisce rosse sui pantaloni; indossavano stivali; avevano manganelli. Venni colpito sulla testa sulle braccia sulla mano sulla coscia destra sul dorso e con forza sulla tibia e sul piede.
Riconosco nelle foto da 112 a 116 il pianerottolo delle scale ove mi trovavo (foto 113 e 114), anche se non ricordo la ringhiera; l’altra persona era nell’angolo a sinistra.
I poliziotti ci spinsero poi indietro verso la palestra. Mi pare di aver quasi perso conoscenza ed infine venni portato via tra i primi in ambulanza, anche perché le persone che mi erano vicine si erano accorte del mio stato ed avevano chiesto aiuto.
Mi riconosco nella persona in barella visibile nel filmato Rep. 172 p. 3 min 2,20 (estratto) che mi viene mostrato.
Ho riportato diverse ferite su ambedue gli avambracci, ematomi sulla coscia destra, diverse ferite sulla tibia e altrettanto sul piede. Arrivato in Ospedale mi ingessarono l’arto rotto e mi medicarono le ferite. Il giorno dopo fui prelevato e portato a Bolzaneto. In un altro Ospedale furono fatte delle radiografie. Mi misero un catetere. Mi trasportarono in un istituto psichiatrico di Genova. Poi proseguii le cure in Svizzera per circa tre mesi. Per settimane sono rimasto inabile al lavoro. Vedere la polizia mi causava tremore e sudorazione come attacchi di rabbia e paura. Alcune conseguenze psichiche durano ancora oggi anche se sto molto meglio.
Ho avuto il sospetto che la persona che lanciò la bottiglia contro il convoglio della polizia fosse un provocatore della polizia anche perché era l’unico che agiva in tal modo, mentre tutti gli altri cercavano di calmarlo; poteva anche essere però un giovane disperato.
Aleinikovas Tomas (udienza 23/11/06; parte civile, assunto ex art. 197 bis c.p.p.)
(verbale – trascrizione)
Il 21 arrivai alla scuola Pertini nel tardo pomeriggio. Non mi accorsi del passaggio di alcuna pattuglia della polizia sulla strada. Vi erano postazioni internet e così ero andato a controllare la mia posta elettronica. Visto che vi erano persone che dormivano, decisi di restarvi per passare la notte. Rimasi nella sala principale del piano terra. Ad un tratto sentii un gran rumore e vidi diverse persone che correvano. Corsi insieme ad una ragazza in un bagno. Vidi entrare un uomo con una divisa nera o comunque scura imbottita ed un casco che ci disse, facendosi capire anche a gesti, che dovevamo andare via. Ci portò fuori a forza e giunti nel corridoio vidi che vi erano diversi poliziotti che colpivano le persone presenti; ci portarono nella sala principale e ci fecero stendere a terra, dicendoci di stare calmi. Vicino a me vi era un ragazzo che mosse la testa e venne quindi colpito da un poliziotto che gli disse di stare fermo. Rimasi steso a terra per circa una trentina di minuti, un’ora, almeno così mi pare. Non venni perquisito. Successivamente mi fecero consegnare il mio passaporto. Avevo lasciato il mio zaino nella sala principale prima di portarmi nella saletta dei computer. Non vidi bastoni, armi o bottiglie molotov. Nessuno mi disse che ero in arresto; lo capii soltanto dopo. Venni colpito sulla schiena con un manganello mentre mi portavano dal bagno alla sala principale.
Nella foto che mi viene mostrata (Rep. 212 scontri 11) riconosco la ragazza che era con me in quella sulla sinistra con un cane. Non ho più riavuto il mio zaino. Sono stato espulso dall’Italia.
Tornato in Lituania tutti sapevano che ero stato arrestato per una serie di reati contro la Polizia, come era stato riportato dai giornali con molto rilievo. Avevo lividi sulla schiena determinati dai colpi dati con la maniglia dei manganelli.
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